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2. I DISTURBI ALIMENTARI SONO DISTURBI DELL’IMMAGINE
CORPOREA?
2.1. TEORIE PSICOANALITICHE
Nella letteratura psicologica il tema del corpo ha assunto una serie di significati
diversificati che dipendono dalle teorie e modelli di riferimento adottati: lo
schema corporeo, l'immagine corporea, l'Io corporeo, il corpo vissuto, il corpo
fantasmato, sono stati oggetto di studio di specifiche correnti all’interno della
teoria psicoanalitica.
Le ricerche psicoanalitiche sulle prime relazioni madre-bambino hanno prestato
attenzione ai vissuti corporei primari del bambino rilevando l'importanza della
vita pulsionale, delle zone erogene del corpo, delle fantasie relative al proprio e
altrui corpo. L’ipotesi proposta è che l’immagine corporea si costruisca nel tempo,
all’interno di una relazione significativa, e attraversando le varie fasi dello
sviluppo libidico. La vita emotiva sembra giocare un ruolo importante nella
strutturazione del modello posturale del corpo tanto da modificare il valore
relativo e la chiarezza delle singole parti dell’immagine corporea a seconda delle
tendenze libidiche. Si ritiene che l’unità emotiva del corpo possa essere mantenuta
soltanto quando si è arrivati al complesso di Edipo e si sono sviluppati i rapporti
oggettuali.
All’interno dell’approccio psicodinamico, il disturbo dell’immagine corporea
venne considerato per la prima volta dalla Bruch (1962) come il segno
patognomonico dell’anoressia mentale primaria, che ella definì come “un
disordine di proporzioni deliranti della body image e del body concept”.
Secondo la Bruch, nell’anoressia si crea una sfasatura tra l’immagine corporea
reale e l’immagine corporea percepita. Le anoressiche hanno infatti la percezione
illusoria di essere grasse, anche se non lo sono affatto e, paradossalmente, tale
convinzione si accentua con l’aggravarsi dello stato di denutrizione. La studiosa
afferma che il recupero di un’immagine corporea adeguata e di una corretta
modalità percettiva e cognitiva nei confronti degli stimoli corporei è
assolutamente basilare ai fini di un reale progresso terapeutico. Le teorie della
Bruch hanno esercitato una notevole influenza anche sulla costruzione di test
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specifici per i DCA, nonché sulle terapie cognitive volte alla correzione della
distorsione dell’immagine corporea.
Secondo il Modello Dispercettivo della Bruch (Bruch, 1977) il disturbo
dell’immagine corporea ha all'origine una relazione disturbata tra la bambina e la
madre, che non riuscirebbe a vedere la figlia come altro da sé, e tenderebbe ad
imporre le proprie sensazioni e i propri bisogni, invece di aiutarla a percepire e a
riconoscere i propri. Ne risulterebbe, fin dall'inizio della vita psichica, un
disconoscimento dei confini dell'Io, con un conseguente difetto nella costruzione
dell'immagine corporea e un'incapacità di riconoscere e discriminare le percezioni
enterocettive relative a stimoli provenienti dal proprio corpo (fame, sazietà,
freddo, fatica, impulsi sessuali, stati emotivi).
Su una linea convergente al pensiero della Bruch si colloca l’ipotesi di Thoma
(1967). Questo autore pone l’accento sulla problematica relativa all’immagine
corporea rivolgendo la sua attenzione alla percezione che le anoressiche hanno del
proprio corpo. A differenza della Bruch, Thoma non fa risalire la strutturazione di
questo difetto percettivo al periodo evolutivo e alle distorte relazioni familiari,
bensì al periodo della pubertà e ai suoi connotati simbolici. La pubertà rappresenta
per l’anoressica una minaccia, le modificazioni corporee che accompagnano
questo periodo e la comparsa degli istinti sessuali vengono a mettere in crisi una
struttura psichica infantile e precaria. A partire da ciò si viene a sviluppare una
sorta di alterazione dell’immagine di sé, sia psichica che fisica, che viene ad
essere indirizzata verso un ideale mascolino e asessuato. Si struttura così un ideale
estetico che collude con la ricerca dell’evitamento dell’identificazione femminile
in senso adulto, anche attraverso il mancato riconoscimento delle esigenze del
corpo.
Anche Selvini Palazzoli ritiene che le anoressiche non siano separate
psicologicamente dalla madre, e che non abbiano quindi una percezione stabile
del proprio corpo. Selvini Palazzoli (1963) ha affermato l’esistenza di
un’alterazione delirante dell’Immagine Corporea espressa dalla necessità di
divenire emaciata e che si possa ipotizzare, riguardo al disturbo della percezione
degli stimoli che provengono dal corpo, un rinnegamento del sentimento
corporeo. Selvini Palazzoli individua come fenomeni basici del disturbo la
persistenza della fame e la lotta volontaria e acerrima contro di essa. Il vivere il
proprio corpo come il nemico minacciante che non deve essere distrutto
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brutalmente, ma deve essere soltanto tenuto in rispetto, è il fenomeno centrale
dell’anoressia mentale. “L’anoressica ha paura del corpo e quindi del cibo che,
inghiottito, subito diviene corpo crescente. Essa vive la nutrizione come
potenziamento del corpo a spese del suo Sé. Per la paziente anoressica essere
corpo significa essere cosa. Se il corpo cresce, anche la cosa cresce, a spese della
persona. La sua lotta contro il corpo-cosa è la sua lotta contro l’essere-cosa.”
(Selvini Palazzoli, 1963).
Pantano e Santonastaso (1984) hanno sottolineato la presenza nell’anoressia di un
nucleo narcisistico e come l’immagine di sé di queste pazienti non si configura a
partire dal punto di vista dell’altro, ma si fonda sull’Ideale dell’Io Corporeo e
sperimenta le continue delusioni della manifestazione concreta della corporeità.
Secondo questi Autori non esiste alcuna rappresentazione del corpo, esiste
soltanto un’immagine del corpo scissa dall’immagine di sé e aggredita come
oggetto esterno. Nella dimensione narcisistica quando l’anoressica si guarda allo
specchio non vede sé stessa, se non in rapporto ad un ideale altro da sé, e non
riesce a vedersi con gli occhi dell’altro, non c’è cioè un’immagine condivisa.
Erikson, nel suo libro del 1968 "Gioventù e crisi di identità", ha preso in
considerazione gli aspetti legati ai mutamenti corporei che accompagnano la
pubertà e l’adolescenza. Con la pubertà fisiologica il corpo della bambina si
trasforma in corpo di donna atto a "portare in grembo la progenie", mentre il
corpo del bambino si trasforma in corpo di uomo, capace di fecondare. La pubertà
fisiologica si estende su un arco di più anni e interessa un insieme di funzioni
biologiche e psicologiche. Come conseguenza delle trasformazioni morfologiche
e sessuali della pubertà il corpo subisce profondi mutamenti di dimensioni, peso,
forza muscolare, caratteri e funzionalità sessuale che provocano la
destabilizzazione dell'immagine corporea formatasi negli anni dell'infanzia e
implicano la necessità di riorganizzare tutto il sistema di rappresentazione del
corpo precedentemente elaborato. L'adolescente deve quindi appropriarsi dei suoi
cambiamenti somatici per ricostruire una nuova immagine del proprio corpo ed è
lecito ritenere che tale operazione costituisca uno dei primi "compiti di sviluppo"
degli adolescenti che, se non sufficientemente supportato, può andare incontro ad
un fallimento.
La differenza principale tra l’approccio psicanalitico e le precedenti concezioni è
l’abbandono della nozione di schema corporeo. L’immagine del corpo non viene,
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infatti, riportata ad una particolare struttura nervosa, ma si costituisce inizialmente
grazie all’energia libidica e poi attraverso la relazione oggettuale: in questo senso
l’esperienza corporea non è più collegata ad una specifica struttura cerebrale.
Gli studi psicoanalitici classici non aiutano, però, a spiegare il disturbo
dell’immagine corporea. Da una parte la concezione del corpo come primo
oggetto narcisistico propone una visione monadica e statica, senza alcun
riferimento diacronico (mentre l’immagine corporea si forma nel tempo e va
considerata in continua costruzione). Dall’altra la teorizzazione delle zone
erogene non sembra poter spiegare la complessità dell’organizzazione del vissuto
corporeo. Non si capisce, infatti, in che modo l’immagine del corpo possa
costituirsi come unità e presa di coscienza, partendo da una naturale ed iniziale
frammentazione della stessa.
2.2. TEORIE NEUROPSICOLOGICHE
Accanto alle ipotesi che chiamano in causa fattori di tipo psicologico, come
l’espressione di conflitti emotivi inconsci o l’influenza di eventi vitali o di
caratteristiche personologiche preesistenti, altre teorie, invece, mettono in
evidenza l’affinità sintomatologica con il danno delle aree cerebrali che
controllano l’immagine corporea.
Le prime indicazioni che possono suggerire un legame tra eziopatogenesi del
disturbo dell’immagine corporea ed alterazioni anatomo-funzionali del Sistema
Nervoso Centrale sono scaturite dallo studio delle alterazioni dell’immagine
corporea in soggetti che avevano subito danni nell’area parietale. Fin dall’inizio
del secolo, infatti, era stato osservato come un danno corticale a livello del lobo
parietale potesse causare delle alterazioni a livello dello schema corporeo,
inducendo la comparsa di fenomeni come l’anosoagnosia (l’incapacità a
riconoscere l’esistenza di un deficit funzionale a carico di un’area corporea) e
l’eminattenzione (azioni simmetriche, come radersi o infilarsi un indumento, che
vengono compiute solo su metà del corpo). Rimane, tuttavia, da valutare se
l’alterazione percettiva vera e propria dell’immagine corporea entri a far parte,
perlomeno come componente, della sindrome dismorfofobica o se invece nella
patogenesi di questo disturbo l’alterazione del contenuto del pensiero abbia un
ruolo del tutto preponderante. In altre parole, il paziente percepisce realmente in