perché il monopolio della composizione per questo strumento non è
più una esclusiva dei chitarristi ma è passato nelle mani di compositori
attivi pure in altri generi favorendo così la modernizzazione del
repertorio, in armonia con le più avanzate correnti estetiche. Fra questi
nuovi compositori per chitarra spicca il nome di Gilberto Cappelli il
quale ha dedicato e sta dedicando gran parte della sua attività
compositiva a tale strumento, dando vita ad un repertorio rilevante sia
dal punto di vista quantitativo che qualitativo. In qualità di chitarrista
ho avuto il privilegio di incontrare personalmente Gilberto Cappelli e
di ascoltare ed interpretare direttamente parte della sua opera.
Il nucleo di tale dissertazione deriva da un minuzioso studio delle
partiture e dai colloqui da me avuti con l’artista e con i musicisti
coinvolti nella nascita di tale produzione.
Molti sono i punti interessanti emersi da tale analisi: la scelta della
chitarra quale strumento per realizzare la svolta stilistica; il taglio
espressionista dato a queste musiche; l’anelito comunicativo
contenuto in esse; l’innovazione stilistica e tecnica; la “non – ricerca”
dell’effetto chitarristico, il che contraddistingue tale produzione da
tanta musica contemporanea.
Il presente lavoro sviluppa in tre capitoli questi contenuti senza la
pretesa di esaurire tutta la problematica ad essi connessa; anzi i
risultati ottenuti hanno proprio la funzione di avviare la ricerca su tale
produzione, data l’assoluta mancanza di studi a riguardo.
Il primo capitolo ha lo scopo di analizzare le principali avanguardie
del Novecento musicale indugiando particolarmente sugli artisti
considerati da Cappelli importanti per la sua formazione.
Il secondo capitolo si propone di tracciare un quadro del secondo
Novecento chitarristico, concentrando l’attenzione sulle composizioni
definibili d’avanguardia.
Il terzo capitolo riporta l’analisi tecnica, stilistica e simbolica della
produzione per chitarra di Gilberto Cappelli mettendone in risalto la
matrice espressionista, il carattere innovativo e l’aspetto
comunicativo.
Si precisa che i termini o concetti fondamentali per la comprensione
del testo sono stati evidenziati in neretto per una maggiore visibilità.
PRIMO CAPITOLO
LA MUSICA DEL XX SECOLO
Il capitolo si propone di analizzare le principali avanguardie musicali
del Novecento puntando l’attenzione sulle correnti e i compositori
ritenuti dallo stesso Gilberto Cappelli fondamentali per la sua
formazione artistica. Occorre premettere che tali pagine non hanno la
pretesa né di fornire un quadro completo del Novecento musicale né
di descrivere l’intero itinerario poetico di ogni singolo artista trattato
poiché ciò implicherebbe un lavoro eccessivamente dispersivo e poco
utile alla tematica principale di questo studio. Tale impostazione
spiega le importanti e palesi “esclusioni” da questo discorso di nomi
quali quello Cage, l’esiguo spazio dedicato a grandi nomi quali quello
di Berio, e l’indugiare più a lungo su alcuni compositori ed in
particolar modo su Maderna e Nono, figure assolutamente
fondamentali per la nascita della poetica di Gilberto Cappelli. Sotto
forma di un discorso unico e continuo, i soggetti di questi paragrafi
verranno presentati indugiando sulle ragioni della loro arte
compositiva, sul loro rapporto sia con la tradizione (intesa in senso
ampio) sia con le tendenze della musica a loro contemporanea ed
infine su eventuali relazioni esistenti tra di loro.
Per giustificare le mie affermazioni ed inquadrare storicamente le
fonti da cui esse sono tratte, ho ritenuto utile sia riportare un numero
elevato di citazioni accanto a stralci di testimonianze degli stessi artisti
trattati sia specificare, tramite le note, le fonti saggistiche degli
studiosi di cui mi sono servita in questo lavoro.
1. L'epoca delle avanguardie storiche
1.1 L'Espressionismo e la scuola di Vienna
Dato che Cappelli si autodefinisce un compositore “espressionista”,
abbiamo ritenuto opportuno dedicare un intero paragrafo a tale
corrente artistica.
“…l’inizio del XX secolo, dopo le aperture dei giganti Van Gogh, Ensor, Münch,
è l’epoca dei grandi visionari, di occhi che scrutano la realtà e la percepiscono
come tormentosa, accidentata congerie di forme rutilanti, bruciate dai colori che
vivono solo negli aspetti più eccezionali della natura. La mente trema, l’occhio si
accende per lampi d’ira o disperazione: con l’Espressionismo l’uomo vede un
universo avvampante di bagliori e infelicità”
1
.
Il termine Espressionismo fu desunto dalle arti figurative agli albori
del XX secolo per descrivere l'opera pittorica di autori i quali, traendo
spunto dall’arte di Gauguin e Van Gogh, in aperta antitesi con le
concezioni tecnico – formali dell’Impressionismo, tentarono di creare
un mondo immaginario e chimerico fondato sull'illusione e l'allusione,
prescindendo dalla realtà fattuale in nome di un esasperato
soggettivismo. Tra il 1910 e il 1924 l’E. si precisò in un vasto
movimento che interessò tutte le arti e fu la fucina di diverse correnti,
alcune di ispirazione mistico - cosmica, altre a carattere politico-
sociale. Molteplici elementi (sociali, filosofici, artistici e culturali)
contribuirono alla nascita di questa corrente, i cui presupposti politici
furono spesso la difesa della democrazia, il pacifismo, il socialismo e
il comunismo, che talvolta sfociarono in un radicalismo umanitario ed
anarcoide
2
. La maggior parte degli espressionisti aspirarono alla
solidarietà fra gli uomini e alla pacifica convivenza fra i popoli.
All’immaginazione degli artisti fece luce in Germania il pensiero dei
1
Flavio Caroli, La Perdita del Centro, Itaca, Perugia 1999, p. 13.
2
Giovanni Necco, Letteratura tedesca, Vallardi, Milano 1959, p. 385.
filosofi e così alla trasformazione, in arte, del naturalismo -
impressionismo corrispose in campo filosofico una decisa rivolta al
positivismo. Grazie ad un nuovo slancio idealistico, si mise sempre di
più in risalto l'autonomia e la potenza dell'io e della volontà
individuale nei confronti della natura. Fra gli altri, Rudolf Eucken
propugnò la necessità di rinnovare la filosofia, postulando nell'uomo
la capacità di autocrearsi, conservarsi e svilupparsi. Il volontarismo di
Wundt e del Paulsen mise in rilievo il dinamismo dell'anima creatrice
di sintesi, i cui elementi sussunti sono trasfigurati in realtà nuove.
Mentre la "filosofia dei valori" di Windelband e Rickert tracciava le
norme ideali del mondo dell'esperienza, la fenomenologia
trascendentale di Husserl svalutava ogni conoscenza di tipo puramente
empirico in nome della capacità di cogliere, con un atto di immediata
intuizione, la realtà adombrata del fenomeno
3
. Evidenti appaiono i
richiami fra tali teorie filosofiche e il pensiero di critici e studiosi
tedeschi. Herman Bahr in Expressionismus del 1916 scrive:
"Nella gioventù che vien su ora, lo spirito si annuncia con irruenza. Dalla vita
esteriore esso rientra in quella interiore, ascolta la voce dalle intime sue latebre, e
torna a credere che l'uomo non sia la semplice risonanza del proprio mondo. Ma
ne sia piuttosto il creatore, o, in ogni caso, sia almeno forte quanto esso. Una tale
generazione rinnegherà l'impressionismo e vorrà esigere un'arte che guardi di
nuovo cogli occhi dello spirito: all'impressionismo segue l'espressionismo".
Se in letteratura Nietzsche fu il diretto antecedente
dell’Espressionismo, Scheler ne fu il teorico e il profeta: la sua
esaltazione dell’irrazionale e dell’istintivo contro il pensiero astratto
costituì la chiave tematica dell’Espressionismo, mentre il pessimismo
apocalittico, il linguaggio feroce e grottesco, l’urlo che erompe dal
silenzio ne furono l’inevitabile risvolto. I generi in cui le idee
d’avanguardia attecchirono più celermente furono il dramma e la
lirica, in cui la tensione mistica di Werfel, la forza visionaria di Heym
3
Ibidem, p. 386.
e il pathos elegiaco e spettrale di Trakl riuscirono a rinnovare una
materia considerata all’epoca troppo carica e congestionata in
compiute soluzioni. Rimase invece piuttosto estranea al fenomeno la
narrativa, nonostante la presenza di scrittori come Mann, Döblin e
Kafka. In campo letterario si assistette al fenomeno per cui interi
gruppi di scrittori, uniti dagli stessi principi estetici, si raccolsero
attorno ad un organo comune. Nacquero così le riviste: Pan (1910)
fondata da Alfred Kerr; Der Sturm (L'assalto, 1910) fondata da
Herwarth Walden, autore de "Il libro dell'amore umano", definito il
primo romanzo espressionista; Die Aktion (L'azione, 1911) fondata da
Franz Pfemer, che diresse poi anche Neue Jugend (Gioventù nuova,
1914). I periodici citati, seppur diversi nelle tendenze, condivisero lo
stesso carattere rivoluzionario.
In alcuni scrittori del primo dopoguerra un crudele scetticismo si unì
al sensazionalismo torbido e cupo, residuo degli istinti primitivi
scatenatisi in trincea. Uno sguardo più ottimista si trovò invece nel
romanzo espressionista Nicht der Mörder di Werfel e negli scritti di
Wassermann, autore di Juden von Zindorf. Ma se diverso fu il
contenuto delle varie opere letterarie espressioniste, comune fu la
forma tesa e convulsa
4
. In un certo senso l'Espressionismo si pose
come un problema della forma ma in una accezione diversa da quella
classica; ovvero come "non - forma, non - definitezza, non -
plasticità". La nuova forma si caratterizzò perciò dalla contrazione,
aritmicità, asimmetria, “amusicalità”. L'apparente dualismo fra
contenuto e forma si risolse successivamente in senso monistico in
quanto l'aspirata non - forma coincise col nuovo contenuto.
Nonostante questi scrittori mostrino spesso bizzarria, caricatura e
violenza non si può negare loro uno sforzo di sintesi, un pulsare del
sentimento e della passione, una tensione nervosa ed una urgenza
fantastica, che demolirono la tradizionale forma in sé finita, la vecchia
retorica e gli ormai consunti stilemi stilistici in nome della nuova
espressione
5
.
4
Giovanni Necco, Letteratura tedesca, Vallardi, Milano 1959, p. 387.
5
Ibidem, p. 388.
Precursori dell’Espressionismo in campo teatrale furono Büchner,
Strindberg e Wedeking che escogitarono espedienti tecnici per isolare
i personaggi in un clima irreale, accrescendone così il valore
simbolico. Oltre a Brecht, espressionista solo in drammi giovanili, si
ricordano Kaiser, autore del dramma Dal mattino a mezzanotte, in cui
i personaggi si ribellano, in un clima di lucida follia, alla morale
comune e Fritz von Unruh il cui teatro, che si volge
all’antimilitarismo, è ben rappresentato da Una stirpe. Nel campo del
cinema, che accentuò il fantastico e l’onirico, vanno menzionati
Wiene con il Gabinetto del dottor Caligari, Murnau con Nosferatu e
Lang con Destino.
Tale capitolo ha esordito citando la relazione tra Espressionismo ed
Impressionismo su cui è perciò utile soffermarsi brevemente. La
corrente impressionista, movimento francese del secondo 1800,
contrappose all’accademismo della cultura ufficiale francese nuovi
valori pittorici e formali, consistenti principalmente nella rivalutazione
della luce e del colore, nell’uso della pennellata rapida e succosa e
nell’abbandono del chiaroscuro, come mezzi più adatti ad esprimere le
immagini immediate ed autentiche suscitate nell’artista dalla natura
che lo circonda. Secondo una immagine metaforica e traslata e con
particolar riferimento alle composizioni di Claude Debussy (1862-
1918), si coniò impropriamente il termine “Impressionismo musicale”,
intendendo con esso la tendenza di alcuni compositori ad articolarsi
su risonanze armoniche e trascolorazioni subitanee di crescendo e di
smorzando delle sonorità, corrispondenti ai giochi di luce pittorici.
Nonostante le diversità di impostazione, sia l’Impressionismo (se
vogliamo adoperare questo termine) che l’Espressionismo in campo
musicale, nacquero da un nuovo modo di percepire il mondo sonoro e
furono tentativi destinati ad esercitare un maturo influsso,
contribuendo a liberare la musica dal peso della tradizione,
orientandola verso nuovi orizzonti
6
. Gli aderenti all’Espressionismo
proposero un'arte che fosse pura espressione dell'anima, cioè che
6
M. Carner, Storia della musica, vol. X, a cura di M. Cooper, Feltrinelli, Milano 1974.
avesse origine dalla necessità espressiva propria dell'uomo. Hans
Sedlmayr afferma che tale corrente artistica, almeno nel suo nocciolo,
si fondò sull’impulso verso la purezza delle origini, la cui perdita era
stata il costoso pegno pagato per lo straordinario acquisto di nuova
conoscenza. Che cosa fossero queste origini resta oscuro:
l’Espressionismo sperava di trovarle creando
7
. Esso cercò l’originario
nell’abbozzo, nel maldestro, nel rozzo e nel brutale. Credette di
trovare l’originario nel popolo primitivo, (che gli sembrava
racchiudere alti valori), e nel periodo arcaico di tutte le civiltà,
nell’arte degli inesperti, dei fanciulli e degli alienati.
L’Espressionismo consistette perciò nell’intenzione. Avrebbe voluto
ricreare la “religiosità” mediante l’arte. Si sobbarcò di un compito
gravoso poiché assunse su di sé ciò di cui la religione aveva
alleggerito l’arte. La sua ideologia fu quasi sempre confusa e oscura
ma illuminata qua e là da lampi di verità. L’artista espressionista,
sentendosi smarrito e schiacciato, espresse il tragico desiderio di
riconquistare il posto perduto “vicino al cuore della creazione”.
Ritenendo l’ingenuo vicino alla creazione, diventò egli stesso ingenuo,
ma la sua ingenuità cosciente e consapevole, che fu un tratto tipico
dell’arte espressionista, cessò in tal modo di essere ingenua
trasformandosi in raffinatezza. Hans Sedlmayr afferma perciò che
“tutta l'impresa era perciò condannata al fallimento poiché non è
possibile risalire alle origini sacrificando la ragione e l'intelletto”. (Gli
artisti espressionisti schivarono infatti la chiarezza e la freddezza della
precisione e della riflessione.) Ma, continua Sedlmayr, tale tentativo
assunse comunque una connotazione eroica e perfino nell'insuccesso
della sua ricerca vi fu spesso una certa grandezza
8
.
Per inquadrare storicamente il fenomeno è utile evidenziarne le tre
principali fasi evolutive. Vengono considerati anticipatori
dell'Espressionismo dal 1905 la cerchia dei pittori tedeschi del Die
Brücke (Il Ponte) di Dresda, con Kirchner, Schmidt-Routluff, Heckle,
Nolde, Van Dongen, Muller e Pechstein, che si richiamavano alle
7
Hans Sedlmayr, La rivoluzione dell'arte moderna, Garzanti, Milano 1958, p. 111.
8
Ibidem, p. 113
esperienze di Van Gogh, Munch ed Ensor. A tale gruppo
successivamente si collegò, intorno al 1911 a Monaco,
l’espressionismo astratto Der Blaue Raiter (Il Cavaliere Azzurro) cui
aderirono Kandinskij e Marc (che ne furono i fondatori), Macke,
Klee, Munter, Kubin e Kokoschka. A tale movimento erano legati
compositori moderni quali Scriabin, Arnold Schönberg, Alban Berg e
Anton von Webern. Allo stesso modo nel 1910 vide la luce la rivista
berlinese Der Sturm, che stimolò contemporaneamente sia la pittura
moderna che la poesia espressionista. Il terzo capitolo espressionista
degli anni ‘20 comprese il movimento dadaista, il surrealismo e il
gruppo della nuova oggettività (movimenti tacciati poi dal nazismo
sotto l’etichetta di “arte degenerata“ ). Quest’ultimo proponeva una
nuova forma polemica ed esasperata di realismo, cui aderirono Grosz,
Dix, Beckmann e Schad
9
.
In campo pittorico gli effetti dell'Espressionismo sono riconoscibili
nella semplificazione ed appiattimento delle forme ad un livello
elementare, in nome di un cromatismo elevato a nucleo espressivo
dell’immagine. Se nelle arti figurative mutò la posizione dell'artista
nei confronti dell'oggetto ritratto non più realisticamente ma
idealizzato, in letteratura assistiamo alla dissociazione sia
grammaticale che concettuale. Contemporaneamente si diffuse un
linguaggio sempre più essenziale, epurato dall'uso eccessivo di articoli
ed aggettivi posti in secondo piano rispetto a sostantivi e verbi.
L'Espressionismo, in ogni campo, significò ribellione al sistema
vigente formalistico e liberale e opposizione alla borghesia
capitalistica e materialista, in nome di una umanità più consapevole
delle proprie potenzialità
10
. Ma tali idee non riuscirono a
concretizzarsi in un chiaro indirizzo ideologico. Tale movimento
raggiunse il suo apice nel 1914, dopo di che, nel primo dopoguerra, in
particolar modo nel mondo austro - tedesco, diventò emblema di un
mondo nuovo ed in progressiva trasformazione (da ciò sono
9
Hans Heinz Stuckenschmidt, "Espressionismo"in Enciclopedia della musica, Ricordi, Mi 1964,
p.141.
10
Ibidem, p. 140.
ipotizzabili analogie fra il modo di vedere la realtà naturale da parte
degli artisti espressionisti e la nuova concezione fisica del mondo di
Einstein e Planck). Analogamente alle altre arti, pure in musica si
assistette ad una rivoluzione concettuale, stilistica e tecnica con le
stesse caratteristiche di riduzione all'essenziale e tendenza
dissociativa
11
. Ciò è evidente nelle sinfonie e nei pezzi pianistici di
Scriabin, nell'opera di Schönberg e della sua scuola, nelle Bagatelle
di Bartok e nella Sonatina seconda di Ferruccio Busoni. Fondamentale
per la musica moderna fu il fenomeno del progressivo abbandono
della tonalità, iniziato con l'adozione in Schönberg ed in Scriabin di
accordi per quarte da quattro a sei suoni, che, comparse nel Pelleas
und Melisande (1903) di Schönberg, cominciarono ad affermarsi nella
sua Kammersymphonie op. 9 (1906), in sostituzione alle triadi da
allora in poi evitate. Nel Prometeus di Scriabin (1909 - 1910) e in
successive opere pianistiche l'autore adottò l'accordo mistico (cinque
quarte successive: do- fa diesis- si bemolle - mi - la - re)
12
.
L’estinguersi dell’uso della tonalità, che fu il fenomeno
corrispondente nelle arti figurative espressioniste dell’abbandono del
mondo oggettivo, ebbe come conseguenze la caduta delle funzioni e
delle tensioni cadenzali degli accordi, la possibilità per ogni accordo
di legarsi con qualsiasi altro, la mancata risoluzione delle dissonanze.
Si cominciarono ad amare i contrasti a qualsiasi livello, per cui
convivevano sia l’uso per i piccoli passaggi cromatici che i salti
d’intervallo giganteschi; la melodia si dispiegava dal registro più
grave al più acuto; dal più dolce pianissimo all’urlante fortissimo; un
tempo lento e sognante si poteva trasformare in furiose accelerazioni;
per creare contrasto timbrico si affidava agli strumenti la funzione
prevalentemente solistica, spesso in registri estremi ed in toni
imprevisti, per cui gli archi eseguivano pizzicati e suoni flautati; nei
flauti comparvero frullati, effetti di sordina e talvolta glissandi
13
. Si
ebbe come effetto uno stile che aveva la tendenza ad esplodere. Per
11
Autori vari, Enciclopedia della musica, Garzanti, Milano 1996, pp. 280 – 281.
12
H. H. Stuckenschmidt, La musica moderna, Einaudi, Torino 1975, pp. 16 – 17.
13
Enciclopedia della musica, Ricordi, Milano 1964, p. 140.
quanto riguarda la melodia, questa non mostrò più il carattere
cantabile delle sonate in stile classico o del lied romantico ma assunse
una immagine che aspirava a seguire i moti interiori e a tendere
sempre all’esagerazione. Come la ritmica sembrava quasi strutturarsi
per se stessa, analogamente le melodie spesso esistevano
indipendentemente dalle armonie dell’accompagnamento e
prediligevano gli intervalli di quarta, il tritono, la settima, la nona e i
semitoni evitando le triadi e le ottave, le sequenze e le ripetizioni. Se
compariva una tematica essa veniva riproposta continuamente, variata
e sviluppata
14
.
Il metodo dodecafonico formulato da Arnold Schönberg, che segnò
una vera e propria rivoluzione nella storia della musica, diede origine
negli anni ’20 al fenomeno di trasformazione in legge razionale del
tabù della ripetizione, ovvero la “serie”, successione preordinata dei
dodici suoni della scala cromatica temperata. La serie poteva
presentarsi in quattro forme diverse; erano lecite le trasposizioni ma
non la ripetizione di note al di fuori dell'ordine stabilito.
L'artefice di tale metodo adottò la dodecafonia quale strumento utile
per la sua arte compositiva, ovvero come un metodo di lavoro molto
proficuo (e non come un ordine normativo). Il celebre compositore
viennese venne definito un "conservatore rivoluzionario" visto che
impiegò questa innovazione così radicale nell'ambito delle forme
classiche (come è evidente nel Pierrot Lunaire), il che produceva un
effetto terribilmente straniante. La musica espressionista mostrava
un’ansia febbrile e sembrava prefiggersi come scopo di suscitare
nell’ascoltatore una certa inquietudine, tentando di raffigurare la parte
tenebrosa dell’esistenza. Essa viveva all’insegna dell’angoscia, dello
spavento, della catastrofe, dell’eccesso di passioni, della malattia, mai
dell’idillio e del piacere. Questo effetto venne raggiunto anche grazie
alla asimmetria ritmica, per cui venne eliminata spesso la divisione in
battute e gli accenti venivano posti in punti imprevisti. Un’altra
peculiarità della musica espressionista, accanto alla libertà formale, fu
14
Ibidem.
la tendenza alla sintesi, all’essenziale, il che portò alla brevità dei
pezzi e al diffondersi dello stile aforistico, di cui celebri esempi furono
Klavierstücke di Schönberg, Klarinettenstücke di Berg e le Bagatelle
di Webern. (Questa stessa tendenza ad eliminare il men che essenziale
condusse dalla grande orchestra ai piccoli complessi). Nella musica
vocale assistiamo a continui cambiamenti di registro e all’inserirsi
accanto alla voce cantata della voce recitante, come in Pierrot lunaire.
Al fine di arricchire e rinnovare il materiale sonoro, Busoni teorizzò i
terzi e sesti di tono e Hàba i quarti di tono con il tentativo di superare
la "barriera del suono" del temperamento equabile e il forte impulso
alla ricerca di nuove soluzioni sonore condusse alla mania degli
esperimenti
15
.
Ora è utile, per meglio comprendere il fenomeno, soffermarsi sui tre
compositori fondatori della Scuola musicale di Vienna, destinata ad
esercitare una straordinaria influenza sulla generazione del secondo
dopoguerra. Seppur per vie diverse, autonome e nettamente
individuate, costoro risposero alla stessa situazione di crisi della
nozione tradizionale del soggetto e del suo linguaggio che caratterizzò
l'epoca precedente i conflitti mondiali.
Arnold Schönberg fu erede della tradizione classico - romantica, da
cui si allontanò per una progressiva esigenza di essenzialità e
spiritualizzazione che lo condusse a scrivere Verklärte Nacht (Notte
trasfigurata, 1899) op.4, un "poema sinfonico da camera" per sestetto
d'archi, genere inedito di ispirazione poetica, in cui vi era già un
accenno ai caratteri espressionisti (evidenti ad esempio nelle accese
ambientazioni sonore). L'amicizia con Kandinskj, il cui spazio privo
di un centro di riferimento corrispose all'abolizione del centro tonale
adottata da Schönberg, lo portò ad avvicinarsi sempre di più
all'avanguardia tedesca, a dipingere quadri intitolati "visioni" e ad
essere uno dei fondatori del Cavaliere Azzurro, sulla cui rivista
pubblicò Il rapporto col testo, saggio in cui per la prima volta vennero
affermati i principi estetici dell'Espressionismo musicale. Da tali
15
Hans Heinz Stuckenschmidt, "Espressionismo" in ibidem, p. 141.
premesse nacque nel 1912 il Pierrot Lunaire op.21, (il vero e proprio
manifesto dell'Espressionismo, decisivo per l'arte contemporanea, al
pari seppur in direzione opposta della Sagra della primavera di
Stravinskij), "melodramma" per voce recitante e otto strumenti su
poesie simboliste e in cui il tradizionale canto spiegato fu sostituito
dallo Sprechgesang, ovvero il canto parlato, che per il suo carattere di
allucinazione perfettamente esprimeva l'alienazione dell'individuo
nella società in sfacelo dell'epoca. Fondamentali per dettare i caratteri
del teatro espressionista furono il melodramma per soprano e
orchestra Erwartung op.17 (L'attesa, 1909) e Die glückliche Hand (La
mano felice) op.18, che miravano ad una forma di "rappresentazione
totale", (segno ulteriore della collaborazione con Kandinskij), ovvero
al convergere dei mezzi espressivi. Frutto di un lungo periodo di
attività didattica, compositiva e di profonda riflessione fu il Manuale
d'armonia (1909 - 1911), che costituì un vero e proprio attacco
frontale all'insegnamento didattico tradizionale e che conteneva già gli
accenni alla Klangfarbenmelodie (melodia di timbri), ovvero alle
relazioni timbriche dei suoni, principio fondamentale non solo per lo
stesso compositore ma per gli stessi eredi della Scuola di Vienna.
Sotto la superficie romantico – espressionistica di tale compositore,
che incarnò veramente nella sua musica e nei suoi scritti la crisi e le
incertezze in cui si trovò la musica nel primo Novecento, si rivelò la
sua personalità formalistico – costruttivistica, evidente
nell’importantissimo saggio Composizione con dodici note in cui egli
si propose di giustificare teoricamente e storicamente la legittimità del
metodo dodecafonico affermando la provvisorietà e precarietà del
sistema tonale classico
16
. Demitizzando quest’ultimo, negandone
l’eternità e affermando che esso non aveva altra necessità che quello
di uno sviluppo storico il quale portò infine alla sua dissoluzione e poi
alla sua sostituzione con il metodo dodecafonico, egli pose come
concetto fondamentale della sua poetica l’emancipazione della
dissonanza. Consonanza e dissonanza venivano da lui considerati
16
Enrico Fubini, L’estetica musicale dal Settecento a oggi, Einaudi, Torino 1987, pp. 228 – 229.
concetti di valore equivalente, storici, perituri, prodotti da una certa
pratica e consuetudine musicale dell’orecchio e che lo sviluppo
dell’armonia degli ultimi cent’anni aveva radicalmente trasformato
(sicchè l’orecchio, abituato ad un numero sempre crescente di
dissonanze, “aveva perso il timore del loro effetto incoerente”).
Secondo Schönberg la tonalità non era una legge naturale e non
garantiva di per sé il successo a nessun musicista. La relatività di
qualsiasi principio permeò la sua coscienza di maestro che lo portò ad
affermare nel Manuale d’Armonia:
… per quanta teoria si faccia in questo volume… io creo simboli, aspiro solo a
collegare tra loro idee apparentemente lontane…ma non a stabilire nuove leggi
eterne. L’unica cosa che può avere importanza è basarsi su supposizioni che,
senza voler essere considerate leggi di natura, soddisfano la nostra necessità
formale di senso e di coerenza.
L’unica legge eterna riconosciuta come valida da Schönberg fu la
perenne possibilità di mutazione e di evoluzione dell’arte, specchio
della mobilità della vita.
Nessun sistema nel ventesimo secolo ebbe più del sistema
dodecafonico il potere di smuovere le acque e nessun altro fu
combattuto con altrettanta acredine il chè era stato constatato dal suo
stesso artefice che nel 1934 scrisse:
So da molto che non avrò una vita sufficientemente lunga per assistere alla
diffusione e comprensione della mia opera. Ho tracciato confini abbastanza vasti
per essere sicuro che un giorno tutti quelli che mi si oppongono… saranno
costretti ad arrivarci
17
.
17
Luigi Dallapiccola, Appunti incontri meditazioni, Suvini Zerboni, Milano 1970, p. 167.