14
1.4. Il “Non-luogo”: la definizione di Augé
“La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove
dunque l'estraneo siete voi”.
(Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila)
Tutto ciò che è stato detto finora sui luoghi, in epoca moderna va necessariamente
affiancato a ciò che possiamo dire sui Non-Luoghi, intesi non come luoghi che non
esistono ma come tutti quegli spazi che non sono né identitari, né storici né relazionali.
In sostanza sono i luoghi non antropologici. È quindi ancora una volta l'antropologo
francese Marc Augé a definirli, nel suo libro del 1992 "Non-lieux: Introduction à une
anthropologie de la surmodernité". Il perché questa definizione sia affiorata solo in
epoche recenti è dettato dal fatto che i non luoghi sono effettivamente di formazione
molto recente. Augé infatti attribuisce il loro sviluppo ad un’epoca che lui chiama di
surmodernité. In italiano potremmo parlare di postmodernismo, riferendoci al periodo
dalla fine del ventesimo secolo in cui si è superata la fase postindustriale e si è entrati in
una sempre più invasiva diffusione della globalizzazione nella vita degli individui.
In particolare Augé sostiene che i non-luoghi sono il frutto della differenziazione dei
simboli per effetto di tre forme di eccesso
10
:
eccesso di tempo, dovuto ad una sovrabbondanza di avvenimenti del
mondo contemporaneo;
eccesso di spazio, dovuto alla trasformazione accelerata del mondo
contemporaneo che porta da un lato al restringimento del pianeta rispetto
alla conquista dello spazio e, dall'altro, alla sua apertura grazie allo
sviluppo dei mezzi di trasporto rapido;
eccesso di ego, dovuto al desiderio di individualità e auto-affermazione
dell'uomo del nostro tempo.
10
Cfr. M.Augé, op.cit., pp. 33-37
15
Tradotto in termini più semplici, ciò vuol dire che oggi c'è troppo poco o troppo
tempo, troppo poco o troppo spazio e troppa voglia dell'uomo di essere al centro
dell'attenzione e di ritenersi l'unico vero interpretante dei segni. Il prodotto
dell'interazione tra questi tre elementi sta alla base della nascita dei non luoghi, i quali
necessariamente si collegano a tutto ciò che non è statico e tradizionale, ma è dinamico e
in continuo mutamento. I non-luoghi per eccellenza sono quindi "tanto le installazioni
necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni, quanto i mezzi di trasporto
stessi o i grandi centri commerciali o ancora i campi profughi dove sono parcheggiati i rifugiati
del pianeta"
11
. Aeroporti, stazioni e quindi treni, aerei e grandi centri polifunzionali
rientrano a pieno nella categoria in quanto rappresentanti di un flusso di vita continuo,
che viene e va, senza mai fermarsi, senza un attimo di respiro; sono i luoghi di
un'umanità che non ha più nulla di statico e tradizionale ma è sempre in continuo
mutamento. Tali strutture sono concepite per un utente generico, spersonalizzato, non
per un individuo specifico riconoscibile come diverso dagli altri. Nei non-luoghi
diventiamo tutti uguali nella nostra fretta, nel caos, nell'indifferenza degli uni verso gli
altri, siamo migliaia di occhi che si incrociano senza dirsi nulla, sguardi muti e sordi.
Corriamo pieni di impegni, con le nostre valigie in mano o con le buste dello shopping,
esibiamo carte d'identità e rispondiamo a quesiti anagrafici. Guardiamo gli altri che
camminano e a loro volta ci osservano. È come se fossimo in continuo transito, in
viaggio non si sa per dove e per cosa, pieni di impegni che vogliamo a tutti i costi
ritenere indispensabili. I luoghi che attraversiamo sono tra loro diversi eppure così simili
nel voler ostentare il progresso tecnologico che tanto ci rende fieri, le insegne
scintillanti, i richiami visivi e sonori, le indicazioni. Sono il frutto di una compressione
di tempo e spazio che ha modificato il volto delle nostre città asservendole alle esigenze
umane, il risultato della combinazione di massificazione e globalizzazione, due
fenomeni che vanno di pari passo nella nostra epoca. L'eccesso di mobilità, sia fisica che
virtuale, annulla lo spazio, la capacità di dargli significati, il diritto di renderlo
significante per sé stessi, di dargli quelle caratteristiche di storia e identità che Augé
11
M. Augé, op.cit., p. 36
16
aveva teorizzato. È il nostro modello di società che sta distruggendo la definizione
comune di luogo.
A proposito dei luoghi, in precedenza, si è insistito sul fatto che essi hanno un
rapporto bilaterale con la civiltà che li vive. Lo stesso vale naturalmente per i non-
luoghi. Ci sono dei soggetti per i quali l'appartenenza a un non-luogo è particolarmente
calzante e questi sono i rifugiati: essi tagliano i ponti con il luogo di provenienza, a volte
per sempre, e si imbarcano senza identità verso qualcosa che non raggiungeranno mai.
Sono in duplice negazione. Questo è qualcosa che naturalmente ad oggi risulta quanto
mai evidente giacché viviamo nell'epoca storica che più di tutte è caratterizzata da una
continua e incessante mobilità di persone. Nel caso dei rifugiati si tratta di una mobilità
diversa da quella consumistica cui tutti siamo soggetti; è una mobilità di sopravvivenza,
di ricerca di luoghi che possano rappresentare il simbolo di una nuova vita. Il problema è
che nella ricerca di questi nuovi luoghi si perde contatto anche con quelli vecchi e si
entra in un limbo esistenziale dal quale è lecito ricavare solo frustrazione e alienazione.
Questa è la deformazione psicologica dei non-luoghi.
Tuttavia la definizione di luogo e non-luogo e la distinzione tra essi non è così netta
come potrebbe sembrare. Lo stesso Augé sostiene che si tratta di due polarità sfuggenti
poiché “il luogo non è mai completamente cancellato e il non-luogo non si compie mai
totalmente”
12
. Sappiamo bene che spesso ogni cosa contiene in sé il suo contrario. I
detrattori del concetto di non-luogo sostengono, sintetizzando, che la definizione è del
tutto arbitraria e non scientifica e non esistono di fatto i non-luoghi; Augé è il primo ad
affermare che nessuno spazio è in assoluto un non-luogo, il confine tra luogo e non-
luogo è labile e molto spesso le due tipologie di spazio si sovrappongono. Ad esempio
per le persone che lavorano quotidianamente – con amicizie, relazioni e abitudini – in un
aeroporto, questo non è un non-luogo, similmente un ipermercato può servire come
luogo d’incontro e aggregazione per i giovani delle periferie urbane. Un treno che
viaggia per migliaia di km può diventare lo spazio di socializzazione e creazione di
amicizie per chi ne usufruisce ogni giorno. “Nella realtà concreta del mondo di oggi",
12
M. Augé, op.cit., p.74
17
afferma lo studioso francese
13
, "i luoghi e gli spazi, i luoghi e i non-luoghi, si incastrano, si
compenetrano reciprocamente. La possibilità del non-luogo non è mai assente da un qualsiasi
luogo; il ritorno al luogo è il rimedio cui ricorre il frequentatore di non-luoghi”.
Michael Foucault, inserendosi nella discussione, introduce il termine eteroropia
intendendo “uno spazio reale che si inserisce negli spazi reali ufficiali"
14
ma se ne
differenzia perché il suo senso sociale, i suoi simboli e significati non corrispondono a
quelli del contesto spaziale di appartenenza. Si tratta di spazi presenti in tutte le culture e
gruppi umani che mutano caratteristiche al mutare delle relazioni con la cultura che li ha
generati. Hanno due connotati principali: favoriscono visioni "altre" del mondo e al
contempo sono ordinati, meticolosi e organizzati
15
. L'idea venne discussa da Foucault
nel 1966 in occasione di due conferenze radiofoniche, ora pubblicate nei Rasoi di
Cronopio col titolo “Utopie eterotopie” (2006). In esse, Foucault contrapponeva il
concetto di spazio eterotopico a quello di spazio utopico e per spiegarne le differenze
usava come esempio lo specchio: esso "rappresenta ambedue in una sorta di esperienza
combinata. C'è uno spazio senza luogo, virtuale, irreale in cui vedo me stesso dove non mi trovo,
dove sono assente (utopia) e uno spazio reale ma contrapposto in cui scopro la mia assenza dal
punto in cui mi trovo, poiché mi vedo là"
16
. In sostanza le eterotopie sono "altri spazi, che
non vediamo perché sono opachi, si mostrano difficilmente, non sono trasparenti"
17
. Sono a
tutti gli effetti degli spazi reali, esistenti e al pari dei non-luoghi generano in noi dubbi e
alienazioni. Ecco perché la discussione sul tema luogo/non-luogo non può rimanere
confinata alla geografia culturale, ma deve necessariamente investire anche il campo
della psicologia e, in particolare, quello relativo alla fenomenologia della solitudine dei
nostri tempi. Tale solitudine è la deformazione paradossale di una società, quella che
potremmo chiamare "postmoderna", in cui sembra che sia stato creato di tutto proprio
13
M.Augé, op.cit. , p.97
14
A.Vallega, op.cit., p.207
15
Cfr. A.Vallega, ibidem
16
A.Vallega, op.cit. , pp.207-208
17
A.Vallega, ibidem
18
per combatterla: luoghi fisici e virtuali che comprimono tempi e spazi, che ci permettono
di essere dove vogliamo quando vogliamo, e di comunicare con chi non avremmo mai
immaginato di farlo. In tempo reale posso sapere che una ragazza a Milano è in
discoteca con le amiche, o che un'altra è in Madagascar in vacanza o che un ragazzo si
sta allenando in una palestra di New York. L'ostentazione della bella vita e del
divertimento nascondono forse vite piatte e prive di relazioni sociali autentiche come
erano un tempo. A questo punto viene lecito chiedersi se la globalizzazione sia stata o no
una buona cosa.
1.5. Gli iperluoghi
Al di là dei non-luoghi, esiste possibilmente un'altra categoria di luoghi ed è quella
dei cosiddetti iperluoghi. Essi, a differenza degli altri, non appartengono alla realtà
oggettiva ma ci conducono a formulare nostre visioni diverse da quelle imposte dai
meccanismi di rappresentazione della modernità. Essi non instaurano un rapporto
univoco col significato, anzi ad uno stesso simbolo il soggetto può far corrispondere
plurimi significati costruiti in rapporto a creatività e immaginazione. Si tratta quindi di
spazi dalla simbologia plurivoca, non reali e tipici dell'epoca postmoderna, in cui tempi e
spazi si comprimono. Harvey sostiene che gli iperluoghi sono caratterizzati da un
collage di simboli che crea "un effetto simultaneo sovrapponendo effetti diversi in diversi
tempi e spazi"
18
. La realtà che offrono è volatile poiché produce esperienze che durano
l'espace d'un matin e muoiono in sé stesse. Per riprendere un concetto di Lucrezio nel
De Rerum Natura, possiamo definirli anche come mondi di simulacra
19
, intendendo con
questo termine dei veli che, riproducendo le immagini delle cose, determinano
18
A. Vallega, op.cit., p.213
19
Cfr. A.Vallega,op.cit., p.214