4
Introduzione
Con la seguente trattazione si vuole indagare/problematizzare circa lo “stile
registico”
1
dell’autore texano Terrence Malick. La sua è una “poetica” tutta da
esplorare, decriptare, non facilmente de-finibile, classificabile, ma sicuramente
degna di nota e di “ri-flessione/i”.
Malick è un “autore”, un poeta, nonché uno sperimentalista a tutto tondo, ma
ancor prima un filosofo e dunque un “amante della conoscenza”, ed è proprio da
questo punto che intendo partire, per valutare i vari aspetti della sua trattazione
poetica, esplorando quel tocco registico magicamente unico: il “Malick’s touch”
2
.
Terrence Malick è considerato uno dei registi meno prolifici e più originali della
storia del cinema (si contano solo 6
3
film dal 1973 ad oggi)
4
, tuttavia l’arco
temporale cui faremo riferimento, per la nostra argomentazione, è quello che ho
denominato “secondo periodo malickiano”
5
, soffermandomi sul film che, a mio
avviso, segna uno spartiacque con la poetica precedente: The New World (2005)
6
.
1
Stile
in
Malick
è
inteso
come
“modo
personale
di
essere
rivolti
alle
cose”.
Francesco
Cattaneo,
Terrence
Malick
-‐
Mitografie
della
modernità ,
Edizioni
Cineforum ,
Bergamo
2006,
p.
11.
2
“Il
Malick’s
tou ch
è
uno
stile
unico
e
riconoscibile,
ma
in
perenne
aggiornamento
e
ripensamento”;
da
Andrea
Fornasiero,
Terrence
Malick:
Cinema
tra
classicità
e
modernità,
Le
Mani,
Genova
2007,
p.
13.
3
Non
vi
ho
incluso
il
cortometraggio
del
1969:
Lanton
Mills ,
in
quanto
introvabile.
Si
veda
J.
Morrison
–
Th.
Schur,
The
Films
of
Terrence
Malick ,
Praeger
Publisher,
Connecticut
Londra
2003,
p.
2.
4
A
tal
proposito,
si
confronti
il
dato
con
uno
dei
testi
più
aggiornati
in
circolazione:
D.
Kamalzadeh
–
M.
Pekler,
Terrence
Mal ick,
Schüren,
Marburg
2013,
p.
7.
5
The
New
World
segna,
a
mio
avviso,
una
frattura
o,
parimenti,
“una
continuità
antitetica”
nella
poetica
malickiana,
la
quale
indica
parallelamente
un
cambiamento
riguardante
la
sfera
filmico -‐
biografica:
un’accellerazione
operativa.
In
vista
di
ciò,
si
rifletta
sui
seguenti
dati,
ovvero
Malick
impiega,
rispettivamente
dal
1973
al
1998,
ben
venticinque
anni
per
dar
vita
a
soli
tre
film
(Badlands
-‐
La
rabbia
giovane ,
1973;
Days
of
Heaven
–
I
giorni
del
cielo ,
1978;
The
Th in
Red
Line,
La
sottile
linea
rossa,
1998 ),
mentre
dal
2005
al
2013
(quindi
nel
“secondo
periodo”,
numerabile
in
anni
otto)
dà
vita
a
tre
opere
-‐
The
New
World
–
Il
nuovo
mondo,
2005;
The
Tree
of
Life,
L’albero
della
vita,
2011
e
To
the
Wonder
[2012;
Alla
meraviglia]
-‐
inoltre
pare
vi
sia
in
progetto
un
film
dal
titolo
Knight
of
Cups
[http://www.mymovies.it/film/2013/knightofcups/];
ciò
implica
un’accelerazione
produttiva
e
dunque
una
diminuzione
dei
tempi
lavorativi
da
parte
del
regista,
in
quanto
egli
dà
vita
alla
medesima
quantità
di
film,
rispetto
al
“primo
periodo”,
in
un
terzo
del
tempo.
6
Faccio
riferimento
all’anno
della
prima
uscita,
ovvero
alla
versione
dicembrina
(di
150
minuti),
che
consente
la
candidatura
(per
la
fotografia)
agli
oscar;
sulle
v ersioni
del
2005
e
del
2006
rimando
a:
A.
Fornasiero,
Terrence
Malick:
Cinema
tra
classicità
e
modernità,
cit.,
p.
370.
5
La principale istanza teleologica della tesi è quella di rendere umilmente omaggio,
nel mio piccolo, a colui il quale considero il più grande “poet-philosopher”
7
del
panorama contemporaneo, cercando di apportarvi un punto di vista nuovo e,
dunque uno sguardo, nuovo e innovativo, considerando naturalmente - come dato
imprescindibile - le valutazioni precedenti (a questa trattazione) sul cinema
malickiano.
7
Prediligo
la
composizione
linguistica
“poet -‐philosopher”
proposta,
su
imitazione
della
più
nota
espressione
“film -‐philosopher",
da
Geoff
Andrew
(1999:
140),
perché
mette
in
rilievo
la
cifra
stilistica
malickiana,
indicandovi
una
concezione
più
ampia,
la
qu ale
include
anche
i
film,
ma
non
esclusivamente.
Si
veda
Hannah
Patterson
(edited
by),
The
Cinema
of
Terrence
Malick:
Poetic
Visions
of
America ,
Wallflower
Press,
New
York
–
Chichester,
West
Sussex,
London
2007,
pp.
2 -‐3.
6
La bellezza salverà il mondo
F. M. Dostoevskij
CAPITOLO I
LA POETICA MALICKIANA: PUNTO DI CONVERGENZA
TRA CINEMA E FILOSOFIA
1.1 Uno sguardo interrogativo
Quando parliamo di Malick, dobbiamo fare necessariamente riferimento al suo
status di filosofo
8
, nonché al mondo dal quale proviene, pertanto non può sfuggire
una considerazione sul regista in questo ambito.
Tant’è vero che la figura del regista è spesso accostata a quella del filosofo
Heidegger; spesso si tratta di un’operazione che potremmo definire
“induttiva/intuitiva-automatica”, in quanto non sempre sono chiariti i rapporti e le
dinamiche che segnano (inducono a) tale corrispondenza. Pertanto, partirei da
questo “assunto” (indispensabile per compiere un’esauriente analisi del periodo
scelto) per analizzare e, dunque, tentare di comprendere i rapporti, le cor-relazioni
8
Il
regista,
prima
di
entrare
nel
Center
of
American
Studies
dell’
American
Film
Institute
(1969),
era
stato
insegnante
di
filosofia
al
MIT
e,
ancor
prima,
allievo
presso
l’Harvard
University ,
all’interno
della
quale
ha
condotto
degli
studi
con
illustri
insegnanti,
quali
Cavell,
scrivendo
una
tesi
intitolata
The
Concept
of
Horizon
in
Husserl
and
Heidegger
(BA
thesis,
Harvard
University,
1966),
nella
quale
analizza
le
analogie
tra
Husserl
e
Heidegger,
si
veda
il
seguente
URL:
http://clubemetafisico.com/wp-‐content/uploads/2012/01/Malick-‐e-‐Heidegger.pdf,
p.
130
e
i
dati
biografici
nel
lbro
di
Lino
Aulenti,
Il
cinema
di
Terrence
Malick ,
Falsopiano,
Alessandria
2004,
pp.
11-‐16.
7
tra queste due figure e i rispettivi limiti associativi/relazionali tra le stesse,
ponendo le seguenti questioni
9
:
- Perché compiamo “in automatico” tale operazione? Mi riferisco sia alla
correlazione tra Malick e Heidegger che alle implicazioni tra Malick e la
“filosofia”;
- Quali sono i rapporti che legano queste due figure complesse?
- Fino a che punto possiamo ritenere corrette queste relazioni?
- Qual è il rapporto tra Malick e l’esistenzialismo?
- In che senso Malick è esistenzialista?
- Di che tipo di relazione si tratta? Paragonatoria? Inclusiva? Esclusiva?
Dialettica?
- Quel è il rapporto tra il Malick regista e il Malick filosofo? Qual è il
confine, in questo caso, tra cinema e filosofia?
- È possible guardare al “gesto malickiano” scindendo la figura del filosofo
da quella del regista e di conseguenza il momento filosofico da quello
registico?
1.2 Un tentativo di risposta
10
Chiaramente non sono “domande semplici”, di facile “responso”
11
, tuttavia è
necessario suscitarle per potersi orientare all’interno del “piano malickiano”.
9
Per
entrare
nel
vivo
delle
dinamiche
malickiane,
ripropongo
un
atteggiamento
malickiano,
ossia
adotto
uno
“stile
int errogativo”
nei
confronti
degli
oggetti
(delle
entità,
degli
enti,
dei
materiali)
che,
secondo
l’accezione
etimologica,
mi
sono
“posti
(gettati)
dinanzi”.
L’espressione
di
“stile
interrogativo”
è
presa
in
prestito
dai
critici
statunitensi
Thomas
Deane
Tucker
e
Stuart
Ke ndall,
i
quali
asseriscono:
“Malick
background
in
philosophy
and
the
evidence
offered
by
the
films
themselves
invites
this
style
of
interrogation”.
Th.
D.
Tucker
e
S.
Kendall,
Terrence
Malick
Film
and
Philosophy,
Continuum,
New
York
2011,
p.
2.
Tale
espressione,
tuttavia
può
ritenersi
discutibile,
se
si
tiene
conto
dell’asserzione
heideggeriana,
secondo
la
quale
“non
è
l’interrogare
il
tratto
fondamentale
del
pensare ,
be nsì
l’ascoltare
quel
che
viene
suggerito
da
ciò
che
deve
farsi
problema”,
Martin
Heidegger,
Unterwegs
zur
Sprache ,
Neske,
Pfullingen
1959;
tr.
It.,
In
cammino
verso
il
linguaggio ,
Mursia
Editore,
Milano
2007,
p.
139.
10
In
verità,
a
dispetto
di
quanto
dichiarato
nel
titolo
del
paragrafo
e
coerentemen te
con
il
nostro
atteggiamento
investigativo,
non
risponderemo
da
subito
realmente
a
tutte
le
domande.
Inoltre
delle
possibili
risposte
possono
essere
dedotte,
secondo
una
logica
godardiana,
quindi
di
tipo
associativo,
solamente
alla
fine
del
lavoro.
8
Di conseguenza il nostro obiettivo non sarà mirato alla ricerca di risposte
esaurienti e definite (qualora fosse possibile darne), al contrario tali questioni si
prestano ad essere, provocatoriamente, dei pretesti validi, i quali metaforicamente,
come delle fondamenta, sorreggono meccanismi e dinamismi (di pensiero), che
sostengono appunto il “pensiero-proiezione”/“pensiero-proiettivo”, per favorire,
come in un “effetto domino”, ulteriori “processi-proiettivi”.
Tali “processi-proiettivi” potrebbero essere meglio compresi, a mio avviso,
tramite una simbolica metafora visiva, ovvero immaginando delle “piramidi
dall’apice in vetro”
12
sulle quale si possa specchiare il cielo.
Le nostre fondamenta sorreggono proiezioni, esse non sono assolute
13
, non sono
delimitate, non sono de-finitive
14
, al contrario, sono mutevoli, cangevoli,
tendenzialmente infinite, sia sul piano orizzontale che su quello verticale
15
. In
questo senso il nostro lavoro potrebbe essere definito “afinalistico”,
semplicemente perché non conosciamo il risultato o, perlomeno, una possible
ipotesi da dimostrare, o più semplicemente la stessa non è connaturata nelle
impostazioni di partenza, abbandonandovi un modus operandi teleologico: stiamo
scegliendo di operare su un piano che trascenda approdi sicuri.
Sappiamo momentaneamente da dove partiamo e, per certi versi, non possiamo,
zavattinianamente, prevedere dove andremo a finire, ammesso che sia possible
finire, poiché non abbiamo confini relativi né per quanto concerne quel
11
Responso:
sul
piano
strutturale
gioco
con
l’assonanza
con
“risposta”
(e
di
fatto
il
responso
è
una
risposta),
mentre
sul
piano
semantico
intendo
far
riferimento
all’estrema
sforzo
-‐
che
vi
occorre
per
tentare
di
rispondere
in
modo
esaustivo
a
tali
questioni
-‐
degno
di
un
soccorso
sibillino.
12
Ho
scelto
questa
metafora
perché
una
piramide
tende
sempre
verso
l’ alto,
verso
il
cielo
(che
rappresenta
in
questo
caso
l’infinito),
il
quale,
di
rimando,
si
specchia
nel
vetro ,
determinando
una/delle
riflessione/i
che
tende/tendono
anch’esse
all’infinito.
13
Faccio
riferimento
a
tale
termine
con
l’accezione
latina,
cioè
intendendolo
con
il
significato
di
“libero”,
“sciolto”
da
ogni
rapporto
di
dipendenza
con
la
parte
restante
della
struttura.
(“Absolùtus
p.p
di
abso lvere,
sciogliere,
liberare”
da
AA.VV,
Vocabolario
della
lingua
italiana,
Zanichelli,
Bologna
1970,
p.
134).
14
Dobbiamo
ricordare
che,
le
definizioni,
come
suggeriesce
la
parola
stessa,
se
convenzionalmente,
da
una
parte
risultano
utili
alla
descrizione
del la
realtà,
d’altra
parte
delimitato,
limitano,
definiscono
e
finiscono
fortemente
il
dato
reale
(l’oggetto);
esse,
ontologicamente,
non
interpretano
la
realtà,
ma
sono
un
mezzo
(o
meglio,
uno
dei
mezzi)
per
farlo.
Si
tratta
naturalmente
di
un
processo
nece ssario
e
convenzionale
di
tipo
sottrattivo.
15
Sul
piano
orizzontale
facciamo
riferime nto
alle
domande
in
quanto
tali
che
si
moltiplicano,
sul
piano
verticale
facciamo
riferimento
alle
proiezioni
delle
stesse
che
aspirano
sempre
più
verso
l’alto,
evitando
così
l’
“esaurimento”,
la
finitudine,
la
(presunta)
certezza
come
approdo
sicuro.
9
movimento-momento malickiano, né per quello “esistenzialista”
16
(se non nel
riferimento cronologico convenzionale), né semplicemente, ad esempio, per delle
possibili interpretazioni esplicative di un film malickiano, il quale ha come istanza
di partenza quella di essere un canto polifonico e polisemico. In altre parole, il
nostro obiettivo è quello di interrogarci, non per trovare risposte assolute e
definite, ma per porre nuovi questioni, non per forza chiarificative. Stiamo
cercando di operare seguendo il modus operandi “malickiano”.
In quest’ ottica, rispondiamo ad una domanda con un’ulteriore domanda, e cioé:
quando si fa riferimento al rapporto Malick – Heidegger, a quale Heidegger ci si
riferisce? Al primo Heidegger o al secondo (quello della “svolta”)
17
?
Ecco, questo punto è stato spesso sottovalutato, perché dire che il cinema di
Malick è heideggeriano vorrebbe dire anche stabilire a quale Heidegger si fa
riferimento, dato che di fatto (dagli autori presenti nella nostra bibliografia)
un’eventuale referenzialità viene ignorata. Questa ingenuità è il primo punto
debole di un’implicazione correlativa, tuttavia una timida eccezione vi è data
dall’autore F. Catteneo in Mitografie della modernità (2006: 65-84), il quale trova
il dato fondativo dell’ “associazione”, nel concetto heideggeriano di “mondo”,
specificando da quali testi proviene, e ricordandone appunto il periodo di
riferimento (il primo). Ad ogni modo, più che di un’asserzione, potrebbe trattarsi
di mera informazione di circostanza, infatti l’autore non arriva mai a asserire, in
16
A
tal
proposito,
ricordiamo
che
uno
dei
Leitmotiv
dell’esistenzialismo
è
il
tema
della
morte,
il
quale
è
stato
una
della
ragioni
che
inducevano
i
critici
a
considerare
He idegger
come
un
esistenzialista.
Ma
alla
luce
di
questo
discorso,
potremmo
considerare
anche
Malick
esistenzialista
o
heideggeriano?
O,
addirittura,
il
concetto
di
“essere-‐ nella-‐morte”
non
potebbe
essere
considerato,
a
sua
volta,
un
motivo
guida
di
tutta
l ’esperienza
artistica?
In
questo,
provocatoriamente,
dovremmo
considerare
tutta
l’arte
esistenzialista
o
heideggeriana?
Chiaramente
sto
portando
un
esempio
che
fa
riflettere
sull’equivoco
e
la
gravità
di
un’eventuale
ed
ingenua
correlazione
non
circoscritt a.
Sul
concetto
dell’esistenzialismo
e
dell”essere-‐ nella-‐
morte”
rimando
rispettivamente
a :
N.
Abbagnano
-‐
G.
Fornero,
Protagonisti
e
testi
della
filo sofia,
vol.
D,
tomo
1,
Paravia,
Milano
1999,
pp.
463 -‐470;
e
a:
D.
Massaro,
La
Comunicazione
Filosofica ,
tomo
B,
Paravia,
Trento
2002,
p.
561.
17
Il
secondo
periodo
riguarda
appunto
la
svolta
heideggeriana
(D ie
Kehre),
la
quale
è
delinata,
secondo
Vattimo ,
dal
passaggio
del l’’Heidegger,
quale
“filosofo
dell’esistenza”
a
quella
dell’Heidegger
“filosofo
dell’essere”;
Ibidem .
In
questo
senso ,
secondo
una
concezione
non
metafisica
(Dio
–
uomo
-‐
natura),
egli
n ega
una
visione
antropocentrica:
non
è
più
l’uomo
al
centro
della
questione,
ma
l’essere.
A
tal
proposito ,
la
domanda
che
sorge
spontanea
è
la
seguente:
come
facciamo
a
stabilire
se
in
un
film
malickiano
è
l’ uomo
al
centro
della
questione
o,
piuttosto,
l’essere?