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1.2 – La Personalizzazione della Politica
Un testo utile per impostare un discorso sullo sviluppo delle leadership moderne è l’opera di
Pogunkte e Webb P. (2005), The Presidentialization of Politics, in cui viene tratteggiata una
trasformazione nel modo di concepire l’incarico istituzionale da parte dei capi di governo di
molte democrazie occidentali. La direzione di questa mutazione andrebbe rintracciata
nell’esigenza dei leader, di costruirsi spazi di autonomia sempre più ampi e di creare un rapporto
costante e diretto con l’elettorato. Il processo di presidenzializzazione può essere riassunto
come un avanzamento delle prerogative dei capi degli esecutivi nei seguenti ambiti (Pogunkte
2005, 6):
Incremento delle risorse di potere e dell’autonomia del leader all’interno del partito;
Incremento delle risorse di potere e dell’autonomia del leader nella gestione del potere
esecutivo dell’esecutivo;
Processo elettorale incentrato maggiormente sulla figura del leader.
L’espandersi delle zone di autonomia possono risultare dalla concessione diretta di maggiori
poteri formali, oppure dal conferimento di un maggiore peso “personale” al mandato elettorale
ricevuto dal voto dagli elettori (ibidem, 9).
La particolarità di questo processo risiede nel fatto che, questa pratica viene registrata nelle
democrazie in cui la figura di capo del governo non coincide con una carica monocratica
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direttamente eletta come sistemi maggioritari presidenziali. Questo allineamento delle
democrazie parlamentari alle prassi dei paesi con una struttura presidenziale, che può avvenire
senza la modifica formale della costituzione, viene definito dagli autori presidenzializzazione
della politica.
È opinione di Ventura (2010, 8) che nei sistemi “presidenzializzati e tendenzialmente
maggioritari” la comunicazione politica sia predisposta a creare un canale diretto tra elettori e
leader.
“…il vero significato della personalizzazione della leadership prende senso solamente se viene presa in
considerazione, o se viene data maggiore enfasi, al rapporto che intercorre tra leader e cittadini basato su quei
sentimenti come l’apprezzamento di qualità e difetti della persona in questione, compresa l’abilità da parte dei
leader di trasmettere messaggi che siano emozionalmente carichi e che non tocchino semplicemente la corda
razionale” (Blondell, Thièbault 2010, 5).
Sono le ricerche di opinione che consentono ai leader e agli staff di partito di capire quali siano
le caratteristiche personali più apprezzate e quali siano i temi su cui puntare, in modo da
enfatizzare gli attributi più favorevoli e nascondere quelli che potrebbero dare problemi
(Grandi, Vaccari 2007, 38).
Nella versione più evoluta, questo processo di analisi e costruzione dell’immagine di un leader
viene chiamato marketing politico, di cui Mazzoleni ne dà la seguente definizione:
Il marketing politico è un insieme di tecniche aventi come obbiettivo l’adeguamento di un candidato al suo
elettorato potenziale, di farlo conoscere al maggior numero di elettori e a ciascuno di essi in particolare, di creare
la differenza con i concorrenti e gli avversari e con un minimo di mezzi, di ottimizzare il numero di voti che
occorre (Mazzoleni 2012, 139).
Questa trasformazione delle dinamiche politiche ha radici profonde e si inserisce nel più ampio
concetto di personalizzazione della politica.
Il fenomeno viene spesso fatto risalire alle esperienze delle elezioni di Ronald Reagan (1980)
e Margareth Thatcher (1979) a capo dei rispettivi governi, due leader carismatici che attraverso
la loro azione hanno messo in ombra i rispettivi partiti (McAllister 2007, 571), anche se le cause
di origine vanno rintracciate durante il periodo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso a causa
dello sviluppo del mezzo catodico o addirittura già prima con l’uso dello strumento radiofonico.
La televisione, infatti, facilita la costruzione di un rapporto diretto con il politico di turno,
consentendo di instaurare un legame di empatia e attraverso la cattura dell’attenzione dei
cittadini grazie ai tratti della personalità (ibidem, 579).
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La comunicazione politica, ha subito un processo di sviluppo graduale ed ininterrotto durato
secoli, con una rapida accelerazione nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali, assumendo
solamente dopo il secondo conflitto i caratteri contemporanei. L’avvento del mezzo televisivo,
lo sviluppo della ricerca sociale empirica e l’ingresso di professionisti provenienti dal mondo
della pubblicità negli staff di partito, hanno contribuito a trasformarne gli attributi fondamentali
in un tempo relativamente breve.
Uno dei primi esempi di personalizzazione risale agli anni trenta del secolo scorso.
Successivamente al crollo della borsa americana del ’29, gli Stati Uniti d’America si trovarono
in una situazione economica e sociale gravemente compromessa. L’approccio con cui il
presidente dell’epoca, Franklin D. Roosevelt decise di affrontare l’emergenza attraverso
l’implementazione del New Deal, può certamente essere considerato un esempio di forte
personalizzazione della politica. Famosi divennero i suoi discorsi davanti al caminetto le
cosiddette fireside chats. Questi discorsi erano appuntamenti radiofonici settimanali che
avevano lo scopo di instaurare un rapporto diretto con l’opinione pubblica, promuovendo le
politiche del governo e rassicurando, in un momento di crisi la cittadinanza, attraverso toni
quasi paternalistici (Reda 2009, 37). Roosevelt inoltre, fu un innovatore anche per le modalità
d’uso del sondaggio, concepito come un mezzo utile a valutare il margine di libertà d’azione
del presidente nella promozione di politiche pubbliche (ibidem, 41).
Negli Stati Uniti, a seguito del secondo conflitto mondiale, il mondo della pubblicità acquistò
notevole credito grazie al fondamentale apporto che gli admen diedero al governo, per
l’implementazione delle tecniche di propaganda funzionali alla mobilitazione del popolo
americano. Attraverso il War Advertising Council, un organo affiancato al governo federale
(Fasce 2012, 99-100). I professionisti del mondo pubblicitario, per convincere il popolo
americano, costruirono un messaggio impostato sulla ricerca di una ‘better life’ per il cittadino,
la lotta contro la ‘schiavitù’ imposta dal regime nazista avrebbe avuto come ricompensa per la
vittoria i beni di consumo, benefici concreti e alla portata ideale di tutti (ibidem, 103).
Il contesto socio-economico americano quindi, rese gli Stati Uniti il paese apripista per la
maggior parte delle trasformazioni verificatesi nel mondo della comunicazione politica, a causa
di un modello impostato sulle logiche di mercato e sulla spinta.
Gli Stati Uniti, grazie allo stretto rapporto della politica con il mondo pubblicitario e ad un
ambiente aperto alle logiche commerciali e all’innovazione determinata dalla libera
concorrenza, a partire dagli anni ’50, divennero il terreno di sperimentazione della cosiddetta
era moderna della comunicazione politica. A partite da questi anni la politica si affiderà sempre
di più a professionisti provenienti da altri settori della società e alle tecniche di marketing prese
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in prestito dal mondo del commercio, con la televisione che diventerà la regina della
comunicazione politica, prendendo definitivamente il posto della radio. A certificare la
direzione intrapresa dal sistema statunitense vi è la decisione presa dal Presidente democratico
Truman che, con il consenso del Congresso a maggioranza repubblicana, decise di forgiare
l’assetto del nuovo mezzo sul modello commerciale radiofonico
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(Fasce 2012, 126), basato sul
guadagno derivante dalla vendita di spazi pubblicitari, anche per il fatto che il Primo
Emendamento della costituzione degli Stati Uniti impedisce qualsiasi intervento “che possa
condurre a una restrizione della libertà d’espressione” (Gardini 2014, 174).
Il primo Presidente che utilizzò le opportunità del nuovo mezzo televisivo fu Dwight
Eisenhower, il vecchio generale americano, che già durante le elezioni del 1952, grazie alla
collaborazione dell’agenzia pubblicitaria Ted Bates, realizzò i primi spot elettorali della storia,
realizzati seguendo le indicazioni dei sondaggi commissionati all’agenzia Gallup (Grandi,
Vaccari 2013, 32). Eisenhower fu il primo presidente ad ingaggiare una agenzia pubblicitaria
per affiancarlo durante la fase di governo.
Gli eventi che diedero l’impulso maggiore in direzione di una politica sempre più mediatizzata
furono essenzialmente due. Il primo fu la campagna elettorale per la presidenza americana del
1960, in cui grazie al primo dibattito televisivo tra candidati mai organizzato, il democratico
John F. Kennedy riuscì a ribaltare i rapporti di forza grazie ad una performance migliore del
suo avversario Richard Nixon
4
. L’altro grande balzo in avanti compiuto dalla comunicazione
politica, questa volta si verifica in Europa e più precisamente in Francia, grazie alla parentesi
presidenziale di Charles De Gaulle. Il mezzo catodico diventò lo strumento “attraverso il quale
il capo dello Stato, …, in virtù del prestigio carismatico di cui disponeva, poteva procurarsi
l’adesione di vaste masse al di sopra dei partiti e del parlamento. Un attributo del potere
presidenziale capace di fornire legittimazione e stabilità all’intero sistema politico” (Brizzi
2010, 26/338). Una modalità di governare il paese che il mondo giornalistico francese
ribattezzerà addirittura videocrazia. Gli anni di De Gaulle all’Eliseo, infatti, furono un momento
3
Da Fasce (2012): “in due anni la televisione Sali al 9% (49-50), nel 51 al 23,5 e l’anno dopo al 34%. Ne
promuoveva le vendite con particolare determinazione il network radiofonico NBC, legato all’impresa
elettrotecnica RCA, produttrice di apparecchi radiofonici e TV. Nella diffusione di programmi gli si affiancò l’altro
grande network radiofonico CBS. In questo clima non stupisce allora che, col consenso bipartisan della Casa
Bianca democratica di Truman e del Congresso a controllo repubblicano, l’assetto regolativo del nuovo medium
venisse forgiato sul modello della radio, con il conseguente consolidamento di un suo indirizzo eminentemente
commerciale, che sancì l’oligopolio dei due giganti NBC e CBS”.
4
In questa occasione il candidato del Partito Repubblicano Richard Nixon apparve agli occhi del pubblico nervoso
e in difficolta a causa della sua eccessiva sudorazione. Un segnale interpretato come sintomo di insicurezza, che
in realtà fu provocato da un eccessivo utilizzo di cerone da parte del suo staff, che si sciolse a causa del calore dei
riflettori dello studio televisivo. Questa campagna presidenziale passo inoltre alla storia per il pool di consulenti
di Kennedy, incaricati di costruire l’immagine del candidato attraverso uno sforzo organizzativo senza precedenti.
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fondamentale per lo sviluppo e la comprensione delle potenzialità del mezzo televisivo. Per il
Generale la televisione rappresentava lo strumento con cui difendersi da una stampa ritenuta da
lui avversa “e per instaurare un rapporto diretto e privo di intermediari con la nazione” (ibidem,
118). De Gaulle era perfettamente consapevole della forza persuasiva del mezzo, tanto che
convinto dal suo staff, si decise a modificare alcuni tratti del suo aspetto, rinnovando un
immagine troppo austera e poco empatica per le caratteristiche della televisione. Rinunciò agli
occhiali, smise di leggere i discorsi davanti alle telecamere imparandoli a memoria e addirittura
decise di prendere le lezioni di recitazione per migliorare le sue performance televisive (ibidem,
164). La televisione diventò il mezzo con cui il leader francese si legittimava come unico
interlocutore tra la politica e i cittadini, uno strumento di supporto verso una concezione del
ruolo presidenziale completamente nuova rispetto alle prassi di una Repubblica francese, da
sempre orientata verso la centralità del Parlamento.
In un famoso libro di Umberto Eco: Apocalittici e Integrati (1964), viene descritta la spaccatura
che contraddistingue i giudizi sul mondo dei mass media attraverso una analisi multidisciplinare
sulla cultura di massa, definendo Apocalittici gli oppositori convinti e Integrati coloro che
accettano le regole della comunicazione di massa integrandosi con essa.
Tra le figure più influenti che possono essere inserite nella categoria degli integrati, ritroviamo
senza ombra di dubbio Paul Lazarsfeld. Il lavoro di questo sociologo austriaco, emigrato negli
Stati Uniti all’epoca del nazismo, viene ritenuto fondamentale non solo per lo sviluppo dei
media studies, ma anche per la sociologia in generale attraverso il suo contributo dato agli studi
empirici e alla metodologia da utilizzare (Abruzzese, Mancini 2007, 176).
In People’s choice (1944), uno studio sulle motivazioni di voto degli elettori americani nelle
campagne presidenziali, Lazarsfeld arriva a concludere che i destinatari dei messaggi non
devono essere considerati come individui isolati dal proprio contesto, ma devono essere prese
in considerazione numerose altre variabili per dare un giudizio più completo sull’influenza che
i mass media hanno sui cittadini, come le relazioni interpersonali, la loro storia passata e
l’ambiente sociale in cui vivono, smussando il potere di persuasione dei mezzi di
comunicazione di massa che agirebbero in questo caso come strumenti di rafforzamento delle
opinioni già sedimentate. Questo studio sulle motivazioni di voto è stato il presupposto per un
altro fondamentale lavoro, scritto in questo caso insieme ad Elihu Katz: Personal Influence
(1955). L’opera ha consegnato alla materia la teoria del doppio flusso di comunicazione (two-
step-flow of communication), in cui viene identificato per la prima volta il ruolo dei cosiddetti
opinion leaders. Essi sono considerati come i veri destinatari del messaggio, in quanto sono
coloro che effettivamente lo recepiscono e che lo trasferiranno in un secondo momento agli
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individui sui cui esercitano un potere d’influenza, rendendo l’effetto diretto dei media di massa
ancora più limitato.
In antitesi alle idee di Lazarsfeld, tra gli apocalittici vanno nominati i membri della cosiddetta
Scuola di Francoforte, che grazie alle loro idee aprirono un dibattito che durerà decenni e che
forse deve ancora concludersi. Il manifesto di questo gruppo di studiosi fu Dialettica
dell’Illuminismo (1947), scritto da Theodor Adorno e Max Horkheimer. In quest’opera vengono
riprese le idee di Marx per descrivere gli effetti che quella che loro chiamano industria culturale
ha provocato nella società. Il loro ragionamento era basato sul presupposto dello svuotamento
di valore subito dalle merci, considerate ormai come meri simboli, e ormai diventate gli
strumenti attraverso cui l’industria culturale, con l’aiuto dei mezzi di comunicazione moderni,
impone alle masse un’omologazione forzata e quindi il proprio dominio.
Secondo Abruzzese e Mancini (2007, 184) non è un caso che le due scuole di pensiero, quella
che si rifà alla ricerca amministrativa di Lazarsfeld, sviluppatasi negli Stati Uniti, e quella
europea della teoria critica di Adorno e Horkheimer, siano fiorite con tratti così diversi nell’uno
e nell’altro continente. Il ricordo dell’esperienza delle dittature fasciste ha avuto un forte peso
nelle scelte delle élites culturali europee, creando le basi per quelle differenze sistemiche dei
due modelli che hanno caratterizzeranno lo sviluppo del mezzo televisivo, il medium centrale
della comunicazione politica del dopoguerra. I disastri che la propaganda manipolatoria dei
regimi totalitari ha contribuito a provocare, sono da considerarsi come l’origine della visione
apocalittica sugli effetti dei mass media e che probabilmente sta alla base della scelta europea
di considerare il mezzo televisivo come un servizio pubblico
5
(Freccero 2012, 39).
1.3 - Storytelling: l’arte della narrazione
I moderni leader devono essere in grado di raccontare se stessi con efficacia, come se fossero i
personaggi di una storia in cui loro sono i protagonisti. Le campagne elettorali dunque, “sempre
più personalizzate e spettacolarizzate”, sono costruite per attirare l’attenzione dei cittadini
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In Italia come in molti paesi europei “le giustificazione formali alla scelta del monopolio pubblico sono di
carattere tecnico o legate a esigenze di sicurezza…per il fatto che la diffusione radiofonica appare condizionata
dalla disponibilità dell’etere, un bene naturalmente scarso; esigenze militari e di sicurezza nazionale, che portano
a riservare allo stato le comunicazioni senza fili” (Gardini 2014, 172). In realtà oltre a questa spiegazione va
sicuramente annotato il fatto che i governi europei erano perfettamente consci delle potenzialità intrinseche ai
mezzi di comunicazione di massa a causa delle esperienze del fascismo prima e del nazismo poi. Questi strumenti
erano ritenuti uno strumento troppo importante da essere lasciato in mano agli attori privati in una situazione di
incertezza come quella del dopoguerra.