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ORIGINI DELLA RISERV ATEZZA
Il diritto alla riservatezza ha la caratteristica di essere, da un
punto di vista giuridico, un diritto universale. L’ordinamento
europeo e quello italiano conservano la denominazione di privacy.
Il diritto alla riservatezza è ritenuto uno dei diritti fondamentali
della persona, che quindi ha una tutela “erga omnes”, non
patrimoniale, non hanno valore economico, non possono essere
alienati, la lesione comporta il risarcimento e sono imprescrittibili,
in caso di non uso non comporta l’estinzione.
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La storia del diritto alla privacy probabilmente, nel senso
proprio ha origine alla fine del 1800 a Boston con un saggio
pubblicato il 15 dicembre 1890 sul Harvard Law Review
2
con il
titolo “ The right to privacy” da due avvocati, Luis D. Brandeis e
Samuel D. Warren nel quale ebbe origine il “the right to be let
alone”
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, nel quale si riconosce il valore giuridico alla sensibilità
umana. Pare che Samuel Warren, come riportano le cronache
mondane dell’ottocento, infastidito dell’attività salottiera della
moglie, insieme a Louis Brandeis scrissero un articolo rimasto poi
famoso che è rimasto punto di partenza del diritto alla privacy. Il
saggio di Brandeis e Warren rappresenta, ancora oggi, un
caposaldo del diritto alla riservatezza delle persone ed in
particolare sui dati sensibili, come un’evoluzione del diritto di
proprietà privata.
Il riconoscimento giuridico del diritto alla privacy, dopo una
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Sentenza n. 38/1973 dalla quale si desume il concetto di “riservatezza” nella
Costituzione Italiana ad opera dell’articolo 2 in riferimento agli art. 8 e 10 della
Convenzione Europea sui diritti dell’uomo.
2
S.D. Warren, L.D. Brandeis, The right to privacy, in “Harward Law Review” V ol 4
15/12/1890 n. 5
3
Thomas.M Cooley. A Treatis on the Law of Torts . Chicago 1888 – University
Michigan Library – digitalized by Google
2
lunga progenitura nella quale la giurisprudenza ha avuto un ruolo
fondamentale ed il lavoro dei giudici ha portato all’attenzione del
politico i temi relativi alla protezione dell’ambito privato della
persona. Quello che è avvenuto negli USA ed anche in altri Stati,
la formazione giurisprudenziale ha un posto di primo livello
all’interno dell’ordinamento giuridico common law, la stessa cosa
è avvenuta in quello italiano di matrice civil law. Comunque il
percorso effettuato dalla dottrina nel diritto alla riservatezza è
stato per buona parte il percorso dei diritti della personalità che
costituisce un modello stabile nel nostro sistema giuridico.
Le affermazioni di Brandeis e Warren hanno tutt’oggi una
loro attualità anche in considerazione del divario tecnologico
esistente alla fine del 1800 negli Stati Uniti e l’attuale società
dell’informazione.
Il diritto alla riservatezza nell’ordinamento italiano è
caratterizzato dal contributo di dottrina e giurisprudenza, e per
molto tempo da pochi ed inadeguati interventi legislativi. Il
concetto di riservatezza nasce, “nel momento in cui la casa
comincia a cambiare struttura, quando si separano gli spazi
comuni, quello in cui si lavora o si fa vita sociale, da quelli in cui
si dorme o si fa l’amore, dalla cucina al gabinetto. E la separazione
diviene ancor più radicale quanto si trasferisce altrove il luogo in
cui si lavora.”
4
. Da quel momento nasce una nozione moderna di
intimità, fondamento di quello che diventerà poi il diritto alla
privacy. I primi contributi risalgono agli anni trenta quando i diritti
della personalità vengono classificati come uno dei diritti. Un
nuovo impulso fu dato negli anni cinquanta, con sentenze
contrastanti in due procedimenti di due personaggi celebri, Enrico
4
L. MUMFORD, La cultura delle città, Torino, Einaudi, 2007
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Caruso e Claretta Petacci. La Corte di Cassazione, in ultimo, nega
l’esistenza di un diritto alla riservatezza, purtuttavia si ammette la
tutela nel caso di violazione del diritto assoluto di personalità
inteso quale diritto erga omnes alla libertà di autodeterminazione
nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo. Tale
diritto è violato se si divulgano notizie della vita privata le quali,
per tale loro natura, debbono ritenersi riservate, e le quali trovano
tutela nell’art. 2 della Costituzione.
La tutela dei diritti collettivi, che oggi chiamiamo privacy
“sembrava solo un lusso giuridico, qualcosa che non rientrava nei
bisogni più urgenti” Agli operai quel tipo di tutela sembrava che
non interessasse alla classe, al contrario di quello che avverrà
dopo”
5
. Era considerato un diritto che era capace di isolare e
troncare ogni rapporto sociale tanto è vero che nel Codice Civile
italiano non si rinviene nessuna traccia di un diritto che somigli
alla moderna privacy.
Soltanto con lo Statuto dei lavoratori ( legge 20 maggio 1970,
n. 300 ) si fa un passo avanti introducendo, la stessa importanti
modifiche sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello
dei rapporti fra i datori di lavoro, i lavoratori con alcune
disposizioni a tutela di questi ultimi e nel campo
delle rappresentanze sindacali
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e purtroppo non basta fino a
quando la Suprema Corte nel 1975 cambia orientamento nella sua
pronuncia sul “ caso Soraya”
7
. In questa sentenza la Corte
afferma l’esistenza di un diritto alla riservatezza il cui fondamento
5
S. RODOTA’, Intervista su Privacy e Libertà, Editori Laterza 2005 pag. 24
6
Lo Statuto dei lavoratori all’art. 8 vieta la raccolta di opinioni politiche, sindacali,
religiose dei dipendenti.
7
Cass. Sez. I Civ. 27/05/1975, n. 2129 in Il Foro Italiano c. 2895 Il caso era sorto in
seguito all’azione esercitata dalla principessa Soraya nei confronti di un reporter che
aveva pubblicato alcune foto della stessa mentre si trovava insieme al suo compagno
del tempo.
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normativo risiede negli articoli 2,3,13,14,15 e 21 della
Costituzione ed anche negli articoli 8 e 10 n. 2 della Convenzione
del Consiglio d’Europa per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali.
Un episodio che accadde nel 1971 fece nascere una nuova
consapevolezza politica del problema della riservatezza, le
schedature Fiat, nel corso di un’indagine da parte della
magistratura torinese furono trovati all’interno dell’archivio dei
dipendenti della casa automobilistica le schede con informazioni
di tutti i dipendenti. Quest’opera fu fatta in collaborazione con una
parte della polizia, parroci e carabinieri che operavano nell’orbita
torinese. Le schede contenevano, diciamo ora, dati sensibili, tra i
quali l’iscrizione al partito politico, le relazioni extraconiugali e
tutta una documentazione sistematica per fini discriminatori. In
questo modo la Fiat controllava il dissenso politico, l’azione
sindacale di tutti gli operai
Solamente con l’emanazione della legge n. 675/96, il
legislatore italiano ha posto fine ad una lunga e tormentata inerzia
in materia di tutela del diritto alla riservatezza, ed in netto ritardo
rispetto agli altri Stati europei ma appena in tempo per rispettare
le raccomandazioni previste dall’Accordo di Schengen del 1985
avente per oggetto non solamente l’eliminazione dei controlli
frontalieri comuni, anche l’eliminazione del controllo delle
persone che attraversano in qualunque luogo le frontiere interne e
dalla Direttiva della Comunità Europea 24/1/1995, n. 46
concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al
trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di
tali dati.
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8
Direttiva 95/64/CE, pubblicata sulla G.U.C.E. 23/11/1995, 1281 e nella LEX, 1996,
Parte V , p. 34 ss
5
La legge 675/96 è stata successivamente innovata dal D.lgs
28/12/2001, n. 427 nella semplificazione dell’applicazione della
normativa e nel rafforzamento delle garanzie dei cittadini in
riferimento alle innovazioni tecnologiche. Come vedremo in
seguito le normative che si susseguiranno saranno oltre che di tipo
giuridico normativo, anche di carattere tecnico-conservativo.
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Capitolo 1
Fonti normative
1.1 Il codice in materia di protezione dei dati personali
( D.lgs 196/2003)
Il Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 193, noto oramai
come Codice in materia di protezione dei dati personali
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emanato
a seguito di Legge delega n. 127/2001, che aveva posto le basi per
l’emanazione di un Testo Unico della disciplina della privacy.
Il Codice si suddivide in tre parti:
a) Disposizioni Generali (artt. 1-45);
b) Disposizioni relative a specifici settori (artt- 46-140);
c) Tutela dell’interessato e sanzioni (artt.141-186):
Gli allegati al Codice della privacy:
A.1 Codice di deontologia – Trattamento dei dati
personali nell’esercizio dell’attività giornalistica;
A.2 Codice di deontologia – Trattamento dei dati
personali per scopi storici;
A.3 Codice di deontologia – Trattamento dei dati
personali a scopi statistici;
A.4 Codice di deontologia e di buona condotta per i
trattamenti di dati personali per scopi statistici e scientifici;
A.5 Codice di deontologia e di buona condotta per i
sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di
crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti;
A.6 Codice di deontologia e di buona condotta per i
trattamenti di dati personali effettuati per svolgere
investigazioni difensive;
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Pubblicato in G.U. n. 174 serie generale del 29/07/2003, supp. Ord.n. 23/L
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B Disciplinare tecnico in materia di misure minime di
sicurezza;
C Trattamenti non occasionali effettuati in ambito
giudiziario o per fini di polizia.
Con la premessa che, il diritto alla privacy cessa di rimanere
confinato nella sfera dell’intimità individuale prestandosi ad
essere configurato come diritti di compiere scelte libere e prive di
condizionamenti in relazione alla propria sfera personale,
appaiono indispensabili per poter parlare del D.lgs 196/2003. Il
Codice in questione, non solo inquadra un sistema di tutta la
disciplina della privacy, ma soprattutto introduce molteplici profili
innovativi, in connessone al quadro comunitario ed internazionale.
L’art. 1 del Codice della Privacy enuncia il principio per il
quale: “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che
lo riguardano”
10
. Il significato di questo enunciato lascia pochi
dubbi: i dati personali vanno tutelati sempre, qualunque sia il
trattamento al quale sono sottoposti. La tutela massima è dato
dall’art. 2 della Costituzione, ove è stabilito che “la Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale”. Pertanto i dati
personali sono informazioni relative alle persone fisiche,
giuridiche, enti ed associazioni che sono ricondotti al cit. art. 2
Cost.
Qualunque attività avente per oggetto i dati personali con o
senza l’ausilio di mezzi elettronici od automatizzati deve essere
10
Comma così modificato, da ultimo, dall’art. 14 c. 1, della legge 4/11/2010, n. 183,
che ha soppresso il secondo periodo del comma aggiunto dall’art. 4, c. 9 della legge
4/3/20009, n. 15.
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svolta in conformità alle regole contenute nel Codice della Privacy.
Il Garante nella sua relazione del 2003, ha evidenziato che: “ Sul
piano generale delle garanzie, il Codice reca il solenne
riconoscimento, nel nostro ordinamento, dell’autonomo diritto
alla protezione dei dati personali, in armonia con quanto già
previsto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea”.
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I principi generali che si trovano nel citato Codice si possono
identificare in:
Principio di necessità ( art. 3 ) richiede che i dati personali
vengano utilizzati solo se indispensabili per raggiungere le finalità
consentite nei singoli casi. In particolare i sistemi informativi ed i
software devono essere configurati, già in origine, in modo tale da
ridurre al minimo dell’utilizzo delle informazioni relative a
soggetti identificabili. Se è possibile utilizzare in dato anonimo
occorre farlo;
Principio di liceità e correttezza ( art. 11 c.1, lett. a)
esplicitato significa che i dati personali vanno tratta in modo lecito
ed in forma corretta. E’ considerato il trattamento “lecito” quando
rispetta la legge e “corretto”, quando viene effettuato in maniera
tale da rispettare la volontà di tutela espressa all’art. 2 del Codice.
Principio di finalità ( art. 11, c. 1 lett. b): il rischio function
creep 12 in base alla quale ogni trattamento è lecito soltanto se
alla sua base sussiste una ragione che lo giustifica, appunto finalità.
In base al suddetto principio le finalità devono essere determinate,
esplicite e legittime e di pertinenza del titolare del trattamento e
resa nota all’interessato, prima della raccolta dei dati, attraverso
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Relazione 2013 Garante della Privacy “Il diritto alla protezione dei dati personali
e le nuove garanzie del Codice” [doc-web 1314443] www.garanteprivacy.it
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M. SOFFIENTINI Privacy - protezione e trattamento dei dati IPSOA Manuali 2015
Wolters Kluwer pag. 124