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Introduzione
L’evoluzione del contesto economico mondiale ha portato le imprese a rivedere i propri interessi. La
globalizzazione ha proposto nuove sfide a cui le imprese hanno dovuto far fronte per mantenersi attive
sul lato competitivo.
In modo particolare si è verificata una crescente sensibilizzazione alle tematiche socio-ambientali che
coinvolgono sempre più l’opinione pubblica. Di fronte ai cambiamenti climatici, all’esaurimento
delle risorse naturali, alla crescente disoccupazione bisogna trovare modi alternativi per migliorare il
nostro stile di vita, ponendo il concetto di sostenibilità al centro dell’attenzione.
Lo sviluppo sostenibile deve essere una priorità per la società odierna mentre la responsabilità sociale
d’impresa è priorità per l’imprenditore.
In questo intento, un numero sempre maggiore di aziende ha iniziato ad esplorare una nuova forma
di rendicontazione integrata anche in ragione dell’applicazione del D.lgs. 254/16 divenuto ormai
obbligatorio dal 10 gennaio 2017 per i soggetti che presentano le caratteristiche previste dal decreto.
Le aziende, quindi, sono spinte a cambiare i propri obiettivi e le proprie strategie consapevoli della
rilevanza della responsabilità sociale, impegnandosi a redigere un documento che non si limiti ai soli
aspetti contabili e finanziari. Il bilancio sociale nasce nell’intento di trovare un nuovo modo di
comunicare con i propri stakeholder, i quali hanno il diritto di intervenire nella gestione aziendale per
tutelare i propri interessi. Il bisogno di rispondere alle nuove esigenze degli stakeholder e di una
maggiore trasparenza nei loro confronti ha reso necessario questo nuovo approccio alla
rendicontazione.
Il presente elaborato punta a far emergere l’importanza del report integrato e delle tematiche socio-
ambientali nel panorama mondiale attuale e negli studi di financial accounting a livello
internazionale.
Per approfondire il quadro, il presente lavoro riporta l’analisi di un caso aziendale: Ferrero S.p.A.
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1. La responsabilità sociale d’impresa
La Responsabilità Sociale d’Impresa, traduzione dall’inglese Corporate Social Responsibility (CSR),
è un concetto astratto, in continua evoluzione e per questo difficile da identificare in una definizione
univoca. Il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) ha subito nel tempo numerosi
adattamenti e aggiustamenti, ma una delle definizioni più esaustive pare essere quella espressa dalla
Commissione della Comunità Europea, nel Libro Verde ovvero: “[…] l’integrazione volontaria delle
preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro
rapporti con le parti interessate” (Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde, 2001, p. 7).
Acquista particolare rilievo l’equità intergenerazionale ovvero “[...] uno sviluppo che soddisfa i
bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di
soddisfare le proprie esigenze” (World Commission on Environment and Development -WCED-,
Rapporto “Our Common Future” -Rapporto Bruntland-, 1987).
La Responsabilità Sociale d’Impresa fonda il suo successo sul perseguimento dei capisaldi propri
dello sviluppo sostenibile: crescita economica, equità sociale e protezione ambientale.
Occorre tenere distinti tre concetti:
• sostenibilità: nell’ottica di sviluppo sostenibile bisogna prendere in considerazione non solo le
conseguenze economiche, ma anche sociali ed ambientali a livello globale;
• volontarietà: si intende la decisione propria dell’impresa di attuare comportamenti responsabili
nei confronti della società, senza tuttavia incorrere nel rischio di autoreferenzialità;
• consapevolezza: capacità dell’azienda di comprendere gli effetti che le proprie attività di gestione
possono provocare nel contesto economico e sociale.
Al giorno d’oggi, essere responsabili socialmente sembra essere un requisito fondamentale per tutte
le imprese che non intendono incorrere nel rischio di esclusione dal mercato dovuto, nella maggior
parte dei casi, alla perdita del consenso dell’opinione pubblica.
L’insieme dei comportamenti etici ed una corretta applicazione di tale strumento permetteranno il
raggiungimento degli obiettivi previsti dalle politiche europee e al contempo un’accelerazione del
processo di innovazione e modernizzazione del modello economico e sociale europeo.
1.1. Approccio basato sugli stakeholder
A metà degli anni ’80 inizia a diffondersi un approccio basato sugli stakeholder; questo è possibile
grazie alla diffusione della teoria di Freeman. Secondo quest’ultimo, l’impresa non è responsabile
solamente nei confronti degli azionisti ma anche nei confronti di tutti quei soggetti che, per ragioni
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di differente natura, sono interessati all’andamento dell’impresa, i cosiddetti “stakeholder” ovvero
“portatori d’interesse”.
Gli stakeholder possono essere suddivisi in due categorie:
• interni: proprietari, manager e dipendenti;
• esterni: clienti, fornitori, ambiente sociale, governo, ecc.
La novità introdotta in ottica di responsabilità sociale consiste infatti nel coinvolgimento non solo
degli interlocutori storici e tradizionali (come gli azionisti, i fornitori, i clienti e i dipendenti) ma
anche di tutti i soggetti che possono influenzare i loro comportamenti. Come si può intuire, tutti i
soggetti menzionati avranno obiettivi ed esigenze differenti, pertanto, la difficoltà sta proprio nel
trovare una soluzione in grado di conciliare interessi contrastanti.
Si tratta di un approccio strategico/strumentale, finalizzato alla sopravvivenza dell’impresa stessa.
L’obiettivo della teoria degli stakeholder è massimizzare il valore dell’azienda in modo equilibrato e
favorevole per tutti gli stakeholder e non solo per gli azionisti.
“Un business ha successo quando riesce a far muovere tutti gli stakeholder nella stessa direzione”
1
(Freeman, 1984)
Fig. 1: La visione
dell'impresa nella teoria
degli stakeholder
1.1.1. Superamento della visione del profitto come unico fine dell’impresa
“I profitti sono per l'impresa quel che l'aria è per l'uomo. Respirare è essenziale per vivere, ma non
è lo scopo della vita. Analogamente, i profitti sono essenziali per l'esistenza dell'impresa, ma non
sono la ragione della sua esistenza”
2
(Bakke, 2010).
1
R. E. Freeman in “Strategic Management: A Stakeholder Approach”, 1984
2
Dennis Bakke citato in “L'analisi strategica per le decisioni aziendali” di R. Grant, editore Il Mulino, 2010.
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Il fine primario dell’attività d’impresa è la massimizzazione dei profitti. Tuttavia, il perseguimento di
tale obiettivo renderebbe, senza dubbio, soddisfatti gli azionisti a discapito però degli altri
stakeholder. Si assiste perciò ad un trade-off tra profitto ed etica, che deve essere superato. Per far
questo, è necessario vedere il profitto come mera misura di efficienza oggettiva e non come unico
fine dell’impresa, al di sopra degli altri interessi. In questo modo l’attenzione viene posta sulle singole
persone.
Nel lungo periodo, un’azienda orientata al solo profitto sarà destinata a fallire. Il profitto mantiene
comunque un ruolo primario ma non può essere perseguito in modo assoluto, cioè non può essere
massimizzato ma deve semplicemente remunerare il rischio d’impresa a carico degli investitori.
Pertanto, il modo più efficiente per superare questo trade-off è creare un “contratto sociale” tra i
diversi interlocutori dell’impresa, perché solo attraverso il lavoro comune si crea valore. Infatti,
proprio come afferma E. Freeman nella teoria degli stakeholder: “fare business significa creare
valore per gli stakeholder” (Freeman, 1984).
1.2. Nascita RSI e sua evoluzione (cenni)
Il concetto di responsabilità sociale sembra avere origini piuttosto recenti ma in realtà le prime forme
di tale pensiero si svilupparono negli Stati Uniti, a partire dagli anni ’30-‘50. Nacque come volontà
dei dirigenti, i quali volevano superare l’idea di profitto come unica finalità dell’impresa e orientarono
i propri comportamenti al conseguimento di altri interessi. Questo interesse individuale del dirigente
pose le basi per quella che oggi chiamiamo Corporate Social Responsibility, che iniziò a diffondersi
più rapidamente a partire dagli anni ’60-’70. In questi anni, assume particolare rilievo la piramide di
Carrol, il quale stabilì le priorità che le imprese dovevano considerare nel definire i propri obiettivi.
Negli anni ’80 inizia a diffondersi la Teoria degli stakeholder dell’americano Freeman, secondo la
quale bisogna prendere in considerazione gli interessi di tutti gli stakeholder dell’impresa che, in
quanto tali influenzano il suo operato. Negli stessi anni, negli Stati Uniti si consolida un’altra teoria
detta Business Ethics (Etica d’impresa) che, a differenza della precedente, si concentra sui valori etici
alla base dei comportamenti delle imprese. Questa teoria stabilisce la divisione tra:
• visione “strategica”: individua un vantaggio derivante dalle finalità sociali dell’impresa (non per
forza economico);
• visione “etica”: descrive il dovere dell’impresa di agire correttamente, in modo tale da non
arrecare danno ad alcun soggetto.
Negli anni ’90-’00 sono state approfondite le teorie sviluppate negli anni precedenti, fino a sviluppare
analisi sempre più specifiche e dettagliate. Nel 2001, la RSI è stata definita dalla Commissione della