Premessa:
“Io sono uno di quei lettori di Schopenhauer che, dopo
averne letto la prima pagina, sanno con certezza che le
leggeranno tutte e ascolteranno ogni parola che egli
abbia mai detto...la mia fiducia in lui fu immediata”.
F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore, p.13.
Penso che questa profondissima frase di Nietzsche racchiuda un po' anche il mio pensiero;
Schopenhauer è un filosofo avvolgente, persuasivo, affascinante, capace di portare all'interno del
suo pensiero, delle sue idee, nella sua “interiorità”. Non è un autore che si rivolge a coloro che
leggono per distrarsi o per trovar riposo, ma è un filosofo destinato a chi ha ancora qualcosa da
decidere, sulla sua vita e sul suo atteggiamento dinnanzi al mondo e alla cultura.
Se la filosofia deve discendere da una visione universale della vita, se deve, quanto più è
possibile, assomigliare alla vita, allora Schopenhauer è l'ultimo filosofo che non usurpa questo
nome. Assumendolo come maestro impareremo qualcosa sul conto della vita e riusciremo a
ritrovare noi stessi, scavando in profondità per discendere con violenza nel pozzo del nostro essere.
“I tuoi veri educatori e plasmatori ti rivelano quale è il vero senso originario e la materia
fondamentale del tuo essere, qualche cosa di assolutamente ineducabile e implasmabile, ma in ogni
caso difficilmente accessibile, impacciato, paralizzato: i tuoi educatori non possono essere niente
altro che i tuoi liberatori”.
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Sono occorsi decenni per delineare un quadro non semplicistico del pensiero schopenhaueriano, dal
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F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Adelphi 2009, cit., p.7.
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momento che, all'inizio, egli venne considerato semplicemente uno dei tanti glossatori di Kant e il
disinteresse del pubblico colto, unito all'emarginazione dal dibattito filosofico, ne segnarono il
destino.
Bisogna tuttavia tenere conto che solo dopo il 1851 egli divenne uno dei filosofi più letti ed
influenti dell'epoca, specialmente al di fuori delle facoltà di filosofia. Scrittori, artisti, musicisti e
scienziati trovarono nei suoi testi alcuni spunti ed illuminazioni che si tradussero in opere d'arte,
scoperte e visioni del mondo, ma soprattutto furono numerosi i semplici lettori in tutti gli strati
sociali. Negli scritti a lui dedicati, proliferarono gli studi che tendevano alla glorificazione del
grande filosofo, all'esaltazione della parola di verità che finalmente si rivelava e si imponeva, anche
se negli ultimi anni la situazione è mutata in modo significativo. Schopenhauer è diventato oggetto
di analisi storiche, di ricerca delle fonti, di studi che mettono in rilievo il contesto, perciò
l'immagine per lo più diffusa, anche presso la comunità accademica, è quella dell'anti-Hegel,
dell'educatore di Nietzsche, dell'autore di una filosofia prèt-à-porter geniale, ma un po'
semplicistica, dal momento che le indagini storiche faticano a scalfire le sedimentazioni che si sono
stratificate nel corso dei decenni.
Lo stile schopenhaueriano è impeccabile e la chiarezza della sua esposizione è cristallina, ma
questo non deve essere inteso come assenza di problematicità. E' questo un modo di parlare
schietto, rude, amichevole, davanti a una persona che ascolta con amore: scrittori del genere ci
mancano. Schopenhauer si dimostra onesto anche come scrittore, come pochi lo sono, dal momento
che parla e scrive a se stesso e per se stesso, ma sceglie di essere immodesto, giudicando la
modestia una sorta di obbligazione ipocrita che il genio deve pagare all'incomprensione dei
contemporanei.“La sua forza sale, come una fiamma quando non c'è vento, diritta e leggera in
alto, sicura, senza tremolio e agitazione”.
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Senza una lettura diacronica ed il confronto con il contesto culturale, il pensiero di Schopenhauer
risulta cristallizzato e l'indagine storica risulta manchevole e molto superficiale.“Ecco che cosa può
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F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Adelphi 2009, cit., pp.16-17.
essere Schopenhauer per noi, dopo Kant: la guida cioè che conduce fuori dalla caverna
dell'abbattimento scettico o della rinuncia critica, in alto verso le cime della contemplazione
tragica, il cielo notturno con le sue stelle infinitamente sopra di noi, e che ha condotto se stesso,
per primo, su questo cammino”.
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Tutti questi elementi concorrono a formare un'immagine di Schopenhauer diversa da quella
consueta. Di solito egli è presentato come pensatore simpatetico con l'irrazionalismo, spregiudicato
nel guardare la parte oscura dell'uomo, spietato nel descrivere l'infamia della vita e del mondo,
moderno nel ripudiare il gergo filosofico e nel rivendicare la verità semplicemente espressa.
L'illustrazione del suo pensiero e delle modificazioni di quel pensiero nel corso degli anni, mostrano
invece un filosofo votato alla metafisica e allo spirito di sistema, alla formulazione di un'equazione
tra essenza e verità, a una concezione della verità che è luce, all'elaborazione di una dottrina
razionalmente fondata e rigorosamente dimostrata.
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L'approccio schopenhaueriano fu speculativo fin dall'inizio, volto ad una comprensione tesa a
riformulare, a stabilire le basi di un nuovo sistema metafisico. Per questa ragione non assoggettò se
stesso al principio di autorità e la venerazione non gli impedì la critica. In taluni casi, è possibile che
Schopenhauer abbia cercato di distanziare le sue tesi da quelle dei maestri, per evitare di essere
considerato un epigono, ma tuttavia questo elemento non vale in generale. Fin dal primo incontro,
ciò che orientò la sua ricezione di Kant, fu la consapevolezza della sua missione e l'imponente
impiego di concezioni kantiane dimostra che Schopenhauer sapeva di non essere kantiano, bensì
semplicemente se stesso.
Anche se dichiarò che tra lui e Kant in filosofia “nulla è accaduto” e sostenne che “io mi ricollego
a lui senza intermediazioni”, quando Schopenhauer scelse di dedicare la sua vita alla filosofia,
decise che avrebbe imboccato la strada aperta da Kant e che l'avrebbe percorsa oltre il suo punto di
arresto. Quando scrive che “la filosofia è arte”, sostiene che essa vuole svelare ciò che è oltre i
fenomeni, perciò la filosofia deve essere arte per offrire uno sguardo sistematico sul mondo, capace
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Ibidem, cit., pp.23-24.
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M. Segala, Schopenhauer, la filosofia, le scienze, Edizioni della Normale, Pisa 2009, p.114.
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di prescindere dalla fenomenicità, per non essere più quello che fu prima di Kant: un sistema di
concetti ancorato alle apparenze.
Per Tolstoj, Schopenhauer era il più grande pensatore del mondo. Questa affermazione, già di per
sé clamorosa, appare un giudizio serio e sentito, che provenendo dal grande letterato, non può non
impressionare. Anche “il più grande pensatore del mondo”, se c'è, è tutt'altro che immune da errori,
ma se ne troverà in lui, come in tutti gli altri, tutta una serie: è normale. Da un lato per la grandiosità
della sfida che la filosofia rappresenta, come tentativo di abbracciare e dominare una realtà
sconfinata, soverchiante e in definitiva inafferrabile, e dall'altro per i limiti che, come è
universalmente riconosciuto, ineriscono anche al genio, già solo per il fatto che anche il più grande
non è che una misura limitata di energia, che gli consente di svolgere solo un ruolo parziale nel
complesso e plurimillenario dramma dell'umanità. Ma se le scoperte di un dotto sono le battaglie da
lui combattute contro la natura, come dice Cartesio, è difficile trovare un combattente che abbia
affrontato questa sfida con più valore di Schopenhauer.
Bisogna seguire un vero, grande filosofo cercando di far proprie le conquiste del suo ingegno, che a
lui costano l'impiego e il lavoro di tutta una vita, criticandone gli errori, ma anche cercando di
capire il terreno, spesso fertile, su cui questi sono spuntati, perché un filosofo è come una cometa,
con un nucleo concentrato e brillante ed un alone che diventa sempre più matto e diffuso.
V orrei concludere questa breve introduzione con le parole dello stesso Schopenhauer, adottate
nella prefazione alla seconda edizione de: “Il mondo come volontà e rappresentazione”, parole che
racchiudono un significato ed un insegnamento profondo ed intenso ai miei occhi.“Non ai
contemporanei, non ai connazionali: all'umanità consegno la mia opera ormai compiuta... I miei
scritti portano così chiaro in fronte il marchio dell'onestà e della sincerità, che già per questo
contrastano in modo stridente con quelli dei tre celebri sofisti del periodo postkantiano; me, mi si
trova sempre dalla parte della riflessione, vale a dire della meditazione razionale e dell'espressione
onesta, mai da quella dell'ispirazione, detta intuizione intellettuale... La mia stella polare è stata in
tutta serietà la verità: seguendola, potevo solo mirare direttamente al mio stesso plauso, essendo
del tutto staccato da un'età profondamente decaduta...la verità non è una meretrice, che si getta al
collo di coloro che non la desiderano; al contrario è una bella tanto ritrosa, che persino chi le
sacrifica tutto non può essere ancora sicuro dei suoi favori... Ai difetti e alle debolezze che
necessariamente ineriscono alla mia natura, come ad ognuna i suoi, non potrò certo giammai
sfuggire; ma non li accrescerò con indegni accomodamenti... Io ho seguito per più di trent'anni, il
corso dei miei pensieri, appunto anche solo perché così dovevo e non potevo altrimenti, per un
impulso istintivo, che era però sostenuto dalla fiducia che, ciò che uno ha pensato di vero e ha
tratto alla luce dall'oscurità, sarà anche un giorno colto da un altro spirito pensante, gli piacerà, lo
allieterà e consolerà: è a un tale spirito che si parla, come quelli a noi simili hanno parlato a noi,
diventando la nostra consolazione nel deserto della vita.”
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Capitolo Primo:
Confronto critico tra la morale schopenhaueriana e la
fondazione etica kantiana
“Nella polemica da intonare contro Kant,
ho l'occhio esclusivamente ai suoi errori e debolezze,
sto loro ostilmente di fronte e conduco contro di loro
una spietata guerra di sterminio sempre preoccupato
non di coprirli e risparmiarli, ma piuttosto di porli nella luce
più chiara, per distruggerli con tanto maggiore sicurezza”.
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, p.714.
“Predicare la morale è facile,
motivarla è difficile”.
A. Schopenhauer, Della volontà nella natura, p.128.
1. Convergenza o divergenza?
1.1 L'eterna diatriba fra Schopenhauer e Kant
Che cos'è il dovere? Che cos'è la legge? Quali sono le motivazioni che ci spingono ad agire in un
modo piuttosto che in un altro? Si tratta di alcuni interrogativi che nel corso della storia del pensiero
occidentale i filosofi hanno cercato di analizzare e sviluppare magistralmente. Tali domande
affiorano dall'esperienza quotidiana e dalla vita di ciascuno di noi, ma nella pratica filosofica
vengono espressamente approfonditi e tematizzati, cercando di offrire risposte fondate
razionalmente e giustificate attraverso argomentazioni adeguate.
Schopenhauer da un lato e Kant dall'altro, si sono addentrati nella problematicità e nella vitalità
della riflessione morale, cercando di mostrare la pluralità degli approcci e dei linguaggi etici, sino a
raggiungere itinerari e percorsi estremamente correlati, ma altrettanto autonomi ed individuali.
Particolarmente interessante e rilevante appare il vivace confronto esistente tra il filosofo de “Il
mondo come volontà e rappresentazione” e l'autore della “Critica della Ragion pratica”, che
permette di delucidare l'intima connessione e simultaneamente la profonda divergenza tra i due
pensatori.
L'immagine di Kant emergente dagli scritti schopenhaueriani, appare quella di un maestro,
incompiuto ed imperfetto, sempre sulla soglia della dimora del vero però mai in grado di compiere
il passo definitivo, un maestro che, comunque, è l'unico che abbia avuto la capacità di
accompagnare gli allievi fino a quel punto, fino a quella soglia. I grandi allievi hanno, però, nel loro
destino, la critica ed il superamento dei loro maestri: non c'è pagina nell'intera produzione di
Schopenhauer in cui non venga citato Kant, non c'è pagina in cui non venga riconosciuto
l'inestinguibile debito nei suoi confronti e non c'è neppure pagina che appunto sia, per così dire,
limpida ed esente da critiche.
L'atteggiamento di Schopenhauer nei confronti del maestro è sempre bivalente e contraddittorio,
dal momento che il riconoscimento dei meriti si accompagna costantemente alla denuncia dei limiti,
quegli stessi limiti che lo accomunano al nichilismo dell'intera metafisica occidentale. Dunque
svolta decisiva nella tradizione filosofica moderna, ma, al contempo, ingabbiamento in quella
tradizione.
Kant rappresenta l'innovazione in senso assoluto, l'eternamente giovane, il battistrada della verità
ma, contemporaneamente, non sa esprimere la verità stessa nella sua autentica pienezza. Di fronte a
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