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Introduzione
“Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace”
Fabrizio De Andrè, Khorakane
La presenza sempre maggiore di gruppi etnici portatori di culture radicalmente diverse dalla
nostra sta trasformando l’Italia in una nazione profondamente multiculturale, dove
l’eterogeneità della popolazione diventa sempre più tangibile ed evidente. La convivenza con
gruppi minoritari come quello Rom, che porta con se abitudini e stili di vita del tutto opposti
alla cultura occidentale predominante, solleva non poche problematiche che il più delle volte
sfociano nel pregiudizio e nel razzismo. Gli italiani, con l'86 per cento, sono di gran lunga il
popolo che vede con maggior sfavore i Rom rispetto al resto dell’Europa. Solo 9 italiani su
100 ne hanno un'opinione favorevole. È anche piuttosto curioso notare come in Germania,
Spagna e Regno Unito siano molti di più coloro che hanno una percezione positiva e solo la
Francia, seppure con numeri assai diversi, è più o meno nella nostra situazione (Pew Research
Center, 2005). Questi dati manifestano come il problema non derivi dai “Rom” in quanto tali,
ma dalla cattiva gestione della loro presenza nel territorio Italiano. La questione è diventata un
“cavallo di battaglia” di politici di estrema destra che con politiche deliberatamente
demagogiche e populiste continuano a strumentalizzare il problema al fine di attirare voti e
consenso. Diventa sempre più pressante quindi l’esigenza di politiche efficaci volte
all’integrazione di questi gruppi e di interventi che auspicabilmente si basino su un approccio
scientifico al problema. Le condizioni di vita marginali delle minoranze Rom portano
all’esigenza di dare maggior importanza a livello scientifico alla delicata questione
dell’integrazione, del benessere psicologico e del rispetto della loro identità culturale, al fine
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di fornire adeguati strumenti per promuovere lo sviluppo positivo e combattere ogni forma di
strumentalizzazione del fenomeno. La ricerca a cui ho avuto modo di partecipare
“Documenting and Understanding Positive Youth Development of Roma Minority Youth: A
Multi Country Study” della Dott.ssa Dimitrova, coordinata in Italia dal Prof. Cristiano
Inguglia e dal Dott. Pasquale Musso, ha raccolto dati in sei diversi paesi sul ruolo
dell’identificazione etnica e nazionale nell’influenzare il benessere psicologico dei giovani
adolescenti Rom.
Il lavoro proposto si articola in tre parti: nella prima parte verrà presentato il modello sul
quale si basa la ricerca, il “Positive Youth Development”. Partendo da un excursus sugli studi
relativi all’adolescenza, verranno trattate le principali teorie che hanno contribuito al
passaggio da una concezione di tale periodo come caratterizzato da “storm and stress” ad una
centrata sui punti di forza del soggetto. Verranno inoltre approfonditi gli assunti teorici chiave
e le ricerche sulle quali si basa questo nuovo approccio allo studio dello sviluppo umano.
Verrà inoltre descritto il “4H study”, il “modello di sviluppo dei sistemi relazionali” proposto
da Lerner e i relativi risvolti applicativi del PYD.
Il secondo capitolo tratta delle origini delle popolazioni Rom, delle loro attuali condizioni in
Italia (abitazioni, livello d’occupazione, beni di consumo, scolarizzazione, alfabetizzazione) e
delle leggi locali e nazionali che tutelano queste minoranze. Verranno spiegati gli obiettivi
delle politiche europee della cosiddetta “Strategia Europa 2020” e gli interventi destinati a
conseguire tali obiettivi.
L’ultimo capitolo riguarda lo studio comparato dei risultati dei dati raccolti nei diversi paesi:
nello specifico è stato effettuato un confronto fra le diverse nazioni oggetto di studio
(Bulgaria, Albania, Repubblica Ceca, Kosovo, Italia e Romania) al fine di comprendere al
meglio l’influenza congiunta che le politiche d’integrazione e i costrutti psicologici
dell’identità etnica e nazionale esercitano sul benessere psicologico degli adolescenti Rom.
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Capitolo 1
La prospettiva del “Positive Youth Development”
Il modello del “Positive Youth Development” nasce all’interno della prospettiva ecologica
dello sviluppo e apre le porte ad un modo alternativo di intendere la giovinezza fornendo
nuove basi teoriche ed empiriche. L’approccio nasce dall’interesse di alcuni teorici dello
sviluppo che, al fine di spiegare la plasticità dello sviluppo, hanno centrato i loro studi
sull’importanza del ruolo delle relazioni e delle risorse ecologiche come base del processo di
cambiamento e di sviluppo dell’essere umano. Tale approccio mette a fuoco l’importanza
dello sviluppo positivo dei giovani, mettendo in primo piano i punti di forza, il potenziale e la
resilienza dell’individuo, discostandosi così da altri modelli teorici centrati esclusivamente sul
problema e sui deficit.
Nel corso degli anni, nel campo della psicologia dello sviluppo, l’approccio allo studio
dell’adolescenza ha subito profondi cambiamenti, passando da una prospettiva basata
esclusivamente sul deficit ad una visione più globale che include come aspetti fondamentali
dello sviluppo le relazioni fra le diverse cerchie ecologiche e i punti resilienti del soggetto.
Il periodo adolescenziale comprende la seconda decade della vita dell’essere umano e può
senza dubbio essere definito come una fase pregna di cambiamenti dal punto di vista
biologico, sociale e individuale: basti pensare all’avvento della pubertà, alle conquiste
identitarie e al processo di ricerca di un ruolo all’interno della società. Il cambiamento,
dunque, avviene su più livelli interconnessi e segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Fin dai primi studi scientifici sull’adolescenza (Hall,1904) il filone di studi dominante
descriveva questa fase della vita come un periodo caratterizzato da “storm and stress” e da
disturbi considerati “normativi” dello sviluppo (Freud, 1969). In genere, questa prospettiva
centrata sul deficit si basava su modelli biologici di maturazione deterministici e riduzionistici
(e.g., Erikson, 1959, 1968) che definivano questo periodo come “problematico” o a rischio di
diventare problematico (Benson, Scales, Hamilton, & Sesma, 2006), sia problematico che
rischioso (Anthony, 1969), o con “problemi da fronteggiare” (Roth, Brooks-Gunn, Murray, &
Foster, 1998). Nella letteratura antecedente agli anni novanta, infatti, lo sviluppo positivo
veniva descritto come “assenza di comportamenti negativi o inadeguati” (Benson, et al.,
2006). Infatti, il prototipo del giovane che manifestava un tipo di sviluppo positivo
rimandava ad un soggetto non incline alle droghe, alle attività criminose o a situazioni
rischiose di diversa natura.
In breve, negli ultimi 85 anni, gli studi sull'adolescenza hanno assunto una prospettiva
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centrata esclusivamente sul deficit. Per comprendere le dinamiche dell'evoluzione teorica, che
hanno portato allo spostamento del focus del campo di studi (dal deficit ai punti resilienti del
soggetto) fino ad approdare alla prospettiva del PYD, risulta necessaria una breve digressione
sulle precedenti teorie che hanno caratterizzato gli studi sull'adolescenza.
1.1 I primi studi scientifici sull’adolescenza
1.1.1 Prima fase
Granville Stanley Hall (1844-1924) può essere considerato un pioniere degli studi scientifici
sull'adolescenza. Nei suoi studi, Hall definisce l'adolescenza come un periodo caratterizzato
da “storm and stress”, assumendo che l'ontogenesi (ovvero lo sviluppo del singolo individuo)
rispecchi la filogenesi (ovvero tutti quei cambiamenti avvenuti durante l'evoluzione della
specie umana). L'adolescenza, secondo la sua teoria, corrisponderebbe al momento
dell'evoluzione umana in cui l'uomo da “bestia” avrebbe ridimensionato i suoi innati istinti
primordiali per diventare civile. Dunque, secondo Hall, durante l’adolescenza, l'individuo si
ritroverebbe a “lottare” per redimersi dai suoi impulsi.
Sebbene le sue teorie non riscossero particolare approvazione fra gli studiosi del tempo il suo
pensiero influenzò il modo di intendere l'adolescenza per buona parte del novecento, basti
pensare alle teorie sull'adolescenza di Anna Freud (1969) o a quelle di Erik Erikson (1959,
1968).
In sintesi, questa prima fase di studi vede l’adolescenza come un periodo “a rischio” dove
l'adolescente viene descritto come un soggetto altamente vulnerabile in lotta con le sue
pulsioni più ancestrali e, dunque, proprio per questo motivo, particolarmente incline a
comportamenti incivili e rischiosi per se stesso e per gli altri. Il focus di studi, dunque, era
orientato esclusivamente al deficit.
1.1.2 Seconda fase
Intorno agli anni sessanta, viene gradualmente abbandonata la prospettiva di Hall che
concepiva l'adolescenza come un periodo esclusivamente negativo (e.g., Bandura, 1964;
Douvan & Adelson, 1966; Offer, 1969; see too Block, 1971). Si approdò alla conclusione che
non tutti gli adolescenti trascorrevano questo periodo in maniera turbolenta e che molti
giovani possedevano solidi valori (spesso coerenti con l'educazione e gli insegnamenti
ricevuti dai genitori) e mostravano una sensibilità particolare su temi come l'importanza
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dell'istruzione, la spiritualità o la giustizia sociale. Inoltre, la selezione delle amicizie
dipendeva anche della condivisione di questi valori fondamentali. Diversi studi misero in luce
l’esistenza di infinite traiettorie durante il periodo adolescenziale, di cui solo una piccola
parte, poteva rispecchiare i cambiamenti del periodo di “storm e stress” a cui si riferiva Hall.
Durante questa fase non vi furono contributi teorici significativi sul periodo adolescenziale in
generale, vi fu, piuttosto, un fiorire di teorie molecolari che vertevano su specifiche
sfaccettature dello sviluppo individuale : lo studio sull'identità (Marcia, 1980), le operazioni
formali ( Piaget , 1972), l'egocentrismo adolescenziale (e.g., Elkind, 1967) , lo sviluppo
morale (e.g., Colby, et al., 1983); altre ricerche sull’ argomento degne di nota sono quelle
relative allo sviluppo sociale, alla relazione giovane-contesto, all'influenza del periodo storico
sul processo di sviluppo (e.g., Nesselroade & Baltes, 1974; Elder,1974) e, infine, alla
relazione genitore-figlio adolescente (e.g., Steinberg, 1988; Steinberg, Mounts, Lamborn, &
Dornbusch, 1991). Questi contributi portarono ad un crescente interesse nei confronti
dell'adolescenza: nacque così il primo Handbook of Adolescent Psychology (Adelson, 1980), e
la Society for the Study of Adolescence (SRA) che lanciò una delle più importanti riviste
scientifiche sul tema, il Journal of Research on Adolescence (Lerner,1991). Tutti questi
contributi fornirono non solo spunti per nuove basi teoriche che condurranno in seguito alla
prospettiva del PYD, ma portarono inoltre alla rivalutazione del periodo adolescenziale come
paradigma per l'elaborazione di nuove teorie sistemiche dello sviluppo umano. In breve,
l'adolescenza diventa un periodo chiave che solleverà l’interesse di molti studiosi, da un lato
per la ricerca relativa allo sviluppo durante l'intero ciclo di vita, e dall’altro per la promozione
di uno sviluppo positivo dell'essere umano.
1.1.3 Teorie che hanno influenzato il PYD
Le differenze individuali in adolescenza
Lo sviluppo adolescenziale implica cambiamenti su due livelli che incidono sia sul sé (per
esempio, cambiamenti dovuti alla pubertà, cambiamenti di natura cognitiva ed emotiva o
legati ad aspettative sociali) sia sul contesto familiare, istituzionale e sul gruppo dei pari.
L'aspetto che differenzia maggiormente le traiettorie evolutive è riconducibile alle relazioni
sistemiche dell'adolescente e al modo in cui quest'ultimo soggettivamente interagisce con
esse. Tutto ciò, sottolinea l'importanza dei cambiamenti intraindividuali e interindividuali che
il soggetto e il suo ambiente subiscono durante questo periodo. Non tutti i giovani vivono
queste transizioni allo stesso modo e con la stessa tempistica e spesso gli esiti di questi
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processi di cambiamento non risultano comparabili per una serie infinita di variabili. Tali
differenze individuali sono causate dall'interazione di variabili di natura psicologica, biologica
e sociale in cui nessuna delle tre variabili rappresenta il “primo motore” del cambiamento
(Lerner, 2004).
L’influenza dei contesti multilivello nell’adolescenza
L’adolescenza è un periodo durante il quale avvengono rapidi cambiamenti dal punto di vista
fisico. Infatti, fatta eccezione per l'infanzia, nessun altro periodo del ciclo di vita comporta
cambiamenti fisici così rapidi. Il cambiamento di tipo ormonale, assolutamente normativo
durante la prima fase adolescenziale (Dorn, Dahl, Woodward, & Biro, in press; Susman &
Rogel, 2004) non risulta essere però, l’unica variabile che influenza lo sviluppo sociale e
psichico durante questa fase. Al contrario, sono presenti diversi fattori (biologici, psicologici,
sociali e storici) che, influenzandosi vicendevolmente, producono un determinato risultato. Ad
esempio, i cambiamenti psicologici di ragazze adolescenti che manifestano uno sviluppo
ormonale precoce sono stati connessi alla delinquenza, ma solo in ragazze che frequentano
scuole miste (Caspi, Lynam, Moffitt, & Silva, 1993) o che tendono a socializzare con ragazzi
più grandi di loro (Stattin & Magnusson, 1990). Un altro esempio di cambiamenti multilivello
integrati riguarda lo sviluppo cognitivo (Graber & Petersen, 1991; Kuhn,2006). Studi
sull’adolescenza che sostengono che i disturbi comportamentali costituiscano un aspetto
normativo e universale di questo periodo (e.g., Freud, 1969) potrebbero far pensare ad un
legame deterministico fra sviluppo ormonale e cognitivo. Al contrario, è stato dimostrato che i
cambiamenti biologici nell’individuo non hanno effetti pervasivi sullo sviluppo cognitivo.
Piuttosto, questo accade quando variabili biologiche interagiscono con variabili contestuali ed
esperienziali. È stato inoltre dimostrato che, durante l’adolescenza, gli individui diventano più
veloci ed efficienti nell’elaborazione delle informazioni (Kuhn, 2006).
In sintesi, le relazioni tra cambiamenti ormonali e cambiamenti della personalità, tra sviluppo
cognitivo e contesto sociale giovanile, illustrano perfettamente i molteplici livelli della vita
umana che sono integrati e si influenzano reciprocamente durante tutto lo sviluppo
adolescenziale.
L’adolescenza come laboratorio ontogenetico
Fra il 1970 e il 1980 molti studiosi dello sviluppo iniziano a considerare l’adolescenza, a
causa della numerosa serie di cambiamenti che caratterizzano questo periodo, come ad un
ideale “laboratorio ontogenetico naturale”: per diverse ragioni, infatti, l’adolescenza risultava
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e risulta essere un periodo di fondamentale importanza al fine di comprendere lo sviluppo
dell’essere umano durante l’intero ciclo di vita. In primo luogo, sebbene anche durante il
periodo prenatale e infantile si assisti a rapidi cambiamenti dovuti alla crescita fisica, il
periodo che va dai dieci ai venti anni di vita non solo comprende notevoli cambiamenti
fisiologici e fisici associati alla pubertà ma, manifesterebbe inoltre, un momento in cui
l’interdipendenza fra biologia e contesto è particolarmente evidente (Susman & Rogel, 2004).
In secondo luogo, l’adolescente, essendo auto-cosciente, avendo degli obiettivi definiti ed
essendo relativamente autonomo, può, attraverso le relazioni con i suoi gruppi di riferimento,
agire attivamente sul suo processo di sviluppo. Lo studio dell'adolescenza, quindi, risulta
molto interessante in quanto può fornire diverse informazioni riguardo tutti questi processi
(Lerner,2002). In terzo luogo, durante questo periodo, le transizioni individuali avvengono in
svariati contesti (la famiglia, i coetanei, la scuola, e il luogo di lavoro), e forniscono una
panoramica più ampia di come interagiscono i singoli livelli, costituendo una ricca
opportunità per capire la natura multi-livello del cambiamento e dello sviluppo sistemico.
In sintesi, queste ricerche contribuirono a comprovare la diversità delle traiettorie evolutive e
il ruolo fondamentale delle relazioni individuo-contesto nel definire e modellare queste
traiettorie. Questi risultati misero inoltre in luce la “plasticità dello sviluppo” (ovvero la
tendenza alla variazione sistematica che l’individuo ha durante l’ontogenesi).
Tuttavia, nonostante questi risultati, la lente predominante per concettualizzare la natura
dell'adolescenza ha continuato ad essere (fino al 1990 – quando lo studio dell'adolescenza
diventa sempre più vicino alle idee emergenti associate alla sviluppo della teoria dei sistemi)
implicitamente o esplicitamente centrata sul modello del deficit.
Infatti, spesso ancora oggi, i principali interventi finanziati dalle istituzioni hanno come
obiettivo la riduzione o la prevenzione di problemi " causati " da presunti deficit
adolescenziali. Questi problemi comprendono l'uso di alcol, i rapporti sessuali non protetti, le
gravidanze precoci, l’insuccesso, l’abbandono scolastico, la criminalità, la delinquenza, la
depressione e l’autolesionismo. Naturalmente, non si può negare l'esistenza di specifici
problemi durante gli anni dell'adolescenza o l'importanza degli interventi per prevenire tali
problemi.
Tuttavia, l'avvento di una nuova prospettiva di sviluppo sul periodo dell’adolescenza ha
portato, nel corso della terza (attualmente in corso) fase degli studi sul campo, all'idea che il
modo migliore per evitare comportamenti problematici sia quello di concentrarsi sui punti di
forza, non sui deficit, e di promuovere cambiamenti positivi in tutta la seconda decade di vita.