INTRODUZIONE
Uno studio sull'obiezione di coscienza presenta diverse criticità. In che rapporto
stanno il diritto e la morale? Lo Stato ha il dovere di tutelare la coscienza del singolo?
L'obiezione di coscienza è sempre ammissibile? Quali limiti incontra? L'obiezione può
compromettere l'applicazione e l'efficacia di una legge? Tutti questi interrogativi non
trovano una risposta immediata e universalmente valida, tuttavia lo scopo di questo
elaborato è cercare di fare chiarezza su alcuni punti.
Se l'obiezione di coscienza sembrava essere un problema superato, laddove
associato alla tematica del servizio militare, la realtà dei fatti dimostra come essa sia
ancora una questione estremamente delicata e problematica: ci si riferisce soprattutto al
campo sanitario, con particolare riferimento a quelle pratiche che comportano
l'interruzione volontaria di gravidanza. In Italia il tema si è rivelato controverso e di
difficile risoluzione: l'elevato numero di medici obiettori (non solo ginecologi, ma anche
anestesisti) rende difficile una capillare ed efficiente applicazione della legge 194/78.
Il Consiglio d'Europa ha “bacchettato” lo Stato italiano, rilevando che il diritto
delle donne ad accedere all'IVG, sebbene previsto e regolamentato da una legge, viene
ostacolato, nella realtà, dalla presenza elevata di personale medico che opta per
l'obiezione di coscienza, fattore che alimenta i rischi di ricorso a pratiche clandestine e
pericolose.
Il progresso, soprattutto nel campo della scienza e della medicina, ha offerto
nuovi scenari che hanno per protagonista l'obiezione di coscienza: è il caso della
procreazione medicalmente assistita, in cui il medico che contesti metodi alternativi di
1
concepimento rispetto all'unione sessuale o che condanni la conservazione e l'utilizzo
dell'embrione, ha diritto di obiettare e di esentarsi dal porre in essere tali pratiche.
Anche la crescente tutela del mondo animale ha portato all'introduzione di una clausola
di coscienza, diretta a proteggere coloro che rifiutino la sperimentazione scientifica su
creature viventi.
Ancora, questioni quali la regolamentazione delle scelte riguardanti il fine della
vita, i trattamenti sanitari obbligatori, o le unioni civili tra persone dello stesso sesso,
hanno acceso conflitti nell'opinione pubblica e reso necessario un dibattito sulla
possibilità di concedere, o meno, spazio alle rivendicazioni della coscienza.
Ci si trova, allora, di fronte a un fenomeno paradossale: se la tutela
dell'obiezione di coscienza nasce per far convivere le ragioni della legge e quelle della
coscienza, la regolamentazione della stessa è diventata, nella realtà, fonte di
conflittualità tra diritto e morale.
Chi è favorevole all'obiezione, vede nella coscienza una sorta di ultimo baluardo
contro la coercizione imposta dalle fonti normative, mentre, chi la contesta, teme che il
suo riconoscimento possa mettere a repentaglio la corretta applicazione della legge e del
sistema democratico che ne è alla base (tanto più se l'obiezione si configura come un
istituto sostenuto da una determinata confessione religiosa).
Chi sostiene che l'obiezione di coscienza debba avere la prevalenza, in ragione
delle tutele che i principi costituzionali le riconoscono, è contestato da chi ravvisa
nell'obiezione uno strumento finalizzato a sostituire la tavola dei valori costituzionali
“con la pretesa che i tabù di alcuni diventino obblighi per tutti
1
”.
1 Così Carlo Augusto Viano, “La coscienza: voci e mistificazioni” in AA.VV . Obiezione di coscienza.
Prospettive a confronto, fascicolo di Notizie di Politeia, n. 101, 2011, 26.
2
Ad avviso di chi scrive, per impostare correttamente il tema, si rende necessario
partire dalla nozione di coscienza, dal significato che alla coscienza è stato dato in
ambito filosofico nel corso dei secoli, per poi comprendere cosa sia l'obiezione di
coscienza, quali norme la regolamentino e quali categorie concettuali, ad esse affini,
siano da considerare separatamente.
Il presente lavoro si apre, dunque, con una teoria generale dell'obiezione di
coscienza, per poi proseguire con la trattazione di quel tema che ha aperto,
pionieristicamente, la strada all'obiezione di coscienza nel nostro ordinamento giuridico:
il rifiuto del servizio militare, motivato da ragioni coscienziali.
Dagli ambiti in cui l'obiezione è regolamentata dalla legge a quelli in cui
l'obiezione di coscienza richiede rivendicazione, vengono poi trattati i temi “caldi” dei
nostri giorni, ponendo l'accento, in particolar modo, sul rapporto conflittuale tra aborto e
obiettori. Partendo da una preliminare ricostruzione delle ragioni che hanno portato
all'approvazione della legge 194, si prosegue illustrando i numeri e le ragioni
dell'obiezione, nonché eventuali soluzioni al problema.
Infine, viene richiamata l'attenzione sui limiti che l'obiezione di coscienza
incontra, sulla necessità che la stessa sia giustificata da una reale motivazione
coscienziale e che la condotta richiesta all'obiettore abbia un nesso diretto e certo con il
prodursi dell'atto che la coscienza rifiuta.
Per completezza d'esposizione, verranno citate le principali pronunce
giurisprudenziali sul tema, con particolare riferimento alle sentenze delle corti più
autorevoli che hanno ribadito, da un lato la necessità di tutelare le ragioni della
coscienza, dall'altro quella di prendere le distanze da comportamenti che celano
3
obiezioni di comodo,o che sono sfornite dei requisiti meritevoli di protezione.
In ordine alla questione trattata, non è mancato l'apporto della Corte di
Strasburgo, la quale ha riconosciuto la violazione dell'articolo 9 della Convenzione
Europea dei Diritti dell'Uomo (posto a tutela della libertà di coscienza, di religione e di
pensiero), nell'incriminazione di due cittadini, rispettivamente di origine armena e turca,
che avevano rifiutato di ottemperare al servizio di leva, considerato obbligatorio e
sfornito di una previsione di adempimento alternativa, quale il servizio civile:
previsione ritenuta necessaria in uno Stato che voglia dirsi rispettoso dei principi
imposti dalla CEDU.
4
CAPITOLO 1
OBIEZIONE DI COSCIENZA: PROFILI CONCETTUALI
1. Norme, religione e coscienza
1.1 Premessa
Le norme giuridiche hanno la finalità di regolare la vita delle persone fisiche e
giuridiche all’interno di un ordinamento. Per poter adempiere a questa funzione è
necessario che le stesse operino un equo bilanciamento degli interessi coinvolti.
Regolamentare i diversi aspetti della vita sociale permette una civile convivenza,
tuttavia, al fine di perseguire appieno questo risultato, si rende talvolta necessario
sacrificare le convinzioni etiche, morali o religiose dei singoli consociati.
In altri termini, le norme giuridiche sono vincolanti e non richiedono un'adesione
intimamente sentita: è sufficiente un'ottemperanza esterna da parte di tutti coloro che
ricadono nel campo di applicazione del dettato normativo, a prescindere dalle diverse
convinzioni di coscienza. La norma deve essere osservata, non necessariamente
condivisa.
Il soggetto, costretto a obbedire ad un precetto che contrasta fortemente con le
proprie idee, si trova a dover scegliere, in realtà, tra due obbedienze: una alla legge degli
uomini che egli ritiene ingiusta, e una alla legge della propria coscienza che egli ritiene
assoluta ed immutabile. Questo contrasto è spesso insanabile e altro non è che il
contrasto tra il diritto e la morale, tra ciò che è dovuto e ciò che è giusto.
5
Facciamo un passo indietro: il termine giustizia è la traduzione del latino iustitia,
il quale contiene la parola ius, vale a dire diritto. I giuristi romani erano fortemente
persuasi del fatto che l'insieme delle norme che regolavano la convivenza sociale (il
diritto) dovesse essere in sintonia con il perseguimento di valori di equità (la giustizia).
Giuvenzio Celso, studioso del II secolo, si riferì al diritto definendolo ars boni et aequi,
l'arte del buono e del giusto: in epoca romana il diritto positivo poteva essere accettato
come tale solo se esso perseguiva anche i valori della morale.
2
Secondo il filosofo Luhmann, nel corso dei secoli, e in particolare a partire dal
XVIII secolo, la morale e il diritto sono andati, via via, separandosi l'uno dall'altro: la
prima si è interiorizzata e il secondo si è esteriorizzato. In questo modo, la coscienza è
diventata un concetto strettamente personale, che obbliga solo individualmente, mentre
la legge è andata imponendosi collettivamente
3
.
In una società tradizionale come quella della Grecia arcaica o della Roma antica,
connotate dalla forte coesione dei valori sociali, la sfera della legge coincideva
totalmente con quella della morale: questo spiega perché in siffatte società l'obiezione di
coscienza fosse un fenomeno quasi sconosciuto, dal momento che ci si sarebbe posti al
di fuori della comunità e alla mercé della collera divina. Al contrario, nelle società
moderne e contemporanee, caratterizzate dal pluralismo, l'ambito di applicazione della
legge e della morale non trovano piena coincidenza, potendosi sovrapporre anche solo
parzialmente
4
.
2 Cfr. Gaetano Scherillo e Franco Gnoli, Diritto romano. Lezioni istituzionali, Milano, LED, 2008, pp.
22-26.
3 Cfr. Rinaldo Bertolino, L'obiezione di coscienza moderna. Per una fondazione costituzionale del
diritto di obiezione, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 22-23.
4 Cfr Michele Saporiti, La coscienza disubbidiente, Milano, Giuffré, 2014, pp. 16-17.
6
1.2 La coscienza
Prima di accostarsi all'istituto giuridico dell'obiezione di coscienza, sembra utile
e doveroso soffermarsi preliminarmente sulla ricostruzione della nascita e dello
sviluppo della nozione di “coscienza”.
Il vocabolario della lingua italiana la definisce come la “consapevolezza che il
soggetto ha di se stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità
e del complesso delle proprie attività interiori”
5
. Tuttavia, quella fornita è una
definizione comune che tende a discostarsi dall'uso filosofico che, nel corso dei secoli, è
stato impiegato di questo termine.
Nella filosofia moderna e contemporanea, la nozione di coscienza è molto
complessa. Essa si riferisce al rapporto con la propria anima (concetto a sua volta
estremamente controverso), ad una relazione “spirituale” o “interiore”, grazie alla quale
l'uomo può arrivare a conoscersi in modo immediato e privilegiato e a giudicarsi
direttamente e in maniera infallibile
6
.
L'interiorità soggettiva inizia a comparire nella storia della filosofia attraverso
Socrate e Platone che rappresentano la coscienza come la parte interiore dell'essere
umano. La coscienza è conoscenza, consapevolezza
7
.
Aristotele riconduce la coscienza al “pensiero del pensiero”, e cioè alla certezza
delle percezioni sensibili. Nelle filosofie post-aristoteliche, invece, l'elaborazione più
completa della nozione in esame proviene da Plotino, che delinea la coscienza come un
5 Si veda la voce “coscienza” del vocabolario Treccani disponibile all'indirizzo
http://www.treccani.it./vocabolario.
6 Cfr. Michele Saporiti, op. cit. p. 2.
7 Cfr. Fabio e Gianluca Cembrani, L'obiezione di coscienza nella relazione di cura, Torino SeED, 2016,
p.31.
7
“ritorno all'interiorità”, una “riflessione su di sé”: il saggio che cerchi la felicità deve
prescindere dall'esterno e raccogliersi in se stesso. La coscienza diviene la condizione
intrinseca del saggio il quale, guardandosi dentro, trae da sé ciò che è in grado di
rivelare agli altri, poiché “egli tende all'unità e alla calma non solo rispetto alle cose
esteriori, ma anche verso se stesso, e tutte le cose in sé ritrova”
8
.
Con l'avvento del Cristianesimo la prospettiva muta: se l'atteggiamento di auto-
riflessione interiore era, in epoca pagana, prerogativa del saggio, ora diviene accessibile
ad ogni essere umano in quanto tale. Paolo di Tarso, missionario del Vangelo di Gesù tra
i pagani, si appella alla coscienza per rivendicare la sincerità e la purezza dei suoi intenti
di predicatore. Sant'Agostino, nel V secolo d.C. sviluppa l'idea che mente e coscienza
siano due entità fenomeniche distinte, quest'ultima essendo più intima rispetto alla
freddezza e all'impersonalità della prima
9
.
Ambrogio ricorda all'imperatore Eugenio che, nonostante il potere temporale di
cui egli dispone, il suo cuore e la sua “coscienza interna” non sfuggono a Dio. La cita,
in una seconda accezione, per dimostrare l'indulgenza di Dio versi gli uomini.
Ambrogio incarna la figura del vescovo che esercita un'influenza sull'imperatore
ricordandogli i suoi doveri, ma suggerendogli al contempo di usare la bontà che la
coscienza gli impone. Seguendo questa scia, la Chiesa medievale continua a rivendicare
la propria competenza giurisdizionale sulle coscienze
10
.
Il frate domenicano San Tommaso d'Aquino ha dedicato molti dei suoi studi al
significato di coscienza, giungendo ad identificarla nella capacità dell'uomo di elaborare
un giudizio morale, nonché nell'abilità di saper riconoscere il bene distinguendolo da ciò
8 Cfr. Michele Saporiti, op. cit., pp. 4-5.
9 Ivi, pp. 5-6.
10 Ibidem.
8