4
OBIETTIVO DELLA TESI/ABSTARCT
Questo elaborato di prefigge di analizzare il fenomeno della startup innovativa a
vocazione sociale (SIAVS) quale strumento per avviare attività imprenditoriali ad impatto
sociale. Il vuoto lasciato dalla crisi del Welfare State ha sollecitato iniziative che hanno
coinvolto sia i cittadini che il legislatore. Iniziativa privata e interventi normativi a partire
dagli anni ’80 hanno proposto soluzioni diverse e hanno dato il via ad un processo di
rinnovamento sociale tutt’oggi in corso. L’elaborato dopo una breve analisi delle
soluzioni che si sono susseguite nel tempo, si concentrerà sulla SIAVS. Questa realtà
imprenditoriale gode di una molteplicità di agevolazioni e la sua mission è creare impatti
sociali positivi. Verranno quindi richiamati alcuni strumenti e modelli di riferimento
adatti a comprendere come un’attività imprenditoriale nel Terzo Settore, possa creare
valore sociale e come questo valore possa essere quantificato. Infine verrà riportato un
esempio concreto di SIAVS recentemente costituita nel territorio genovese.
This work deals with the phenomenon of innovative social startup (SIAVS) as tool for
starting entrepreneurial activity with social impact. The Welfare State's crisis encouraged
initiatives that involved both the citizens and legislator. Starting from the 80s, private
initiative and regulatory intervention have been proposing different solutions. These
began a social renovation process which is still happening nowadays. This work starts
with a brief analisys on the solutions that were proposed during the last decades, followed
by the study about SIAVS. This latter benefits from a variety of facilitations and its aim
is to create positive social impact. This work will then discuss some reference models for
understanding the way an entrepreneurial activity in Third Sector can create social value
and how this latter can be quantified. Lastly a real example of SIAVS recently founded
in Genoa will be reported.
5
I CAPITOLO: DAL WELFARE STATE ALLE ORGANIZZAZIONI DI TERZO
SETTORE
1.1 Crisi Welfare State
Il termine Welfare State o “Stato del benessere”, designa un sistema socio-politico-
economico in cui la promozione della sicurezza e del benessere sociale ed economico dei
cittadini è assunta dallo Stato, nelle sue articolazioni istituzionali e territoriali, come
propria prerogativa e responsabilità. Il Welfare State, detto anche "Stato sociale", si
contraddistingue per una rilevante presenza pubblica in importanti settori quali la
previdenza e l'assistenza sociale, l'assistenza sanitaria, l'istruzione e l'edilizia popolare; e
tale presenza è legata generalmente a un ruolo attivo dello Stato nella vita economica, sia
a livello legislativo, sia attraverso la pianificazione e la programmazione economica, sia
attraverso imprese pubbliche. Il welfare comprende pertanto il complesso di politiche
pubbliche dirette a migliorare le condizioni di vita dei cittadini.
Secondo il professore Asa Briggs il welfare risponde a tre necessità chiave: garantire un
tenore di vita minimo per tutti i cittadini; provvedere ad aiutare sia individui che famiglie
in caso di eventi naturali ed economici sfavorevoli; rendere accessibili a tutti alcuni
servizi essenziali come l’istruzione e la sanità.
1
L’autore Ian Gough invece fornisce una
definizione più generale in quanto intende il welfare come “l’uso del potere dello Stato
volto a favorire l’adattamento della forza lavoro ai continui cambiamenti del mercato e a
mantenere la popolazione non lavorativa in una società capitalistica”. Sempre secondo
Ian Gough, gli strumenti tipici utilizzati dal welfare per raggiungere gli obiettivi prefissati
sono: corresponsione di denaro, specie nelle fasi non occupazionali del ciclo vitale
(vecchiaia, maternità ecc.) e nelle situazioni di incapacità lavorativa (malattia, invalidità,
disoccupazione ecc.); erogazione di servizi in natura (in particolare istruzione, assistenza
sanitaria, abitazione ecc.); concessione di benefici fiscali (per carichi familiari, l’acquisto
1
The Welfare State in Historical Prospective, Asa Briggs, 1961
6
di un’abitazione ecc.); regolamentazione di alcuni aspetti dell’attività economica (quali
la locazione di abitazioni a famiglie a basso reddito e l’assunzione di persone invalide).
2
Una prima, elementare, forma di Stato sociale o, più esattamente, di Stato assistenziale
viene introdotta nel 1601 in Inghilterra con la promulgazione delle leggi sui poveri (Poor
Law).
3
Queste leggi prevedevano assistenza per i poveri nel caso in cui le famiglie non
fossero in grado di provvedervi in modo tale che riducendo il tasso di povertà, si
riducessero anche i fenomeni negativi connessi come la criminalità. Sempre in
Inghilterra, fu compiuto un ulteriore passo avanti con l'istituzione delle workhouse, case
di lavoro e accoglienza che si proponevano di combattere la disoccupazione e di tenere,
così, basso il costo della manodopera.
La seconda fase si riconduce alla prima rivoluzione industriale ed alla legislazione inglese
del 1834
4
(estesa al continente europeo solo tra il 1885 ed il 1915). Anche in questo caso
le forme assistenziali sono da ritenersi individuali e sono rivolte unicamente agli
appartenenti ad una classe sociale svantaggiata (minori, orfani, poveri ecc.): in questo
contesto nascono le prime “assicurazioni sociali” che garantiscono i lavoratori nei
confronti di incidenti sul lavoro, malattie e vecchiaia; in un primo momento queste sono
su base volontaria, in seguito diventano obbligatorie per tutti i lavoratori. Nel 1883 nasce,
in Germania, l'«assicurazione sociale», introdotta dal cancelliere Otto von Bismarck per
favorire la riduzione della mortalità e degli infortuni nei luoghi di lavoro e per istituire
una prima forma di previdenza sociale.
5
La terza fase inizia nel dopoguerra, precisamente nel 1942 nel Regno Unito, dove la
sicurezza sociale compie un decisivo passo avanti con il cosiddetto Rapporto Beveridge,
stilato dall'economista William Beveridge, che introduce e definisce i concetti di sanità
pubblica e pensione sociale per i cittadini.
6
Tali proposte vengono attuate dal laburista
2
Il benessere oltre il Pil, Ian Gough, James Meadowcroft
3
Act for the Relief of the Poor, Regina Elisabetta, Inghilterra 1601
4
Poor Law Amendament Act, governo Whig, Inghilterra 1834
5
Health Insurance Bill, Germania 1883
6
Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied
Services, Inghilterra 1942
7
Clement Attlee, divenuto Primo ministro nel 1945. La Svezia nel 1948 è il primo paese
ad introdurre la pensione a tutto il popolo fondata sul diritto di nascita. Il Welfare diventa
così universale, rendendo tutti i cittadini portatori di uguali diritti civili e politici per
l’intero ciclo di vita. L’affermazione del neonato Stato sociale con il forte incremento
della spesa pubblica si accompagna ad uno sviluppo esponenziale del PIL.
7
In Italia, a partire dal primo governo di centro-sinistra (1962-1963) si assiste a una forte
crescita di leggi, istituzioni e politiche che configurano un vero e proprio Stato sociale,
che riesce a sostenersi grazie ad un PIL in costante crescita. L'apogeo viene raggiunto alla
fine degli anni ‘70 quando i ritmi di espansione del Welfare State, accompagnati da
pressione fiscale, disavanzi di bilancio e debito pubblico in crescita continua, diventano
incompatibili con un contesto economico non più contraddistinto da forte crescita. Negli
anni ‘80 il Welfare State si consolida, ma i costi per sostenere il sistema non cessano di
aumentare.
8
Nel nostro paese la spesa pubblica totale in rapporto al PIL, è passata da un valore
inferiore al 30% negli anni ‘50 al 36,3% nel 1970, raggiungendo il 48,8% nel 1980 fino
a una punta del 60% verso la metà degli stessi anni ‘80.
9
Questo indicatore dà la misura
dell'impressionante allargamento del settore pubblico. Sul fronte fiscale, l'esigenza di
coprire gli ingenti costi per l'espansione e il mantenimento del Welfare State ha
comportato una continua crescita della pressione tributaria, quindi una diminuzione negli
investimenti e nei consumi privati, con effetti negativi sul fronte occupazionale.
10
L’universalizzazione del welfare (l’estensione, cioè, dei suoi servizi all’intera collettività,
indipendentemente dallo stato di bisogno) ha provocato una massiccia espansione della
7
Trent’anni dopo. Il welfare state europeo tra crisi e trasformazione, Maurizio Ferrara
2007
8
Wwww.storiaxxsecolo.it
9
C. D’Apice, Saggi, 1989
10
Cultura Giuridica e Regole Sociali, Annamaria Ruffino, 2003 Rubbettino editore
8
spesa pubblica che ha messo in pericolo gli equilibri finanziari del sistema, creando
problemi al contenimento dell’inflazione e della disoccupazione.
11
Oggi, il declino del ceto medio europeo coincide con una fase in cui gli Stati non possono
più pensare di utilizzare il prelievo fiscale per creare benessere: da un lato si restringe il
bacino di popolazione a cui attingere, d’altra parte la struttura tradizionale del Welfare
mostra di avere bisogno d’essere innovata. L'evoluzione della struttura demografica di
certo non viene in aiuto delle già difficili condizioni in cui versa il sistema previdenziale,
assistenziale e sanitario, che rappresentano i capitoli di spesa più grevi dello Stato sociale.
In assenza di variazioni nel trend demografico attuale e di flussi migratori positivi, entro
trent'anni la Repubblica Italiana organizzerà una popolazione con età media molto
avanzata, che metterà in forte difficoltà sia il sistema pensionistico che quello sanitario.
12
La riduzione dei ritmi di crescita e negli anni della crisi, il suo annullamento, hanno
portato ad una progressiva riduzione dell'intervento pubblico, aprendo spazi per lo
sviluppo di un “Terzo Settore” attivato da iniziative sociali spontanee. La percezione
dell’inadeguatezza dei sistemi di solidarietà sociale che per molti anni sono stati presidiati
dai grandi stati nazionali e la contemporanea assenza ed impraticabilità di strumenti di
assistenza o solidarietà ha indotto molti, prevalentemente attraverso forme di
volontariato, a perseguire attività che potessero risolvere o per lo meno attenuare le
situazioni di bisogno di altri individui, categorie o gruppi sociali presenti nel tessuto
sociale dei vari paesi occidentali. Ciò ha dato luogo allo spontaneo e copioso proliferare
di organizzazioni di natura originariamente privata che in genere perseguono obiettivi di
solidarietà rivolti sia a bisogni molto particolari, come ad esempio le associazioni per
l’assistenza di persone afflitte da malattie rare, sia per il soddisfacimento di bisogni
primari come fornitura di cibo e medicine. La nascita di moltissime organizzazioni
private, la cui crescita è stata accelerata dall’attenzione prestata degli organi di
informazione, ha presto destato l’attenzione degli ordinamenti giuridici che in primissima
istanza hanno normato e sottoposto gli enti no profit, cioè quelli senza scopo di lucro, a
11
Treccani enciclopedia online
12
La Crisi dello Stato Sociale, Giuseppe Garofalo, Università della Tuscia facoltà
economia
9
regimi fiscali blandi, con ampie esenzioni. In Italia l’assenza del fine di lucro sottintende
che l'organizzazione abbia finalità solidaristiche, che non vi sia distribuzione di utili ai
soci, che anzi qualsiasi utilità prodotta, anche nella forma di beni o servizi, sia destinata
con carattere di esclusività in favore di terzi e che non svolga attività commerciali se non
limitatamente ad azioni meramente strumentali al conseguimento degli scopi sociali.
Lo Stato italiano a seguito della crisi del modello assistenziale, ha inteso favorire
progressivamente l’iniziativa privata in quei settori sociali nei quali l’intervento pubblico
negli anni non è stato più in grado di dare risposte soddisfacenti.
A partire dagli anni ’90 in concomitanza con la crisi dello Stato sociale, in Italia il
legislatore ha fornito strumenti di regolamentazione per diverse organizzazioni no profit,
cioè organizzazioni private che operano senza fini economici con finalità solidaristiche,
che come precedentemente detto erano nate spontaneamente nel territorio nazionale.
Progressivamente vengono quindi emanate leggi atte a regolamentare particolari forme
organizzative fra le quali è opportuno ricordare le organizzazioni di volontariato (leg.
266/1991), le cooperative sociali (leg. 381/1991), le associazioni di promozione sociale
(leg. 383/2000).
I.2 Analisi delle risposte
Le risposte promosse gradualmente dal legislatore hanno come fine quello di creare un
tessuto di organizzazioni che operino efficacemente nel Terzo Settore. Per Terzo Settore
si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di
lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio
di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e
realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o
di mutualità prevalente o di produzione e scambio di beni e servizi
13
. I soggetti
13
definizione dalla legge delega per il 3
o
settore (2016)
10
appartenenti al Terzo Settore possono essere considerati attivi in quelle aeree socio-
economiche precedentemente interamente presidiate dall’intervento statale.
La dottrina ha osservato che il Terzo Settore nasce, in via subordinata e residuale, per
ovviare alle carenze dello Stato, per poi crescere fino a svolgere una funzione
complementare e propulsiva nella definizione delle attività di interesse pubblico,
giungendo a conquistare quote di mercato nei settori di competenza o in quelli connessi
o strumentali
14
. Esso rappresenta un complesso di organizzazioni che producono beni e
servizi di rilevanza pubblica che non operano per massimizzare il loro profitto e sono
quindi fondamentalmente diverse anche dalle imprese che operano nel mercato
15
.
Di seguito definirò ed analizzerò le tre forme organizzative precedentemente citate
affinché possano emergerne le potenzialità ed i limiti e si possa comprendere come le
iniziali risposte del legislatore da un lato diano inizio ad un percorso di cambiamento nel
Terzo Settore, ma dall’altro, come la strada da percorrere, in passato come adesso, sia
ancora molta.
I.2.1 Organizzazioni di volontariato
Dopo anni di proposte e modifiche l’undici Agosto 1991 la Repubblica italiana riconosce
e disciplina il lavoro volontario. L’attività di volontariato è intesa come espressione di
partecipazione, solidarietà e pluralismo, e lo Stato ne promuove lo sviluppo
salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce il conseguimento delle finalità di carattere
sociale, civile e culturale. Per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in
modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro anche indiretto ed
esclusivamente per fini di solidarietà ed è rivolta essenzialmente nei confronti di persone
esterne all’organizzazione. L'attività del volontariato non può essere retribuita in alcun
modo nemmeno dal beneficiario e la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi
forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto
14
Carinci F. (1999), “il non profit. Itinerari giuridico-istituzionali”, Milano
15
Battisti A. M. (2013), “Welfare e no profit in europa. Profili comparativi”, Giappichelli.