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INTRODUZIONE
Questa tesi ha per oggetto la descrizione, la contestualizzazione e l’utilizzo odierno
del concetto della persuasione. Prendendo inizialmente come riferimento il settore del
marketing e della pubblicità, in particolare il più recente neuromarketing, per finire con
le caratteristiche di una adeguata comunicazione persuasiva, analizzeremo come la
persuasione sia un meccanismo inconscio, emozionale ed altamente efficacie se
manipolato adeguatamente. La tesi si compone di cinque capitoli:
- Nel primo capitolo presenterò un esempio pratico di quanto la persuasione riesca
a far pendere l’ago della bilancia verso chi la metta in pratica senza che il
l’individuo riesca a rendersene conto e fornirò una definizione del concetto.
- Nel secondo capitolo prenderemo in analisi un excursus sui messaggi subliminali
al fine di circoscrivere il più possibile il termine, in quanto, nell’imaginario
collettivo, essi sono il primo elemento al quale un individuo pensa quando si
interfaccia con il concetto di persuasione.
- Nel terzo capitolo presenterò due studi di neuroimaging:
a) il primo condotto su soggetti fumatori per constatare la reale efficacia delle
etichette dissuasive e quanto non sia necessario rendere esplicito il logo per
rimandare al prodotto che si vuole reclamizzare; questo esperimento ci
permette di affermare quanto il comportamento consumistico delle persone
non sia razionale ma segua dettami subconsci ed emozionali.
b) il secondo riguardante un esperimento che ha per protagoniste due note
bibite soft drink. L’esito è la constatazione di quanto non sia vero che il
prodotto migliore dal punto di vista del valore d’uso, sia il più venduto.
Contrariamente, è il prodotto pubblicizzato nella maniera più impeccabile,
capace di richiamare forti associazioni emozionali ed automatiche, a
riscuotere maggiore successo.
- Nel quarto capitolo analizzeremo nel dettaglio ogni fattore necessario a far sì che
la reclamizzazione di un prodotto sia il più persuasiva possibile. Vedremo esempi
tangibili di come questi fattori vengano ampiamenti utilizzati quotidianamente e
cercherò di collimare l’efficacia dei suddetti attraverso numerosi studi attuati in
ricerche di neuromarketing, allo scopo di fornire una esaustiva spiegazione sulla
irrazionalità del comportamento consumistico, che smentisce la convinzione di
ogni persona sulla razionalità delle proprie scelte.
- Nel quinto ed ultimo capitolo, esamineremo l’efficacia della comunicazione
persuasiva richiamando all’attenzione i fattori che la contraddistinguono
evidenziati dallo psicologo Robert B. Cialdini nel corso del suo lavoro.
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Capitolo primo
LA PERSUASIONE
Siamo tutti consumatori. Facciamo shopping nei negozi e nei supermercati ricercando
vestiti, prodotti per la bellezza e per la cura del corpo, profumi, scarpe, accessori,
alimenti, bibite, computer, smartphone, libri, elettrodomestici, prodotti di arredo e la
lista potrebbe continuare potenzialmente all’infinito. Ricerchiamo i prodotti che
meglio si confanno alle nostre esigenze e riteniamo (e giustifichiamo) che le nostre
scelte siano sempre dettate dalla nostra razionalità, dalla nostra capacità critica e di
giudizio e dalla nostra esperienza, che ci guidano in quel mare magnum di brands e
alternative così simili tra loro, in cui solo la nostra attenta valutazione può fare la
differenza. Ma questo non è sempre vero.
Immaginiamo questa situazione: ci due negozi, l’uno di fronte l’altro, perfettamente
identici che vendono gli stessi prodotti (vestiti per esempio) esposti nella medesima
maniera, hanno entrambi gli stessi colori accattivanti e hanno gli stessi prezzi.
Entriamo nel primo, non veniamo salutati all’ingresso dal commesso, osserviamo la
merce esposta e prendiamo in mano un capo d’abbigliamento. Il commesso si avvicina
dicendo “se posso esserle d’aiuto sono qui”. Noi ringraziamo e dopo poco usciamo
dal negozio. Sono sicuro che questo scenario sia parte della vita quotidiana di tutti noi.
Entriamo nel secondo, riceviamo subito un caloroso saluto da parte del commesso che
con un largo sorriso ci accoglie e ci dà il benvenuto, noi ricambiamo il saluto per
educazione e anche in questo caso osserviamo la merce. Soffermando la nostra
attenzione su un particolare capo d’abbigliamento, il commesso si avvicina e ci dice
“sono certo che quel pantalone le starebbe benissimo indosso, se ha 60 secondi vorrei
che se lo provasse, solo per oggi la prova dei vestiti è gratuita”. Noi ridiamo per la
battuta di spirito, 60 secondi in fondo non sono niente e proviamo il capo e molto
probabilmente alla fine lo compriamo, insieme a chissà quanti altri prodotti il
commesso sarà riuscito a proporci in modo accattivante.
I negozi sono identici e vendono gli stessi prodotti ma dal primo siamo usciti dopo un
breve lasso di tempo, mentre dal secondo siamo usciti con delle buste in mano. Siamo
convinti che questo acquisto fosse proprio quello che cercavamo, quello di cui
avevamo bisogno. Oppure, semplicemente, seguendo il nostro istinto, abbiamo
acquistato perché quel vestito valorizzava il nostro corpo e siamo sicuri di poterlo
sfoggiare in qualche occasione speciale facendo bella figura. Il punto è che la capacità
persuasiva di un terzo ci ha convinti di tutto questo: ci ha messo a nostro agio, ci ha
fatto sentire importanti, ci ha convinti di quanto quel vestito ci avrebbe fatto apparire
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meglio. Ci ha quindi persuaso nel fare un qualcosa che pochi minuti prima, nel primo
negozio, non abbiamo fatto.
Robert B. Cialdini, noto psicologo statunitense e professore di marketing all’Arizona
State University, nel suo libro “Le armi della persuasione - come e perché si finisce
con il dire di sì” descrive un altro aneddoto molto interessante su come determinati
elementi nel marketing possono fare la differenza. Racconta di una donna che in
Arizona aveva aperto un negozio di bigiotteria indiana e nonostante la stagione
turistica fosse al culmine non riusciva a vendere un certo lotto di turchesi, anche
ricorrendo a tutti gli espedienti del caso come posizionarli in vetrina o in bella vista
all’ingresso del negozio. Rassegnata lasciò un biglietto alla direttrice del negozio
dicendo che l’indomani avrebbe dovuto mettere i turchesi a metà prezzo. Avendo
interpretato in maniera errata il biglietto, la direttrice intese che avrebbe dovuto
aumentare il prezzo dei turchesi del doppio rispetto a quello originale. Si può
immaginare cosa accadde. Il lotto terminò la sera stessa. Questo perché i consumatori,
per la maggior parte turisti che non si intendevano molto di bigiotteria indiana e
turchesi, hanno messo in atto uno schema fisso di azione automatico, uno stereotipo,
che fa parte di ognuno di noi: costoso = buono. E così, ricercando giustamente articoli
“buoni” sono finiti per comprare turchesi al doppio del prezzo del listino originale.
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Prima di proseguire è necessario definire il concetto di persuasione. “Persuadere
significa influenzare la mente dell’interlocutore con argomenti, ragioni, suggerimenti,
per far sì che cambi l’atteggiamento nei confronti di un oggetto, di una persona, di
un’idea politica o filosofico-religiosa, etc. Talora, nel linguaggio corrente, adoperiamo
il termine convincere come se fosse un sinonimo di persuadere. In effetti, convincere
vuol dire superare degli ostacoli logici e razionali, con dei mezzi che hanno la
parvenza della logica e della razionalità, per vincere le resistenze ed i dubbi con la
forza logica delle argomentazioni. Persuadere, al contrario, fa appello a meccanismi
anche emotivi e passionali, si serve delle stesse arti che vediamo all’opera nella
seduzione.”
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Al giorno d’oggi aziende, direttori di marketing e agenzie pubblicitarie utilizzano tutta
una serie di trucchi e strategie psicologiche escogitate per far leva sulle nostre paure
più profonde, sui nostri sogni e desideri: il tutto allo scopo di persuadere il
consumatore a comprare i loro brand e prodotti.
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Robert B. Cialdini (1984), Le armi della persuasione, come e perché si finisce con il dire di sì, Giunti. - Cap 1
2
Antonio Godino (2009), L’arte della persuasione: seduzioni del pensiero, Psychofenia - pag 97
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Capitolo secondo
PERSUASORI OCCULTI E MESSAGGI SUBLIMINALI
“In una società e in un sistema economico fondati sul consumo è necessario accelerare
la sostituzione di alcuni prodotti al di là del loro effettivo deterioramento, e indurre
l’acquisto di altri a prescindere dalla loro utilità dichiarata.”
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Questa citazione è tratta dal libro di Vance Packard, sociologo e giornalista americano,
“I persuasori occulti”. Libro pubblicato nel 1957 con l’obiettivo prefissato di svelare e
denunciare i metodi di manipolazione psicologica che il marketing stava portando
nella pubblicità: un insieme di strategie pubblicitarie che non si basano sulle
caratteristiche dei prodotti promossi ma sui bisogni, le motivazioni profonde e le
vulnerabilità emotive e inconsce dei potenziali clienti. Sicuramente si potrebbero
ricollegare queste parole ad un argomento tabù entrato ormai nel nostro immaginario
collettivo e al quale alleghiamo direttamente le strategie subdole del marketing: i
messaggi subliminali. Non a caso, nello stesso anno, 1957, James Vicary, un ricercatore
di mercato, durante la proiezione cinematografica di un lavoro teatrale intitolato
Picnic di William Inge, sistemò nello stanzino di proiezione un proiettore meccanico
di diapositive e proiettò sullo schermo le parole “Drink Coca cola” e “Eat Popcorn”
per la durata di 1/3000-esimo di secondo ogni 5 secondi per tutta la proiezione del
film, dando così vita per la prima volta alla ormai famosa “pubblicità subliminale”.
Quel giorno, stando alle parole di James Vicary, il cinema registrò un aumento del
18,1% delle vendite di Coca Cola e un aumento ben del 57,8% nelle vendite di Popcorn,
il tutto grazie alla forza di quei messaggi nascosti.
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In quegli anni la popolazione
Americana era molto suscettibile: immersi nel clima di paranoia dovuto alla Guerra
Fredda, molti avevano paura che tale tecniche potessero essere utilizzate per
supportare la propaganda politica comunista col fine di avvicinare più persone a quel
pensiero politico, oppure che venissero utilizzate da vari culti (religiosi e non) per
condizionare il cervello ignaro dello spettatore. Per questi motivi nel 1958 la National
Association of Broadcaster americana mise al bando la pubblicità subliminale. Tutto
questo ci sembra sconcertante ma è bene sapere che nel 1962 il dottor Henry Link
confutò completamente l’esperimento di Vicary, il quale successivamente confessò di
aver inventato tutto per salvaguardare la sua attività di consulente pubblicitario. Poco
tempo dopo, l’American Psychological Association (APA) dichiarò che la pubblicità
subliminale era “confusa, ambigua e non efficace quanto la pubblicità tradizionale”
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3
Vance Packard (1957), I persuasori occulti, Einaudi
4
Martin Lindstrom (2009), Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti di acquisto, Maggioli - pag 72
5
http://www.straightdope.com/columns/read/177/does-subliminal-advertising-work