4
in avanti la propria esistenza tra scrittura, viaggi e attivismo
politico.
L'attività di filosofo poligrafo del Gorani mette in evidenza
quei caratteri di agilità ed eclettismo del pensiero che uniti
all'assillo morale di operare una piena emancipazione dai pregiudizi
della tradizione culturale precedente costituiscono l'architrave della
psicologia dell'intellettuale illuminista.
Egli tentò a più riprese di trasfondere nei suoi scritti spunti di
confronto ideologico che suonassero inediti e assai avanzati per il
pubblico letterario italiano suo contemporaneo, eppure l'ansia di
dimostrare a sé stesso e al mondo delle lettere la validità del proprio
incessante aggiornamento intellettuale – volutamente condotto sui
capolavori più avanzati e discussi della philosophie
1
– rasentò a
tratti l'inconseguenza e l'oscillazione dottrinale, e la versatile
erudizione non fu sempre filtrata e stabilizzata da una lenta e
ponderata meditazione interiore.
La perspicacia mostrata dal Gorani nell'individuare e
assimilare con tempestività le proposte politiche più aperte e
creative circolanti per l'Europa nell'ultimo ventennio del Settecento
(dispotismo illuminato, fisiocrazia e poi repubblicanesimo e
costituzionalismo) è innegabile, ma a giudizio unanime della critica
questa spiccata sensibilità per l’innovazione ideologica non fu
supportata da una adeguata abilità nel formulare uno schema
interpretativo della politica del suo tempo completamente
autonomo, capace di riassumere e di portare a compimento in modo
realistico e performativo tutta una vita di buone letture e propizie
frequentazioni.
Già un recensore settecentesco presenta Giuseppe Gorani
come un giovane che <<ne' suoi viaggi per l'Europa si è affaticato
troppo di spogliarsi dei pregiudizi>> e introduce al pubblico
5
italiano l'opera prima dell'esordiente autore milanese – il Vero
dipostismo – sottolineandone il limite principale, cioè che essa
<<abbraccia troppi oggetti>>
2
. Gli amici e i corrispondenti si
accorsero anch’essi non certo in ritardo dei limiti e delle
improvvisazioni speculative di Gorani, e tra essi furono
probabilmente Mirabeau père e Pietro Verri a fissare il ritratto più
aderente del nostro
3
.
I molteplici piani ideati dal Gorani per migliorare
l’organizzazione civile dei popoli europei e per perfezionare il
funzionamento degli stati settecenteschi (programmi che spaziano
dal campo economico a quello politico-istituzionale, dalla tecnica
militare all’ordinamento del clero, dall’educazione pubblica alla
riforma della giustizia e a molto altro ancora) traggono in effetti
ispirazione da un tipo di pan-riformismo razionalistico, illuminato
ed eclettico che non si sofferma volentieri ad approfondire il lato
tecnico ed operativo di ogni singolo schema di riforma.
Un metodo agile e risoluto di pensare il cambiamento delle
istituzioni e della società che marca fin dagli esordi la produzione
di Giuseppe Gorani e che si esprime al più alto grado proprio nel
Projet d'une constitution républicaine pour le Milanez, il tardo
piano di costituzione composto dal conte milanese nel 1792 (ma
successivamente ripreso e riveduto nel 1796 e ancora nel 1798):
lavoro che è l'oggetto specifico di studio di questa tesi, e i cui
1
Rousseau, Pufendorf, Kant, l’empirismo inglese e la massoneria negli anni Sessanta; Quesnay, Mirabeau e
la filosofia naturalistica degli enciclopedisti negli anni Settanta; il sensismo e la rivoluzione francese con i
suoi protagonisti negli anni Novanta.
2
Venturi F. – Giuseppe Gorani, in <<Illuministi italiani>>, tomo II, Riformatori lombardi, toscani e
piemontesi, Einaudi, 1958.
3
il primo trovò che l’opera prima del conte milanese contenesse <<beaucoup d’esprit, une érudition peu
commune et du vrai savoir pour n’etayer que des erreurs>>
3
; mentre il secondo descrisse l’autore del Vero
dispotismo come un uomo che <<ha delle idee e travaglia>>, espressione che attesta un apprezzamento
benevolo e comprensivo da parte del grande riformatore milanese per la sincera dedizione allo studio delle
idee illuminate profusa dal più giovane amico, ma che pure lascia intuire un velato rimprovero per il carattere
farraginoso e incoerente del suo pensiero. Nell’epistolario con il fratello Alessandro, Pietro Verri concluderà
poi nel 1792: <<A me però Gorani è sempre sembrato uomo che non approfondisce gli oggetti>>, cit. in.
Gorani G. – Mémoires pour servir à l’histoire de ma vie. <<Dalla rivoluzione al volontario esilio>> (1792-
1811), a cura di Elena Puccinelli, introduzione di Carlo Capra, Cariplo-Laterza, 1998.
6
contenuti eccedono ampiamente, come si vedrà, il metro comune
delle carte costituzionali del tempo.
1.2. Per le ragioni sopra esposte Giuseppe Gorani resta una
figura di secondo piano dell'illuminismo italiano: la sua mentalità
non forgiò strumenti ideologici inattuali e rivoluzionari (nel senso
di una sfasatura anticipatrice rispetto al presente) e neppure fu in
grado di sviluppare attraverso gli anni una ricostruzione storica dei
grandi avvenimenti dell'età rivoluzionaria e post-rivoluzionaria di
qualità riassuntiva e orientativa per i contemporanei; egli si
presenta piuttosto ai nostri occhi come un caso di <<tipicità
ideologica>>, nella misura in cui con i suoi ultimi scritti – e
soprattutto con il Projet d'une constitution républicaine pour le
Milanez – fu al tempo stesso agente e agito di un campo ideologico
transitorio e sofferto, quello tardo-settecentesco, nel quale ebbero a
dibattersi molti illuministi italiani una volta approdati all'età delle
rivoluzioni democratiche.
Questa cultura politica composita e proteiforme dell'età
rivoluzionaria ospita in sé la transizione finale del pensiero
illuministico italiano verso uno scenario completamente nuovo di
ideali politici e di filosofie della storia: scenario che si sarebbe
chiarificato e articolato in dettaglio soltanto lungo il corso dei primi
decenni dell'Ottocento.
Gli elementi che si intrecciano a formare questo clima
ideologico meticcio, che occupa la scena italiana lungo gli anni
Ottanta e Novanta del Settecento, provengono da tre strati
sovrapposti di cultura ideologico-politica dell'Europa moderna.
Il primo strato, il più profondo, è costituito dal persistere di
una rappresentazione potente e totalizzante della natura, della
società e del potere politico, codificata nel tempo dalla grande
tradizione dell'assolutismo di antico regime: essa prevede l'assioma
7
di una forma monarchica di governo e la fondazione e
valorizzazione della funzione civile dell'aristocrazia, e si basa su di
una concezione organicistica della società; il secondo strato, di
profondità intermedia, è rappresentato dall'esperienza del
riformismo dinastico e dalla filosofia liberatrice ma elitaria dei
Lumi e dell’Enciclopedia: il portato specifico di questo secondo
strato si articola nell'identificazione di un nuovo fondamento del
vincolo sociale - la pubblica felicità -, nella ridefinizione del ruolo
dell'aristocrazia in base al possesso fondiario e alle capacità, e nella
nascita di una concezione razionalistica e progressiva della politica;
il terzo strato, il più recente e superficiale, è rappresentato
dall'eruzione di creatività istituzionale ed utopia politica innescata
dalle rivoluzioni americana e francese: gli elementi portanti che
caratterizzano quest’ultimo livello della cultura ideologica tardo-
settecentesca sono il progetto di uno stato repubblicano, l'idea
rivoluzionaria di eguaglianza giuridica, sociale e politica tra tutti i
cittadini, l’ideale dell’interiorizzazione di massa della filosofia dei
diritti naturali e l'assioma del suffragio universale come unico
strumento legittimo di selezione del personale politico detentore del
potere.
Grandi uomini di cultura e di governo come Pietro Verri,
Giambattista Biffi, Antonio Genovesi, Francesco Mario Pagano,
Francesco Melzi d'Eril, Gaetano Filangieri, Francesco Antonio
Grimaldi, Vincenzo Cuoco (alcuni di essi già grandi protagonisti
dell'illuminismo italiano) attraversarono tutti questo terreno
ideologico stratificato, provvisorio e fecondo plasmatosi negli anni
a cavallo tra Settecento e Ottocento, e contribuirono ad alimentarne
la complessità in diverse direzioni con la loro opera: un contesto
ideologico prevalentemente ancorato ai fondamenti del pensiero
politico ed economico settecentesco e di Antico Regime, ma già
innervato di elementi attivi propri della nascitura civiltà
democratico-liberale ottocentesca. La scienza storiografica ha
8
accertato da tempo l’esistenza di un tale nebuloso intervallo
ideologico posto a collegamento tra Settecento e Ottocento,
denominato <<tardo illuminismo>> o anche <<tramonto
dell’illuminismo>>, ed è a mano a mano riuscita a metterne a fuoco
le permanenze e le discontinuità rispetto all’illuminismo classico,
quello riformista, nobiliare, filo-monarchico e utilitarista di metà
secolo diciottesimo.
La maggioranza degli studiosi è oggi concorde nell’indicare
gli anni settanta del Settecento come la data di inizio della crisi del
grande disegno illuminista di riforma profonda dello stato assoluto,
e come il punto di avvio di una concatenazione di mutamenti
sociali, culturali e politici destinati a culminare nell’età delle
rivoluzioni democratiche:
Alla fine degli anni sessanta l’Antico Regime si avviava verso la sua
inarrestabile crisi, destinata a durare un ventennio […]. Guerre,
carestie, spartizioni territoriali, rivoluzioni e proteste evidenziavano
in ogni parte del continente i segni allarmanti di un declino
complessivo il cui carattere epocale non sfuggiva agli ingegni più
sensibili e attenti. Espressioni come virtù, patriottismo, eguaglianza,
dispotismo, libertà, repubblica, democrazia e – sempre più spesso –
rivoluzione, aprivano finalmente la strada a una comprensione
rinnovata e originale di fatti come la brutale spartizione della
Polonia, le terribili sommosse contadine in Russia, Finlandia e
Boemia austriaca, le carestie degli anni sessanta in Italia, che,
seppure già visti in sembianze diverse e in differenti contesti storici,
apparivano ora ai contemporanei come segni inquietanti di un
radicale mutamento in atto, tali quindi da aprire scottanti problemi,
stimolare appassionate riflessioni, avviare spinosi dibattiti
impensabili negli anni addietro. Ma a fronte di tutto ciò, se la prima
crisi dell’Antico Regime avvenne tra il 1768 e il 1776, inaugurando
il passaggio <<dall’epoca delle riforme all’epoca delle
rivoluzioni>>, la cultura illuministica avvertì per tempo tra i suoi
protagonisti più sensibili i sintomi di una svolta epocale. […] Il
ventennio antecedente alla rivoluzione scandì, di pari passo con le
9
convulsioni politiche e sociali, anche la crisi di tutto un illuminismo
legato alla tradizione enciclopedista, rivelatosi ormai inadeguato a
capire tanto le trasformazioni quanto i vischiosi meccanismi di
resistenza di società sclerotiche e cementate dalle loro persistenti
gerarchie e tradizioni. Ne nacque un nuovo illuminismo che
inaugurò un clima intellettuale assai diverso da quello dei decenni
centrali del secolo. Le forme che esso assunse meritano dei essere
studiate nelle loro peculiarità, nelle loro evidenti contrapposizioni a
vecchi modi di vedere e di percepire le mutate esigenze,
individuando le continuità e le rotture con quanto era avvenuto negli
anni precedenti.
4
Anche Gorani fu partecipe e protagonista di questa intensa
stagione di transizione e modernizzazione culturale, e il suo punto
di osservazione sul mondo in crisi delle monarchie europee di
Antico Regime appare piuttosto evoluto e svincolato rispetto al
retroterra formativo degli anni lombardi.
Il progetto costituzionale che Gorani pone a coronamento
della propria carriera letteraria contiene infatti molteplici spunti di
avanzato repubblicanesimo, che sono decisamente esogeni rispetto
alla tradizione filosofica della sua generazione e della sua terra, la
Lombardia degli Asburgo d’Austria (una tradizione filosofica che
appare dominata, a giudizio della critica, da un solido senso di
lealtà verso l’istituto monarchico e da una concezione utilitaristica
del rapporto tra sovrano, aristocrazia e popolo)
5
.
L’adesione di Gorani all’ideale repubblicano è animata da
una concezione nuova della cittadinanza e da una visione del futuro
4
Ferrone V. – I profeti dell’illuminismo, Laterza, 1992
5
Cfr. Tortarolo E. – Il pensiero politico dell’Illuminismo, Loescher, 1987; Bazzoli M. – Il pensiero politico
dell’assolutismo illuminato – Nuova Italia, 1986; Ferrone V. – I profeti dell’illuminismo, op.cit.; cfr. anche
gli articoli Dipper C. – “Dispotismo e costituzione: due concetti di libertà nell’illuminismo milanese” e
Cappiello I. – “L’idea di stato nell’illuminismo lombardo” contenuti nel secondo volume di De Maddalena
A./Rotella E./Barbarisi G. (a cura di ) – Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell’età di Maria Teresa,
3 voll., Bologna, Il Mulino, 1982; sono presenti tuttavia anche vistose eccezioni, come per esempio il breve
ma assai avanzato opuscolo Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità scritto da Pietro Verri nel 1791, in
10
ben distinta rispetto a quella implicita nel ventaglio di soluzioni
costituzionali e di compromessi politico-istituzionali approntato
dagli uomini dell’ex gruppo riformatore lombardo durante gli anni
dell’avventura rivoluzionaria e napoleonica (mi riferisco a Verri,
Biffi, Lambertenghi, Visconti, Greppi e Melzi d’Eril).
Innanzitutto Gorani non ebbe mai un rapporto importante e
duraturo di collaborazione con le strutture della monarchia
asburgica, né in età teresiana né in età giuseppina, tale da potere
generare nel suo animo un vivo senso di lealismo e di attaccamento
alla corona. Egli non beneficiò dell’esperienza di governo di un
Verri o di un Carli, o di altri riformatori lombardi, piemontesi e
toscani che divennero ufficiali al servizio del sovrano, e che
maturarono una conoscenza analitica delle difficoltà procedurali e
burocratiche insite nell’attività di ricostruzione dello stato
monarchico.
Gorani fece propria la battaglia condotta negli anni sessanta
e settanta dal gruppo riformatore milanese contro i <<corpi
intermedi>>, e comprese il carattere di necessità dell’alleanza tra
sovrano e circoli riformatori (alleanza con il sovrano che
rappresentava l’unica via concreta da percorrere al fine di spezzare
la resistenza al cambiamento opposta dai ceti privilegiati). Il Vero
dispotismo resta una delle teorizzazioni più appassionate della
figura del despota illuminato, assieme a quelle coeve di Pietro
Verri, Cosimo Amidei, Alfonso Longo, Gianrinaldo Carli e
Antonio Genovesi
6
.
cui l’ormai anziano riformatore avanza l’ipotesi di una monarchia costituzionale rifondata dallo stesso
Sovrano (ed. Salerno, 1994, a cura di G. Barbarisi).
6
Si può notare, incidentalmente, come la figura storica e simbolica del despota illuminato sia tornata
indirettamente alla ribalta nel campo della scienza politica ed economica a partire dagli anni sessanta del
Novecento, in virtù della corrente di studi denominata <<welfare economics>> (economia del benessere) o
<<social choice theory>> (teoria della scelta sociale), i cui pionieri possono essere considerati Kenneth J.
Arrow e Amartya Sen. Come osserva Stefano Zamagni: <<La moderna teoria della scelta sociale ha le sue
radici nell’Illuminismo. Due distinte fonti ne segnano l’origine: da un lato, lo studio sul piano normativo del
benessere economico inaugurato dal lavoro di J. Bentham; dall’altro lato la teoria delle votazioni e delle
decisioni di comitato legata ai nomi di Borda, Condorcet e Rousseau>> (in Sen A. – Scelta, benessere ed
equità, Il Mulino, 1986). In breve, gli studi di teoria della scelta sociale si occupano di come aggregare
interessi individuali divergenti attraverso il solo strumento della contrattazione consensuale, al fine di far
11
D’altro canto la mancanza di un rapporto stabile e positivo
con l’amministrazione asburgica impedì la formazione nell’animo
emergere decisioni collettive razionali. Nel 1951 il pionieristico saggio di Arrow – Social choice and
individual values (Wiley, 1963; trad. it. per Il Mulino, 1986) dimostra che non esiste alcuna funzione di
scelta sociale consensuale (FSS) in grado di soddisfare requisiti minimali di coerenza e di moralità quali: 1)
dominio universale (il dominio della FSS deve includere tutti i profili di ordinamenti individuali logicamente
concepibili); 2) indipendenza dalle alternative irrilevanti (la scelta sociale da un dato insieme di alternative
non deve essere influenzata dal modo in cui gli individui ordinano le alternative che non rientrano
nell’insieme); 3) principio di Pareto (se tutti gli individui preferiscono x a y, x deve essere socialmente
preferito a y); non dittatorialità (non deve esistere un dittatore autorizzato ad imporre le proprie preferenze
agli altri). Si tratta del celebre teorema di <<indecidibilità dell’azione sociale>> (Arrow, 1951 e 1963),
secondo il quale per qualcuno almeno degli ordinamenti individuali, il tentativo di soddisfare i requisiti sopra
elencati genera una successione di preferenze sociali che non rispetta la proprietà di transitività, proprio come
accade nell’altrettanto celebre teorema noto come <<paradosso di Condorcet>>, legato ai casi di votazione a
maggioranza (e formulato dal grande filosofo francese nel linguaggio della matematica statistica; cfr.
Condorcet A.N. – Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la pluralité
des voix, Paris, 1785). Ciò significa che la scelta sociale, in quanto non razionalizzabile da una relazione
binaria transitiva su x, non soddisfa il requisito di razionalità. Emerge dunque il seguente dilemma: o si
rinuncia ad una almeno delle condizioni imposte da Arrow, oppure la FSS non è in grado di generare una
scelta sociale razionale e quindi suscettibile di un consenso universale da parte di tutti gli attori sociali. Lo
stesso Arrow e l’economista indo-americano Amartya Sen hanno tentato ripetutamente, con esiti alterni, di
risolvere il dilemma di impossibilità di Arrow. Una delle più semplici vie d’uscita (generalmente respinta da
tutti gli autori) consisterebbe nella rinuncia alla condizione di non-dittatorialità. In termini più sfumati, ciò
significa, per usare le parole di Arrow, che un sistema di allocazione delle risorse di tipo individualistico-
consensuale e assolutamente privo di qualsiasi presenza minima di autorità riconosciuta non può funzionare
come modello efficiente di governo. Arrow non arriva a proporre la figura del despota illuminato, ma in
numerosi punti della sua opera insiste sull’importanza del ruolo dell’autorità, come fattore razionalizzatore e
risolutore delle aporie della funzione di scelta sociale (cfr. Arrow K. – I limiti dell’organizzazione, Il
Saggiatore, 1986). Dal punto di vista dello studio del pensiero politico d’età moderna mi pare interessante
rilevare come gli studi di <<welfare economics>> del secolo XX abbiano, in fondo, consentito di portare a
completo svolgimento teorico e scientifico le contrapposizioni emerse dal conflitto ideologico tardo-
settecentesco, conflitto che vide scontrarsi i sostenitori dell’assolutismo illuminato e quelli della democrazia
rappresentativa o diretta. Per esempio, Arrow tratta apertamente in un suo scritto due problemi essenziali ben
noti già ai protagonisti del dibattito politico settecentesco, e poi rivoluzionario: la questione dell’identità
degli interessi delle parti sociali e la questione della inevitabile diversità dell’informazione posseduta dagli
attori politici. Si tratta di due questioni classiche della riflessione politica dell’illuminismo (da Rousseau fino
ai fisiocratici) e della filosofia politica in generale, che Arrow svolge nel modo seguente: <<Quando potrebbe
il consenso sostituire adeguatamente l’autorità ? Il consenso spontaneo sarebbe efficiente in
un’organizzazione i cui membri hanno interessi identici e informazioni identiche. Ogni membro percepirebbe
correttamente qual è la decisione migliore, in base ai suoi interessi, e poiché tutti gli interessi sono comuni,
tutti concorderebbero riguardo la decisione. […] Quando gli interessi o le informazioni sono differenti nei
differenti membri dell’organizzazione, aumentano i costi del consenso. Il valore del consenso, come metodo
per le decisioni dell’organizzazione, diminuisce rispetto a quello dell’autorità. Il caso in cui l’informazione è
la stessa per tutti, ma gli interessi sono differenti, è naturalmente il caso classico del conflitto sociale, e della
sua soluzione mediante contrattazione. Nonostante l’ampia letteratura dedicata a questo argomento
(letteratura che comprende gli importanti sviluppi della teoria dei giochi), siamo ancora lontani da una
comprensione soddisfacente. E’ senz’altro chiaro che il processo di contrattazione può essere di per sé molto
costoso, soprattutto quando la successione di offerte e di minacce ha luogo non nel mondo dei giochi, ma nel
mondo reale della rovina economica e della spaventosa distruzione della guerra. Il caso in cui il consenso
deve essere raggiunto in presenza di coincidenza di interessi e differenza di informazioni, presenta una certo
parallelismo con quello degli interessi differenti. Le preferenze espresse per azioni sociali saranno differenti
anche in questo caso. Ma la situazione è parzialmente diversa, in quanto ciascuno è consapevole che gli altri
cercano di agire per l’interesse comune, anche se basandosi su informazioni differenti. Se si potesse cambiare
senza costi l’informazione, non vi sarebbero problemi nel raggiungere il consenso. Lo scopo di chi progetta
istituzioni per prendere decisioni dovrebbe quindi essere di facilitare quanto più possibile il flusso delle
informazioni. Ma questo implica la riduzione del volume dell’informazione, con la conservazione, però, di
quanto più possibile del suo valore. Nella misura in cui la riduzione di volume è compiuta con la riduzione
dei canali di comunicazione, siamo ricondotti alla superiorità di efficienza dell’autorità>>. (Arrow K. – I
limiti dell’organizzazione, op. cit.).
12
di Gorani di un vivo e sincero senso di lealismo verso l’istituto
monarchico
7
(sentimento che è invece presente in un Pietro Verri
anche oltre lo scoppio della Rivoluzione, in testi come i Pensieri
sullo stato politico del Milanese nel 1790, il Dialogo fra
l’imperatore Giuseppe II e un filosofo, sempre del 1790, la
Memoria cronologica dei cambiamenti pubblici dello Stato di
Milano del 1796, e diverse lettere spedite al fratello Alessandro tra
il 1791 e il 1792)
8
.
Di conseguenza, Gorani non visse un grave o prolungato
dissidio quando si trattò di affrontare il superamento del principio
monarchico e di accettare la novità dell’organizzazione
repubblicana dello stato francese: egli fu anzi risoluto nel volersi
porre direttamente al centro degli avvenimenti e delle idee nuove.
Un desiderio che diventa realtà a partire dall’agosto 1790, quando
Gorani si trasferisce a Parigi, capitale del moto rivoluzionario.
7
Esiste una argomentazione storiografica fondata e documentata secondo la quale la crisi di credibilità e di
favore subita dalle monarchie europee alla fine del settecento sarebbe stata causata dal processo di
burocratizzazione e di specializzazione istituzionale dello stato portato avanti dalle amministrazioni regie, un
processo che avrebbe eroso e marginalizzato il ruolo svolto dai filosofi e dai letterati nei luoghi del potere
politico (a corte come nei palazzi dei dicasteri), e che avrebbe dunque causato un lento e graduale distacco
dei filosofi dal potere sovrano. Per quanto riguarda la realtà dello Stato di Milano, questa tesi è così espressa
dal Dipper: <<Il rapporto fra modernizzazione dello stato ed il sorgere di una domerna categoria di
funzionari, agente da supporto di questo processo, rimase per Verri sempre inconcepibile. Proprio la sua
generazione infatti fu testimone di come le élites tradizionali, che per secoli avevano avuto un ruolo
dominante nel quasi autonomo ducato di Milano, furono le prime vittime dell’avvento dello stato autoritario
burocratico. Tuttavia non solo questo processo fu causa di amarezza per i riformatori nobili milanesi, ma
bensì anche il fatto che la nuova casta dei funzionari ponesse al luogo del principio rispecchiante i privilegi
tradizionali dei ceti superiori il principio della centralizzazione e della generalizzazione, in base al quale detta
casta si differenziava verso l’esterno nei confronti della massa dei sudditi come un tempo l’apparato
amministrativo tradizionale. I membri di quest’ultimo, privati a loro volta dei privilegi, venivano
improvvisamente a trovarsi anch’essi in uno stato di sudditanza. Tale processo di capovolgimento non si
limitava al solo impero asburgico, solamente la politica di Giuseppe II fu condotta in questo caso in maniera
più radicale che in ogni altro stato dell’epoca, in modo che anche la resistenza ad essa si rivelò
proprorzionalmente più aspra.>> (Dipper C. – “Dispotismo e costituzione: due concetti di libertà
nell’illuminismo milanese”, op.cit. ; ma cfr. anche Mozzarelli C. – Per la storia del pubblico impiego nello
stato moderno: il caso della Lombardia austriaca, Milano, 1972). Questa descrizione del rapporto
instauratosi tra intellettuali e potere sovrano negli antichi stati italiani interessati dal riformismo dei lumi può
spiegare in modo soddisfacente il moto di disaffezione e di ripensamento nei confronti dello stato
monarchico verificatosi in alcuni contesti istituzionali della penisola sul finire degli anni Settanta e lungo gli
anni Ottanta, soprattutto nel caso di uomini di scienza - come Pietro Verri, Francesco Mario Pagano o
Gaetano Filangieri - ritornati alla professione intellettuale dopo esperienze deludenti o incomplete di governo
e di azione istituzionale. Ma è una descrizione a cui la vicenda intellettuale e biografica di Giuseppe Gorani è
allora piuttosto estranea, in quanto, come abbiamo detto, egli non ebbe nemmeno l’occasione di sviluppare
un attaccamento forte al principio del governo monarchico.
13
Ma anche prima di approdare al palcoscenico della
Rivoluzione, il percorso formativo di Gorani risultò sempre
lievemente eccentrico rispetto al cuore ideologico dell’illuminismo
lombardo: rispetto cioè a quella ben dosata miscela di utilitarismo,
assolutismo, filosofia dei diritti civili e dispotismo illuminato che si
trova così bene delineata nella pubblicistica del <<Caffè>>
9
.
Gorani fu attratto in gioventù dal mito russoiano di una eguaglianza
primitiva, pre-sociale e materiale, e a più riprese nei suoi scritti
tentò di esprimere una embrionale filosofia di libertà civile e
politica il cui obiettivo fosse più ambizioso della moderata difesa
8
Una disamina del pensiero politico dell’ultimo Verri che mette in luce la persistenza di una concezione
positiva del sistema del dispotismo illuminato anche oltre lo scoppio della Rivoluzione è presente nel già
citato Dipper C. – “Dispotismo e costituzione: due concetti di libertà nell’illuminismo milanese”, op.cit.
9
E’ vero che Cesare Beccaria avanzò anch’egli nel suo capolavoro, al pari di Gorani, una critica audace del
diritto di proprietà privata – meritandosi per questo l’epiteto di <<Rousseau degli Italiani>> – , ma come
viene fatto notare da alcuni critici, l’attacco alla proprietà privata sferrato negli anni Sessanta da Beccaria e
da Longo venne impostato solo come mera negazione del suo statuto di <<diritto naturale>>: una negazione
che nell’ottica degli esponenti dell’Accademia dei Pugni (il Contratto Sociale viene discusso e letto nel
settembre 1762 dai membri del <<Caffè>>) avrebbe dovuto costituire un importante supporto ideologico ai
piani di riordino economico e di perequazione tributaria allora in via di attuazione da parte del governo
teresiano (pensiamo ai progetti di censimento fondiario, di centralizzazione finanziaria e di abolizione dei
fedecommessi e primogeniture). Come osserva il Dipper: <<Gli illuministi milanesi credettero opportuno
rivestire la struttura utilitaristica delle loro teorie con l’aiuto di una facciata giusnaturalistica sotto forma di
contratto sociale. Così ad esempio Beccaria differenziava fra il diritto alla vita quale diritto naturale ed il
diritto di proprietà quale semplice diritto acquisito socialmente. In tale modo egli riconosceva allo stato la
facoltà di intervenire nella proprietà dei sudditi respingendo allo stesso tempo la pena di morte. […] Il
contratto sociale non definiva comunque solamente una misura di libertà individuale orientata verso il
benessere generale della società, ma esso definiva pure un diritto alla proprietà non meno orientato
socialmente. Tuttavia non era già tanto il contratto sociale come tale a prevedere per ognuno un diritto
immediato alla proprietà, bensì esso autorizzava lo stato alla promulgazione e al riconoscimento del diritto
della proprietà. Con tale riserva radicale, che con Longo, Beccaria e Gorani raggiunse addirittura forme di
negazione teorica del diritto alla proprietà, gli illuministi milanesi venivano a differenziarsi nettamente da
tutti i sistemi giuridici del tempo. Essi tuttavia non furono critici dogmatici della proprietà come Rousseau:
vale a dire, per essi non si trattò della soppressione reale di una istituzione giuridica considerata ostacolo per
il raggiungimento della felicità del genere umano. Al contrario essi sperarono con tale formula di poter
offrire al sovrano un’arma con l’aiuto della quale quest’ultimo sarebbe stato in grado di sovvertire la struttura
economica tradizionale e di consentire la creazione di un nuovo ordinamento sociale permettente una
prosperità generale. I concetti di libertà e di proprietà si rivelarono pertanto anche nell’illuminismo milanese
quali termini inseparabili come era tipico dell’epoca>>. (Cfr. Dipper C. – “Dispotismo e costituzione: due
concetti di libertà nell’illuminismo milanese”, op.cit.). Caratteristica la conclusione cui giunge il Longo in un
articolo del <<Caffè>> (“Osservazioni sui fedecommessi”) dopo aver discusso il diritto di proprietà: <<[…]
io m’accontenterò di dire che non saranno mai abbastanza lodati que’ saggi legislatori, che, scosso il giogo
dell’opinione, hanno ardito di pensare alla vera felicità de’ loro popoli, che hanno limitati i fedecommessi
quanto hanno creduto di poterlo; dirò solo che, premessa la libertà di far testamento, ottima cosa sarebbe di
proibire qualunque siasi primogenitura, fedecommesso, sostituzione>> (in Il Caffè, a cura di S. Romagnoli,
Milano, 1960).
14
dell’integrità giuridica e della proprietà privata operata
dall’illuminismo lombardo
10
.
Prima ancora dello scoppio della Rivoluzione Gorani
pubblica un’opera come le Ricerche sulla scienza dei governi
(1788) che esprime in nuce un avanzato e assai coraggioso progetto
di coinvolgimento proto-democratico delle masse rurali ed urbane
nella vita amministrativa delle istituzioni locali dello stato,
mediante lo strumento di libere elezioni municipali.
Rispetto agli esponenti dei Lumi della sua generazione che
avevano trascorso tutta la vita nella natia Milano – all’interno di un
milieu ideologico, cioè, che dava per scontata la forma monarchica
dello stato e la natura gradualistica ed utilitaristica dell’attività di
riforma – Gorani beneficiò dunque di una biografia intellettuale e
politico-diplomatica relativamente atipica e alquanto ricca e
diversificata (anche per effetto della sua inestinguibile curiosità di
viaggiatore), che gli consentì di accogliere con più facilità e meno
mediazioni gli ideali nuovi di libertà e partecipazione politica
emersi dal laboratorio della Parigi rivoluzionaria.
L’esperimento di vita e di attivismo maturato nella capitale
francese durante il triennio 1790-1793 trasportò infine il suo
pensiero verso uno scenario integralmente nuovo di categorie del
politico.
1.3. Va riconosciuto che Giuseppe Gorani fu uno dei
pochissimi italiani che seppero recitare un ruolo di qualche peso
all'interno del difficile e rischioso agone politico parigino (assieme
a Filippo Mazzei, Ippolito Pindemonte e a pochi altri
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Peraltro, come ha osservato acutamente la critica, i ripetuti tentativi di Gorani di dare vita ad una filosofia
politica libertaria male si accordavano, dal punto di vista logico, con la preferenza – espressa a livello
istituzionale – per il dispotismo illuminato. Questo almeno fino allo scoppio della rivoluzione francese, la
quale porterà invece la novità del repubblicanesimo.
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connazionali)
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: un ruolo di secondo piano se paragonato a quello
giocato da decine di altri più grandi attori della Rivoluzione, che
negli stessi mesi ed anni calcarono la scena della capitale francese,
ma pur sempre coronato dal conferimento della cittadinanza
francese il 26 agosto 1792.
Se in termini di <<prestazione assoluta>> l’attività sia
intellettuale che politica svolta da Gorani a Parigi tra il 1790 e il
1793 può apparire di interesse periferico, e deve essere giudicata
alla stregua di uno dei tanti percorsi umani e ideologici secondari
suscitati dalla bufera rivoluzionaria, da una prospettiva italiana essa
acquista i caratteri di una esperienza decisamente avanzata.
Gorani si trovò esposto ad una tempesta di idee politiche
nuove in misura molto maggiore rispetto ai letterati italiani rimasti
in patria, e la frequentazione abituale dei circoli orleanisti, girondini
e giacobini gli guadagnò giocoforza una evidente dimestichezza nel
trattare delle tematiche di filosofia politica decisamente <<tabù>>
per la cultura italiana dell'epoca (ad esempio il problema del
suffragio politico e delle procedure elettorali, oppure quello
dell'organizzazione di un esecutivo repubblicano e del tipo di
educazione pubblica da assicurare al popolo).
Una facilità nel trattare argomenti politici nuovissimi e
completamente aperti sul futuro che è bene evidente nel progetto
costituzionale del 1792, il quale sotto diversi punti di vista è un
tentativo di carta costituzionale decisamente precoce, tempestivo e
autonomo rispetto alla maggioranza degli esemplari posteriori,
fioriti nell'Italia del triennio giacobino.
In realtà il Projet d’une constitution républicaine pour le
Milanez non si alimenta esclusivamente alla fonte di una filosofia
radicale, razionalistico-idealistica e rivoluzionaria, e nemmeno può
essere classificato come un esempio di utopia che rompe
completamente i ponti con il passato, per lanciarsi verso il futuro
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Cfr. Rao A.M. – Esuli: l’emigrazione politica italiana in Francia, 1792-1802, Guida., 1992
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idealizzato di uno stato integralmente nuovo abitato da cittadini
rigenerati.
Esso risente anche di un retroterra culturale di stampo
settecentesco, fatto di concezioni dell’uomo, della società e della
natura di visibile matrice aristocratico-proprietaria: un reservoir di
convinzioni filosofiche che è più distante nel tempo e nella
memoria rispetto alla viva presenza delle idee e degli avvenimenti
rivoluzionari nell’animo del Gorani <<patriota e cittadino
francese>>, ma che in concreto fa ugualmente valere qua e là la sua
influenza tra le pagine del Projet
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.
In questo senso Gorani è esponente di una cultura ideologica
ibrida e mutante, della quale – come abbiamo già detto – si trova
diffusa traccia nella classe intellettuale dell’Italia centro-
settentrionale tra gli anni Ottanta e Novanta del Settecento.
Per molti dei temi diversi trattati nel Projet è possibile
indicare l’esistenza di uno sforzo di commistione tra vecchio e
nuovo, volto ad estrarre il meglio dalla cultura conservatrice e
aristocratica settecentesca per porlo al servizio dei nuovi ideali
democratici: pensiamo al principio della divisione del potere
legislativo in due camere separate, alla delimitazione minuziosa del
grado gerarchico di ogni funzionario pubblico, al trattamento
giurisdizionalistico riservato al clero, o all’impostazione
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Per ciò che concerne il lato aristocratico della personalità del Gorani, una inquadratura generale può essere
fornita da Macpherson C. B. .- Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese: la teoria
dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke, 1982, opera che contiene una descrizione generale della
genealogia concettuale del liberalismo aristocratico settecentesco, basato sui due cardini “liberty” e
“property”; per la Lombardia austriaca, importante è il saggio di Mozzarelli C. – Sovrano, società e
amministrazione locale nella Lombardia Teresiana (1748/1758), il Mulino, 1982, che illustra l’influenza del
catasto teresiano e del suo principio del “governo degli estimati” sul processo di ridefinizione della identità e
della cultura aristocratica settecentesca in Lombardia; non vanno infine dimenticati i lavori di analisi psico-
storica condotti da Bartolo Anglani sui Mémoires del conte milanese, dedicati alla ricostruzione della
stilistica scritturale del Gorani memorialista ed epistolografo. Lavori dai quali affiora l'immagine di una
personalità di aristocratico già impregnata di sensiblerie pre-romantica e tutta impegnata in un sempre
dissimulato gioco di <<narcisismo autobiografico>>; cfr. Anglani B. - <<Giuseppe Gorani e le tentazione
dell'autobiografia: dai Mémoires al romanzo>>, in Scritture di sé. Autobiografismi e autobiografie, a cura di
F.Pappalardo, Liguori, 1974; dello stesso autore cfr. anche Gorani e la rivoluzione: le memorie di un
"amante tradito", in <<Revue des études italiennes>>, XXXVIII, 1992 e <<I Mémoires di Gorani tra
"bonheur" e Rivoluzione>>, in L'ecrivain devant la Révolution, a cura di J. Sgard, Université Stendhal,
Grenoble, 1990.
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meritocratica e al tempo stesso classista del sistema educativo
statale.
A livello tematico il punto di tensione più carico di
significato e attraverso il quale vengono alla luce in maniera più
viva tanto la forza inerziale del retaggio settecentesco quanto la
forza propulsiva delle idee nuove è però a mio avviso il tema del
suffragio politico e del meccanismo elettorale: in breve, anche per
Gorani – come già per i maggiori teorici girondini dello stato
repubblicano – il tema del suffragio politico sottende il
fondamentale e più generale quesito circa il confronto e il possibile
incontro tra l'ideale settecentesco di uno stato fondato sulle
<<capacità>> e guidato da una politica razionalistica, e l'ideale
rivoluzionario di una repubblica fondata sull'eguaglianza politica di
tutti i cittadini e su di una concezione quantitativa e rigorosamente
democratica della razionalità.
Quello del suffragio politico è un punto di fondamentale
importanza anche per un’altra ragione: la posizione che Gorani
assume su questo tema, lo vedremo, indica chiaramente che egli era
meno preoccupato di abbandonare la venerabile tradizione dello
stato monarchico di quanto non fosse timoroso di vedere
scomparire un ceto privilegiato e specializzato di operatori politici;
un privilegio fondato sui lumi, sul possesso e sulle capacità, capace
di qualificare e quindi di eleggere spontaneamente dalla massa dei
cittadini un personale di governo efficiente, e in grado di dirigere e
di gestire per il meglio la crescita impetuosa della nuova società
repubblicana.