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INTRODUZIONE
Al centro di questa discussione viene posto uno degli argomenti più
dibattuti, tra gli ambienti della politica e della dottrina, dal secondo dopoguerra
ad oggi: la protezione dei diritti fondamentali tra diversi ordinamenti giuridici,
nello specifico tra il sistema statale e la CEDU. Ad ogni modo, essendo il tema
di vasta portata, l’attenzione è stata focalizzata su uno degli scenari più nascosti
della società in cui viviamo nel quale il livello minimo di tutela dei diritti
fondamentali viene messo a dura prova: il carcere.
Il fenomeno del sovraffollamento detentivo ha occupato, negli ultimi anni, le
scrivanie dei giudici, europei e nazionali, che sempre più spesso si sono
ritrovati a dover condannare gli eccessi e i vuoti normativi che avvolgono
l’ambito della detenzione.
La prima parte di questo lavoro è dedicata all’analisi “tecnica” del sistema
europeo di protezione dei diritti fondamentali e, dunque, all’esame dei rapporti
tra l’ordinamento italiano e quello CEDU (tenendo conto anche delle più recenti
evoluzioni), al dialogo tra giudici e ai più importanti cambiamenti storici che
hanno interessato tanto l’assetto politico-sociale del continente quanto quello
giuridico (in questo senso fondamentale è stato l’ingresso nel Consiglio
d’Europa dei Paesi dell’ex blocco sovietico). Una trattazione particolare è
dedicata ai rapporti tra l’assetto convenzionale e l’Unione Europea, che non ha
ancora ratificato la CEDU. Ad oggi una simile prospettiva sarebbe auspicabile
per rafforzare gli standard europei di protezione dei diritti umani, infatti in
seguito all’adozione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
che ha integrato le disposizioni della Convenzione, il sistema può dirsi ormai
pronto ad una simile evenienza.
Il tema dell’overcrowding si dispiega nella seconda parte del lavoro. In primo
piano vengono in rilievo le pronunce della Corte di Strasburgo del 2009
(sentenza Sulejmanovic) e del 2013 (sentenza Torreggiani), in particolare
quest’ultima si configura come un vero e proprio spartiacque nella materia
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“carceri” poiché la sua natura di “decisione pilota” attesta la sistematica
violazione dell’articolo 3 della CEDU e, di conseguenza, l’emergenza detentiva
in Italia, differenziandosi, dunque, dalle pronunce precedenti che
condannavano violazioni episodiche dei diritti fondamentali nelle carceri. La
Corte ravvisa anche i possibili rimedi che lo Stato può adottare per dare
esecuzione all’articolo 46 della CEDU. Sulla stessa scia si collocano anche le
decisioni della Corte costituzionale che, nel salvaguardare il dettato di cui agli
articoli 13 e 27 Cost., richiama lo Stato italiano, in più occasioni e soprattutto
dopo la sentenza Torreggiani e altri c. Italia, ad adottare misure atte ad arginare
la drammatica condizione del sistema penitenziario.
Ancor prima della sentenza Torreggiani l’Italia aveva intrapreso le misure
necessarie (come i cosiddetti “Piani carcere” del 2010 e del 2012) per ovviare
all’emergenza penitenziaria. Purtroppo questi provvedimenti non sono bastati a
risparmiare la condanna dei giudici europei, ebbene, all’indomani della
Torreggiani, lo Stato ha adottato rimedi di vasto respiro per non venir meno ai
suoi obblighi internazionali. Nonostante l’apprezzabile sforzo legislativo
(riconosciuto anche negli ambienti di Strasburgo) e gli importanti risultati
ottenuti il fenomeno del sovraffollamento persiste in Italia, come in altri Paesi
d’Europa, e le condizioni di vita dei detenuti devono essere sempre monitorate
al fine di non incorrere in un’altra condanna della Corte di Strasburgo.
Le carceri, oltre a presentare il problema della sovrappopolazione, sono
luoghi in cui si verificano episodi di tortura. In proposito, diversi sono stati i
casi in Italia in cui sono stati appurati “trattamenti inumani e degradanti” e atti
di tortura a danno dei detenuti. Anche in questo caso la voce della Corte di
Strasburgo si è fatta sentire. Partendo dalle indagini condotte dal Comitato
europeo per la tortura, i giudici hanno condannato tutte le azioni dello Stato che
provocano un abbassamento del livello di tutela dei diritti umani, stabilendo
finanche una soglia minima di gravità per i reati commessi dallo Stato in
violazione dell’articolo 3 CEDU. Clamorosa è stata la sentenza Cestaro c. Italia
che ha condannato lo Stato per le violenze commesse dalla polizia nei confronti
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dei manifestanti che alloggiavano nella scuola Diaz-Pertini e per non avere
ancora introdotto nell’ordinamento il reato di tortura.
L’osservanza dell’articolo 3 della CEDU viene messa a dura prova con
riguardo all’applicazione del regime di detenzione speciale di cui all’articolo 41-
bis o.p., il cosiddetto “carcere duro”. Nonostante la Corte di Strasburgo non
abbia mai dichiarato la “non convenzionalità” del regime ha ribadito più volte
nelle sue pronunce che ogni singolo caso deve essere sottoposto ad un’analisi
accurata prima di attribuire questa forma di reclusione così restrittiva. Anche la
tutela della salute è oggetto di condanna o meno da parte della Corte in quanto
prerogativa universale. Il diritto alla salute si collega direttamente con altre
importanti accezioni: salubrità dell’ambiente, prestazioni sanitarie accessibili,
tutela del profilo etico e psicologico dell’individuo. In questo senso il diritto a
un buon trattamento sanitario è divenuto prerogativa universale da tutelare
tanto per i “liberi” quanto per i detenuti.
Le ultime pagine di questo lavoro, infine, sono dedicate al modello attuale di
giustizia. Il sistema penale retributivo è divenuto nel tempo insufficiente a dare
delle risposte concrete all’emergenza penitenziaria. Pertanto l’attenzione di
molti esperti si è soffermata su un nuovo modello di giustizia, quella riparativa
che, attraverso i metodi di riparazione al danno e mediazione tra vittima e
carnefice, assume un’importanza fondamentale in vista del processo di
rieducazione e risocializzazione dei detenuti.
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Capitolo 1
I DIRITTI FONDAMENTALI IN EUROPA: RAPPORTI TRA
ORDINAMENTI INTERNI E SISTEMA CEDU
I. Gli ordinamenti europei dopo la seconda guerra mondiale e la necessità
di porre la persona al centro delle Costituzioni nazionali e dei rapporti
interstatali e sovrastatali
All’indomani del secondo dopoguerra lo scenario geo-politico mondiale
appariva quanto mai deteriorato. L’Europa si presentava come il principale
teatro di guerra, dietro al quale si generò un imponente cumulo di macerie,
materiali e morali.
L’altare sacro della sovranità statale, baluardo assoluto delle super-potenze,
venne raso al suolo a seguito della scontata evoluzione del conflitto. Cadde
l’impianto nazionalista e con esso cadde la convinzione che la dittatura potesse
sostituire gli strumenti della democrazia
1
(il riferimento è rivolto alla
democrazia di Weimar che venne ridotta in cenere a seguito dell’affermazione
del totalitarismo nazista).
Il prezzo della guerra venne misurato non solo in relazione al vertiginoso
numero di vittime ma anche con riguardo alle condizioni sociali e politiche in
cui versavano e avrebbero versato gli Stati negli anni a seguire. La distruzione
dei rapporti interstatali, la debolezza dei sistemi politici e sociali che non
riuscivano a far fronte all’emergenza del dopoguerra, devono essere annoverate
tra le principali conseguenze del conflitto. A ciò si aggiunga la drammatica
esigenza “di sicurezza collettiva, non tutelata o assai insoddisfacentemente
1
Sul punto si rimanda a: H. KELSEN, Difesa della democrazia (1932) ripreso da G. Pecora ne Il pensiero
politico di H. Kelsen (1992) Laterza Bari pag. 212 “è nel suo segno – in quello della dittatura- che da due
fronti si conduce la lotta contro la democrazia: dal fonte dell’estrema sinistra, dal movimento bolscevico
che si ingrossa sempre più e racchiude cerchie più ampie della classe operaia; dal fronte dell’estrema
destra, del fascismo o, come si chiama in Germania, del nazionalsocialismo”
9
tutelata attraverso gli strumenti normativi preesistenti”
2
; al di là di questo un
dato sembrava assodato: il dibattito sulla ricostruzione dell’Europa doveva
vertere sulla necessità, di cui avrebbero dovuto farsi carico le future
Costituzioni degli Stati, di porre al suo centro la persona umana corredata da
una serie di diritti fondamentali. Il principio personalista fu il risultato
intellegibile di questa volontà, a cui hanno fatto seguito tutta una serie di
principi volti a limitare l’esercizio dei poteri da parte degli Stati. A sostegno di
questa impostazione intervennero una serie di relazioni interstatali che
sfociarono poi nella nascita, sul piano internazionale, di cataloghi a protezione
dei diritti e delle libertà fondamentali
3
.
Quello che si prefigurava era l’avvio, non soltanto di un indirizzo volto a
sancire la nascita delle Carte fondamentali degli Stati del dopoguerra, ma di un
vero e proprio diritto internazionale dei diritti umani. Subito dopo la guerra
furono avviati studi promotori dell’unità interstatale al fine di riconoscere le
cause del conflitto e scongiurare lo scoppio di altre guerre. I due piani, quello
nazionale e quello internazionale, sono complementari tra essi poiché furono gli
Stati che, attraverso l’adesione ad apposite organizzazioni sovrastatali, posero
le premesse fondanti i documenti per la protezione dei diritti dell’uomo. È
doveroso citare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo siglata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1946, la redazione della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)
redatta dal Consiglio d’Europa nel 1950, la Carta atlantica. L’intento era quello
di assicurare “lo stretto nesso tra la protezione dei diritti fondamentali della
persona e la salvaguardia della pace tra le Nazioni, scopo statutario
quest’ultimo delle Nazioni Unite
4
” e ancor prima del Manifesto di Ventotene,
stilato nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni.
2
E. Cannizzaro, Diritto internazionale (2014) G. Giappichelli Torino pag. 4
3
E. Cannizzaro, op.cit. pag. 5: “In questo periodo, inoltre, anche in reazione alle atrocità commesse nel
corso del secondo conflitto mondiale, è venuta a completa maturazione la consapevolezza della
necessità di un approccio comune alla tutela dei diritti fondamentali degli individui e dei popoli”
4
V. Zagrebelsky, La Corte europea dei diritti dell’uomo. Pensieri di un giudice a fine mandato, intervento
all’Aula Magna del Rettorato dell’università degli Studi di Torino, 27 gennaio 2012 in www.duitbase.it
10
Rimandando il discorso sulla Convenzione europea alle pagine seguenti, è
d’obbligo focalizzare l’attenzione sulla portata, secolare, della Dichiarazione dei
diritti dell’uomo. Le origini del catalogo sono da ricercarsi nella solenne
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, emanata nel 1789 durante la
Rivoluzione francese, da cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite trae
maggiore fondamento. Ancor prima del 1789 venne firmata la Dichiarazione di
indipendenza, nel 1776, all’indomani della nascita degli Stati Uniti d’America e
il Bill of Rights, steso dal parlamento britannico nel 1689, considerato uno dei
momenti più significativi nella storia politica, sociale e civile britannica che fece
eco in tutta Europa.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo trova un altro precedente nei 14 punti
previsti nel progetto di pace del presidente americano Wilson nel 1918 durante i
trattati di Versailles del 1919. Uno di questi punti prevedeva la formazione di
una Società delle Nazioni che resterà in vita attivamente fino all’avvento del
nazismo, sarà quest’ultimo a trasformarla sostanzialmente in un cadavere per
poi dissolversi completamente nel 1945. Sulle sue ceneri nasceva
l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU, istituita dalla Carta delle Nazioni
Unite firmata a San Francisco nel 1945 da 50 Stati membri) a cui, ad oggi, quasi
tutti gli Stati del mondo hanno dato adesione, il che costituisce un indicatore
rilevante dell’efficacia erga omnes dei diritti e delle libertà sanciti e protetti dalla
Dichiarazione i cui titolari (e beneficiari) sono i singoli individui, vincolando
così gli Stati nell’esercizio delle loro funzioni. “L’idea forte era quella che
sarebbe stata necessaria una maggiore solidarietà tra i Paesi europei che
avrebbe dovuto trovare espressione in una cooperazione assai più integrata
rispetto a quella della Società delle Nazioni
5
” responsabile di non aver saputo
evitare lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Il dispiegarsi del diritto internazionale sui diritti umani ha assistito ad un suo
ulteriore sviluppo anche con formulazioni aggiuntive alla Dichiarazione del ’46,
ci si riferisce ai Patti delle Nazioni Unite, firmati nel 1966 concernenti, oltre che i
5
O. Pollicino, Allargamento dell’Europa a Est e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee (2010),
Giuffrè Milano pag. 20