55
2.3 La dirigenza non privatizzata
Viene da chiedersi quale sia il limite entro cui lo spoils system (cosiddetto
all’italiana) estrinseca il suo raggio d’azione, ovvero l’applicabilità o meno
della stessa alla dirigenza pubblica non privatizzata.
Trattasi di una tematica, a quanto consta, mai affrontata a livello
giurisprudenziale e dottrinale, nonostante la fecondissima produzione in
tema di dirigenza pubblica e sulla L. n. 145/2002.
56
Come è noto, l’art. 3 del D. Lgs. n. 165/2001 individua alcune categorie di
pubblici dipendenti (circa il quindi per cento del numero complessivo)
ancora sottoposte ad un regime di diritto pubblico, in quanto tali non
destinatarie della normativa sulla cosiddetta privatizzazione-
contrattualizzazione del rapporto di lavoro con la pubblica
amministrazione e alle relative fonti di matrice privatistica. Si tratta dei
magistrati (ordinari, amministrativi, contabili, militari), degli avvocati e
procuratori dello Stato, del personale militare e delle forze di polizia, del
personale delle carriere diplomatiche e prefettizie, dei dipendenti delle
autorità indipendenti in senso lato (la Banca d’Italia, Consob, Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni).
La ratio di tale mancata privatizzazione non è unitaria per tutte le suddette
categorie: in alcuni casi va ricercata in ragione di rilevanza costituzionale e
di garanzia dell’indipendenza degli appartenenti (magistrati), in altri va
rinvenuto nell’ontologica valenza pubblicistica e autoritativa dell’attività
espletata (militari e polizia), in altri ancora va individuata nella stretta
contiguità con compiti di governo (carriera prefettizia, diplomatica ed
Avvocatura dello Stato), in altri casi, infine, va reperita in mere garanzie di
piena autonomia di alcune peculiari amministrazioni (le cosiddette
Autorità indipendenti)
86
.
La sottrazione all’applicabilità generalizzata dei principi introdotti dal D.
Lgs. n. 165/2001 a tali categorie, statuita dall’art. 3, viene specificatamente
ribadita, con riferimento al conferimento degli incarichi dirigenziali,
86
Valensise B., Osservatorio sull’impiego pubblico non privatizzato,in Il Lavoro nelle Pubbliche
Amministrazioni, 2005, 6, 1024.
57
dall’art. 19, comma 12 del D. Lgs. n. 165/2001, che fa salva la previgente
disciplina dagli ordinamenti di settore, costituita dall’art. 15 del D.P.R. n.
748/1972, ancora vivo e vitale, quale norma generale derogabile solo da
specifiche norme di settore, per le categorie non privatizzate, in virtù del
chiaro disposto dell’art. 72, comma 1, lett. b), D. Lgs. n. 165/2001, che
abroga la predetta norma per i soli dirigenti “depubblicizzati”.
A tali categorie non privatizzate il regime della responsabilità dirigenziale
(e del relativo procedimento accertativo) prevista dall’art. 21 del D. Lgs. n.
165/2001 (novellato dalla L. n. 145/2002) è inapplicabile: difatti il comma
3 fa salvo le specifiche norme di settore per le accennate carriere
87
.
All’indomani dell’entrata in vigore della L. n. 145/2002 e del sistema
definito spoils system introdotto dall’art. 3, comma 7, ci si era posti il
problema dell’applicabilità dello stesso ai dirigenti apicali non privatizzati,
che, in base ad ordinamenti di settore, sono preposti ad uffici di vertice
delle relative amministrazioni.
Se per il conferimento degli incarichi dirigenziali e per la cosiddetta
responsabilità dirigenziale il legislatore aveva chiaramente e testualmente
escluso l’applicabilità dei precetti del D. Lgs. n. 165/2001 ai dirigenti non
privatizzati, per altri istituti sono sorti dubbi applicativi, stante la
mancanza di norme espresse sul punto.
A tal proposito, all’indomani dell’entrata in vigore della L. n. 145/2002 e
del sistema definito di spoils system introdotto dall’art. 3 comma 7, ci si
era posti il problema dell’applicabilità dello stesso ai dirigenti apicali non
87
Tenore V., Lo “spoil system” introdotto dalla L. n. 145/2002 non si applica alla dirigenza pubblica
non privatizzata, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2003, 6, 1274.
58
privatizzati, che, in base ad ordinamenti di settore, sono preposti ad uffici
di vertice delle relative amministrazioni.
Stante la dubbiezza della questione, la soluzione del complesso quesito è
stata devoluta al Consiglio di Stato, che, con inattaccabili argomenti,
perviene ad una soluzione ostativa all’applicabilità dell’automatica
cessazione degli incarichi apicali dirigenziali, sia con riferimento alla
previsione “a regime” prevista dal novellato art. 19, comma 8, D. Lgs. n.
165/2001, sia, soprattutto, in relazione al regime “transitorio” previsto
dall’art. 3, comma 7, L. n. 145/2002 (cessazione degli incarichi dirigenziali
al sessantesimo giorno dalla entrata in vigore della L. n. 145/2002, con
esercizio, in tale arco temporale, di sole attività di ordinaria
amministrazione).
In sintesi, il parere del Consiglio di Stato in esame ribadisce che la
disciplina generale dei dirigenti non privatizzati va ricercata nell’ancora
vigente (solo per tali categorie) D.P.R. n. 748/1972, integrabili dalle sole
leggi speciali concernenti i singoli regolamenti di settore.
2.4 Le modalità e le tecniche di investitura fiduciaria
Da quanto sopra esposto restano pochi dubbi sul fatto che il potere politico
abbia voluto riservarsi un ampio potere decisionale, libero da vincoli, nella
scelta dei dirigenti attraverso vere e proprie “tecniche di investitura
fiduciaria”.
Le modifiche legislative apportate alla disciplina degli incarichi (come
l’abolizione del criterio di rotazione, il più ampio ricorso al personale
59
interno, la modifica della durata degli incarichi, le innovazioni nel regime
della responsabilità dirigenziale), sembrano sostenere gli argomenti di
coloro che attribuiscono alla L. n. 145/2002 un intento controriformatore,
voluto a ricondurre le vicende del rapporto di lavoro dei dirigenti sotto il
controllo degli organi politici.
L’intento politico trova poi ulteriore conferma nella disposizione che ha
reso le norme in tema di conferimento degli incarichi (art. 3, comma 1, lett.
n, L. n. 145/2002, che ha aggiunto il comma 12-bis all’art. 19, del D. Lgs.
n. 165/2001) “non derogabili dai contratti collettivi”.
L’incidenza delle disposizioni citate sul previgente assetto, cioè del regime
previsto dal D. Lgs. n. 29/1993, induce a stigmatizzare il D. Lgs. n.
165/2001 come “ripubblicizzazione” della disciplina del rapporto
dirigenziale. L’aver sottratto la materia del conferimento dell’incarico alla
sede contrattuale vale come riconferma di quel giudizio, che si sia voluto,
ripubblicizzando la dirigenza pubblica, una vera e propria controriforma,
rispetto alle innovazioni indotte dal legislatore del ’93. Trattasi di
un’operazione molto delicata, in quanto la disciplina della dirigenza e la
relativa responsabilità erano stati i punti cardine della riforma, nel solco
della fondamentale distinzione tra responsabilità di indirizzo politico e
responsabilità di direzione amministrativa, espressamente finalizzata al
recupero dell’efficienza della pubblica amministrazione.
Una dirigenza ripubblicizzata che debba gestire dipendenti “privatizzati”
può creare seri problemi alla macchina amministrativa. È sufficiente
60
ricordare che l’equivalenza delle mansioni, ai sensi dell’art. 2103 c.c., è
materia affidata alla contrattazione collettiva
88
.
I numeri indicati dal Dipartimento della Funzione Pubblica dicono che è
stato operato un imponente ricambio dei dirigenti, anche se di entità
differente tra i diversi ministeri. Gli effetti non sono stati indolori. Molti
dirigenti non hanno potuto portare a termine l’incarico che prevedeva il
raggiungimento degli obiettivi entro un certo numero di anni e la gran
parte ha dovuto accettare contratti per un periodo assai breve come un
anno o sei mesi. I giovani dirigenti si sono visti chiudere la possibilità di
passare alla fascia superiore perché il mutamento di incarico ha fatto
sfumare l’acquisizione della permanenza dell’incarico, altri ancora si sono
visti attribuire fittizi incarichi di studio, altri, infine, sono rimasti senza
incarico.
In sostanza, da questi sommari effetti, emerge una dirigenza pubblica
fortemente condizionata dal potere politico nei contenuti della propria
prestazione, costantemente oppressa dal timore di perdere l’ufficio
dirigenziale.
88
Il comma 4 dell’art. 13 del Contratto collettivo dell’Area dei Ministeri 1998 – 2001 prevede, in caso di
mancata conferma, l’attribuzione per il dirigente, che non sia incorso nella valutazione negativa
dell’attività svolta, di un incarico almeno equivalente a quello non confermato. Tale disposizione sembra
ormai decisamente cancellata dalla L. n. 145/2002. Per gli altri dipendenti pubblici l’art. 2103 c.c trova
parziale attuazione, anche se in misura diversa rispetto alla disciplina vigente per il lavoro privato. La
legittimità dell’esercizio da parte del datore di lavoro dello ius variandi deve rispettare i criteri di
equivalenza tra le mansioni fissati “nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti
collettivi, ovvero a quelli corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito
per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive” (art. 52. D. Lgs. n.
165/2001).
61
Lo strumento dell’investitura fiduciaria dell’incarico dirigenziale, da parte
del mondo politico, deve essere letto in connessione alle indicazioni
riferite ai criteri di valutazione dell’operato dirigenziale.
L’indicazione, ai fini del conferimento dell’incarico, anche del criterio
relativo ai “risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella
direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministero”, denuncia il
richiamo all’esperimento di procedure di valutazione e anche la necessità
conseguente di comparare i risultati raggiunti. Quale che sia il valore
assegnato al criterio della valutazione dei risultati, certo è che esso
ridimensiona il profilo soggettivo “delle attitudini e delle capacità
professionali del singolo dirigente” che, nel nuovo impianto, costituito
dalla L. n. 145 del 2002, è stato fortemente ridimensionato. Sul sistema di
valutazione la contrattazione collettiva ha una sua autonoma indipendenza
di cruciale importanza per un duplice profilo:
1) può contribuire alla individuazione di criteri e delle procedure
per la selezione ai fini del conferimento dell’incarico;
2) può determinare la retribuzione accessoria connessa ai
risultati.
La valutazione dei risultati, quindi, assurge per questa via a criterio
incidente non solo sulla tematica della responsabilità dirigenziale e delle
relative sanzioni, ma anche su quella della selezione per l’accesso agli
uffici dirigenziali, costituendo un limite alla discrezionalità degli organi
politici.
E, tuttavia, il sistema di valutazione dei risultati è stato riconfermato
dall’art. 3, comma 2, della L. n. 145/2002, che ha parzialmente modificato
62
in comma 1 dell’art. 21, D. Lgs. n. 165/2001, disponendo, in caso di
“mancato raggiungimento degli obiettivi”, l’impossibilità di rinnovo dello
stesso incarico e, nei casi più gravi, la revoca dell’incarico o il recesso dal
rapporto di lavoro.
La valutazione del mancato raggiungimento degli obiettivi o
dell’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente resta affidata ai
sistemi e alle garanzie di cui all’art 5 del D. Lgs. n. 286/1999 che dispone:
“per i dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive
amministrazioni [….] la valutazione è effettuata dal Ministro, sulla base
degli elementi forniti dall’organo di valutazione e controllo strategico”
e, le misure sanzionatorie si applicano allorché i risultati negativi
dell’attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento
degli obiettivi “emergano dalle ordinarie e annuali procedure di
valutazioni”.
È stato rafforzato l’ancoraggio del trattamento accessorio di risultato da
corrispondere ai dirigenti, la cui graduazione deve essere fissata, con
decreto ministeriale, alle funzioni e responsabilità attribuite
89
.
Quand’anche il sistema di valutazione dei risultati dovesse funzionare
perfettamente, il suo collegamento “agli obiettivi fissati nella direttiva
annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro”, che sono per volontà
politica o per la loro natura generici e mutevoli, difficilmente potrà
89
Per i dirigenti generali, il trattamento di risultato trova la base nelle determinazioni accettate in sede di
contratto individuale di incarico in relazione alle responsabilità e ai compiti ivi individuati; per la
dirigenza di seconda fascia occorre anche fare riferimento alle specifiche clausole sulla retribuzione
contenute nei contratti collettivi di categoria.
63
produrre esiti selettivi ed oggettivi del merito, ai fini dell’accertamento
della responsabilità o conferimento dell’incarico.
Lentezze, in gran parte giustificate, hanno comportato la mancata
definizione e applicazione da parte dei ministeri del sistema di controllo
(criteri, procedure, garanzie, ecc.) per la verifica e valutazione dei risultati
dei dirigenti e, quindi, si sono trasformate in aperte violazioni di clausole
dei contratti collettivi e, di conseguenza, dei diritti individuali dei singoli
dirigenti, i quali, in assenza si quelle regole, è stato impedito di resistere
efficacemente agli atti unilaterali e “arbitrari” del conferimento e della
revoca anticipata degli incarichi.
Le regole e le procedure dei sistemi di controllo sono sottoposte al vaglio
delle organizzazioni sindacali: la contrattazione collettiva può colmare
l'evidenziate carenze sollecitando le amministrazioni sui tempi, i contenuti
e le procedure dei sistemi di controllo e valutazione. La contrattazione, per
questa via, può indurre un comportamento virtuoso degli organi politici in
tema di conferimento e revoca dell’incarico, recuperando i dirigenti
pubblici a parametri di dignità personale e professionale. Sembra che di
tale necessità di sostenere la professionalità attraverso la contrattazione
collettiva ne siano consapevoli le organizzazioni sindacali.
Molte potrebbero essere le materie di intervento delle organizzazioni
sindacali: dalle regole e procedure per la definizione di criteri per
l’affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi dirigenziali, ecc.
64
Tutto ciò potrebbe incidere fortemente sulla valutazione del risultato della
gestione dirigenziale
90
.
Un’operazione di riscatto della contrattazione collettiva, che però è tenuta
lontana dalla L. n. 145/1990, a gestire poche e circoscritte materie: cioè, il
trattamento economico e la mobilità dei dirigenti nell’ambito delle
amministrazioni dello Stato.
In sostanza, accanto a tecniche di “investitura fiduciaria politica”
potrebbero sorgere tecniche di “riconoscimento della professionalità”,
strumentali al conferimento dell’incarico e alla valutazione dei risultati
della gestione dirigenziale a salvaguardia non solo della dignità e della
professionalità dei dirigenti, ma anche dell’interesse pubblico al buon
andamento e all’imparzialità dell’amministrazione.
2.5 Lo spoils system al vaglio della giurisprudenza
La Corte Costituzionale, dopo essere intervenuta sulla devoluzione al
giudice ordinario delle controversie concernenti il conferimento e la revoca
degli incarichi dirigenziali
91
, e successivamente esser stata investita dalla
questione di legittimità relativa all’estensione del regime di diritto privato
del rapporto di lavoro dei dirigenti “generali”
92
, ha dovuto occuparsi della
disciplina sanzionatoria della responsabilità dirigenziale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 193 del 16 maggio 2002, è
chiamata ad esprimersi sulla disposizione di cui all’art. 20, comma 9, del
90
La Macchia C., La dirigenza pubblica e tecniche d’investitura fiduciaria, Rivista Giuridica Del
Lavoro, 2003, 4, 727.
91
Cort. Cost. ordinanza, n. 275/2001, Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2002, 2, 295.
92
Cort. Cost. ordinanza, n. 11/2002, Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2002, 2, 295.
65
D. Lgs. n. 29/1993, censurandola per eccesso di delega, in quanto
prevedeva, per l’inosservanza delle direttive e per i risultati negativi della
gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, il collocamento a
disposizione del dirigente, e, in caso di responsabilità particolarmente
grave e reiterata, il collocamento a riposo per ragioni di servizio, mentre la
legge delega (art. 2, comma della L. n. 421/1992) avrebbe consentito, in
caso di mancato conseguimento degli obiettivi della gestione, solo “la
rimozione delle funzioni e il collocamento a disposizione”.
In altri termini, si contestava la legittimità della norma nella parte in cui
disponeva che si potesse procedere in via immediata alla risoluzione del
rapporto di lavoro, senza aver prima disposto una sanzione non definitiva,
che offrisse al dirigente un’altra chance di reinserimento, magari in un
diverso ufficio o in una diversa funzione.
Il collocamento a riposo per motivi di servizio costituiva la misura
sanzionatoria intermedia che l’amministrazione poteva adottare nei
confronti dei dirigenti generali, il cui rapporto di lavoro, si ricorderà, era
rimasto assoggettato al diritto pubblico, mentre, in casi equivalenti, per i
dirigenti, si prevedeva l’applicazione delle norme civilistiche e, quindi, il
licenziamento per giusta causa.
La Corte ha considerato fondata la questione e ha concluso per
l’illegittimità costituzionale della norma, in quanto ha ritenuto che il
governo, nel “prevedere la facoltà dell’immediato collocamento a riposo
senza il previo passaggio attraverso il periodo di messa a disposizione,
abbia violato i limiti posti dalla legge delega, non rispettandone le finalità
e contraddicendone i principi e i criteri direttivi”.