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Introduzione
La caduta del Muro di Berlino e la disgregazione dell’Unione Sovietica ha cambiato
la situazione geopolitica dell’Europa dell’Est avviando un periodo di transizione
politica dove il monopartitismo, tipica del periodo comunista lascia il posto al
multipartitismo e ad un nuovo impianto della democrazia tipica dell’occidente.
Cambia il modo di pensare anche l’economia: da un’economia pianificata si passa
ad un’economia di stampo occidentale dove il mercato comincia ad assumere un
ruolo importante.
Il cambiamento non ha coinvolto solamente gli stati che componevano l’Unione
delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ma anche una regione che dal punto di vista
strategico è stata storicamente appetibile per le grandi potenze: la Penisola
Balcanica. All’interno di questa regione hanno sempre convissuto tradizioni, etnie
e religioni diverse che in molti casi sono state anche causa di guerre e di conflitti
spesso violenti; una regione la cui situazione storica e politica è sempre stata
difficile da gestire.
L’esempio di come spesso la comunità internazionale si sia trovata davanti alla
difficoltà di riportare la situazione alla normalità ci è stata data soprattutto quando
la Repubblica Federale della Jugoslavia comincia a disgregarsi con la separazione
della Slovenia (23 dicembre 1990) e della Croazia (25 giugno 1991) prima, con le
guerre in Bosnia Herzegovina (1992-1995) e Kosovo (1996-1999) poi, dando così
inizio ad un nuovo periodo di guerre che ha coinvolto le etnie presenti nel territorio.
L’argomento di questa tesi è il Kosovo, un territorio da sempre rivendicato dalla
Serbia in virtù dell’importante battaglia combattuta contro i turchi in Kosovo Polje
nel 1389 che decreta la nascita dell’identità serba; dall’Albania perché culla della
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cultura albanese. Un territorio che per secoli ha rivendicato una propria autonomia
e libertà dal giogo del nazionalismo serbo le cui vicende sono state una delle pagine
storiche più atroci, seconda solamente alla Seconda Guerra Mondiale, che l’Europa
e il mondo abbiano mai conosciuto.
I motivi che mi hanno portato ad affrontare la crisi del Kosovo e i suoi sviluppi
successivi è perché questo argomento presenta un caso che ancora oggi ha una
rilevanza internazionale non di poco conto. Inoltre, ho scelto questo tema anche per
la mia provenienza, per gli usi, i costumi e la lingua che accomuna la mia
provenienza d’origine, l’Albania, con il Kosovo. Il viaggio fatto in Kosovo nel
2016 insieme all’Associazione Trentino con i Balcani e i personaggi politici (e non)
che abbiamo avuto modo di incontrare, ha aggiunto una dimensione maggiormente
empirica alla mia ricerca.
Il lavoro si è avvalso di libri, articoli e fonti ufficiali dell’ONU, dell’Unione
Europea e delle più importanti organizzazioni internazionali che hanno giocato un
ruolo fondamentale all’interno del territorio kosovaro. L’estensione della
bibliografia è dovuta al fatto che in molti casi gli autori peccavano di oggettività e
di conseguenza, il mio lavoro ha cercato di trarre giovamento da quanta letteratura
possibile depurandola dagli elementi di parzialità.
La suddivisione dei capitoli segue una linea temporale ben definita. Nel primo
capitolo infatti, verrà proposto un excursus storico della situazione politica del
Kosovo a partire dalla Battaglia di Kosovo Polje del 1389 fino ad arrivare al periodo
di tensione creatosi negli anni ’90 del secolo passato: gli anni delle politiche
nazionaliste di Milosevic e la comparsa del braccio armato albanese dell’UCK.
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Nel secondo capitolo verrà analizzato il periodo nel quale, ha inizio l’intervento da
parte della comunità internazionale e l’attacco dei 79 giorni da parte della NATO
(24 marzo- 10 giugno 1999), fino alla dichiarazione d’indipendenza del Kosovo del
17 febbraio 2008.
Nel terzo e ultimo capitolo, verrà analizzata la situazione e l’evoluzione delle
istituzioni del Kosovo all’arrivo della missione europea EULEX, il cui obiettivo
sarà quello di portare il Kosovo ad una piena indipendenza la cui prospettiva futura
dovrebbe essere quella dell’integrazione europea.
Attraverso questi tre capitoli, si cercherà di capire quali siano le problematiche che
affliggono ancora il territorio e se le istituzioni politiche e giudiziarie kosovare
abbiano la possibilità di essere considerate indipendenti e capaci di andare incontro
alle esigenze che la popolazione kosovara, nella sua interezza, richiede. Ma, la
domanda principale su cui questo lavoro si concentra, riguarda la possibilità o meno
di vedere questo paese all’interno dell’Unione Europea.
Tutta questo, non dimentichiamocelo, è posto in una situazione storica come quella
attuale in cui gli stati sono nella direzione di futura integrazione europea degli stati
della Penisola Balcanica, Kosovo compreso.
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Capitolo 1°. Il Kosovo tra storia e mito
Introduzione ai Balcani
La storia tradizionale aveva già le sue formule bell’e fatte. I Balcani “ponte” o
“crocevia” fra Europa e Asia, “macedonia” o “melting pot” di popoli, “polveriera” o
“campo chiuso” dell’Europa?
1
La Penisola balcanica, zona di transizione in età preistorica tra Oriente e Occidente,
priva di unità etnica, teatro di dissidi politici e religiosi
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e piena di contrasti e di
montagne mai insormontabili, offre a coloro che vengono a visitare questi luoghi
paesaggi aspri e violenti. Punto di congiunzione tra Europa e Asia che, data la
particolare posizione della penisola, ha fatto sì che ci fosse l’ingresso di popolazioni
dalla steppa euroasiatica creando una cosiddetta “fluttuazione euroasiatica”,
caratterizzata dalla confluenza e dalla fusione di elementi provenienti dalla cultura
occidentale e da quella bizantina, europea, orientale.
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Un mosaico di culture di così
grandi dimensioni si confonde ancor di più se si considerano non solo la
provenienza delle varie etnie, ma anche la religione: come c’è contrasto fra gruppi
etnolinguistici e stati, ve n’è fra queste componenti e la confessione religiosa.
Successioni di migrazioni, spostamenti forzati o spontanei hanno prodotto nel corso
dei secoli l’intrecciata cartina della nazionalità e la variopinta mescolanza etnica
che caratterizzano l’Europa sudorientale, e tutto ciò ha fatto sì che gruppi di popoli
tra i più disparati condividano uno spazio che, per quanto possa sembrare ampio, si
1
Castellan G., Storia dei Balcani. XIV-XX Secolo, ARGO, Lecce 2004, p.17.
2
Definizione della Penisola Balcanica, Enciclopedia Treccani
http://www.treccani.it/enciclopedia/penisola-balcanica/
3
Hosch E., Storia dei Balcani, Il Mulino, Bologna 2006, p.22.
9
è rilevato troppo stretto e scomodo per le diverse etnie presenti in questo territorio.
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A causa della sua posizione strategica, la penisola balcanica è stata sempre soggetta
ad aggressioni esterne da parte di invasori e conquistatori ed esposta all’influenza
di culture straniere
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facendola diventare spesso teatro d’azione dove poter svolgere
la trama dei propri giochi politici, economici e culturali.
Nel 395, l’imperatore Teodosio divise l’impero romano fra i suoi due figli: il
confine tra Oriente e Occidente andava da Sirmium (Sremski Karlovci, sul
Danubio) alle Bocche di Cattaro, riconoscendo a Costantinopoli tutta la penisola
balcanica, ma lasciando a Roma la Dalmazia illirica. Dalla divisione dell’impero
romano il centralismo di Roma e la persistente ellenizzazione dei vertici della chiesa
ortodossa limitarono la possibilità che potessero nascere chiese nazionali ma, allo
stesso tempo, da tutto ciò nacquero anche i presupposti per una politicizzazione
della questione religiosa che ha portato ad una netta frattura tra queste due chiese;
frattura che tutt’oggi si può osservare.
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Con l’avvento dell’impero ottomano, avvenuta nel 1299, ci fu un contatto tra
musulmani e cristiani che non fu una semplice conseguenza dell’invasione turca ma
il continuo relazionarsi tra i due gruppi favorito da secoli di interazione e da una
collaborazione spesso molto stretta; infatti soldati turchi combatterono negli eserciti
cristiani durante l’epoca bizantina così come, dopo la venuta dei turchi molti
cristiani presero parte alle campagne di conquista della Sublime Porta in Anatolia
ed in Medio Oriente. La collaborazione tra conquistati e conquistatori non si limitò
alla sfera religiosa. Molti cristiani si convertirono all’Islam e fecero carriera
4
Ibidem, p. 21.
5
Ibidem, p.14.
6
Ibidem, p.24.
10
nell’amministrazione ottomana. Questa élite imperiale di governo era ammirata in
tutta Europa per il suo carattere meritocratico. Difatti molti osservatori notarono
che i più alti ufficiali provenivano spesso da famiglie di umile origine; ciò era dato
dal fatto che, a differenza dell’Europa occidentale o settentrionale, non esisteva tra
gli ottomani un concetto paragonabile a ciò che chiamiamo “nobiltà di sangue”.
I Balcani, nonostante il dominio turco, mantennero il proprio carattere cristiano e il
loro idioma non turco, a differenza dei domini in Anatolia dove il turco e l’Islam
prevaricarono le tradizioni di origine persiana e selgiuchide. Le ragioni per le quali
queste aree non divennero terre islamiche furono essenzialmente due: in primo
luogo gli stessi sultani non erano interessati che ciò avvenisse perché i cristiani
pagavano tasse più alte e la conversione di massa avrebbe impoverito l’impero; in
secondo luogo, considerando anche fattori meno materiali, il Corano stesso vietava
la conversione forzata degli infedeli e di conseguenza non esercitava tra i popoli
islamici quell’impulso alla diffusione “vera fede” che è stata motore di molte
conquiste, e tragedie, degli stati cristiani.
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Con l’avvento del nazionalismo, anche i rapporti interreligiosi vennero
profondamente influenzati: la rivoluzione francese segnò il momento in cui divenne
chiaro che la liberazione dalla dominazione turca poteva giungere
dall’emancipazione stessa delle masse; le vittorie napoleoniche in Egitto
mostrarono la crisi dell’Impero a livello politico e permisero una radicalizzazione
nel pensiero degli intellettuali cristiani in tutti i Balcani. L’emergere degli stati
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Mario A., Le parole e le storie per una storia culturale dei Balcani occidentali
https://www.academia.edu/982860/Le_parole_e_le_storie_per_una_storia_culturale_dei_Balca
ni_occidentali, p.23; Franzinetti Guido, “I Balcani:1878-2001”, Carocci Editore, Roma 2001, pp. 11-
13.
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nazione balcanici dopo il 1830 fece sì che il potere del Patriarca dei Romani (capo
della chiesa di Costantinopoli) diminuisse ulteriormente perché i popoli del sud-est
europeo non potevano tollerare che la suprema autorità religiosa rimanesse nelle
mani di un ufficiale di governo ottomano; oltre a ciò il nazionalismo non poteva,
nella sua diffusione alle masse, essere posto in concorrenza con la religione come
principale fonte legittima di appartenenza: la più potente, ricca e influente
istituzione dell’Impero ottomano fu sostanzialmente distrutta dalla nascita degli
stati nazione, per quanto essi si professassero comunque cristiani ed ortodossi.