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Introduzione
Alla base di questo studio vi è l’analisi degli stereotipi di genere che permeano il mondo
delle bambine e delle ragazze di oggi, plasmandole a piacimento della società su un modello
di femminilità che non appartiene a tutte. La storia della discriminazione di genere, una
volta conosciuta come condizione femminile, attraversa i secoli e si ripropone a noi oggi in
chiave moderna: alle donne non viene più imposto di stare chiuse in casa a fare da schiave
al proprio marito, né viene loro proibito di intraprendere una carriera o scegliere di non
sposarsi. Eppure nessuna donna si sente ancora pienamente libera nella scelta del lavoro,
del modo di vestire e comportarsi. Sulla carta esiste una parità di genere che è assente nella
realtà delle cose e nella mentalità delle stesse donne. Il mio lavoro vuole dimostrare quanto
sia difficile sradicare vecchie abitudini e concezioni, dopo secoli di “è sempre stato così” e
mettere in luce i problemi e le modalità di risoluzione che si potrebbero attuare.
Le motivazioni che mi hanno spinto a concentrarmi su questo argomento sono due: la
prima è l’interesse che la sociologia ha suscitato in me in questi tre anni: lo studio dei
meccanismi che regolano la società, molto spesso dati per scontati, mi ha aiutato a
comprendere meglio la realtà che mi circonda e ad interrogarmi anche su quello che è
banale e scontato. La seconda è l’amore per i giocattoli e i cartoni animati, che hanno reso
bellissima la mia infanzia e da sempre mi hanno accompagnato nel mio cammino di
crescita. Studiando sociologia e rapportandola alla mia vita, ho capito quanto potere
abbiano questi semplici oggetti nella vita di ogni bambino e quanto contribuiscano alla
formazione e alla trasmissione di idee, positive e negative, così ho deciso di approfondire.
La tesi si apre con il primo capitolo che contiene un breve excursus sull’evoluzione della
condizione delle donne dall’antichità fino ad oggi, per sottolineare quanti cambiamenti e
quante conquiste, soprattutto dal punto di vista giuridico, abbiamo ottenuto. Si procede
poi con la parte più teorica in cui analizzo il concetto di stereotipo e, più in particolare, di
stereotipo di genere dal punto di vista sociologico, sottolineando i principali apporti degli
studiosi di questo campo (W. Lippmann, G. Allport). Una particolare attenzione viene posta
sul modo in cui si trasmettono gli stereotipi e sul concetto di socializzazione, attraverso le
teorie interazioniste di George Herbert Mead. In ultimo, si parla del sessismo e di come
questa forma di razzismo sia percepita e si manifesti oggi.
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Nel secondo capitolo inizia la vera e propria analisi degli aspetti legati all’industria dei
giocattoli. Gli stereotipi di genere vengono veicolati soprattutto attraverso colori e
immagini che separano nettamente ciò che è da femmina da ciò che è da maschio, secondo
una suddivisione rigida e imposta dalla società: questa distinzione influenza le idee dei
bambini e le loro aspirazioni. In ultimo si analizza lo stereotipo di bellezza veicolato dalla
bambola più famosa del mondo: Barbie.
Nel terzo capitolo si studia il cambiamento delle principesse Disney come specchio
dell’evoluzione della concezione femminile negli ultimi ottanta anni. Si parte da
Biancaneve, Cenerentola e Aurora, che incarnano l’ideale della donna sottomessa e senza
aspirazioni; per poi passare ad Ariel, Jasmine, Pocahontas e Mulan che lottano per liberarsi
dalle catene imposte loro dalla società; e si arriva infine alle principesse del nuovo
millennio, Tiana, Rapunzel e Merida, donne che rompono gli schemi classici rivendicando
la loro libertà di decidere da sole il loro futuro.
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Capitolo I: essere donna ieri e oggi
“Il genere è il primo terreno nel quale il potere si manifesta” (Joan Scott, 1987)
Sulla base della distinzione naturale tra i sessi è stata costruita una disparità storica che ha
discriminato le donne e le ha poste in una condizione di inferiorità nella vita privata così
come nella vita pubblica. Sulla base di questa discriminazione di genere, la società ha creato
specifici modelli di ruolo e stereotipi femminili che si sono evoluti nel corso dei secoli e che
resistono ancora oggi.
Procedendo con un breve excursus storico sulla condizione femminile, si può notare come
dalle antiche civiltà primitive ad oggi la donna abbia subito una notevole evoluzione, sia nel
campo sociale e nell’espressione della propria personalità, sia in quello giuridico e politico.
Tuttavia, quasi in ogni epoca e in ogni regione, la donna ha goduto di un trattamento
generalmente meno favorevole di quello dell'uomo.
Per molti secoli la donna ha avuto l’unica funzione di assicurare la discendenza alla famiglia:
svolgeva un semplice ruolo riproduttivo e tutta la sua vita era subordinata alla figura prima
del padre e poi del marito. La condizione di segregazione delle donne nella vita pubblica
non era diversa da quella nella vita privata. Per secoli, infatti, le donne furono tenute
lontano dall’attività politica e giuridica. Qualcosa cambiò con il nuovo Codice napoleonico
emanato il 21 marzo 1804: esso si impegnava nei confronti delle donne per garantire loro
diritti civili e tutelarne alcuni interessi patrimoniali. Qualche anno dopo, la proclamazione
del regno d’Italia, nel 1865, il codice dell’epoca sancì nell’educazione e nel mantenimento
dei figli obblighi reciproci per i coniugi.
Le due guerre mondiali contribuirono fortemente alla rivalutazione della concezione della
donna, anche grazie al fatto che la diminuzione della manodopera maschile, impegnata al
fronte, favorì l’ingresso delle donne in ogni campo del lavoro e il lavoro femminile crebbe
progressivamente d’importanza con l’industrializzazione degli stati. Tuttavia, alla fine della
guerra, le donne furono accusate di rubare il lavoro agli uomini e molte di loro persero il
loro posto nelle fabbriche e nelle campagne e tornarono a dedicare interamente la loro vita
alla casa e alla famiglia.
In Italia il fascismo adottò una politica reazionaria nei confronti delle donne, che prevedeva
che venissero spinte, per quanto possibile, entro le mura domestiche, secondo lo slogan:
"la maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo", scritto sui quaderni delle Piccole
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Italiane. Le donne venivano spronate a dedicarsi alla cura dei figli tanto che le madri più
prolifiche venivano insignite di apposite medaglie. L’educazione demografica e il controllo
delle nascite fu formalmente vietato dal Codice Rocco che lo considerava un "attentato
all’integrità della stirpe".
Per quanto riguarda il lavoro, i salari delle donne vennero fissati per legge alla metà di quelli
corrispondenti degli uomini. Inaugurando una strategia che poi sarebbe stata ripresa per la
politica razziale, l’offensiva cominciò nella scuola, dove fu formalmente vietato alle donne
di insegnare lettere e filosofia nei licei e alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole
medie; inoltre fu vietato loro di essere presidi di istituti, mentre le tasse scolastiche delle
studentesse vennero raddoppiate. Nel pubblico impiego le assunzioni di donne furono
fortemente limitate, escludendole dai bandi di concorso e concedendo loro un numero di
posti limitato (in genere il 10%). Furono inoltre vietate loro la carriera e tutta una serie di
posizioni prestigiose all’interno della pubblica amministrazione. Anche la pubblicistica
fascista tendeva a dissuadere le donne lavoratrici ridicolizzandole. Nel libro "Politica della
Famiglia" del teorico fascista Loffredo, si legge: "La donna deve ritornare sotto al
sudditanza assoluta dell’uomo, padre o marito; sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale,
culturale ed economica per far questo consiglia agli Stati di vietare l’istruzione professionale
delle donne, e di concedere soltanto quell’istruzione che ne faccia un’eccellente madre di
famiglia e padrona di casa” Il Codice di Famiglia era già abbastanza retrivo, ma venne lo
stesso inasprito dal fascismo: le donne vennero poste in uno stato di totale sudditanza di
fronte al marito che poteva decidere autonomamente il luogo di residenza ed al quale le
donne devono eterna fedeltà, anche in caso di separazione. Sul piano economico tutti i beni
appartenevano al marito, ed in caso di morte venivano ereditati dai figli, mentre alla donna
spettava solo l’usufrutto. Il nuovo Codice Penale confermò tutte le norme contrarie alle
donne, aggiungendo inoltre l’art. 587 che prevedeva la riduzione di un terzo della pena per
chiunque uccidesse la moglie, la figlia o la sorella per difendere l’onore suo o della famiglia
(il cosiddetto "delitto d’onore").
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Le donne ottennero il diritto al voto per la prima volta negli Stati Uniti alla vigilia della prima
guerra mondiale e l’esempio fu seguito a breve da altri importanti paesi europei. In Italia le
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Valentina Piattelli, Storia dell’emancipazione femminile in Italia, La Repubblica
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donne poterono votare solo nel 1945, a seconda guerra mondiale ultimata, partecipando
al referendum per la scelta istituzionale monarchia o repubblica e per l’elezione
dell’Assemblea Costituente. La Costituzione garantiva l’uguaglianza formale tra i due sessi,
ma di fatto la condizione effettiva della donna restava invariata. Dal 1963
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alle donne è
consentito rivestire tutte le cariche pubbliche. Nel 1962 le lavoratrici raggiungono la piena
parità dei diritti rispetto ai lavoratori maschili e alla donna italiana vengono riconosciute le
medesime capacità dell’uomo nell’ambito del diritto privato. Tra la fine degli anni sessanta
e l’inizio degli anni settanta, il femminismo riformista rivendica ed ottiene il rinnovamento
del diritto di famiglia, la libertà di aborto, la possibilità di divorziare. Nel 1975, infatti, è
andato in vigore il nuovo diritto di famiglia regolato da un’apposita legge
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, per cui la
posizione della donna giuridicamente e umanamente è diventata più sicura e stabile
nell’ambito della famiglia e nei confronti del marito. Con questa nuova legge la patria
potestà, cioè il diritto – dovere di educare i figli, spetta in misura uguale ad entrambi i
genitori. Si è stabilito, così, il principio della perfetta uguaglianza fra i coniugi, che viene
esteso anche all’amministrazione e al possesso dei beni materiali della famiglia. Un’altra
legge, nel 1977
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, ha sancito l’assoluta parità di trattamento tra uomini e donne in materia
di lavoro, proclamando il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, come è
vietata la disparità di retribuzione, la discriminazione nell’attribuzione delle qualifiche,
delle mansioni e della progressione di carriera. Tale legge riconosce anche il diritto di
assentarsi dal lavoro nonché il trattamento economico per la lavoratrice madre: diritto
riconosciuto anche al padre lavoratore, quando i figli siano affidati solo a lui.
Sebbene si sia raggiunta un’uguaglianza giuridica, la parità di genere rimane ancora lontana
nella vita quotidiana a causa del retaggio della cultura patriarcale che è ancora oggi alla
base della nostra società, la stessa cultura patriarcale che ha favorito il nascere e il
perpetrarsi degli stereotipi di genere e del sessismo presenti e profondamente radicati
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La proposta venne approvata con la legge 9 febbraio 1963 n. 66 che ha sancito l’Ammissione della donna
ai pubblici uffici ed alle libere professioni. La legge era composta di soli due articoli:
“Art. 1. La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la
Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della
carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge. L’arruolamento della donna nelle forze armate e nei corpi
speciali è regolato da leggi particolari.
Art. 2. La legge 17 luglio 1919, n. 1176, il successivo regolamento approvato con regio decreto 4 gennaio
1920, n. 39 ed ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge sono abrogati.”
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Legge 19 maggio 1975, n. 151 ("Riforma del diritto di famiglia").
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Legge 9 dicembre 1977, n. 903 (“Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”)