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Introduzione
Negli anni Novanta, la comunità internazionale è stata interessata da una serie di
riforme riguardanti le modalità tramite cui affrontare determinati tipi di illeciti, quali il
crimine organizzato, il terrorismo internazionale, il Narcotraffico e la pedopornografia.
Con l’introduzione delle cosiddette Special Investigative Techniques si è ottenuta una
svolta nel modo di svolgere le indagini, garantendo agli organi operativi di intervenire
in modo più efficiente nelle attività criminose e di contrastare quei mali che nel corso
degli ultimi decenni sono cresciuti in modo esponenziale. Vengono ricondotte a questa
categoria la consegna controllata, la sorveglianza elettronica e le operazioni sotto
copertura.
Queste ultime costituiscono l’oggetto del presente lavoro, nella particolare figura
dell’agente sotto copertura, che nel corso degli anni si è guadagnato un posto di rilievo
per quanto concerne la lotta alla criminalità, passando da un momento storico in cui la
sua attività non era disciplinata in modo coerente, all’attuale formalizzazione
nell’ordinamento italiano del suo ruolo in modo chiaro e compatto. All’interno della
stessa categoria concettuale, inoltre, possono essere individuati più tipi di agenti
undercover, a partire dal provocatore, il quale istiga o induce un altro soggetto a
commettere un’attività illecita, il fictus emptor o acquirente simulato, la cosiddetta finta
vittima nei reati-contratto e di relazione, e l’infiltrato, colui che penetra nelle strutture
criminose al fine di distruggerla dall’interno.
Nel primo capitolo verrà analizzato lo sviluppo dell’agente sotto copertura, indicando
quali siano le differenze tra le varie tipologie indicate poc’anzi e in che modo la sua
figura ha subito dei cambiamenti nel corso del tempo. Infatti, è solo con l’introduzione
del Codice Rocco nel 1930 che, per la prima volta, l’agente comincia ad essere visto
come una figura autonoma e la Corte di Cassazione pronuncia le prime sentenze a
riguardo, in cui pone l’accento sulle differenze tra l’agente provocatore e l’agente
infiltrato. In seguito si evidenzia come, in realtà, l’agente sotto copertura non sia altro
che una categoria concettuale che ricomprende sia il provocatore, ossia il primo
investigatore di questo tipo ad essere utilizzato dalle forze dell’ordine, che l’infiltrato,
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sviluppatosi successivamente. Qualche cenno viene fatto anche agli agenti sotto
copertura privati, che non appartengono alle forze dell’ordine, ma sono dei comuni
cittadini.
Allo stesso tempo, nel primo capitolo vengono indicate le prime basi normative che
disciplinano le operazioni sotto copertura, ossia la causa di giustificazione ex Articolo
51 del Codice Penale italiano, per anni l’unica tutela che gli agenti hanno avuto, per cui
le attività realizzate dagli stessi erano garantite esclusivamente dall’esimente
dell’esercizio di un diritto o dall’adempimento di un dovere. Dal punto di vista
processuale, ci si focalizza sulla regolarità della testimonianza dell’ufficiale, in
riferimento all’articolo 62 del Codice di Procedura Penale, sulla speciale testimonianza
anonima, introdotta dalla Legge 136/2010, sulla validità delle prove acquisite sotto
copertura e sulle comunicazioni obbligatorie che vanno fatte al Pubblico Ministero.
L’ultima parte è dedicata, infine, alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo sugli agenti undercover, la quale ha usato il principio dell’”equo processo”,
contenuto nell’articolo 6 della Convenzione, come strumento di compatibilità con i
principi della Corte di sentenze di condanna che abbiano come proprio fondamento un
attività investigativa sotto copertura.
Il capitolo due tratta esclusivamente dell’attività sotto copertura all’interno del territorio
italiano, ponendo l’attenzione sulla disciplina generale e sulle speciali tecniche
utilizzate per combattere il traffico di sostante stupefacenti, la pedopornografia e il
terrorismo internazionale. La norma che disciplina in modo organico e generale le
attività sotto copertura in Italia è l’articolo 9 della Legge 146/2006, elaborato in
attuazione della Convenzione ONU di Palermo contro il Crimine Organizzato
Transazionale del 2000.
Il primo intervento normativo vero e proprio da parte del legislatore è del 1990, con il
D.P.R. 309/90, che si occupa di disciplinare il traffico di stupefacenti e con gli Articoli
97 e 98 illustra in modo esaustivo i compiti degli agenti undercover nel contrasto al
Narcotraffico. Per le operazioni sotto copertura per i delitti di pedopornografia e turismo
sessuale, il legislatore è intervenuto con l’articolo 14, comma 4, della L. 269/98, mentre
per il terrorismo c’è stato prima un tentativo nel 2001, subito dopo l’attentato dell’11
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settembre che ha sconvolto la società, con l’articolo 4 della Legge 374/2001.
Quest’ultimo è stato in seguito abrogato dalla 146/2006, che ha compiuto una reductio
ad unum, raccogliendo in un’unica disposizione normativa tutti i principi fondamentali
delle norme speciali emanate precedentemente. Varie sentenze della Corte di
Cassazione sono citate al fine di rendere più chiaro il discorso dal punto di vista
giurisprudenziale e casistico.
E parlando proprio di ciò, il terzo capitolo si dedica al diritto giurisprudenziale per
eccellenza, quelle americano, trattando dell’impiego dell’agente sotto copertura negli
Stati Uniti. Si analizzerà l’istituto dell’entrapment a livello generale, partendo dai casi
più famosi che hanno dato inizio all’evoluzione di questa pratica, per poi focalizzarsi sui
vari ambiti di applicazione: il narcotraffico, la pedopornografia, il terrorismo
internazionale e la corruzione nelle amministrazioni pubbliche. La Corte Suprema degli
Stati Uniti diventa la protagonista di questa parte del lavoro, poiché, con le sue famose
sentenze, ha contribuito a definire i principi e i limiti dell’attività sotto copertura degli
agenti americani, la cui azione, attualmente, è garantita per la maggior parte dal
Federeal Bureau of Investigation, che ha redatto una serie di Linee Guida da seguire
durante le operazioni sotto copertura.
Il capitolo quattro, infine, è incentrato sul problema della Corruzione della Pubblica
Amministrazione in Italia e sull’ipotesi dell’utilizzo di agenti infiltrati per smascherare
eventuali funzionari corrotti. Nel paragrafo dedicato agli Stati Uniti, una parte è
riservata proprio alla spiegazione dei cosiddetti “test di integrità” nei confronti dei
pubblici ufficiali, i quali vengono tratti in inganno da un agente provocatore che offre
loro una tangente, in modo da determinare la loro credibilità. In Italia non esiste una
disciplina legislativa riguardo l’uso degli agenti sotto copertura in quest’ambito ed in
questo capitolo si tenta, appunto, di ricostruire la normativa anticorruttiva, partendo
dalle origini del problema della Corruzione in Italia, da Tangentopoli nel 1992 fino ad
episodi più recenti.
Vengono messe a confronto le due Leggi Anticorruzione elaborate negli ultimi anni, la
190/2012 e la 69/2015, sottolineando quali siano le innovazioni e i cambiamenti in
entrambe, e rivolgendo l’attenzione ai tentativi da parte di vari giornalisti, magistrati,
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studiosi, ma soprattutto parlamentari, di formulare delle proposte di legge che
prevedano l’introduzione degli agenti sotto copertura.
Questo lavoro può essere visto come un lungo percorso che parte dal semplice spiegare
cosa sia un agente sotto copertura, passando per la descrizione della loro disciplina in
Italia e negli Stati Uniti, per poi concludersi con il racconto della piaga sociale della
corruzione nella nostra Nazione e come potrebbe essere risolto con l’utilizzo degli
agenti infiltrati. L’obiettivo che si è cercato di raggiungere è quello di comprendere
perché in Italia ancora non si vuole provare a combattere la corruzione tramite gli
agenti, per quale ragione si teme il loro contributo, per quale motivo tutte le proposte
legislative sono state stralciate, rigettate, eliminate. Nonostante gli interventi autorevoli
di personaggi illustri del panorama italiano, come il Presidente dell’Autorità Nazionale
Anticorruzione o membri del Consiglio Superiore della Magistratura, la situazione
sembra non variare, e si cercherà di spiegarne il motivo.
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Capitolo Uno: Dall’agente provocatore all’agente infiltrato: evoluzione
storica ed utilizzo nelle investigazioni sotto copertura
1.1 Le varie tipologie di agente undercover
Quella dell’agente sotto copertura è una figura piuttosto dibattuta nella giurisprudenza
italiana e internazionale, dal momento che costituisce l’elemento centrale di una delle
Special Investigative Techniques individuate dalla Convenzione delle Nazioni Unite
contro il Crimine Organizzato Transnazionale, insieme alla consegna controllata e alla
sorveglianza elettronica, considerati mezzi idonei a combattere effettivamente il
Crimine Organizzato.
1
Le cosiddette SIT consistono in una serie di indagini non
convenzionali previste e regolamentante dal legislatore prima a livello transnazionale e
poi nazionale, al fine di reprimere illeciti di vario genere (crimine organizzato,
riciclaggio, terrorismo, narcotraffico, pornografia), ma soprattutto di infiltrarsi nelle
moderne associazioni criminali nel tentativo di annientarle.
Le indagini sotto copertura possono essere quindi definite come quel complesso di
attività investigative in cui una persona, senza rivelare la sua identità, penetra in
organizzazioni criminali al fine di smascherarne la struttura, identificare i partecipanti e
le risorse essenziali.
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Gli agenti sotto copertura sono sempre esistiti, è altamente probabile che venissero
utilizzati anche durante l’Impero Romano al fine di cogliere sul fatto eventuali rei e
assicurarli alla giustizia. Esistono testimonianze sul fatto che venissero impiegati
durante il regno di Luigi XIV nella la Francia Assolutista e nel corso del tempo questa
figura si è sviluppata al punto tale da ottenere una propria definizione normativa
piuttosto rilevante, sia a livello internazionale che all’interno dei confini nazionali dei
vari Stati.
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1
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale è un trattato
multilaterale promosso dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, adottato a Palermo nel 2000. La
Convenzione è stata ratificata da 175 Stati e in Italia è stata recepita tramite la Legge 46/2006, v. infra.
2
B. Romano, Le associazioni di stampo mafioso, CEDAM, 2012.
3
G. Barrocu, Le indagini sotto copertura, Jovene Editore, 2011.
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La caratteristica delle investigazioni sotto copertura è da sempre quella della
eccezionalità dei casi nei quali è permesso ricorrervi, e ciò risulta evidente anche dal
fatto che le norme riguardanti questo determinato tipo di indagini sono contenute in
disposizioni extracodicistiche emanate per far fronte a reati particolarmente gravi. In
virtù di ciò, possono essere individuate più tipologie di incaricati operativi all’interno
dello stesso ambito, a partire dall’agente provocatore, per parecchio tempo l’unico
mezzo che potesse, secondo la dottrina e la giurisprudenza, risolvere casi di particolare
gravità.
Nata in Francia, la figura dell’agente Provocatore ben presto prende piede in Russia,
fino ad emergere nel suolo tedesco ed italiano, dalla metà del XIX secolo. La letteratura
tedesca dà un’impronta importante per la definizione dello stesso, tanto da influenzare
la dottrina italiana interessatasi per la prima volta a questo genere di investigazioni.
4
Il
punto cruciale era costituito dalla concezione che l’agente compartecipasse moralmente
alla commissione del reato, non con una finalità di profitto che di norma è conseguenza
tipica dello stesso, ma con il desiderio di assicurare il criminale alla giustizia. Il
concorso morale si ha infatti nel momento in cui il contributo del compartecipe si rivela
sotto forma di impulso psicologico ad un reato materialmente commesso da altri.
L’agente provocatore era quindi visto come un istigatore e il delitto veniva considerato
un mezzo per ottenere la punizione del provocato.
Tuttavia, nonostante fossero evidenti quali ragioni spingessero l’agente provocatore ad
esercitare una condotta istigatrice nei confronti del reo, il nesso causale tra questa e il
fatto tipico di reato era evidente al punto tale che gran parte della dottrina riteneva
l’agente punibile a sua volta in qualità di compartecipe morale nell’esecuzione, poiché
entrambi mossi dalla stessa intenzione delittuosa, ossia la realizzazione dell’illecito.
Un’altra parte della dottrina, invece, focalizzava l’attenzione sull’obiettivo moralmente
apprezzabile dell’agente provocatore, cioè la tutela dell’ordine pubblico e della
comunità, perciò non poteva essere considerato punibile per l’assenza di dolo nella sua
azione.
4
C. De Maglie, L’agente provocatore: un’indagine dommatica e politico-criminale, Giuffrè Editore,
1991.