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INTRODUZIONE
Mangiare e bere? Il vero valore aggiunto delle vacanze Made in Italy.
L’importanza della ristorazione per il turismo italiano è dimostrata dagli 8,4 miliardi di
euro che in questo 2015 sono stati spesi, secondo il rapporto della FIPE (Federazione
Italiana Pubblici Esercizi), dai turisti stranieri in Italia; il 5% in più rispetto al 2014. Ad
oggi sono infatti ben 4.698 le specialità enogastronomiche presenti nel territorio italiano
e, se pensiamo a come un terzo del costo vacanziero riguardi l’acquisto di prodotti
alimentari, emerge subito il ruolo centrale che occupa la ristorazione nell’economia del
nostro Paese; un settore unico al mondo per eterogeneità, qualità e diffusione. Basti
pensare che in Europa il settore vale 504 miliardi di euro, concentrato principalmente in
tre Paesi, e l’Italia, con 76 miliardi di euro nel 2015, si pone in particolare al terzo posto
dopo Regno Unito e Spagna.
La cucina italiana, la più apprezzata ed imitata al mondo, per il turista straniero è uno
dei principali motivi di viaggio in Italia; addirittura il primo per ritornarci. Non solo,
anche tra gli italiani stessi è in crescita la voglia di mangiare fuori casa: il 77% dei
maggiorenni infatti consuma, più o meno abitualmente, cibo al di fuori delle mura
domestiche, sia che si tratti di colazioni, pranzi, cene o più semplicemente di spuntini e
aperitivi. Sono 39 milioni gli italiani così segmentati:
Heavy consumers: 13 milioni consumano almeno 4/5 pasti a settimana fuori casa
Average consumers: 9 milioni consumano almeno 2/3 pasti a settimana fuori
casa
Low consumers: 17 milioni consumano almeno 2/3 pasti al mese fuori casa
Nell’ambito dei consumi infrasettimanali poi, il Centro Studi FIPE ha quantificato: sono
più di 29 milioni le persone che, almeno 3 volte a settimana, consumano un pasto fuori
casa, sia esso una colazione al bar dalla spesa media di 2,50 euro o una cena al
ristorante del valore medio di 22,40 euro. Per quanto riguarda il week-end, infine, si può
affermare che siano circa 14 milioni gli italiani a pranzare e/o cenare fuori casa almeno
3 volte al mese, spendendo indicativamente 19,00 euro, che si tratti di pizzerie,
ristoranti, trattorie o affini. Insomma, il fatto che si sia registrata una maggiore
propensione ai consumi fuori casa dello 0.8% rispetto al 2014, il quale a sua volta aveva
riportato un incremento reale sul 2013 dello 0.7%, e che si continui a rilevare un elevato
interesse verso l’Italia come meta di turismo enogastronomico tra le più ambite, sembra
far intendere che si sia finalmente arrestata la dinamica di contrazione iniziata nel 2008.
Come si può spiegare allora che siano ben 20.000 le imprese ad aver cessato l’attività
nei primi 9 mesi dell’anno 2015, determinando un saldo negativo di 8.000 rispetto alle
imprese avviate? Anche nel 2014 il saldo era stato negativo per circa ben 10.000 unità.
La ristorazione italiana conta circa 320.000 imprese suddivise in 150.000 bar e 170.000
ristoranti di varia tipologia. I numeri dicono che a fronte di una densità che in Francia è
di 329 imprese per 100 mila residenti, in Germania di 198 e nel Regno Unito addirittura
di 181, l’Italia presenta un indice di 440 imprese per 100 mila residenti. Parliamo di un
settore caratterizzato dunque da forte densità e competitività imprenditoriale, non
sostenute da un tessuto produttivo abbastanza robusto. Questo si traduce, come
possiamo ben comprendere, in un numero molto elevato di chiusure.
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L’evoluzione del mercato, a questo proposito, ha portato a notevoli cambiamenti,
specialmente dal lato della domanda. Oggi il nuovo consumatore è molto più
competente rispetto a qualche anno fa, più attento ai dettagli e più selettivo; inoltre
cambia gusti più facilmente. Ecco il secondo aspetto da tenere in considerazione. Il
cliente non ha più solo necessità di soddisfare un bisogno primario ma si aspetta di
vivere un’esperienza gastronomica.
Nel 1974 i consumi alimentari rappresentavano circa il 30% della spesa totale delle
famiglie italiane; oggi costituiscono il 15% dei consumi complessivi [fonte:
Confesercenti]. Nonostante tale riduzione, in Italia, come in altri paesi mediterranei,
resiste una cultura più conviviale ed edonistica del cibo rispetto a quanto avviene nei
paesi dell’Europa Settentrionale, nei quali prevale il carattere prettamente funzionale del
pasto. L’esperienza di consumi fuori casa assume dunque una duplice configurazione:
Eat out: consumi finalizzati al soddisfacimento del bisogno primario a carattere
funzionale di nutrimento.
Dine out: consumi motivati dalla volontà di soddisfare bisogni di gratificazione
personale, convivialità, evasione, divertimento etc.
È da questa che dipendono i diversi atteggiamenti del consumatore attuale, sempre più
annoiato e distratto dall’affollamento delle offerte. Egli sa tutto, ha tutto, vuole tutto e
può comprare tutto; per catturare la sua attenzione è pertanto necessario che un’impresa
si differenzi dalla concorrenza offrendo non prodotti alimentari, ma esperienze uniche.
L’obiettivo che si propone il presente lavoro di tesi è dunque quello di analizzare le
varie attività svolte in un sistema di Restaurant Management, in particolare le pratiche
di massimizzazione dei rendimenti, focalizzando l’attenzione sulla realtà sarda.
Nel primo capitolo viene analizzato in maniera generale il Revenue Management (RM),
oggi evoluzione dello Yield Management, come strumento del controllo direzionale,
fondamentale ai fini della trattazione. Lo stesso può infatti essere definito un metodo o,
meglio, una guida per vendere l’opportuna quantità di prodotto/servizio disponibile, al
momento, al cliente e al prezzo ottimale [Lo Yield Management 2008].
Il secondo capitolo sviluppa i vari strumenti operativi di cui si avvale il Restaurant
Revenue Management (RRM). Si parla quindi delle tre direttrici sulle quali è possibile
sviluppare ed implementare un sistema di RM - mercato, tempo e prezzo – e del Food
Cost, la cui conoscenza è imprescindibile per una ristorazione di successo.
Il terzo capitolo prende invece in esame il Menu Management, e quindi il Menu
Engineering. La trattazione si focalizza in particolare sul ruolo del menù - elemento
critico nel contesto generale di un ristorante – come strumento di programmazione,
controllo, marketing e perciò vendita del prodotto turistico ristorativo.
Il quarto capitolo, infine, concerne in un’attività di ricerca svolta tra i ristoratori sardi,
con l’obiettivo di comprendere se e quali azioni vengano di fatto messe in pratica con lo
scopo di raggiungere l’ottimizzazione dei rendimenti. Per l’elaborazione e la
somministrazione dei questionari si è utilizzato il software di sondaggi online
SurveyMonkey.
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Il mercato è in costante evoluzione: quante sono le strutture sarde che riescono a gestire
in modo ottimale un’attività ristorativa? Le stesse conoscono ed applicano
efficacemente le tecniche tipiche di Profit Management?
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1. IL REVENUE MANAGEMENT
Il Revenue Management nasce alla fine degli anni settanta come Yield Management,
rappresentando un fenomeno innovativo che ha caratterizzato la gestione delle aziende
operanti nel settore dei servizi, con particolare riguardo - specie nella fase iniziale – alle
compagnie aeree e, subito dopo, al settore alberghiero.
La differenza tra i due termini non implica in realtà una differenza sostanziale di
significato, nel senso che l’obiettivo finale di entrambi rimane quello di garantire
l’ottimizzazione dei profitti attraverso il massimo sfruttamento della capacità produttiva
dell’impresa. Di fatto, il Revenue Management si focalizza sul modo in cui un’impresa
indirizza le politiche di vendita per sfruttare al meglio le opportunità legate
all’incremento dei ricavi
1
. Le dinamiche dei costi, in questo caso, sono rilevanti nella
misura in cui sia necessario identificare i costi incrementali per sostenere tali politiche
2
.
Lo Yield Management, al contrario, non prescinde dalle dinamiche dei costi, in quanto,
attraverso l’ottimale combinazione delle due componenti economiche, garantisce
migliori condizioni di redditività
3
. In termini generali, le aziende che si avvalgono di
questo sistema di controllo sviluppano un sistema integrato di revenue e yield
management.
Il processo di progressiva diffusione dello Yield Management in settori produttivi
diversi e lontani dalle compagnie aeree e l’evoluzione delle logiche, delle tecniche e dei
modelli implementati verso altri modelli caratterizzati da maggiore complessità hanno
portato la letteratura internazionale a definire il nuovo fenomeno di innovazione con la
denominazione di Revenue Management (RM).
1.1 Le Origini del Revenue Management
Lo Yield Management, come accennato, trova le prime applicazioni agli inizi degli anni
ottanta nel settore del trasporto aereo. Nell’ottobre del 1978, accogliendo le istanze di
coloro che pressavano per una deregolamentazione del mercato del trasporto aereo,
venne emanato l’Airline Deregulation Act che introdusse nuove regole ispirate a
principi di competizione ed efficienza.
Obiettivo della riforma era quello di offrire benefici ai consumatori attraverso una
maggiore concorrenza di mercato. Furono infatti eliminate le restrizioni governative
imposte dall’US CAB (US Civil Aeronautics Board) con una conseguente diminuzione
dell’attività di controllo sui prezzi da parte del CAB stesso, aprendo il mercato ad una
maggiore rivalità. I prezzi, dapprima, venivano stabiliti sulla base di prefissati livelli di
profitto, impedendo la competizione tra i vari attori e, soprattutto, la riduzione dei prezzi
medesimi al di sotto di determinate soglie. Con la deregulation le compagnie aeree
acquisirono di fatto maggiore libertà, sia nello stabilire le proprie politiche di pricing sia
nello stabilire la differenziazione dei propri servizi. Le grandi compagnie americane non
seppero tuttavia cogliere immediatamente la portata dell’intervento e, almeno nella fase
iniziale, mantennero un comportamento poco competitivo, abituate com’erano ad
1
M. Fazzini, Lo Yield Management, Franco Angeli, 2008, pag. 8
2
Venkat, Sales-centric revenue management, Journal of Revenue and Pricing Management, Vol. 4, 2005,
pag 237-245
3
M. Fazzini, Lo Yield Management, pag. 8