Giacomo Falcone
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INTRODUZIONE
Questa ricerca si pone l’obiettivo di approfondire la tematica del word-of-
mouth (passaparola) nell’ambito del reclutamento, analizzando il ruolo
mediatore dell’employer brand (immagine dell’azienda come datore di
lavoro) e il ruolo dell’autostima del ricevente il word-of-mouth.
Il word-of-mouth, definito come una comunicazione interpersonale
indipendente dalle attività di marketing dell’azienda tra un ricevente ed
una fonte riguardo un’organizzazione e i suoi prodotti (Bone, 1995), ha
assunto un ruolo rilevante nel campo delle risorse umane.
Infatti, grazie anche ad un mondo sempre più interconnesso, è più facile
per chiunque lo desideri generare, condividere e ricevere word-of-mouth
riguardo aziende o riguardo mansioni specifiche svolte al loro interno.
L’estrema rilevanza del word-of-mouth, non solo nell’ambito del
reclutamento, è attribuibile alla percezione di maggior credibilità di tale
forma di comunicazione interpersonale rispetto a fonti informative
controllate dall’azienda stessa (e.g. pubblicità, sito istituzionale, portale
LinkedIn e job fair).
I potenziali candidati di un’azienda ritengono la fonte di word-of-mouth
più affidabile di altre fonti a causa dell’assenza di alcun interesse nella
promozione dell’organizzazione (Van Hoye & Lievens, 2007b).
Sebbene i potenziali candidati consultino spesso altre persone nelle loro
decisioni lavorative, la letteratura relativa al word-of-mouth come fonte
informativa in ambito di reclutamento appare ancora limitata e con
possibilità di approfondimenti.
Questa ricerca ha l’obiettivo di indagare alcuni aspetti ad ora dibattuti ed
individuare nuovi sentieri di indagine.
In particolare, l’intento di questo lavoro è di analizzare il ruolo del word-
of-mouth positivo e del word-of-mouth negativo sull’attrattività
organizzativa dei potenziali candidati di un’azienda.
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La letteratura ha espresso risultati discordanti a riguardo, mostrando in
alcuni casi un maggiore effetto del passaparola positivo e in altri una
maggiore influenza di quello negativo. Obiettivo della ricerca è di far luce
su questa dicotomia ed esaminare come le differenze tra l’esposizione ad
un word-of-mouth positivo e un word-of-mouth negativo relativi ad
un’azienda fittizia (della quale il potenziale candidato non ha familiarità)
influenzino la percezione di attrattività organizzativa di tale azienda.
E’ inoltre possibile presentare elementi di originalità, analizzando il ruolo
mediatore dell’employer brand, costrutto relativamente recente e
frequentemente menzionato all’interno dei dipartimenti di marketing e
delle risorse umane, ed esaminando il ruolo dell’autostima del ricevente il
word-of-mouth. Tali variabili non sono mai state esaminate in relazione
alla tematica del word-of-mouth.
Per quanto concerne il primo elemento, l’obiettivo è valutare se l’employer
brand, operando in concomitanza con il word-of-mouth (in particolare
quello negativo), possa avere un effetto moderatore sull’attrattività
organizzativa di un’azienda percepita dai potenziali candidati.
In relazione al secondo elemento, si vuole analizzare il ruolo
dell’autostima del ricevente il word-of-mouth sull’attrattività organizzativa
in relazione ai casi di word-of-mouth positivo e word-of-mouth negativo.
Nel dettaglio le tre variabili (word-of-mouth, employer brand e autostima)
saranno esaminate attraverso un disegno fattoriale 2x2x2, in cui ciascuna
variabile assume due livelli differenti: positivo vs. negativo per il word-of-
mouth, forte vs. debole per l’employer brand, alta vs. bassa per
l’autostima.
La ricerca si articola quindi in diverse parti.
Nel capitolo 1 è presentata una review della letteratura in cui sono
approfondite le variabili oggetto di studio, inquadrate nello specifico
contesto di analisi. L’obiettivo è mostrare le relazioni esistenti tra le
variabili e individuare gap nella letteratura.
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Nel capitolo 2, a fronte dell’analisi svolta nel capitolo 1, sono presentate
le ipotesi di ricerca di questo lavoro.
Nella parte successiva è esposta la metodologia di ricerca, attraverso la
definizione delle variabili oggetto di studio, con le relative scale di
misurazione già testate in letteratura.
In secondo luogo sono descritti gli stimoli proposti, relativi alle variabili
word-of-mouth ed employer brand.
Successivamente è descritto il pre-test, svolto al fine di confermare la
validità degli stimoli proposti e la validità delle scale di misurazione.
La parte conclusiva del capitolo è incentrata sulla descrizione del
questionario principale e del questionario di controllo utilizzati per
l’indagine.
Nel capitolo 3 si svolge l’analisi dei dati raccolti attraverso i questionari
mediante il software SPSS.
La parte finale del capitolo è dedicata alla discussione dei risultati, alle
conseguenti implicazioni manageriali, alle limitazioni del lavoro e alle
prospettive future per la ricerca.
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CAPITOLO 1
1.1 Introduzione
Nel presente capitolo sono presentate le variabili oggetto di studio: word-
of-mouth, employer brand ed autostima del ricevente il messaggio di
word-of-mouth.
Le tre variabili sono inizialmente definite all’interno dei loro ambienti
principali di riferimento e successivamente circoscritte nei confini del
reclutamento, il quale rappresenta il campo di analisi del presente lavoro.
In questo modo si cerca (a) di individuare elementi di comunanza e
possibili relazioni tra le variabili considerate e (b) identificare vuoti della
letteratura esistente da colmare.
Nel dettaglio, la tematica del word-of-mouth e le valenze del suo
messaggio (i.e. positiva vs. negativa) vengono esaminate in maniera
separata e sequenziale, prima nell’ambito del marketing, dal quale
traggono origine, e successivamente nell’ambito del reclutamento, come
fonte informativa per potenziali candidati di un’azienda.
In maniera simile, l’employer brand viene introdotto sia nella sfera del
marketing sia in quella delle risorse umane.
Infine, il costrutto dell’autostima è presentato attraverso gli studi di
psicologia e successivamente nell’ambito del reclutamento.
1.2 Word-of-Mouth: definizioni e caratteristiche
Le conversazioni informali sono, senza dubbio, il più antico strumento
attraverso il quale le persone condividono e diffondono opinioni su
prodotti, servizi, brand e organizzazioni.
William H. Whyte in un articolo del 1954 intitolato “The Web of Word of
Mouth” descrisse un interessante fenomeno riguardante i condizionatori da
camera, da poco introdotti nel mercato statunitense. Il ricercatore
americano, attraversando quartieri urbani, osservò una distribuzione dei
condizionatori in cluster di abitazioni piuttosto che in maniera casuale.
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Whyte affermò che il possesso di tali beni di consumo rispecchiasse
pattern di comunicazioni interpersonali all’interno degli stessi quartieri e
vicinati, con persone influenzate nelle loro decisioni di consumo da scambi
interpersonali che occorrevano prevalentemente in maniera informale,
“over the clothesline” e “across backyard fences” (Whyte, 1954).
Tali comunicazioni interpersonali sono definite come Word-of-Mouth, o
passaparola, nello specifico descritto come << an oral, person-to-person
communication between a receiver and a communicator whom the
receiver perceives as non-commercial, concerning a brand, a product, or a
service. >> (Arndt, 1967, p. 293).
Il word-of-mouth è quindi una comunicazione interpersonale, uno scambio
di informazioni e opinioni, indipendente dalle attività di marketing
dell’azienda, riguardo un’organizzazione e i suoi prodotti (Bone, 1995).
Queste prime definizioni identificano tre salienti caratteristiche del word-
of-mouth. In primo luogo, il word-of-mouth è un fenomeno sociale, dal
momento che avviene tra persone, in maniera informale (Bone, 1995). In
secondo luogo, tale manifestazione rappresenta una tipologia particolare
di fonte di informazione relativa ad un’organizzazione, ai suoi prodotti e
servizi (Cohen & Golden, 1972). Infine, il word-of-mouth è una fonte
informativa company-independent, nel senso che l’informazione non è
sotto il diretto controllo dell’azienda (Bone, 1992). Contrariamente a fonti
commerciali, quale la pubblicità, il word-of-mouth è generato, infatti, da
persone che non hanno alcun interesse nella promozione del prodotto
(Wirtz & Chew, 2002).
A fronte di ciò, il word-of-mouth rappresenta una fonte informativa tra le
più credibili e affidabili nel processo decisionale del consumatore (Van
Hoye & Lievens, 2007; Herr, Kardes & Kim, 1991), fino al punto che alle
interazioni tra consumatori (Customer to Customer, C2C) viene attribuito
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un ruolo nodale nei processi di creazione del valore aziendale
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(Gruen,
Osmonbekov & Czaplewski, 2007).
La credibilità percepita di questo canale di comunicazione - tra i più
importanti ed efficaci (Keller, 2007) - è dovuta al fatto che il word-of-
mouth si genera spesso da fonti che il consumatore percepisce come più
credibili ed influenti (i.e. peer reference groups; Brooks, 1957; Richins,
1983) rispetto a fonti di tipo commerciale (Herr et al., 1991).
In aggiunta a quanto detto, il word-of-mouth e i suoi effetti variano
attraverso quattro fondamentali dimensioni (Van Hoye & Lievens, 2009).
In primo luogo, sebbene tipicamente associato a una comunicazione face-
to-face, il word-of mouth può essere trasmesso attraverso molteplici
media, come il telefono o Internet (Dellarocas, 2003), e tale trasmissione
può manifestarsi in diverse forme (e.g. SMS, online mentions, e-mail,
online reviews, tweets, Facebook comments, etc.; Chevalier & Mayzlin,
2006; Berger & Milkman, 2012). In secondo luogo, il word-of-mouth può
sorgere da motivazioni della fonte (e.g. insoddisfazione o soddisfazione),
da quelle del ricevente (e.g. ricerca di consigli) o addirittura manifestarsi
per coincidenza, senza essere stimolato (Mangold, Miller & Brockway,
1999). In terzo luogo, tutti gli attori sociali, fino a quando sono
indipendenti dall’organizzazione, possono fornire word-of-mouth, inclusi
membri della famiglia, amici e conoscenti, fino a completi estranei (Smith
& Vogt, 1995). Infine, il word-of-mouth, poiché non promuove
esplicitamente l’organizzazione o i suoi prodotti e servizi, può avere
valenza positiva o valenza negativa
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, ovvero contenere informazioni
positive o negative (Bone, 1995), o anche un insieme di entrambe
(Charlett, Garland & Marr, 1995).
1
Tre variabili, motivazione, opportunità e abilità (MOA) sono utilizzate dagli autori nel modello
teorico per spiegare come il C2C influenzi le percezioni dei consumatori sul livello di fedeltà
all’impresa e sulla sua offerta totale.
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Tale tema sarà approfondito nel paragrafo 1.3.1.
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1.3 Word-of-Mouth nel Marketing
Fin dagli anni ’60 la letteratura accademica di marketing, in particolare
quella inerente al consumer behavior, ha evidenziato una estesa influenza
del word-of-mouth sugli atteggiamenti ed i comportamenti dei
consumatori. Il passaparola condiziona i prodotti acquistati dai
consumatori (Liu, 2006; Chevalier & Mayzlin, 2006; Manglod et al., 1999)
e ne modella le aspettative (Anderson, 2003), gli atteggiamenti pre-
acquisto (Herr et al., 1991) e le percezioni post-utilizzo (Bone, 1995;
Burzynski & Bayer, 1977). La pervasività dell’influenza del word-of-mouth
si manifesta in vari settori: elezioni politiche (Lazarsfeld, Berelson &
Gaudet, 1944), automobili (Newman & Staelin, 1972), household goods
(Katz & Lazarsfeld, 1955), adozione di nuovi prodotti (Engel, Keggereis &
Blackwell, 1969; Rogers, 2010), tecniche di coltivazione (Katz, 1961),
prescrizioni mediche (Coleman, Katz & Menzel, 1957), film (Liu, 2006) e
ristorazione (Chen & Lurie, 2013).
Tuttavia, nonostante il termine “word-of-mouth” sia entrato nel linguaggio
comune del marketing e non solo, il mondo accademico si divide nelle
definizioni di tale fenomeno (Kimmel & Kitchen, 2014). Alcuni autori,
come Arndt (1967) e Bone (1995), concettualizzano il word-of-mouth
come una attività, un atto di comunicazione; altri, invece, come il risultato
di tale attività
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(Charlett et al., 1995).
Tre filoni di ricerca sono stati evidenziati al fine di fare luce sugli
antecedenti e sulle conseguenze del word-of-mouth (De Bruyn & Lilien,
2008):
1. Il primo filone è incentrato sulla fonte (i.e. mittente) del word-of-
mouth, e analizza le motivazioni che spingono le persone a generare
e diffondere passaparola, sia esso positivo o negativo, riguardo
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“Word of mouth (WOM) is a message about an organisation’s products or services or about the
organisation itself. Usually WOM involves comments about product performance, service quality,
trustworthiness, and modus operandi, passed on from one person to another.” (Charlett et al.,
1995, p. 42).
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prodotti, brand e organizzazioni. Tra i motivi vi sono soddisfazione o
insoddisfazione (Anderson, 1998; Maxham & Netemeyer, 2002;
Ranaweera & Prabhu, 2003), altruismo (Sundaram, Mitra &
Webster, 1998), self-enhancement (Berger, 2014; Packard &
Wooten, 2013), self-confidence (Cox & Bauer, 1964), originalità e
novità del prodotto (Bone, 1992), commitment dei consumatori per
l’azienda (Wangenheim & Bayon, 2004), valore percepito (Matos &
Vargas, 2008), fedeltà (Gounaris & Stathakopoulus, 2004) e fiducia
(Ranaweera & Prabhu, 2003).
2. Il secondo filone di ricerca si concentra sui comportamenti di ricerca
di informazioni dei riceventi il word-of-mouth, analizzando le
circostanze (fattori non-interpersonali) per le quali le persone si
affidano maggiormente al passaparola piuttosto che a fonti formali e
istituzionali. Autori hanno riconosciuto che questo tipo di
comportamento avviene quando i consumatori hanno poca
conoscenza della categoria di prodotto (Gilly, Graham, Wolfinbarger
& Yale, 1998) e quando un elevato rischio percepito è presente nel
processo decisionale di acquisto (Kiel & Layton, 1981). In egual
maniera, l’intangibilità associata ai servizi (Zeithaml, 1981) e fattori
situazionali, come l’impossibilità di reperire informazioni relative al
prodotto e l’assenza di tempo disponibile per la ricerca di
informazioni (Lau & Ng, 2001), hanno lo stesso risultato.
3. Il terzo filone di ricerca approfondisce i fattori interpersonali per cui
il word-of-mouth esercita un’influenza maggiore sul comportamento
del ricevente il word-of-mouth rispetto ad altre fonti informative. E’
stato accertato che elementi come la similarità demografica (Brown
& Reingen, 1987), la forza del legame tra mittente e ricevente il
word-of-mouth (Brown & Reingen, 1987; Bansal & Voyer, 2000),
l’esperienza del mittente percepita dal ricevente (Gilly et al., 1998)