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INTRODUZIONE
In un mondo che, mai come oggi, è sempre più dominato dalle immagini, le quali
costituiscono il nostro ambiente culturale, si fa strada la necessità di riconoscere la
loro autonomia vivente. Sin dalla antichità il poeta filosofo romano Lucrezio, nel
De rerum natura, riconosceva quest’autonomia delle immagini che, nella sua
teoria atomistica, sono viste come pellicine che si staccano dalle cose. Come il
legno in fiamme fa salire una colonna di fumo o il vapore si sprigiona dall’acqua,
come le cicale perdono in estate il loro costume, i vitelli appena nati uno strato di
pelle e i serpenti si sbucciano contro le spine lasciando ondeggiare i rimasugli al
vento, così “anche una tenue immagine deve essere emessa dalle cose”
1
. Lucrezio
dà un nome all’energia fisica delle immagini una pressione interna che le fa
“spellare” allo scopo di provocare reazioni, quella che Alfred Gell ha chiamato
Agency. Poiché le immagini rappresentano strati di pelle incessantemente staccati
dai corpi, esse creano un legame fisico tra oggetto e osservatore
2
. Questo legame
genera una reazione aptica per cui, mediante le immagini, gli osservatori vengono
incantati e imprigionati. La libertà nei confronti delle immagini «agenti» la si può
conquistare solo riconoscendo loro lo statuto di soggetto. Considerare la
soggettività delle immagini, come se fossero dotate di una vita e coscienza
proprie, solleva una questione antropologica fondamentale con la quale Alfred
Gell ha dovuto fare i conti. In un lavoro polemico contro gli approcci
convenzionali della storia dell’arte e dell’antropologia strutturalista degli anni ’70,
per considerare l’immagine come soggetto agente lo studioso è partito da una
premessa fondamentale:
Al posto della comunicazione simbolica io intendo porre la massima enfasi
sull’agency, sull’intenzione, sulla causazione, sul risultato e sulla trasformazione.
Concepisco l’arte come un sistema di azioni volto a cambiare il mondo piuttosto
che a codificare proposizioni simboliche riguardo a esso. In sé e per sé
l’approccio all’arte incentrato sull’«azione» è più antropologicamente orientato
1
LUCREZIO, De rerum natura, trad. R. RACCANELLI a cura di A. SCHIESARO e C.
SANTINI, Enaudi Torino, 2003.
2
A. GELL ART AND AGENCY. An antrpological Theory, Oxfrod University Press, 1998 p. 6
2
che non l’alternativo approccio semiotico, poiché prende in considerazione il
ruolo di mediazione pratica degli oggetti artistici nel processo sociale più che non
l’interpretazione di tali oggetti “come se” fossero dei testi
3
.
A diciotto anni dalla sua pubblicazione, il corposo volume dell’Art and agency.
An Anthropological theory è considerato come un intervento originale per via
della complessità che una tale teoria di applicazione universale comporta. La
teoria dell’agency, pubblicata nel 1998, è stata l’ultima e tra le più importanti
opere scritta da Alfred Antony Francis Gell, scomparso nel Gennaio del 1997 a
soli 51 anni di età, è stato un antropologo sociale britannico, che ha lavorato
sull'arte conducendo le sue ricerche sul campo in Melanesia e India. Dopo
un’attenta lettura del volume “Art and agency” ho subito il fascino della scrittura
e del pensiero di Gell, rigorosamente analitico, ma allo stesso tempo giocoso e
provocatorio. Eppure,nonostante sia stato scritto in modo lucido e diretto non è un
libro facile da afferrare, scritto in sole tre settimane e terminato poco prima che
l’antropologo morisse per una malattia incurabile. Nel riassumere un testo così
affascinante, complesso e con non poche difficoltà e contraddizioni, attraverso le
mie capacità, il tentativo è stato quello di rendere giustizia alla teoria dell’agency,
la quale fino a poco tempo fa sembra che non abbia portato ad un salto qualitativo
negli studi sull’arte.
In tanti pensano ancora oggi che l’arte, come massima espressione dell’estetica
moderna, sia un campo a se stante con proprie regole, di produzione e valutazione.
Così come ricorda Gell, nella misura in cui gli spiriti moderni hanno una religione
questa è la religione dell’arte, i cui santuari sono i teatri, le librerie e le gallerie
d’arte, i cui preti e vescovi sono i pittori e i poeti, i cui teologi sono i critici e il cui
dogma è quello del senso estetico universale. Pertanto bisognerebbe assumere un
atteggiamento di “ateismo metodologico” che, per fini antropologici, Gell traduce
in un atteggiamento di radicale “filisteismo metodologico” nei confronti di un
sapere accademico come l’estetica. Su un versante materialista ma all’interno di
un inquadramento cognitivista si colloca l’originale posizione di Alfred Gell. Alla
base della sua riflessione vi è la proposta teorica incentrata su un modello
3
A. GELL ART AND AGENCY. An Anthrpological Theory, Clarendon Press, Oxford, 1998 p. 6
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analitico per applicarsi a tutti gli oggetti che, in epoche e luoghi differenti, sono
stati qualificati come “artistici”. Superando la nozione di estetica come scienza del
bello e/o teoria dell’arte, l’antropologo si prefigge di spiegare perché determinati
oggetti “artistici” possono affascinare ed esercitare certi condizionamenti in chi ne
fruisce. Gell parte dal presupposto che ciò che noi chiamiamo oggetto d’arte, a
prescindere dall’utilizzo di questo stesso termine, possiede la forza e il potere di
affascinarci perché lo consideriamo come un indicatore di ciò che è nella mente
delle persone che lo hanno prodotto e/o utilizzato. Fino a poco tempo fa sono stati
pochissimi gli studiosi che hanno cercato di considerare e rivalutare una così
complessa teoria nel proprio ambito disciplinare. Pertanto, il presente contributo è
un tentativo di saggiare la validità della teoria dell’ Art and Agency nel campo
della storia dell’arte.
Prima di verificare se e fino a che punto una tale teoria possa essere uno
strumento utile per gli studiosi della storia dell’arte, che da tempo hanno rifiutato i
vecchi paradigmi incentrati sulle letture formalistiche alle opere, nella prima parte
di questo lavoro si cerca di far luce sull’incontro tra l’antropologia e la storia
dell’arte, ma non senza tralasciare anche importanti differenze che esistono tra i
due campi disciplinari. Tuttavia, il confluire delle due discipline ha portato la
storia dell’arte ha cercare nell’antropologia una nuova chiave di lettura, attraverso
la quale si sono sviluppati diversi tentativi teorici che hanno posto il corpo al
centro del discorso sul visivo, considerando gli aspetti cruciali dell’immagine
sull’azione (agency) e sulla reazione. Tra i diversi approcci per affrontare lo
studio delle immagini, gli studiosi si sono orientati verso questioni come
l’autenticità e l’attribuzione dell’oggetto includendo le prove documentarie e gli
aspetti sociali, le questioni relative alla provenienza, all’analisi formali, le ricerche
sui significati personali, sulle problematiche della creatività, l’analisi del contesto
sociale e, infine, l’esame delle reazioni psicologiche alle immagini. Per
quest’ultimo aspetto, tuttavia, è proprio la storia dell’arte che ha offerto una
prospettiva migliore sulla capacità di dare un senso ai particolari effetti delle
immagini. In quest’ambito vengono citate autorevoli figure, le quali hanno eletto
la multidisciplinarietà a strumento principe di rilettura della storia dell’arte come:
David Freedberg, Hans Belting, George Didi-Huberman, Micheal Baxandall,
4
Walter Benjiamin per non parlare di Aby Warburg. A quest’ultimo è dedicata una
sezione a parte dal momento che con la sua eredità, nell’ultimo secolo, ha assunto
un ruolo centrale nelle posizioni teoriche e critiche contemporanee di questi
studiosi. È proprio attraverso il lavoro di Warburg che si può dimostrare come la
fertilità dell’approccio multidisciplinare all’espressione creativa sia un aspetto
cruciale e costitutivo della condizione umana e come egli abbia fornito i mezzi per
comprendere le sedimentazioni storiche e antropologiche nell’arte. Da qui segue
una premessa agli studi di Alfred Gell e all’elaborazione della teoria antropologica
dell’Art and Agency e, in conclusione di questa prima parte, una sezione sarà
dedicata alla nozione e alla complessità del termine stesso di Agency.
L’etimologia di tale termine, al di fuori delle scienze sociali o antropologiche,
rinvia ad un concetto astratto e impersonale di azione. La nozione non è
riconducibile ad un soggetto agente, e sembra riferirsi a un principio causale non
necessariamente individualizzabile, umano o innato
4
. Nel rapporto duplice e
ambiguo con la nozione di soggetto, soggettività e intenzionalità sotteso nell’aura
semantica della parola «Agency», emerge il problema di trovare un unico
equivalente terminologico in italiano, o in altre lingue. Da un lato, la parola
richiama un’idea volontaristica e solipsistica di agente individuale autonomo e,
dall’altro, può evocare una rimozione del soggetto e venire intesa come struttura
dell’azione che sussiste indipendentemente dagli attori individuali che la abitano o
la “agiscono” in modo transitorio. Quest’ultimo utilizzo della nozione di
«Agency» rientra nella teoria gelliana.
Il secondo capitolo è dedicato interamente al volume dell’Art and Agency
mettendo in luce gli aspetti teorici più salienti elaborati da Alfred Gell. Nell’opera
del 1998 l’antropologo britannico intende sviluppare una teoria dell’agency
sociale degli ‘artefatti’, categoria in cui possono essere compresi anche i “nostri”
oggetti d’arte, attraverso la proposta di una griglia concettuale che connette la
teoria semiotica di Charles Sanders Peirce
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, con la teoria delle cosiddette
4
L.M AHEARN, Agency and Language, in «Annual Rieview of Antropology» Vol. 30, 2001.
5
C.S. PEIRCE 1903, Nomenclature and Division of Triadic Relation, in M. A. BOFANTINI, L.
GRASSI e R. GRAZI, curatori del recente volume antologico C. S. Peirce, «Semiotica. I
fondamenti della semiotica cognitiva», Einaudi, 1980,
5
“distributed persons”, elaborata da Marylin Strathern
6
. Nella prima parte del testo
Gell propone di considerare gli artefatti come “indici”, nel senso di Peirce, di
social agency. Quest’ultima per «abduzione», altro termine di derivazione
peirciana che implica un’operazione logica per la costruzione di un’ipotesi
esplicativa accettabile ma non provabile a partire da un insieme di dati, può essere
connessa tanto agli “Artisti” (i loro produttori materiali), quanto ai “Destinatari”
(chiunque usufruisca o entri in rapporto con l’artefatto). Sempre per abduzione, è
possibile collegare gli artefatti, in quanto indici, ai referenti, “Prototipi”, che essi
rappresentano (non necessariamente in forma iconica). Nell’interazione sociale tra
queste quattro componenti, ognuna può assumere tanto la posizione di “Agente”
quanto quella di “Paziente”. Gli artefatti possono operare, almeno indirettamente,
come “agenti sociali”, ma gli agenti sociali sono, per definizione, persone;
dunque, dal punto di vista della social agency, gli artefatti vanno considerati come
“persone”. Tuttavia, di fronte al rischio di cadere in un’argomentazione
paradossale, Gell propone di definire gli artefatti come “agenti secondari” rispetto
agli “agenti primari”; solo alle azioni di questi ultimi può attribuirsi una vera e
propria intenzionalità, ma ciò non toglie che la loro agency sia distribuita
nell’ambiente per mezzo degli “agenti secondari”. Segue poi nel testo di Gell un
tentativo di applicazione di questo schema a casi concreti che corrispondono a
interconnessioni sempre più complesse tra le posizioni indice, artista, destinatario,
prototipo, agente e paziente di ciò che egli propone di chiamare “the art nexus”.
Così sarà appropriato adottare una prospettiva relazionale, in cui gli “agenti
sociali” sono “distributed persons”.
In altre parole gli oggetti d’arte sono un’extension dell’agency di coloro che li
creano o li utilizzano. Partecipando in maniera attiva o passiva nelle relazioni tra
gli esseri umani, gli oggetti d’arte possono accattivare, intimidire, far del male,
consolare, forzare, proteggere, attrarre, ecc. Da qui si fa strada un altro concetto
importante per la teoria gelliana, ovvero quello di enchantment riferito al potere
che l’oggetto artistico ha di esercitare sullo spettatore in virtù della tecnica
raffinata con cui è stato eseguito, e che è ben più significativa del valore estetico
6
M.STRATHERN The Gender of the Gift. Problems with Women and Problems with Society in
Melanesia, Berkeley, University of California Press, 1988.
6
che gli si potrebbe accordare. L’effetto prodotto dal virtuosismo tecnico
contribuisce a conferire al manufatto artistico un potere quasi magico. In ultima
analisi, Gell prende una certa distanza dal paradigma dell’agente e dell’indice e si
occupa del concetto di stile. Lo scopo è quello di formulare un concetto di Stile
adatto ai requisiti dell’antropologia dell’arte, pertanto, la preoccupazione dello
studioso è quella di individuare “assi di coerenza” stilistica attraverso un’ analisi
strettamente “formale” delle relazioni generate tra i motivi. Tale concetto,
nell’antropologia dell’arte, è ben distinto nel contesto dell’estetica occidentale
poiché le unità stilistiche non possono rivolgersi ad un singolo artista, a scuole di
artisti o movimenti, ma esclusivamente a “culture” e “società”. Inoltre, egli
sostiene che una classe di oggetti artistici che hanno uno stile comune
costituiscono una extended mind, ossia oggettivizzano parte della mente o della
coscienza del loro produttore. Sono introdotti concetti tecnici posti a presentare un
modello generale del lavoro d’artista come un oggetto distribuito, in particolare
come una distribuzione dell’oggetto nel tempo. Le parole chiave, termini che
derivano dal modello introdotto dal grande filosofo tedesco e fondatore della
scienza fenomenologica Edmund Husserl
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, sono: “Protensione”, le relazioni
“prospettiche” orientate verso il futuro, e “Ritenzione”, per le relazioni
“retrospettive” d’orientamento verso il passato.
Nel terzo capitolo brevemente sono riportate le risposte alla teoria dell’Art and
Agency, dal momento che, anche se in tanti hanno lodato genericamente la
genialità dello studioso, sono stati pochi coloro che hanno tentato di avanzare un
giudizio complessivo e in maniera analitica sulla teoria gelliana e ancor meno
coloro che hanno tentato di saggiarne la validità. Nonostante ci sia stata una certa
considerazione per la teoria dell’agency da parte degli storici dell’arte antica, in
particolare Robin Osborne e Jeremy Tanner
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, sembra che la teoria di Gell non ha
portato novità di rilievo per lo studio dell’arte. Nel tentativo di accordare una certa
validità alla teoria gelliana in ambito storico artistico sarà necessario far luce sugli
aspetti teorici più salienti che l’antropologo britannico ha elaborato. La forza della
7
E. HUSSERL,(1928), Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, a cura di A.
Marini Franco Angeli, Milano, 2004, p. 43.
8
R. OSBORNE, J. TUNNER, Art’s Agency and Art History, Blackwell Publishing Ltd, Oxford
2007.