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INTRODUZIONE
Il presente elaborato vuole essere un piccolo contributo per capire il
vasto concetto dello sviluppo dell’identità, in particolar modo, nelle persone
appartenenti a minoranze sessuali. La formazione dell’identità personale è un
processo continuo che dura tutta la vita ed è in continua evoluzione. Nelle
persone appartenenti a minoranze sessuali lo sviluppo della propria identità
deve affrontare uno step in più rispetto alle persone eterosessuali, accettando
la propria identità gay, lesbica o bisessuale (LGB) e rivelandola al mondo che
lo circonda (coming-out). Un’altra difficoltà con cui le persone LGB devono
fare i conti è la società che li circonda. Infatti in una cultura eterosessista come
la nostra, tutte quelle sessualità diverse dall’orientamento eterosessuale
vengono considerate sbagliate e perverse (Borrillo, 2001), generando
sentimenti di odio nelle persone (omofobia), atti di vittimizzazione verso le
persone LGB (bullismo omofobico) che possono portare le persone
appartenenti a minoranze sessuali a sviluppare alti livelli di stress cronico,
definito da Meyer (2003) minority stress, che, a sua volta, portano ad
interiorizzare pregiudizi e discriminazioni generando uno stigma sessuale
interiorizzato e, in casi estremi, creando nell’individuo pensieri suicidi
(ideazioni suicidaria).
In questa cornice teorica, abbiamo effettuato una ricerca sperimentale
somministrando a un gruppo di 117 partecipanti LGB tra i 15 e i 35 anni una
batteria di questionari denominata “Benessere e Realizzazione di Sé” che ha
avuto come responsabile del progetto il Prof. Roberto Baiocco. Attraverso vari
strumenti è stata valutata l’identità positiva in persone LGB e la sua
correlazione con altri fattori (età, bullismo, lo stigma sessuale interiorizzato).
Sono state svolte le statistiche descrittive sulle dimensioni che
costituiscono le varie scale, è stata effettuata un’analisi fattoriale e verificata
l’attendibilità dei fattori estratti. Inoltre l’obiettivo della ricerca era quello di
verificare i fattori che possono ostacolare o prevenire la formazione di una
positiva identità di sé.
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CAPITOLO 1
Sviluppo dell’Identità e Omofobia
1.1 Definizioni e questioni terminologiche del concetto d’identità
Il termine identità deriva dal latino identitas (trad. “identico”,
“medesimo”, “uguale”) ed indica l’immagine mentale che un soggetto
costruisce di sé. Ogni individuo sviluppa molteplici tipologie di identità (es.
religiosa, etnica, lavorativa ecc.) nel corso della sua vita (Kroger, 2007). Con
la definizione d’identità si fa riferimento al senso del proprio essere continuo
nel tempo e come entità distinta da tutte le altre. Proprio per questo, l’identità
è definita come un processo che inizia al momento della nascita e finisce al
termine della vita.
Riferendoci con il concetto di identità alla totalità di una persona, è utile
distinguere e definire più precisamente alcuni termini che spesso tendono ad
essere usati in maniera interscambiabile. Solo in tempi recenti, la sociologia
italiana ha iniziato ad interessarsi alle tematiche inerenti gli studi di genere
(Piccone, Stella, & Saracena, 1996; Leccardi, 2002; Ruspini, 2005). Accanto
agli studi in ambito sociologico, si collocano le attuali teorie della sessuologia
che considerano l’identità sessuale un costrutto multidimensionale costituito
da quattro distinte componenti (Petruccelli, Simonelli, Grassotti, Tripodi,
2014):
1. Identità sessuale o sesso biologico;
2. Identità di genere;
3. Ruolo di genere;
4. Orientamento sessuale.
Con il termine identità sessuale, nello specifico, si fa riferimento alla
femminilità e mascolinità di una persona (Simonelli, 2002) che è determinata
da cinque fattori biologici:
1. I cromosomi sessuali XX o XY;
2. La presenza di gonadi maschili e femminili;
3. La componente ormonale; le strutture riproduttive accessorie interne;
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4. Gli organi sessuali esterni.
Questi fattori segnano l’intera esistenza dell’essere umano,
classificandolo fin dal momento della nascita (ed anche prima) come maschio
o femmina. Esiste una minoranza di casi in cui vi possono essere elementi di
incertezza e di imprevedibilità essendo l’esito di un processo costruttivo
influenzato da una complessa interazione tra aspetti biologici, psicologici,
educativi e socioculturali.
Il termine genere viene usato per la prima volta negli anni Cinquanta
per differenziare la categoria anatomo-biologica di appartenenza (sex) dalle
categorie psicologiche di maschile e femminile (gender), ossia per distinguere
il ruolo sessuale dall’anatomia dei genitali. Il genere ha a che fare con le
differenze socialmente costruite tra il sesso maschile e femminile e con le
relazioni che si instaurano tra di essi in termini di comportamenti distintivi ed
appropriati. Sesso e genere però non costituiscono due dimensioni
contrapposte, bensì interdipendenti, due concetti profondamente connessi che
traducono le due dimensioni dell’essere uomo o donna.
Il termine identità di genere fa riferimento alla percezione unitaria di
sé stessi, o auto-identificazione, come appartenente al genere femminile,
maschile o ambivalente indipendentemente dal sesso biologico (Steensma,
Kreukels, de Vries & Cohen-Kettenis, 2013; Simonelli, 2002; Rogers, 2000).
L’identità di genere si basa su caratteristiche psicologiche che in una cultura
di appartenenza vengono incoraggiate in un’identità sessuale e scoraggiate
nell’altra. La capacità di rispettare le aspettative della società, a partire dagli
elementi biologici, renderà gli individui chiaramente mascolini o femminili.
La maggior parte delle persone tende a far coincidere l’identità sessuale
con l’identità di genere attraverso questo conformismo psico-sociale. Bisogna
considerare che l’identità di genere, che è una componente fondamentale della
costruzione dell’identità, non è esclusivamente una programmazione genetica,
ma esercita una discreta influenza anche l’indole personale e la cultura di
appartenenza (Dèttore, 2005). Vi è, inoltre, una minoranza di persone che vive
una conflittualità completa tra gli aspetti biologici e l’identità di genere, con la
costante drammatica consapevolezza di appartenere al genere opposto. Questi
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soggetti sono detti transessuali. L’individuo transessuale, uomo o donna che
sia, si trova in una condizione in cui la componente biologica e quella
psicologica sembrano essere in completo disaccordo. Infatti il transessuale si
sente intimamente di appartenere al sesso opposto rispetto al genere biologico,
questa intrinseca convinzione lo porta a conformare il proprio corpo alla sua
identità di genere dal travestimento fino alla perentoria decisione
dell’operazione chirurgica.
L’antica idea di fondo che il maschile e il femminile siano le uniche
due soluzioni possibili, viene oggi rivalutata dalle infinite variabili soggettive
che gli individui hanno diritto a vivere in condizioni scelte e decise
personalmente. L’identità di genere viene distinta dal ruolo di genere per la
prima volta negli anni Settanta dagli psicologi dello sviluppo a impostazione
cognitiva per riconosce la capacità dei bambini di identificarsi con il genere
corretto e di discriminare i maschi dalle femmine (Zucker & Bradley, 1995).
Il termine ruolo di genere fu introdotto da Money e Tucker (1975) e
rappresenta tutto quello che una persona fa o dice per indicare agli altri e a sé
stesso il grado della propria mascolinità, femminilità o ambivalenza;
includendo anche l’accettazione e la risposta sessuale. Solitamente la
formazione del ruolo di genere avviene nei bambini in un periodo di tempo che
va dai tre i sette anni.
Il ruolo di genere è quindi l’espressione pubblica dell’identità,
l’insieme delle definizioni di quello che l’ambiente sociale ritiene adeguato per
maschi e femmine. Tipicamente il ruolo di genere maschile è associato con la
forza e con attività associate a rischio, mentre quello femminile con il prendersi
cura dei figli (Diamond, 2002). Questi vengono anche definiti stereotipi
sessuali, ossia quelle credenze condivise sulle caratteristiche dei
comportamenti adeguati per ognuno dei sessi, plasmati dalle idee e dalle
aspettative sociali. Essendo dicotomiche, queste due categorie tendono a
funzionare come un sistema di esclusione a vicenda: ciò che è ritenuto
maschile non è femminile e viceversa (Simonelli, 2002). L’influenza degli
stereotipi dominanti ha esercitato diversi livelli di pressione affinché le società,
classi sociali o famiglie differenti siano più o meno conformi con questi; nelle
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classi sociali con un livello di formazione inferiore sono più rigidi e portano a
forme di maschilismo e intolleranza.
Infine, con il termine orientamento sessuale si indica l’attrazione fisica
ed affettiva per una persona di sesso diverso, dello stesso sesso o entrambi. La
maggior parte degli individui sviluppa un’attrazione erotica per l’altro sesso,
chiamata eterosessualità, mentre una minoranza si sente attratta da persone
dello stesso sesso, definito orientamento omosessuale, o da entrambi i sessi,
definita come bisessualità (ibidem). Fino a poco tempo fa l’orientamento
sessuale di una persona veniva considerato, dalla comunità scientifica, come
un tratto stabile, determinato precocemente e altamente resistente al
cambiamento. Questa concezione è stata messa in discussione da alcuni autori
che hanno introdotto il concetto di plasticità erotica (Baumeister, 2004) o
fluidità sessuale (Diamond, 2008). Questi teorici suggeriscono che
l’orientamento sessuale non è un tratto immutabile, ma intrinsecamente
flessibile e in costante evoluzione durante l’arco della vita; è probabile pertanto
che alcuni individui possano sperimentare transizioni di orientamento sessuale
durante la loro vita, rimandabili a esperienze sessuali ed affettive o
all’influenza del contesto culturale. Queste influenze possono svolgere
un’azione di mantenimento dell’orientamento sessuale o indurre cambiamenti
più o meno evidenti (Dèttore & Lambiase, 2011). Solitamente, nelle persone,
l’identità di genere, il ruolo di genere e l’orientamento sessuale sono in
accordo, ma vi possono essere anche delle eccezioni (Petruccelli et al., 2014).
1.2 Lo sviluppo dell’identità dal periodo prenatale fino all’adolescenza
È oramai risaputo come il sesso cromosomico di una persona viene
determinato al momento della fertilizzazione. Le cellule femminili sono
composte da due eterocromosomi uguali (XX), mentre quelle maschili da due
eterocromosomi diversi (XY). Ne consegue che lo spermatozoo paterno
determina il sesso del nascituro con l’apporto di una X o di una Y, ma che il
programma biologico di base è femminile (Badinter, 1993). Il sesso genotipico
stabilisce il punto di partenza per tutti i futuri cambiamenti; benché i due sessi
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siano inizialmente indistinguibili, a partire dalla settima settimana gli embrioni
si evolveranno naturalmente verso la femminilità o mascolinità.
Money e Ehrhardt (1972) sottolineano, accanto all’aspetto biologico,
l’importanza del fattore culturale nella determinazione di sé come maschio o
femmina. Il genere, infatti, è una categoria introdotta dagli uomini al fine di
dare una spiegazione a tutto ciò che non è biologicamente dato e pertanto
socialmente e culturalmente costruito, convertendo una diversità sessuale
biologica, naturale e quindi di per sé neutra, in una diversità sociale e culturale,
rispetto ai ruoli. Infatti, il sesso biologico influenzerà immediatamente
l’ambiente fisico e sociale del neonato, persino prima della nascita (Al-Akour,
2009; McCarthy & Arnold, 2011) indirizzando i genitori a stili educativi
conformi alle caratteristiche tipiche della categoria del bambino, fino ad
integrare aspetti di genere e ruolo.
Dalla nascita fino alla pubertà, in famiglia, all’asilo e nelle scuole
l’autorità è prettamente femminile, indicando un sistema matriarcale in cui i
bambini, sia maschi che femmine, imparano a identificarsi attraverso il
linguaggio e le regole soprattutto femminili. Nei primi sei mesi di vita dopo la
nascita, il bambino e la madre instaurano un rapporto duale in cui il neonato è
in una fase di dipendenza assoluta dalla figura di accudimento. Verso la metà
del primo anno di vita, secondo Stoller (1968), il bambino prende coscienza
che è differente dalla madre prima ancora di “scoprire” le differenze sessuali
(identità nucleare). Questo porta il bambino ad iniziare ad avere una forte
angoscia di separazione dal suo agente di cure, a cui deve imparare a far fronte
con alcuni meccanismi di adattamento. Il bambino maschio per evolvere
pienamente in un’identità maschile, deve “disidentificarsi” dalla figura della
madre mentre la bambina, non trovandosi in una situazione simile in quanto
fisicamente simile alla madre, continuerà a identificarsi con lei (ibidem).
Dovendo il bambino passare attraverso la femminilità per raggiungere la
mascolinità, si troverà ad avere un’identità di genere più vulnerabile rispetto a
quella della bambina che, attraverso l’identificazione con la madre, acquisirà
maggiore sicurezza interiore. In questo momento il ruolo del padre assumerà