Introduzione
Questo progetto di ricerca mira a compiere una disamina critica del principio di
autodeterminazione dei popoli, tema che fin dalla sua origine è stato oggetto di
grande dibattito sia in seno alla dottrina internazionalistica, sia all'interno
delle giurisprudenze di vari Stati.
Il primo profilo di criticità di questo principio è sicuramente determinato
dall'accesa connotazione politica che è congenita alla sua nascita. Si può
riscontrare da un lato l’influenza di alcuni Stati, in particolar modo le potenze
occidentali, che fin dal principio hanno cercato di contrastare o comunque
limitare l'applicazione del suddetto principio, in quanto pregiudizievole della loro
sovranità territoriale in relazione ai loro possedimenti coloniali; dall'altro lato le
legittime aspirazioni dei popoli a decidere sul proprio futuro, troppo spesso sono
preda di quel nazionalismo che, come diceva Romain Gary, non consiste
nell'amore dei nostri, ma “nell'odio degli altri”.
Il secondo profilo di criticità, direttamente conseguenziale al primo, consiste
nell'estrema vaghezza della definizione del concetto. Fin dal momento in cui
venne sancito giuridicamente all'interno della Carta delle Nazioni Unite, esso fu
espresso volutamente in forma programmatica, tanto che sebbene venga
menzionato all'articolo 1 tra gli scopi dell'organizzazione, non se ne rinviene
invece traccia nelle disposizioni relative all'amministrazione dei territori coloniali.
Tramite lo studio delle altre fonti internazionali che hanno preso in
considerazione il tema, si proverà a definire con maggior precisione il contenuto
e l’ambito di applicazione del principio.
La dottrina maggioritaria a livello internazionale tende ad accogliere una
visione (che da qui in poi verrà richiamata con il termine “interpretazione
tradizionale”) del principio di autodeterminazione dei popoli articolata tra
autodeterminazione interna, intesa come possibilità di scegliere il regime
politico, economico, sociale e culturale più confacente alle esigenze del popolo,
e autodeterminazione esterna, intesa invece come l'assenza di influenze o
dominazioni esterne da parte di altri Stati. Attraverso l’esame delle fonti
internazionali e dell’analisi di alcune sentenze della Corte Internazionale di
giustizia, si identificheranno le fattispecie classiche del principio di
autodeterminazione: la decolonizzazione; la dominazione straniera; i regimi
razzisti. Accanto a queste tre fattispecie, si tenterà di comprendere, soprattutto
mediante la lettura della sentenza della CGI sulla questione del Kosovo, se
anche la dottrina della remedial secession possa trovare spazio all’interno
dell’interpretazione tradizionale. Seguendo questa linea espansiva del principio
di autodeterminazione, il primo capitolo del progetto si concentrerà sul rapporto
intercorrente tra secessione e il principio di autodeterminazione esterna nel
quadro internazionale.
Questo lavoro ha come obiettivo quello di rilevare i limiti insiti
all'interpretazione tradizionale di questo principio e le conseguenti ripercussioni
pratiche che comporta. Per fare questo, è necessario presentare una proposta
alternativa che si basi su premesse e interpretazioni differenti dall’ideologia
sottesa all’interpretazione che si suole dare al principio. Il capitolo 2, appunto,
tratterà della “prospettiva o l'interpretazione democratica” del principio di
autodeterminazione: la sfida ambiziosa intrapresa è quella di dimostrare che
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l’autodeterminazione può essere ripensata sotto forma di secessione di modo
che può trovare spazio applicativo in contesti diversi da quelli tradizionali,
trasponendo così il principio dal piano internazionale al piano costituzionale. Il
tentativo audace sarà quello di sviluppare una teoria che permetta di leggere il
principio di autodeterminazione dei popoli in chiave democratica cosicché a
determinate condizioni esso potrà essere invocato dal gruppo minoritario. Il
vantaggio è duplice: da un lato rendere possibile la secessione permetterebbe
di incanalare un fenomeno extragiuridico all’interno di un percorso giuridico;
dall’altro lato, l’inserimento della secessione come uno tra i tanti diritti a
disposizione del gruppo minoritario, obbligherebbe in un certo senso il gruppo
maggioritario, o meglio chi lo rappresenta, a negoziare forme di maggiori
autonomia al fine di evitare l’esercizio della procedura di secessione.
Si analizzeranno i profili ideologici e filosofici sottesi alla prospettiva
democratica, distinguendo tra quelle teorie che abbracciano cause giustificative
di tipo sostanziale e quelle invece che affermano un diritto a secedere tout
court. In relazione a queste teorie, si valuteranno le ragioni favorevoli e
contrarie alla costituzionalizzazione della secessione, analizzando le secession
clause presente nei testi costituzionali di alcuni Stati.
Si è deciso di intraprendere questo percorso evolutivo del principio di
autodeterminazione, optando per un approccio metodologico tendenzialmente
casistico orientato all'analisi della prassi internazionale e costituzionale.
Tuttavia in merito all’adozione di tale metodo è necessario aggiungere
un'ulteriore e importante considerazione. Com’è facile immaginare nella prassi,
dalla menzione del principio di autodeterminazione all'interno dei quattordici
punti di Woodrow Wilson fino ad oggi, è possibile rinvenire una serie
innumerevole di casi che si rifanno, più o meno direttamente, al principio di
autodeterminazione. Lungi da poterli trattare anche solo in minima parte, si è
indirizzato questo approccio pratico verso la selezione di casi che presentano,
sia nelle ipotesi di autodeterminazione interna quanto di quella esterna, un
tratto comune: l'utilizzo di una consultazione referendaria.
Dal 1791 ad oggi i referendum aventi direttamente o indirettamente
qualche collegamento con il tema del principio di autodeterminazione sono stati
circa 350. Da qui nasce l’esigenza di: a) comprendere il legame esistente tra
istituto referendario e autodeterminazione; b) indagare le criticità tecniche e
giuridiche relative all’organizzazione di una consultazione sul tema in esame; c)
valutare se il referendum possa assumere un ruolo centrale nella risoluzione
delle controversie.
Non dimenticando la linea direttrice lungo cui si muove questo progetto,
vale a dire la differenza tra interpretazione tradizionale e prospettiva
democratica del principio, nel capitolo terzo e quarto si analizzeranno alcuni
casi particolari riconducibili alle due categorie, evidenziandone il diverso valore
che l’istituto referendario ha assunto.
Infine, nell’ultimo capitolo di questo progetto si studierà l’attualissimo caso
della rivendicazione indipendentista della Catalogna. Si ripercorrerà la vicenda
dello scontro costituzionale, valutando la legalità della Consulta del N9
attraverso l’analisi delle sentenze del Tribunal Constitucional.
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CAPITOLO 1: L'INTERPRETAZIONE TRADIZIONALE DEL PRINCIPIO DI
AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI
1.1 Concetti preliminari: Stato, minoranza, popolo
In questo primo capitolo si esaminerà il principio di autodeterminazione dei
popoli nella sua accezione “tradizionale” accolta e sviluppata dalla dottrina
internazionalistica maggioritaria, dalla giurisprudenza della Corte internazionale
di Giustizia nonché dall'Assemblea Generale delle Nazioni unite
1
. Prima di
procedere a questa analisi, è necessario chiarire il significato di alcune nozioni,
che assumeranno un'importanza fondamentale per la determinazione
dell'ambito dei soggettivo a cui il principio si rivolge.
Innanzitutto è da ricordare che, secondo la dottrina maggioritaria
2
, soggetti
del diritto internazionale, dotati quindi di personalità internazionale, sono in
primo luogo gli Stati. Poiché il diritto internazionale viene definito come “diritto
della comunità degli Stati”, Conforti sostiene che i criteri per l'attribuzione della
soggettività internazionale siano essenzialmente due: il requisito dell'effettività
che consiste nell'esercizio effettivo dell'entità statale del proprio potere sulla
comunità stanziata in un determinato territorio, e il principio di indipendenza,
l'esercizio della propria sovranità senza ingerenze da parte di altri Stati
3
. Si
tende a negare invece, il criterio per cui il riconoscimento dello Stato da parte
della comunità internazionale sia da considerarsi un requisito per il
conferimento della personalità internazionale. Malgrado ciò, il riconoscimento
internazionale riveste un ruolo abbastanza rilevante sul piano prettamente
politico. Infatti la Convenzione di Montevideo del 1933 all'articolo 6 afferma che
il riconoscimento di un nuovo Stato da parte di un altro significa che questi ne
riconosce la personalità, accettando tutti i diritti e i doveri derivanti dal diritto
internazionale
4
.
Sebbene il diritto internazionale, in molte convenzioni rimandi all'utilizzo
dell'espressione “diritti dei popoli”, la dottrina tradizionale propende per
1
L'interpretazione delle norme internazionali è attribuita alla Corte internazionale di Giustizia,
soprattutto nella sua giurisdizione in materia contenziosa, ma anche nella sua funzione
consultiva: come si vedrà, l'emanazione di pareri non vincolanti può essere determinante
per la definizione contenutistica delle norme internazionali generali o della Carta Onu. Più
discusso è invece il problema del valore delle Dichiarazioni di principi emanate
dall'Assemblea Generale. Esse vengono adottate con raccomandazioni (atto tipico
dell'Assemblea Generale assieme alle risoluzioni) e perciò sono prive di carattere
vincolante. Nonostante ciò, esse hanno contribuito notevolmente allo sviluppo del diritto
internazionale, specie per quanto riguarda quelle Dichiarazioni che, equiparando
l'inosservanza delle stesse a una violazione della Carta, assumono valore di accordi
internazionali (su tutte, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo). Per un'analisi più
approfondita si veda Conforti, B. , Diritto Internazionale, Editoriale scientifica, Napoli, VIII
Ed. 2010, pag 60 e ss.
2
In tal senso Conforti, B., Diritto Internazionale cit., Gioia, A., Manuale Breve Diritto
Internazionale, Giuffré editore, 2013, Treves, T., Diritto internazionale. Problemi
fondamentali, Giuffré editore, 2005
3
Qui Stato viene utilizzato nell'accezione di Stato-organizzazione, inteso come l'insieme degli
organi statali che esercitano la propria potestà d'imperio sulla collettività. Conforti, B., Diritto
Internazionale cit., pag 14 ss.
4
Secondo Gioia, al riconoscimento non si può negare almeno un effetto indiretto per quanto
riguarda l'acquisto della soggettività internazionale giacché influisce sulla stabilità e sulla
“sociabilità internazionale” del nuovo Stato. Gioia, A., Manuale Breve Diritto Internazionale
cit., pag. 135 ss.
8
l'esclusione dei popoli dal novero dei soggetti dotati di personalità
internazionale, data la mancanza di entrambi i requisiti appena visti
5
.
Seguendo questa logica, i popoli sarebbero beneficiari di quei diritti, mentre i
singoli Stati sarebbero coloro che dovrebbero garantirne l'applicazione.
Detto ciò, vi è un caso in cui il popolo vanta diritti opposti a quelli dello stato
di cui fa parte. Tale circostanza si concretizza nel diritto di autodeterminazione
dei popoli. Prima di addentrarci nelle specifiche questioni relative a tale
principio, la questione pregiudiziale da risolvere consiste nel definire cosa sia
un popolo e come si possa identificare. Appare quasi superfluo rilevare che si
tratta di un'operazione complessa dal momento che non esiste (e
probabilmente non può esistere) una definizione giuridica del termine: in primis
perché si tratta di una reticenza concettuale con la quale gli Stati da sempre
giocano, pur di non riconoscere soggettività internazionale ai popoli; in
secundis perché si tratta di una nozione con connotati fortemente extragiuridici,
le cui premesse storiche, filosofiche e sociologiche influiscono in maniera
considerevole sulla visione del principio.
Nonostante ciò, un interessante tentativo di definizione venne presentato
dal gruppo di lavoro, che nel 1990 partecipò alla redazione del Rapporto
Unesco sull'approfondimento della riflessione riguardo il concetto di diritto dei
popoli. Per prima cosa, nel documento si ribadì l'esistenza di un diritto dei
popoli, comprensivo non solo del diritto all’autodeterminazione, ma anche del
diritto all'esistenza, come previsto dalla Convenzione sul genocidio, e di altri
diritti riservati ai popoli contenuti in specifici strumenti internazionali; in aggiunta,
gli esperti sottolinearono che i diritti dei popoli non sono diritti dello Stato, bensì
diritti che operano in funzione della difesa e della protezione dei popoli da
eventuali misure governative antidemocratiche; infine si precisò che i diritti dei
popoli non devono attentare o diminuire in alcun modo i diritti degli individui.
Fornite queste precisazioni, il focus del Rapporto si concentrò sulla
determinazione della nozione di popolo, soffermandosi su quei contenuti che si
reputarono di carattere universale. Popolo deve intendersi quindi come un
gruppo di esseri umani aventi in comune numerose di queste caratteristiche:
una tradizione storica comune, un'identità razziale o etnica, una omogeneità
culturale, un'identità linguistica, affinità religiose o ideologiche, legami territoriali,
una vita economica comune; il gruppo, senza che sia numericamente
considerevole, deve essere più che una semplice associazione di singoli
individui; il gruppo in quanto tale deve essere identificato come popolo o
esserne cosciente; il gruppo deve avere istituzioni o mezzi per esprimere le
proprie caratteristiche comuni e il suo desiderio di identità
6
.
5
La situazione è differente per quanto riguarda la situazione dei cosiddetti “insorti”: essi,
laddove abbiano il controllo effettivo di un territorio con un apparato organizzativo (seppur
minimo), sono da considerarsi soggetti di diritto internazionale. Il fatto di non poter
esercitare tutte le prerogative tipiche di uno Stato, costituisce un limite quantitativo che non
intacca il profilo teorico qualitativo. Si rinvia a Sinagra, A., Bargiacchi, P., Lezioni di diritto
internazionale pubblico, Giuffé Editore, Milano, 2009, pag.64
6
Nonostante il rapporto non abbia nessun valore giuridico, esso assume una certa rilevanza
sul piano politico non solo per essere patrocinato dall’Unesco, una delle più attive agenzie
dell’ONU, ma anche per la partecipazione dei rappresentanti dell’ONU stessa,
dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) e di una trentina di esperti e di osservatori
provenienti da vari paesi nel mondo. Per un’analisi del rapporto, si rimanda a International
meeting of Experts on further study of the concept of the rights of peoples (UNESCO, Doc.
9
Il carattere della definizione non è assoluto, ma deve, come sostenuto dal
Rapporto, essere relazionato alle funzioni che mira a proteggere lo specifico
diritto del popolo. Si tratta di una nozione in continua evoluzione, non solo negli
strumenti internazionali e nelle dichiarazioni di principi dell'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, ma anche all'interno degli stessi Stati.
Lungi dal rappresentare una definizione esaustiva del concetto, essa
appare innegabilmente utile per distinguerla da quella di minoranza, concetto
che da sempre trascina con sé numerose controversie in merito alla disciplina
applicabile
7
. Difatti solo ai popoli è applicabile il principio di autodeterminazione,
mentre la norma internazionale che descrive in maniera più completa i diritti
delle minoranze è costituita dall'articolo 27 del Patto internazionale sui diritti
civili e politici, il quale afferma che “in quegli Stati, nei quali esistono minoranze
etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non
possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di
professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in
comune con gli altri membri del proprio gruppo”. Come si può notare, nella
disposizione non vi è alcun riferimento all'elemento territoriale e ciò costituisce
la riprova di quanto appena detto, ossia del fatto che le minoranze non
potrebbero reclamare un diritto all’autodeterminazione, ma solamente
rivendicare il diritto a non essere discriminate.
Nonostante i numerosi tentativi di elaborazione di una definizione
esauriente, intrapresi prima dalla Società delle Nazioni e in seguito dall'ONU,
ancora manca nel panorama internazionale una determinazione condivisa di
cosa si intenda per minoranza. La proposta più originale fu redatta dal
Professor Capotorti, che a seguito della Risoluzione ECOSOC 1418, intraprese
uno studio specifico sulla questione. Nelle conclusioni di questo studio, egli
proponeva di utilizzare la seguente formula: “..gruppo numericamente inferiore
al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui
membri, cittadini dello Stato, possiedono, dal punto di vista etnico, religioso o
linguistico, caratteristiche che differiscono da quelle del resto della popolazione
e manifestano anche un sentimento di solidarietà allo scopo di preservare la
loro cultura, la loro tradizione, la loro religione e la loro lingua”
8
.
Se da un lato queste definizioni possono aiutare sul piano teorico, dall'altro
bisogna ammettere che sul piano pratico, esse si scontrano inevitabilmente con
le difficoltà del caso concreto. Invero, oltre alla difficoltà di stabilire se una
determinata comunità umana costituisca un popolo o una minoranza, vi è la
SHS-89/CONF. 602/7, Parigi, 22 febbraio 1990)
7
Sebbene, sia nello statuto dell'ONU che nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo,
non vi sia alcun riferimento esplicito al termine minoranze, ciò non significa che la questione
non sia stata trattata in ambito internazionale. Infatti la disciplina applicabile alle minoranze
è costituita da tutta una serie di convenzioni internazionali quali, per citarne solo alcune, la
Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la Convenzione
dell'Unesco relativa alla lotta contro la discriminazione nell'insegnamento, la Convenzione
OIL n.107 del 1959 relativa alle popolazioni aborigene e tribali.
8
Tratto dalla voce “Minoranze Etnico-Linguistiche in Enciclopedia Giuridica, Istituto
dell'enciclopedia italiana, Roma 1988, pag. 5-6. Per quel che riguarda invece la
pubblicazione del documento integrale: United Nations Sub-Commission on Prevention of
Discrimination and Protection of Minorities. Study on the Rights of Persons belonging to
Ethnic, Religious and Linguistic Minorities. UN Doc. No. E/CN.4/Sub.2/384/Rev.1. 1979.
New York.
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