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Introduzione
Dopo l’attentato alla redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, il 7 gennaio 2015, in
cui morirono dodici persone, il tema della satira come arma per combattere il fanatismo
dei terroristi del Dāʻiš divenne tragicamente attuale. Mentre il mondo intero esprimeva la
propria solidarietà alle vittime dell’attentato e si univa per sostenere la libertà di stampa,
i media occidentali diedero spazio a vignette di autori arabi che condannavano le azioni
dei terroristi. Il Dāʻiš era diventato oggetto di parodie già a partire dal 2014, ma dopo
l’attacco a Charlie Hebdo, la rete televisiva saudita MBC trasmise una serie, intitolata
Selfie, nella quale il comico Nāṣir al-Qaṣabī (volto noto al pubblico saudita) prendeva in
giro i terroristi dello Stato islamico. Questa tesi si propone di analizzare su quali temi si
concentra la satira del Dāʻiš in Selfie, oltre a tracciarne il contesto sociale e linguistico in
cui la serie è stata realizzata.
La presa in giro può essere un metodo per esprimere la propria frustrazione davanti alle
prevaricazioni di un prepotente o per prendere con filosofia le tante ingiustizie della vita.
Ricorrere all’ironia aiuta anche a venire a patti con le situazioni più disperate e ad
esorcizzare le proprie paure. Specialmente laddove non è permesso esprimere la propria
opinione, la risata diventa un atto liberatorio e, quindi, spesso considerato pericoloso.
Poiché la satira utilizza l’ironia per criticare politica, società e religione essa può anche
essere un indicatore del sentimento di un’intera popolazione riguardo a un avvenimento
o personaggio storico.
È un pregiudizio notoriamente errato quello che dipinge la cultura arabo-musulmana
come ostile all’umorismo e alla satira: manifestazioni di questo genere risalgono fin
dall’età preislamica e ne esistono esempi sia nella letteratura araba classica del VII-IX
secolo sia nella tradizione popolare. In età moderna, il movimento di rinnovamento
culturale e politico noto come nahḍa, che interessò in particolar modo Egitto e Siria, portò
alla fondazione di giornali satirici, che criticavano, attraverso vignette ed editoriali, il
progressivo asservimento dei governi alle potenze coloniali europee. Inoltre, alcuni autori
ripresero forme letterarie tipiche della letteratura classica per descrivere ironicamente il
mondo a loro contemporaneo. In Egitto, l’umorismo restituì un senso di normalità alla
popolazione durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre aiutò a raccogliere consensi
intorno alla figura del presidente Nāṣir (Nasser) negli anni Cinquanta. Nel frattempo, la
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satira approdò al teatro e al cinema, fino alla nascita di numerosi show comici e satirici
televisivi. Successivamente, durante le proteste delle “primavere arabe”, i social network
si popolarono di vignette, battute e video satirici a sostegno delle manifestazioni e,
particolarmente in Siria, ospitarono gli sfoghi liberatori di una popolazione oppressa per
anni dalla dittatura. Anche in un Paese notoriamente autoritario come l’Arabia Saudita
esistono da anni programmi comici e satirici in televisione e su YouTube.
La serie televisiva Selfie è stata prodotta e trasmessa da uno dei canali di punta del colosso
MBC (Middle East Broadcasting Center) e sembra inserirsi nella media delle produzioni
televisive arabe, che puntano sull’adozione di format statunitensi o la realizzazione di
sceneggiati a puntate (chiamati musalsalāt) per ampliare il loro bacino d’utenza al di là
dei confini nazionali di ogni singolo Stato arabo. Inoltre, i programmi d’intrattenimento
della MBC, facente parte dell’impero mediatico della famiglia reale saudita, cercano di
offrire un’immagine dell’Arabia Saudita come di un Paese stabile e moderatamente
aperto, specialmente per rassicurarne gli alleati occidentali.
Selfie è andata in onda negli ultimi due anni durante il mese di ramaḍān, un periodo
cruciale per la programmazione televisiva nel mondo arabo-musulmano, e conta trenta
episodi giornalieri, i cui autori, Nāṣir al-Qaṣabī e Ḫalaf al-Ḥarbī, parodiano vari aspetti
della vita e della cultura araba odierna, dall’estremismo dei religiosi wahhabiti al
popolarissimo cinema di Bollywood, fino al terrorismo del Dāʻiš. Quest’ultimo tema è
trattato in due episodi dai toni decisamente differenti: il primo, intitolato Bayḍat aš-
Šayṭān, è la tragicomica storia di un padre che cerca di convincere il figlio ad abbandonare
lo Stato islamico, mentre il secondo, al-Ḫalīfa, racconta, in chiave satirica, le vicende di
un ridicolo gruppo di terroristi. La satira di Selfie vuole tracciare innanzitutto una linea di
demarcazione fra religione musulmana e fondamentalismo islamico: sono molto
numerose le scene che mostrano i terroristi manipolare e distorcere i precetti religiosi per
giustificare atti di violenza inaudita o nascondere la propria avarizia e ignoranza. Se Selfie
vuole essere, come da titolo, un autoscatto del mondo arabo, esso restituisce l’immagine
di una popolazione attonita quanto indignata davanti alle azioni di terrorismo dello Stato
islamico. È molto interessante che una critica di questo tipo provenga da un programma
prodotto e trasmesso in Arabia Saudita, in cui il potente establishment wahhabita ha
un’enorme influenza in tutto il Paese e la cui ideologia è considerata da molti come
pericolosamente vicina al fondamentalismo del Dāʻiš. Vi è, inoltre, una triste di presa di
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coscienza della fascinazione che la retorica del califfato ha saputo esercitare nel mondo
musulmano, in particolare presso le giovani generazioni. Lo scontro generazionale al
centro di Bayḍat aš-Šayṭān, ad esempio, esprime tutta la preoccupazione di un Paese i cui
giovani sembrano fin troppo ricettivi del messaggio dello Stato islamico, soprattutto a
causa delle scarse prospettive economiche, dell’inesistente vita politica e dell’influenza
della controversa ideologia wahhabita nell’istruzione. Fra i personaggi di Selfie, troviamo
anche una fervente sostenitrice del Dāʻiš, ispirata probabilmente ai membri della brigata
al-Ḫansāʼ, una sorta di polizia religiosa al femminile che opera nei territori occupati in
Siria e in Iraq, mentre altre donne sono catturate e vendute come schiave.
Infine, è sembrato opportuno soffermarsi sulle particolare scelte linguisitiche operate nel
nella messa in scena di Selfie: in generale, si può dire che i personaggi parlino vari livelli
di “arabo mediano”, un fenomeno linguistico notato principalmente nelle comunicazioni
fra parlanti di dialetti geograficamente lontani, in cui la forma dialettale si avvicina
all’arabo classico, lingua scritta propria della religione, letteratura e ambienti ufficiali.
Questo “arabo mediano” si sta diffondendo sempre di più grazie alla televisione e ai social
network, in cui forme tipiche dell’oralità sono trasposte in forma scritta. La volontà di
adoperare l’“arabo mediano” è dettata, innanzitutto, dal bisogno di farsi comprendere da
un pubblico di parlanti molto vasto, che si estende al di là dei confini nazionali di ogni
singolo Stato arabo, secondo le intenzione dei principali canali satellitari. Nelle scene di
Selfie, inoltre, le scelte linguistiche nella scrittura dei dialoghi aiutano a dare un senso di
autenticità a personaggi di diverse nazionalità, ma, soprattutto, costituiscono degli
elementi fondamentali per la costruzione dell’effetto comico e della ridicolizzazione del
Dāʻiš.
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Capitolo I
Quando pensiamo al termine “satira”, le possibili associazioni di idee che possono
occorrere nella nostra mente sono incredibilmente varie: qualcuno pensa a Giovenale e
Varrone, qualcuno pensa alle vignette in prima pagina di un quotidiano, qualcuno al
monologo di un comico, qualcuno a una pagina su un social network. La satira è
estremamente difficile da definire perché essa si è presentata in diverse culture e in
diverse epoche in un’enorme varietà di forme: nel folklore, nella letteratura e nell’arte,
ma anche in media più moderni come stampa, cinema, TV, e, più recentemente, Internet
2
.
Gli studiosi sembrano concordare sul fatto che la satira nasca dal bisogno di esprimere la
propria personale indignazione, specialmente nei confronti di situazioni di ingiustizia che
fanno sentire inermi. Questo senso di impotenza e disillusione, è probabilmente
all’origine di una serie di carnevali tradizionali, celebrazioni e festival diffusi in tutto il
mondo in cui gli scambi satirici o l’inversione comica dei ruoli (si pensi ai saturnalia
dell’Antica Roma) avevano come scopo di stemperare le tensioni sociali attraverso il
riso
3
.
Nella tradizione letteraria di origine latina, tuttavia, l’autore di satira non è più spinto
solamente da un suo personale malcontento, ma da un vero e proprio obbligo morale,
ossia additare le falle della società e della politica nell’interesse del bene comune
4
. La
satira oraziana, in particolare, si pone l’obiettivo di spronare al miglioramento l’intera
comunità, attraverso un’opera che sappia essere divertente e autoironica
5
.
Essendo sostanzialmente un artista, l’autore di satira utilizza una serie di illusioni e
distorsioni per additare i difetti di una persona, un gruppo di persone o dell’intera società.
Allo stesso tempo, al pubblico viene richiesto di “stare al gioco” e di partecipare
attivamente con il proprio intelletto e gusto, per completare il messaggio a cui spesso
l’autore semplicemente allude
6
. Affinché la satira abbia l’effetto desiderato, deve anche
esistere una serie di riferimenti comuni fra il lettore e l’autore, motivo per cui è
2
Test 1991, p. 8.
3
Test 1991, p.9.
4
Quintero 2007, p.1.
5
Pasquini 2012, p.14.
6
Ibid.
10
particolarmente difficile comprendere un testo di satira senza conoscerne il contesto
storico, sociale e geografico
7
.
Vignette e testi satirici possono anche costituire una preziosa fonte storica, per
comprendere le reazioni, anche emotive, a un dato avvenimento. Pasquini, infatti, sostiene
che la satira, aldilà della sua qualità morale, abbia una forte componente emozionale,
poiché provoca nel lettore divertimento, ma anche indignazione
8
, che dovrebbero portare,
idealmente, a una riflessione sul perché determinati atteggiamenti o situazioni siano
dannosi per se stesso e per la comunità. Se si considera, ad esempio, un giornale satirico,
il suo numero di lettori e la loro estrazione sociale, possono dare idea di quello che fosse
il sentire comune di un determinato gruppo di persone in un dato periodo storico. Tuttavia,
anche una critica o una polemica sollevata da una vignetta o da un pezzo satirico possono
essere una fonte interessante, che differenzia le emozioni dell’autore e quelle del
pubblico
9
.
Umorismo e satira nella letteratura araba: cenni storici
Anche nella cultura arabo-musulmana la satira ha preso nel corso della storia varie forme,
alcune più popolari e folkloristiche, altre più marcatamente letterarie.
Il termine “satira” in arabo può essere tradotto con naqd sāḫir (letteralmente “critica
ironica”) oppure con haǧū o hiǧā’. Quest’ultimo è particolarmente interessante, poiché
fu utilizzato già in epoca classica da Mattā b. Yūnus (m. 940) per tradurre la parola greca
κωμῳδία, ossia “commedia”. In realtà, l’hiǧā’ nasce durante l’età preislamica come
invettiva in versi, il cui bersaglio erano gli appartenenti delle tribù rivali
10
. Autori di
questo tipo particolare di poesia, erano delle figure specifiche all’interno delle tribù. Con
l’avvento dell’islam, mentre delle battaglie sanguinose si consumavano fra Musulmani e
politeisti, iniziò anche una vera e propria guerra verbale attraverso l’utilizzo dell’hiǧā’
fra poeti che si dedicavano a inveire contro l’uno o l’altro schieramento. L’hiǧā’ continuò
ad essere utilizzato in ambienti militari durante le guerre di conquista che estesero i
7
Quintero 2007, p. 10.
8
Pasquini 2012, p.3.
9
Pasquini 2012, p.9.
10
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2
, sub vocem Hid ̲ j
̲ āʾ.
11
confini della ’umma islamica e presso le corti dei governanti da poeti ingaggiati
specificatamente per difendere l’onore e attaccare i nemici dei loro mecenati.
In epoca classica, tuttavia, la satira nella letteratura araba si avvicinò decisamente di più
al genere greco-latino che utilizzava l’umorismo per riflettere e far riflettere su politica,
società e religione. Esempi di ciò sono il famoso Libro degli avari (Kitāb al-Buḫalā’) di
al-Ǧāḥiz (m. 868), che, come altre opere dell’epoca, prendeva in giro una particolare
categoria di persone, e il Libro di Kalila e Dimna (Kitāb Kalīla wa-Dimna) di Ibn al-
Muqaffā’ (m.757), nel quale gli animali incarnano vizi, debolezze e arguzie di specifici
tipi umani
11
. Similmente, la cultura popolare dell’epoca produce una ricchissima satira
proverbiale, già presente in età preislamica e che non fa distinzioni di etnia, religione o
sesso: queste perle di arguzia e saggezza popolare si diffusero oralmente in un territorio
vastissimo e la loro origine è spesso incerta, se non impossibile da tracciare
12
.
Ugualmente famoso nella letteratura popolare è il personaggio di Ǧūḥā (reso in grafia
latina anche come Joha o Djoha), i cui aneddoti si possono trovare in tutto il Mediterraneo,
anche al di fuori del mondo strettamente arabo-musulmano. Ǧūḥā, spesso assimilato a
Naṣr ad-Dīn o Nasreddin di tradizione turca e persiana, assume di volta in volta
caratteristiche diverse: ingenuo e ignorante in alcune storie, sagace e svelto in altre.
L’incoerenza insita in questo personaggio può essere innanzitutto dovuta alle
innumerevoli alterazioni che i suoi aneddoti devono aver subito nel corso della loro
trasmissione prettamente orale. Alcuni studiosi preferiscono pensare tuttavia che Ǧūḥā
non sia un semplice sciocco, ma piuttosto un uomo saggio, che, in un ambiente
sfavorevole, si finge tale per sfuggire da situazioni difficili. Gli antagonisti di Ǧūḥā,
infatti, sono spesso uomini più potenti o ricchi di lui e dai quali non si può difendere: egli
decide dunque di fare la parte dello stolto perché sa di non avere altra scelta
13
. Nel XX
secolo, uno dei più famosi aneddoti di Ǧūḥā, in cui lui e suo padre si scambiavano
continuamente di posto a dorso di un asino per accontentare le opinioni dei passanti, ispirò
il drammaturgo Tawfīq al-Ḥakīm (1898-1987) per scrivere Il Mercato degli asini (Sūq
11
Branca 2011, p.11 e 23.
12
De Poli 2011, p. 36.
13
Déjeux 1995, p. 44.