Premessa
In effetti da un po’ di tempo a questa parte ho la tentazione di aprire una scuola di cinema. Ma
qualora ne aprissi una, ti sarebbe concesso compilare il modulo di iscrizione solo nel caso in
cui tu avessi viaggiato da solo a piedi, diciamo da Madrid a Kiev, coprendo una distanza di
cinquemila chilometri. Mentre cammini dovresti scrivere delle tue esperienze e poi dovresti
darmi i tuoi taccuini. Sarei in grado di capire chi ha veramente percorso a piedi la distanza e
chi no. Viaggiando a piedi avresti la possibilità di imparare molto di più sul fare cinema che
stando chiuso in una classe. Durante il viaggio potresti capire cosa ti riserva il tuo futuro
meglio che nel corso di cinque anni in una scuola di cinema. La tua esperienza sarebbe proprio
l’opposto di una conoscenza accademica, perché l’accademia è la morte del cinema. È l’esatto
contrario della passione. […] La mia scuola consentirebbe a dei giovani che vogliono
cimentarsi nella regia di fare esperienza di un certo clima di eccitazione interiore. Questo, e
nient’altro, è ciò che crea il film
1
.
In questo modo, Werner Herzog parla delle scuole di cinema. Idee condivisibili o meno, ma
senza dubbio il punto di vista è affascinante. Ciò a cui si riferisce il regista va letto in
riferimento ad esperienze di vita: Herzog, nella lunga intervista rilasciata a Paul Cronin, che
prende il titolo di Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita, dice che, in
passato, ha solamente “letto sull’enciclopedia la quindicina di pagine relative alla
realizzazione dei film”
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e da questo ha appreso tutto il necessario per iniziare la sua carriera.
Inoltre, invita all’atto artistico pulito dalle strutture che costruiamo durante un percorso di
studi. Anche se il regista ha ceduto alla tentazione di insegnare a giovani cineasti, lo ha fatto
comunque a modo suo. I suoi seminari, che vanno sotto il nome di Rogue Film School, non
sono per deboli di cuore ma per quelli che hanno un fuoco dentro e che hanno un sogno
3
.
Per quanto mi concerne, mi sento di utilizzare la stessa argomentazione riguardo lo studio
stesso del cinema e non solo in riferimento alla sua creazione. Lo studio del cinema, senza
dubbio, ci arricchisce enormemente e riesce a farci apprezzare cose che, probabilmente, uno
spettatore “nella media” non riuscirebbe a cogliere o comprendere. Uno studioso o solamente
un appassionato di cinema, però, si “trasforma” senza rendersene conto. Cambia il proprio
modo di vedere e percepire i film a causa di una saturazione dello sguardo derivante
dall’intreccio delle nostre esperienze e, maggiormente, dei nostri studi. Cristopher Vogler con
1
Werner Herzog, Paul Cronin (a cura di), Francesco Cattaneo (ed. italiana a cura di), Incontri alla fine del
mondo. Conversazioni tra cinema e vita, Roma, Minimum Fax, 2009, pp. 32-33.
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Ivi, p. 31.
3
L’informazione è tratta dal sito ufficiale di Werner Herzog. http://www.wernerherzog.com/index.php?id=38,
visionato il 5 febbraio 2014.
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il suo Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema
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ci
aiuta a comprendere che le storie che vediamo ci affascinano e diventano parte di noi per un
motivo ben preciso e, al tempo stesso, alquanto oscuro. Il continuo gioco di immedesimazione
dello spettatore è favorito dalla geniale rete secondo la quale, da una parte l’eroe è l’insieme
dei cosiddetti personaggi-archetipi corrispondenti alle sfaccettature diverse della personalità,
dall’altra l’“eroe-spettatore” si trova ad affrontare un viaggio con un percorso riconoscibile,
con tappe, con climax ascendenti e discendenti, con ritorni e abbandoni che lo spettatore, in
quanto essere umano, affronta quotidianamente. Tutto questo contribuisce enormemente al
successo cinematografico, ma non è certo un’invenzione degli ultimi cento anni. Il film è in
primis racconto. Il mito e la sua struttura sono la chiave di lettura del cinema che permette
allo studioso di comprendere un po’ più a fondo il significato del testo. Per approcciarsi al
materiale filmico in questi termini sono convinto che sia necessario, citando la professoressa
Loretta Guerrini, “igienizzare il nostro sguardo”. L’operazione non è sempre semplice e non è
neanche sempre possibile. Per cui, abbandonare la pesantezza teorica e lasciarci guidare dalla
passione può essere utile per una maggiore comprensione del testo filmico. La distinzione,
comunque, non può e non deve essere così netta. La difficoltà varia a seconda di che cosa si
voglia discutere in campo cinematografico. Il racconto su pellicola, inoltre, si arricchisce con
il contributo di altri studi come filosofia, psicologia, antropologia, sociologia, geografia,
musica e arte. È a questo punto che s’inserisce il mio oggetto di studio in questa tesi, ovvero
l’ambientazione filmica. L’ambientazione, da non confondere con lo spazio cinematografico,
è qualcosa di più profondo che conferisce una sorta di aura magica a chi o cosa si trova
davanti alla cinepresa. Da questa riflessione sorge la domanda alla quale non si può dare una
risposta, in quanto non ne esiste probabilmente una soltanto: in che modo l’ambientazione
diventa emanazione dell’eroe conferendogli una forza sempre maggiore? E in che modo
l’ambientazione diventa la vera protagonista del racconto? Proseguendo in questi termini mi
sono chiesto chi per me rappresentasse il “regista dell’ambientazione”. Un regista cioè che,
attraverso un particolare modo di approcciarsi con la cinepresa alla realtà, riuscisse a conferire
all’oggetto di ripresa un valore maggiore servendosi dell’ambientazione. Nonostante non parli
mai di ambientazione, e si ritenga ossessionato dallo spazio, il già citato Werner Herzog mi ha
sempre affascinato per il rapporto che costruisce e che permette di costruire a noi spettatori,
con il paesaggio. Il regista riporta nei suoi film immagini di ambienti che spesso ci sembrano
visti per la prima volta, ambientazioni che diventano estensioni dell’essere dell’eroe, dei suoi
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Christopher Vogler, Il viaggio dell’eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema,
Roma, Dino Audino editore, 2012.
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racconti e di Herzog stesso, paesaggi che diventano protagonisti indiscussi di sue alcune
pellicole.
L’ambientazione è un oggetto di studio complesso a causa della sua forte componente
soggettiva che è insita nella sua rappresentazione e nel suo studio. È difficile intrattenere un
discorso sull’ambientazione, in astratto, nel cinema e proprio per questo persone che si
cimentano in questo campo e affini si servono di esempi particolari. Sara Iommi nel testo
Appunti per un’analisi dell’ambientazione nel film riporta esempi per lei significativi. Scene o
film nella loro interezza scelti grazie ad un valore affettivo che essi rappresentano:
Si procederà all’analisi puntuale di alcuni testi filmici selezionati in base alla memoria affettiva
di chi scrive, ma significativi quali campioni rappresentativi di ogni sottotema tramite il quale è
stato organizzato il lavoro
5
.
Allo stesso modo ho scelto di trattare il tema dell’ambientazione in Werner Herzog con
particolare attenzione rivolta agli anni ritenuti “d’oro” per il regista ovvero gli anni Settanta,
non perché siano significativi per la storia del cinema, in particolare tedesco, ma perché
significativi per i miei studi e per la mia vita. Dopo una trattazione generale
6
riguardante la
“vita cinematografica” del regista di Monaco e il suo approccio al “fare cinema”, analizzerò
brevemente il lavoro di Sara Iommi nel suo libro appena citato e il rapporto tra Herzog,
ambientazione e spazio
7
, con particolare riferimento a due delle otto Lezioni di cinema
8
tenute
a Vienna nel 1991
9
. Infine, nel terzo capitolo, prenderò in esame film ai quali sono molto
affezionato e che, parlando di ambientazione, ritengo i più emblematici: Fata Morgana
10
,
Apocalisse nel deserto
11
, L’ignoto spazio profondo
12
, Aguirre, furore di Dio
13
e Cuore di
vetro
14
.
5
Sara Iommi, Appunti per un'analisi dell'ambientazione nel film, Roma, Vecchiarelli editore, 2012, p. 21.
6
Cfr. cap. 1.
7
Cfr. cap. 2, parr. 2.1., 2.2.
8
Lezioni di cinema (Filmstunde, Werner Herzog, 1991).
9
Cfr. cap. 2, parr. 2.3., 2.4.
10
Fata Morgana (id., Werner Herzog, 1970).
11
Apocalisse nel deserto (Lektionen in Finsternis, Werner Herzog, 1992).
12
L’ignoto spazio profondo (The wild blue yonder, Werner Herzog, 2005).
13
Aguirre, furore di Dio (Aguirre, der zorn Gottes, Werner Herzog, 1972).
14
Cuore di Vetro (Herz aus glass, Werner Herzog, 1976).
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CAPITOLO PRIMO
1.1.Un regista “differente”
L’impressione che si ha quando si leggono testi che riguardano la vita di Werner Herzog è
quella che si tenti, ogni volta, di chiarire una figura che, da una parte, si mostra come un “eroe
viaggiatore”, un uomo saggio e furbo dalla capacità strabiliante di ambientarsi nei luoghi più
inospitali della terra tanto da riuscire a farci dei film, mentre dall’altra, cerca di nascondere il
tiranno che veramente è, un mostro approfittatore di donne sordo-cieche, uomini abbandonati,
pazzi, uccisore di indigeni. Ciò che si sa per certo è che Herzog - in realtà il suo cognome è
Stipetić
15
- è nato nel 1942 a Monaco di Baviera, e come regista è decisamente precoce. In
Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita una delle prime affermazioni
che dichiara il cineasta è “dal momento in cui ho cominciato a pensare in modo autonomo ho
capito che avrei girato film”
16
. Inizia a realizzarli in età molto giovane, arrivando a quota
cinquantasette tra corto, medio e lungometraggi
17
. Sin dai primi passi sembra manifestare una
certa volontà nel distacco dal cinema che caratterizza la Germania del secondo dopoguerra.
La produzione della Germania occidentale del tempo, infatti, sta soffrendo artisticamente
mentre tende verso film dal sicuro successo al botteghino. Gli studiosi Giovanni Spagnoletti e
Alessandro Izzi scrivono di un “[…] momento d’oro, economicamente parlando, […] [che]
verrà a coincidere con il suo punto più basso sia da un punto di vista progettuale che
artistico”
18
. L’abbandono del cinema conservatore, determinato da una dura legge di mercato,
rende il cineasta tedesco un esempio singolare della ribellione che di lì a breve si sarebbe
manifestata in tutta la Germania federale. Gruppi di registi negli anni Sessanta si unirono in
movimenti nel tentativo di stravolgere il mondo del cinema, gettando le basi per quello che è
stato definito il Nuovo Cinema Tedesco. Tutto ha inizio quando viene presentato, durante
l’VIII Festival del Cortometraggio di Oberhausen, un manifesto sottoscritto da ventisei
cineasti, che, in sostanza, condanna il vecchio cinema in favore di una sua rinascita. Tra i
ventisei firmatari del cosiddetto Manifesto di Oberhausen non compare Werner Herzog.
Infatti egli non palesa mai l’intenzione di unirsi a questa corrente o a simili. Il movimento,
insieme ad altre linee di pensiero, come quella dei sensibilisti
19
, concorre a creare il Giovane
15
W. Herzog, P. Cronin (a cura di), F. Cattaneo (ed. italiana a cura di), op. cit., p. 24.
16
Ivi, p. 15.
17
L’informazione tratta dal sito ufficiale di Werner Herzog. http://www.wernerherzog.com/home.html, visionato
il 20 novembre 2013.
18
Alessandro Izzi, Giovanni Spagnoletti, Nuovo cinema tedesco. Da Herzog a Wenders, da Fassbinder a Kluge,
analizzati, fotogrammi alla mano, nei loro procedimenti tecnico-formali, Roma, Dino Audino editore, 2009, p. 7.
19
I sensibilisti sono un gruppo di cineasti seguace dei critici-autori dei Cahiers du Cinéma. Cfr. Ivi, p. 11 e p. 16.
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