5
Ci occuperemo in particolare di quelle attività che rientrano in
una definizione molto frequente durante il “ventennio”: cultura
dopolavorista. Il Teatro popolare, il “football”, le gite fuori porta, gli
eventi legati alle feste locali, gli sport e tant’altro.
Capire come il mondo operaio, i contadini e la cosiddetta
classe media, essendo i destinatari di tutta una serie d’iniziative
che potremmo definire socio-assistenziali-culturali, abbiano influito
sulla formazione della politica culturale del fascismo e come
l’abbiano, in un certo senso subita; i valori, alla base della politica
culturale fascista, e la risposta dei destinatari.
Le attività culturali del Dopolavoro furono ispirate in linea di
massima dalla propaganda del regime, ma a livello locale subirono
certamente l’influenza dell’immagine che gli organizzatori ebbero
del fascismo. I messaggi propagandistici del regime, così come
furono accolti, possono senz’altro fornire informazioni sulla vita,
sui desideri e sulle aspirazioni dei destinatari
3
. Importante, ci
sembra l’esame della stampa locale come il più prezioso strumento
di propaganda culturale e politica a disposizione dell’impegno
fascista di integrare le masse.
Caratteristica, di tutti i regimi totalitari è il particolare
rapporto con le masse:
6
…il fascismo ha sempre teso (e da ciò ha tratto a lungo la sua forza) a creare
nelle masse la sensazione di essere sempre mobilitate, di avere un rapporto
diretto col capo (tale perché capace di farsi interprete e traduttore in atto delle
loro aspirazioni) e di partecipare e contribuire non ad una mera restaurazione di
un ordine sociale di cui sentivano tutti i limiti e l’inadeguatezza storica, bensì ad
una rivoluzione dalla quale sarebbe gradualmente nato un nuovo ordine sociale
migliore e più giusto di quello preesistente. Da qui il consenso goduto dal
fascismo. Un consenso che, per altro, può essere veramente capito e valutato
solo se si mettono in luce i valori (morali e culturali) che lo alimentavano e
l’ordine sociale ipotizzato che lo sosteneva: gli uni e l’altro tipici dei ceti medi e di
quei limitati settori del resto della società sui quali l’egemonia culturale dei ceti
medi riusciva in qualche misura ad operare
4
.
Emergono due temi correlati: il rapporto privilegiato che il
regime cercò di istituire con le masse, soprattutto attraverso le
strutture organizzative, alla ricerca di un sempre maggiore
consenso, e gli aspetti culturali di questo rapporto.
Partiremo da un’interpretazione del fascismo, che già da
qualche tempo si sta affermando tra gli storici e che indagando
fenomeni sociali, non condivide l’idea che esso sarebbe da
considerarsi “TOTALITARIO”. I regimi che aspirano al totalitarismo
culturale si sforzano di concentrare nelle proprie mani, tutti gli
strumenti della propaganda e di istituzionalizzarli in una branca
3
CAVALLO P., Immaginario e rappresentazione, Roma, 1990
4
DE FELICE R., Le interpretazioni del fascismo, cit., p. 262.
7
dell’apparato amministrativo
5
. Il fascismo centralizzò il controllo
sulle attività culturali e propagandistiche molto tardi infatti, solo
nel 1935 nacque il Ministero per la Stampa e la Propaganda. Il
decennio 1925/1935 fu caratterizzato dall’assenza di un
coordinamento delle attività culturali.
Il fascismo, per conservare il potere, abbandonò negli anni che
coincisero con il dispendio di maggiori energie per lo sviluppo del
Dopolavoro, quegli indirizzi rivoluzionari che si potevano rilevare
dagli orientamenti dei teorici fascisti dei “primi anni”, per una linea
mutevole e adattabile agli interessi sociali dominanti, infatti “le
preferenze e le scelte [in ambito culturale] mutarono invece ripetutamente, in
conformità alle circostanze politiche del momento e ai riconoscimenti ufficiali di
volta in volta accordati ai numerosi movimenti e correnti, spesso in conflitto tra
loro, esistenti dentro e fuori il fascismo
6
.
Ci soffermeremo ad individuare e ad analizzare, tutte quelle
situazioni in cui l’idea di un unico indirizzo politico diventa
incostante e a volte adattabile alle esigenze emergenti. I mezzi di
comunicazione di massa, come veicolo degli indirizzi politici, furono
impiegati massicciamente. Le immagini che questi presentavano,
penetravano nella coscienza dei singoli, incidendo, anche se in
maniera superficiale, su valori e atteggiamenti.
5
CANNISTRARO P.V., La fabbrica del consenso, cit., pag. 106
6
CANNISTRARO P.V., La fabbrica del consenso, cit., pag.
8
Sfuggire alle direttive del regime non fu facile per gli
intellettuali dell’epoca, soprattutto per quelli che non si collocavano
nella “zona d’ombra” di un tranquillo momento di transizione, quale
molti pensarono sarebbe stato il fascismo. E la gente comune,
“l’uomo della strada”, l’uomo di cui cercheremo di ricostruire i
momenti di “ozio”, che forse ci potrebbe sembrare meno
consapevole del tempo che sta vivendo, quale immagine ebbe di
quegli anni, come accolse i miti e le parole d’ordine del regime, e
quanto influirono le sue aspirazioni e la sua visione del fascismo
sul regime stesso?
9
1 LA “COLLABORAZIONE DEL PRODUTTORE”
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo, cambiarono
totalmente i modi di percepire il mondo. Vennero fatte notevoli
scoperte scientifiche che, anche se non ebbero un’immediata
applicazione pratica, contribuirono a modificare valori e modelli
culturali sui quali gli individui basavano il loro agire. Nel campo
della produzione, i ritmi lenti del mondo contadino erano
contaminati dal “ciclo continuo” della fabbrica ed anche
l’organizzazione della produzione nei grandi opifici subiva una
profonda trasformazione.
Dal momento in cui sorsero le prime fabbriche nell’Italia Unita,
l’organizzazione del processo produttivo venne affidata al padrone.
Questi era colui che decideva: gli orari di lavoro, la distribuzione dei
compiti alle maestranze, la scelta del personale; era insomma un
padrone-dirigente. Era risoluto nel prendere le decisioni che
inesorabilmente incidevano anche sul futuro dei suoi dipendenti.
Con l’affermarsi della modernizzazione dei sistemi produttivi e
con l’espandersi dei mercati mondiali - con la conseguente
distribuzione dei compiti affidati prima a poche persone - il
10
padrone, dovette cedere molta parte dell'attività dirigenziale ad
esperti organizzatori.
Il capitalismo avanzato, quel sistema produttivo e di scambio
che richiedeva grossi sforzi finanziari, enorme impiego di personale
e ovviamente un’ampia platea di consumatori, fece emergere la
necessità di organizzare la fabbrica in maniera diversa, l’era del
capitalismo padronale era finita
7
, si doveva ripensare alla
collocazione del “produttore”, futuro consumatore, in una nuova
posizione che da una parte non lo liberasse dalla sua condizione di
sfruttato e dall’altra gli desse l’illusione di vivere una vita migliore,
fatta di cose che nel nostro tempo sono insignificanti concessioni
ma che allora valevano lo sforzo di una vita.
Si auspicava un maggiore coinvolgimento dei lavoratori, non
solo nel processo produttivo ma anche in quello dell’accettazione
del sistema aziendale. I datori di lavoro, avevano tutto l’interesse a
tenere il più possibile alto lo “Standard of life” dei loro operai,
questo significava “maggiore tranquillità nelle officine, maggiore e
migliore rendimento delle prestazioni, quindi maggiore possibilità di
vincere la concorrenza altrui”. Il capitalista intelligente non può sperare
nulla dalla miseria. Ecco perché i capitalisti intelligenti non si occupano
7
DE GRAZIA V., Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista, Laterza, Bari-Roma, 1981
11
soltanto di salari, ma anche di case, scuole, ospedali, campi sportivi per i loro
operai
8
.
Questi cambiamenti strutturali, nell’ambito della produzione
furono avvertiti anche nel sistema del governo nazionale già dopo la
prima guerra mondiale. L’incremento dei ritmi di produzione,
dovuti allo sforzo bellico, aveva prodotto un grosso balzo in avanti
del fragile sistema industriale.
A questo periodo di crescita, coincise anche un momento di
grandi agitazioni di massa, dovute soprattutto alle estreme
condizioni di povertà e quindi alle conseguenti lotte per una più
equa distribuzione della ricchezza e del benessere. Il liberalismo era
in crisi sia nel campo politico sia in quello economico.
Si contrapponevano due diverse esigenze di riorganizzazione
della società italiana: da una parte, quella liberale legata alle élite
che governavano e dall’altra, quella dell’internazionale socialista. I
problemi che si ponevano all’attenzione della classe dirigente erano
rappresentati da alcune domande: come ricomporre queste due
tendenze opposte? Come procedere nella riorganizzazione della
produzione, senza scontrarsi con i consigli di fabbrica e con i
sindacati socialisti? Come superare gli schieramenti di classe e
richiedere l’appoggio delle masse?
8
MUSSOLINI B., da Il Dopolavoro, Settimanale dell’Ond, n. 1, 1926
12
La difficoltà dei sistemi politici, in tutta Europa, era
sostanzialmente dovuta allo squilibro tra l’organizzazione della vita
pubblica, con un sistema burocratico altamente inefficiente rispetto
alle grandi capacità economiche che si erano sviluppate in questi
primi scorci di secolo.
9
Il rifiuto del parlamentarismo liberale e l’avversione nei
confronti delle forze antinazionali socialiste, furono due temi
cavalcati dal neo movimento fascista. E’ su questi temi che il
fascismo mosse i suoi primi passi. Importante ci sembra a
proposito il programma che Mussolini delineò nel marzo del 1919,
scrivendo su “Il Popolo d’Italia”, nel quale sottolinea la necessità di
un nuovo tipo di rappresentanza politica fondata sulle attività
produttive. Vantandosi del relativismo programmatico proprio del
fascismo, Mussolini, riteneva che era necessario usare la violenza
per ristabilire l’ordine compromesso dai comunisti che volevano
sovvertire le regole naturali del vivere, ma d’altra parte ricordava
che il fascismo era interprete della sana maggioranza del popolo
delle trincee e del sacrificio del lavoro
10
, che non sarebbe stato mai
dalla parte della borghesia. Quindi né socialisti, né borghesi.
9
ORTEGA Y GASSET Josè, La ribellione delle masse, Bologna 1962
10
ACQUARONE A., L’Organizzazione dello Stato Totalitario, Einaudi, Torino 1965
13
Il sistema politico italiano era bloccato. La borghesia era
troppo debole per imporre la sua volontà, mentre la classe operaia
non era abbastanza forte per affermare la propria. Una vastissima
fascia del corpo sociale era scoperta e i vecchi partiti non facevano
più presa sui nuovi ceti emergenti. Gli unici valori che parlavano
all’immaginazione erano quelli della guerra
11
.
Una parte di questa zona scoperta era rappresentata dal
mondo del lavoro, luogo in cui il regime fascista cercava di allargare
la sua base di consenso, sia adoperando la violenza, che metodi più
persuasivi. I fascisti ritenevano che il “socialismo ortodosso e la
vigente società borghese riducessero l’uomo in frammenti, e perciò
si sforzavano di pensare una Italia in cui le masse si integrassero
con la nazione attraverso una visione collettiva del mondo”
12
. Lo
Stato doveva guidare l’individuo lungo un percorso di vita che fosse
comune a tutti gli italiani, che riproducesse i valori del fascismo,
che esaltasse le virtù del popolo italiano.
Per far penetrare queste idee nel mondo del lavoro si agì in un
campo che poi risultò molto familiare agli organizzatori fascisti: la
comunicazione di massa. L’entusiasmo che la comunicazione
suscitava nelle masse - l’entusiasmo per la radio, per il “teatro per
11
ROMANO S., Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni, Longanesi, Milano 1998
12
MOSSE G.L., L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste,Roma-Bari 1982
14
le masse”, l’introduzione della radio e del cinema nelle campagne -
fu adoperato per dare agli italiani quello che, in quel momento, essi
volevano: sentirsi partecipi della storia della nazione, collaborare
nella costruzione di una nuova Italia, mettere da parte tutte le
sofferenze patite durante la grande guerra, superare gli scontri di
classe che durante il “biennio rosso” avevano duramente provato i
lavoratori, e ricominciare.
Tra le organizzazioni che ebbero un ruolo importante in
quest’opera d’integrazione delle masse, troviamo anche l’Opera
Nazionale Dopolavoro. Quest’Ente assolse diversi compiti, che,
secondo il punto di vista con cui si esamina, può rivelarci la natura
della sua esistenza.
Per il sindacato fascista, un’organizzazione come il
Dopolavoro, al di là d’ogni intento puramente ricreativo, perseguiva
un fine “più precisamente politico, di controllare e indottrinare i
lavoratori. Le filodrammatiche, i complessi corali, le gare sportive
servivano da pretesto per fare proseliti; una volta che i lavoratori si
fossero iscritti diventava più facile raggiungerli con la
propaganda”
13
. I dirigenti sindacali capirono d’altra parte
l’importanza che, in tale direzione, i dopolavoro potevano avere, e li
incoraggiarono. Per Mussolini, il dopolavoro rientrava tra quella
15
serie d’istituzioni, sorte con il regime allo scopo di mobilitare ed
integrare le masse, nel tentativo di creare sempre maggior
consenso. Inoltre si potrebbe dire che il dopolavoro ha
rappresentato un elemento di trasformazione della società italiana
e di creazione “dell’italiano nuovo”. Infine per l’uomo che
maggiormente profuse energie nella diffusione dell’organizzazione,
Mario Giani, i dopolavoro “contribuendo a distrarre gli operai dai
centri fomentatori di crapula e di ubriachezza, promuoverà in
misura non lieve quella purificazione dell’ambiente sociale che è
essenzialissima alla rivendicazione del valore della nostra stirpe”
14
.
Sempre secondo Giani, i dopolavoro avrebbero costituito “un sicuro
avviamento verso quella concordia fra capitale e lavoro, che è
condizione essenziale verso la prosperità dei singoli e della
collettività”
15
. Infine il dopolavoro poteva contribuire a quell’opera
di rieducazione nazionale avviata dalla guerra, come “miglioramento
dell’individuo per sé e per la sua patria: ecco la meta che l’Opera Nazionale
dopolavoro è sicura di conseguire perché si ispira alla esperienza della grande
prova non lontana del popolo italiano in guerra. Il disperso di Caporetto
divenne, allora, l’eroe dei trionfi del Piave, del Grappa, di Vittorio Veneto
attraverso l’opera assistenziale svolta nelle Case del Soldato, negli spacci
cooperativi, con scritti e discorsi di buona propaganda. Quell’opera tenace,
13
CORDOVA F., Le origini dei sindacati fascisti, Roma-Bari 1974
16
appassionata, ardente di fede italiana svolta specialmente nelle retrovie ma
anche sulle prime linee della grande guerra è ora ripresa, continuata,
rafforzata di mezzi e di spiriti nuovi dal Dopolavoro”
16
Quello che maggiormente emerge da queste considerazioni è
che l’attenzione era puntata sulle masse, affinché queste
collaborassero alla trasformazione di un mondo che incuteva paura
al singolo individuo e che aveva già dato prova della sua forza
distruttiva, appunto con la tragedia della prima guerra mondiale.
Per sintetizzare ulteriormente questa tensione politica del
fascismo rispetto all’esigenza della “collaborazione del produttore”,
appare esemplificativa una vignetta umoristica apparsa nel primo
numero de “Il Dopolavoro”, settimanale fondato e diretto da Mario
Giani. La vignetta, occupava tre colonne del giornale doppio
tabloid. Vi erano rappresentate due mucche legate l’una all’altra da
una corda. Nella prima scena le due mucche si spingono in
direzioni opposte, per mangiare ciascuna nella propria mangiatoia.
Nella seconda scena si guardano perplesse. Nella terza scena la
prima mucca segue l’altra e attende mentre questa finisce di
mangiare. Nella quarta ed ultima scena, la mucca che aveva
14
GIANI M., Relazione dell’Ufficio Centrale del Dopolavoro al III Consiglio delle Corporazioni, “La
Stirpe”, giugno 1924.
15
GIANI M., Gli orizzonti del Dopolavoro, “La Stirpe”, dicembre 1923.
16
FERRETTI L., Il libro dello sport, Libreria del Littorio, Roma-Milano 1928, pp. 141-142.
Ferretti fu deputato fascista e presidente del CONI
.
17
pazientemente atteso, si dirige seguita dall’altra verso la sua
mangiatoia. Queste due mucche, rappresentano l’intuizione di
quella che sarà la provvisoria soluzione dei conflitti che si erano
avuti nei primi anni del novecento tra lavoratori e padronato.
L’organizzazione delle masse
Queste prime considerazioni di carattere generale, sulla
nascita del fascismo, non servono a chiarire quali furono le
condizioni che ne favorirono l’ascesa, quanto a capire l’importanza
che il regime attribuì alla necessità di avere un’ampia base di
legittimità al suo potere. Il mondo del lavoro, un universo che per
definizione doveva sembrare ostile al regime, fu anch’esso attratto
dai miti e dai modelli culturali proposti dal fascismo. (Anche se
non è ancora chiaro fino a quanto).
Il messaggio fascista si basava su un assunto chiaro e
immediatamente comprensibile. La società industriale aveva
prodotto un’enorme complessità nell’organizzazione della vita dei
singoli e della società, enormi conflitti e disparità. Bisognava
ristabilire l’ordine e l’armonia che si riscontrano in natura, e che
trasposti sul piano delle relazioni tra gli uomini, si traducevano in
aspirazioni ad una società organizzata secondo rigidi principi
gerarchici, in grado di opporsi alla confusione dei ruoli e delle
18
funzioni che sembravano caratterizzare l’Italia del dopoguerra
17
.
“Bisognava salvare l’Italia” e formare “consenso”, superando i
vecchi schieramenti di classe, richiedendo l’appoggio e la
collaborazione delle masse in conformità ad una nuova identità non
di classe.
18
Le idee socialiste non erano condannate per il loro
tentativo di elevare il tenore di vita dei lavoratori, ma per il loro
carattere rivoluzionario. Il socialismo era fonte di divisione del
tessuto sociale e si fondava sulla contrapposizione tra le classi,
negando qualsiasi tipo di collaborazione. Quindi il consenso al
regime fu ricercato su una base del tutto nuova, era necessaria una
nuova identità nazionale che superasse le vecchie divisioni presenti
nell’Italia liberale, divisioni sia di carattere economico sia sociale. Si
richiedeva alle masse di far parte attiva dello Stato, di dare la
propria adesione all’impresa fascista. Il consenso fu ricercato in
ogni ambito della società, ed in due modi apparentemente
contrastanti, ma che furono adoperati secondo i diversi momenti di
crisi che il regime attraversava.
17
CAVALLO P., Propaganda, consenso e immaginario collettivo nel ventennio fascista, in
Propaganda nel ventennio fascista: la “fabbrica del consenso” a Cava, 1996.
18
DE GRAZIA V., Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista, Laterza, Bari-Roma, 1981