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CAPITOLO 1
Il turismo: un modello di sviluppo locale
L’espressione “sviluppo locale” non indica alcun oggetto ben definito o precisamente
definibile, ma rappresenta un termine con valore metaforico, capace di indicare una
serie di fenomeni osservabili in un territorio e di suggerirne interpretazioni possibili,
sulle diverse traiettorie e forme spaziali di sviluppo territoriale.
La peculiarità dello sviluppo locale di non appartenere ad alcuna disciplina, rappresenta
al tempo stesso un elemento di forza e di debolezza. Il fatto di non soggiacere ad alcun
particolare vincolo disciplinare, comporta la possibilità di essere definito in modo
eclettico rispetto all’attuale divisione del sapere scientifico. L’inesistenza di uno statuto
teorico dipende dall’arbitrio di chi lo usa. Ogni utilizzatore infatti, può imprimergli la
propria curvatura disciplinare se è accademico, politica se è un operatore.
Lo sviluppo locale si riferisce ad una realtà che coinvolge delle entità intermedie,
denominate sistemi locali, che non rappresentano una parte qualunque del sistema
complessivo, ma un insieme dotato di una propria identità che lo distingue
dall’ambiente e dagli altri sistemi. L’essenza de sistema locale è quella di produrre e
riprodurre se stesso. Per tale motivo l’individuazione di tali entità intermedie, non può
limitarsi a considerare le interazioni produttive interne e i limiti geografici, ma si deve
cogliere “il codice genetico del sistema”, ossia “i principi peculiari del suo
funzionamento auto-riproduttivo, le sue logiche interne, il modo comune di pensare e
agire dei soggetti che lo compongono”. (Olsson, 1991).
Pertanto, individuando un codice genetico funzionale del sistema locale, esso non è più
definibile in base alla coesistenza dei soggetti componenti un determinato spazio
geografico continuo. Infatti possono emergere aggregati non istituzionali e non
territoriali di soggetti, capaci di comportamenti autonomi e auto-riproduttivi, come per
esempio quelle entità intermedie dette “reti di imprese”.
Esiste una forte asimmetria concettuale tra il distretto industriale e lo sviluppo locale
che rende ambiguo il nesso teorico. “Il distretto industriale è un’entità socio-territoriale
circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e
di una popolazione di imprese industriali”. (G. Beccaccini, 2000). Nel contesto
nazionale il distretto caratterizza un contesto economico-spaziale organizzato, nella
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quale si concentrano le imprese di dimensione medio – piccola, specializzate in
manifatture di tipo leggero, la cui azione si realizza sia attraverso relazioni orizzontali,
in cui i rapporti economico relazionali sono effettuati da soggetti economici che
agiscono nello stesso settore, sia attraverso le correlazioni verticali che comprendo i
rapporti a monte e a valle tra imprese. È opinione diffusa identificare lo sviluppo locale
con il distretto industriale. Tuttavia quest’opinione non è del tutto vera, in quanto il
distretto industriale rappresenta solo una delle possibili forme di sviluppo locale e le
diverse specializzazioni produttive sono le modalità con cui il sistema locale esprime la
propria funzione auto-riproduttiva. (Dematteis, 1990). È necessario cercare di capire
cosa sia lo sviluppo locale, senza osservarlo dalla visione distrettuale, per poi
comprendere come il distretto industriale porti alla concettualizzazione dello sviluppo
locale.
Possiamo notare una contrapposizione tra il pensiero di Olsson e quello di Beccaccini;
mentre quello di Dematteis rappresenta il compromesso tra i due.
Le condizioni ambientali non possono essere considerate come sufficienti per il
formarsi di un sistema locale: i rapporti con l’ambiente locale non sono adeguati a
spiegare lo sviluppo economico. Infatti per la sua realizzazione oltre all’esistenza delle
condizioni locali per un’offerta organizzata di beni e/o servizi, occorre che le relazioni
verticali con l’ambiente locale si combinino con le relazioni orizzontali, sovra-locali.
La combinazione di relazioni geografiche orizzontali e verticali rappresenta quindi una
condizione necessaria per la valorizzazione territoriale, ma non sufficiente per innescare
processi di sviluppo locale.
La valorizzazione territoriale si modella qualitativamente e quantitativamente su
esternalità derivati da condizioni territoriali locali date e rappresenta un processo
reversibile, cioè soggetto a regredire se vengono a mancare le condizioni generali che lo
hanno prodotto; invece nello sviluppo locale le condizioni locali decisive sono quelle
costituite da un certo milieu, come prerequisito del formarsi e del riprodursi del sistema
locale.
Il milieu territoriale locale comprende tutte le caratteristiche che nel corso del tempo si
sono sedimentate in un territorio e possono rappresentare dei veri e propri input di
sviluppo locale. Si tratta di condizioni naturali originarie che nel corso della storia si
sono variamente combinate con i prodotti dell’azione umana, ossia quelli materiali,
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quelli culturali e quelli istituzionali. Il milieu territoriale può essere descritto come un
patrimonio comune a cui attinge la rete locale dei soggetti, in quanto attore dello
sviluppo locale. Si tratta di un tipico caso di combinazione tra relazioni orizzontali e
verticali che dà vita alle strutture territoriali. L’ambito territoriale delle reti e dei milieu
locali costituisce una micro-regione alla quale si attribuisce il nome di sistema
territoriale locale, la sua dimensione è locale in senso stretto, in quanto le relazioni di
rete locale presuppongono rapporti di vicinanza fisica e quelle verticali si riferiscono a
condizioni specifiche, i cui vantaggi comportano una fruizione locale da parte dei
soggetti della rete medesima. Esempi di sistemi territoriali locali possono essere: il
distretto industriale, le città e i loro quartieri, i centri turistici, ecc.. Essi possono
coincidere con regioni politico-amministrative, ma spesso sono aggregati volontari e
non istituzionali. Sembra opportuno precisare che non sempre realtà locali istituzionali
si comportano come sistemi territoriali locali, in quanto i soggetti che vi agiscono non
sempre formano una rete locale rivolta a realizzare progetti comuni, ma possono operare
come componenti di rete esterne, in competizione tra loro per lo sfruttamento delle
risorse del milieu. Il sistema territoriale locale può essere quindi interpretato come una
regione programma, ovvero una costruzione volontaria che esiste solo e quando certi
soggetti attivano relazioni orizzontali e verticali con il milieu in cui agiscono.
Sicuramente un carattere essenziale dello sviluppo locale è rappresentato dalla
partecipazione della società civile alle decisioni attraverso le quali si definiscono
obbiettivi, strumenti, mezzi e impegni dei soggetti coinvolti nella promozione dello
sviluppo territoriale.
Nella definizione di sviluppo locale, i confini del contesto territoriale nono sono dati,
ma tratteggiano il risultato del sistema di attori che realizzano la strategia di sviluppo in
relazione gli uni con gli altri. Alcune volte è considerato come un generico livello di
analisi, altre volte corrisponde ad un ritaglio territoriale qualsiasi, delimitato a partire da
una caratteristica elettiva che ne definisce l’identità.
La ricerca di un ruolo attivo del territorio ne i processi di sviluppo economico porta alla
definizione di una teoria dello sviluppo “dal basso” concentrata sulle comunità locali e
sulle loro capacità di sviluppo autonomo, concepito in termini di soddisfacimento dei
bisogni fondamentali della popolazione locale, fondato sulla valorizzazione di risorse
immobili, come il patrimonio naturale, le tradizioni, la cultura e i saperi locali.
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Lo sviluppo dal basso è endogeno, nel senso che la priorità delle azioni siano
determinate localmente, e la partecipazione della società locale ai processi decisionali
assume di fatto un ruolo decisivo e soprattutto per questo motivo rappresenta una
filosofia dell’azione pratica.
In un processo di sviluppo locale vengono attivate quelle economie esterne che derivano
da effetti di sinergia, come le economie di agglomerazione, di urbanizzazione, di
diversificazione che innescano processi cumulativi, man mano che l’organizzazione
territoriale si struttura in modo funzionale all’industria, esse si riferiscono tanto ai
fenomeni di insediamento che a quelli di circolazione e ne rappresentano un elemento
unione.
Gli attori dello sviluppo locale: il ruolo delle istituzioni locali
Le istituzioni possono essere rappresentate come “la cornice che l’azione sociale e
politica genera per ordinare il comportamento individuale degli operatori economici in
forme più o meno organizzate e coerenti” (Rullani, 1998) e in tale accezione
rappresentano il collante dell’agire collettivo e del governo sociale dell’indipendenza.
Tuttavia, secondo Bonomi, “La crisi delle istituzioni, tende a distruggere la coesione
che consente alla società di operare come tale, trasformandola in una moltitudine di
individui non connessi tra loro” (Bonomi, 1996). Il lavoro è investito da un’ondata di
derogazione che finisce spesso per azzerare, invece che trasformare, le istituzioni che lo
organizzano.
Gli enti pubblici emergono dai conflitti e dalle negoziazioni come mezzi efficienti, o
almeno soddisfacenti, di interazione. “Essi ordinano le azioni individuali su un piano
informale, convenzionale o giuridico formale, dando contenuto allo spazio intermedio
tra il micro comportamento e la macro economia dei mercati, dei settori, delle variabili
aggregate” (North, 1990).
Nell’accezione di North, le istituzioni non sono confinate alla sfera pubblica, ma
prendono forma da atteggiamenti, abitudini, contratti che regolano le transazioni
economiche, o anche da trattati stipulati, e continuamente aggiornati, tra poteri sociali
interdipendenti. Esse, dunque, non sono qualcosa che possa essere meramente delegato
alla politica e all’ordinamento giuridico, ma emergono nell’interazione complessa tra
soggetti individuali, per cui non sono date ma prodotte: in parte consapevolmente e in
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parte attraverso processi di apprendimento evolutivo, che portano a regole del gioco
implicitamente accettate e condivise (Brusco, 1993).
L’interazione sociale si organizza attraverso protagonisti collettivi, grandi
organizzazioni, azione pubblica dotata di sovranità (Corò, 1997). Le forme in cui si
realizza la governance e l’istituzionalizzazione delle relazioni sul territorio, non
rispondono a schemi astratti, ma nascono da un processo storico ed evolutivo, specifico
di ogni luogo, che non è frutto di una dialettica solo locale.
Un assetto istituzionale capace di organizzare in modo efficace l’evoluzione del sistema,
dovrebbe intrecciare tre elementi importanti:
la dialettica politica tra le forze che hanno maggiore peso specifico in termini di
potere o di consumo;
il grado di efficienza con cui le diverse soluzioni ordinano l’interazione locale;
la funzionalità con cui vengono soddisfatti i diversi bisogni della divisione del
lavoro tra il sistema locale e l’esterno.
Le istituzioni sedimentate in un territorio, riassumono una storia fatta di circostanze
contingenti, di fattori strutturali e di creatività degli uomini o degli attori politici,
sociali ed economici impressi dal sistema locale. Il coordinamento tra gli attori
economici che si incontrano in un territorio non passa solo attraverso i mercati, ma
anche attraverso relazioni no mercantili, che si affiancano e completano i mercati
(Storper, 1995).
Per innescare un processo di sviluppo locale è fondamentale il ruolo dello Stato,
principalmente delle amministrazioni locali, nella gestione delle concrete operazioni sul
territorio, lavorando in maniera sinergica con l’apparato produttivo presente,
mobilizzando le risorse locali e incoraggiando processi di modernizzazione delle
imprese. Nei sistemi locali l’insieme di interazioni che si formano, colmano la distanza
tra macro economia e micro comportamenti individuali: la famiglia, l’impresa, i lavori
auto – organizzati, le economie esterne localizzate nell’ambiente, la comunità locale, i
partiti politici, e le associazioni di rappresentanza, gli enti locali, la presenza locale
dello Stato. In ciascun sistema locale unico e specifico, dalla moltitudine di
comportamenti individuali emergono, mediante una selezione evolutiva, forme di
interazione collettiva che interagiscono con la struttura economica e fisica del territorio,
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capaci di elaborare sistemi in grado di formare un’identità collettiva e di agire in modo
da mantenerla e riprodurla nel tempo.
Le istituzioni adatte a realizzare una molteplicità di funzioni e di equilibri
rappresentano un processo auto-organizzatore, che non può essere disegnato a tavolino
o progettato in maniera totalmente intenzionale, ma che emerge attraverso
“l’evoluzione di una comunità di comportamenti interconnessi” (Allen, 1997; Belussi,
1997). Questo tipo di apprendimento evolutivo dovrebbe trovare il sentiero di
compatibilità tra diversi equilibri che vanno realizzati simultaneamente, come
l’equilibrio tra sapere personale e collettivo, quello tra concorrenza e cooperazione,
quello tra conflitto e partecipazione. Anche nelle relazioni tra luoghi diversi occorre
stabilire un equilibrio che renda possibile l’intersezione creativa delle idee e delle
conoscenze tratte da ciascun contesto, senza ridurre l’autonomia di cui gode ciascun
attore.
I sistemi locali hanno bisogno di istituzioni dinamiche, ossia capaci di elaborare
progetti, di esaltare i fattore collegati ad una forte identità locale, di far convergere i
diversi operatori verso obiettivi di sviluppo condivisi. Un riconoscimento della
necessità di un dinamismo operativo delle pubbliche amministrazioni, si esprime
sicuramente nel processo di decentramento amministrativo, che rappresenta l’occasione
di innovare e riformare le funzioni delle strutture territoriali proposte alla loro gestione.
Tale procedimento è stato attuato nei diversi contesti locali, secondo percorsi
eterogenei che hanno dato luogo a risultati diversi, sia in termini di velocità d’azione
che intermini di innovazioni introdotte. Infatti, in alcuni casi esso è stato interpretato in
termini di opportunità e innovazione, in altri è stato recepito in modo statico,
traducendosi in una mera applicazione di un adempimento normativo. La politica locale
tende ad operare in un’ottica di protezione dell’esistente, atteggiamento che può
solamente ridurre temporaneamente le uscite e implicare una riduzione del dinamismo
competitivo ed un aumento dei costi degli input. Invece è decisivo, nel lungo periodo,
poter attrarre nuovi investimenti, anche per tenere sotto pressione le forze produttive
locali, che devono essere stimolate ad imparare da un ambiente competitivamente
vivace, una politica di attrazione di investimenti dall’esterno non si può basare
principalmente sull’incentivazione degli investimenti esteri: piuttosto, occorre rendere
l’ambiente locale reattivo agli stimoli e ricco di conoscenze contestuali.