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Introduzione
“Se siamo disillusi, è perché ci siamo illusi sulla facilità del compito” (Zagrebelsky, 2007, p.46).
La crisi della fiducia nelle istituzioni è un fenomeno complesso che invade molti
ambiti di studio: la filosofia, che dai tempi di Aristotele si interroga sulle forme di buon
governo; la psicologia che studia i processi di costruzione della fiducia a partire
dall’infanzia; e in ultimo, le scienze della comunicazione che affrontano la riflessione sui
messaggi politici e la formazione dell’opinione pubblica.
Lo scopo di questo lavoro è trovare i presupposti che permettono al cittadino di
investire in un rapporto di fiducia con l’istituzione senza il quale si innescherebbe per
logica un processo di indifferenza e scarsa partecipazione alla cosa pubblica.
Dopo aver costruito un quadro teorico che permette la riflessione sul rapporto
attuale tra cittadino e istituzioni, si procederà descrivendo lo studio qualitativo a supporto
di questa tesi, ovvero l’analisi della crisi della fiducia dello studente nei confronti della
propria università, nello specifico, l’Università degli studi di Bergamo.
Il contesto teorico di riferimento inizia necessariamente con un primo capitolo
dedicato al concetto generale di fiducia. L’azione di fidarsi, ben diversa dal confidare, si
mette in atto in contesti di incertezza, come spiega Luhmann (1989), la fiducia diventa
una riduzione della complessità, una soluzione per rendere tollerabile l’ansia generata
dall’incertezza costante a cui è sottoposto l’essere umano.
La fiducia viene costruita a partire dalla primissima infanzia e per descrivere questo
processo ci si è avvalsi della teoria di Erikson (1982/1984), che affonda le proprie origini
nella psicologia dello sviluppo. L’autore parla di una “fiducia di fondo” (p.55) che si
costruisce nel primo anno di vita e si manifesta attraverso la sensazione di
soddisfacimento dei propri bisogni e di benessere interiore; fondamentale a questo
processo è la qualità del rapporto con la figura materna. La fiducia stessa è, inoltre,
basilare nella formazione di una personalità coerente nell’individuo, ovvero nella
costruzione dell’identità, nel riconoscimento di se stesso come differenziato dall’Altro.
Le relazioni sociali sono, dunque, il primo ambiente entro cui si sperimenta
l’investimento della fiducia, esso ne è il contesto privilegiato: è proprio l’interazione con
l’Altro, attraverso la costruzione di significati comuni, che permette lo scambio di fiducia.
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Il concetto poi si allarga alla “fiducia sistemica”, come la definisce Mutti (1998),
ovvero la fiducia nelle organizzazioni naturali e sociali, come, appunto, le istituzioni.
Per comprendere meglio la fiducia nelle istituzioni, nel secondo capitolo si riflette
sul concetto di democrazia e sulla sua trasformazione in una sorta di “post-democrazia”
(Crouch, 2003/2009), dove il cittadino vive in una sorta di stasi, quiete e rifugge dalla
vita pubblica. Con Zagrebelsky (2007) poi si riflette su quella che dovrebbe essere l’etica
democratica, per fare della democrazia un ideale e scongiurare l’apatia e l’indifferenza
dei cittadini.
È necessario osservare che una delle cause di crisi della fiducia è sicuramente la
disillusione del cittadino; egli ripone nella democrazia e nelle relative istituzioni alcune
aspettative, talvolta utopiche, che vengono grandemente disattese. Nell’analisi di questo
fenomeno ci si è avvalsi delle riflessioni di Bobbio (1984), l’autore elenca le “promesse
non mantenute” della democrazia, prima tra tutte l’individualismo che attanaglia oggi la
società.
Si può parlare oggi di un cittadino spettatore, ben lontano dal ruolo di attore che
aveva nella polis greca, oggi la cultura dei media e del consumismo spinge verso una
realtà fatta di immagini, una realtà virtuale che crea una certa distanza tra cittadino e
politica; si può parlare di una realtà provvista di logiche proprie e gestita solo dalla cerchia
di coloro che ne possono far parte.
Nel terzo capitolo si osserva come questa distanza tra cittadino e istituzione sia la
causa primaria di un atteggiamento di sfiducia. Nella società attuale la rete sociale
dell’individuo si fa sempre più frammentata e i legami sono sempre più deboli; si può
dire che il legame non intacca più i piani informali e personali, esso non si fonda sulla
partecipazione dei vissuti comuni.
La ricerca del bene comune viene quindi messa in secondo piano e il cittadino si
immerge in quella condizione di “bourgeois”, come la chiamava Toqueville (1951/1982),
lontano dalla vita pubblica. L’istituzione non è più uno “spazio di scoperta in cui è
possibile sperimentare ben-essere” (Morelli, 2010, p.85), essa diventa un’azienda che
obbedisce alle logiche del mercato, ottimizza i costi ed eroga servizi. Il cittadino non è
più chiamato a mettersi in gioco, ad essere un co-creatore, egli è un semplice utente.
Uno spazio importante merita la discussione sulla comunicazione politica e
istituzionale, fatta di un bombardamento di messaggi spesso contraddittori che generano
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confusione; il cittadino resta ingabbiato e immobilizzato nell’azione, in una sorta di
“doppio vincolo”.
Lakoff (2008) apporta un contributo fondamentale riguardo il ruolo delle emozioni
nel processo di formazione delle decisioni in ambito politico; gli schemi cognitivi sono
fondamentali perché contribuiscono alla formazione nell’individuo di aspettative più o
meno attendibili. I media contribuiscono fortemente alla costruzione di questi schemi,
inoltre, la pervasività di messaggi che iperstimolano la mente del soggetto contribuiscono
alla “saturazione della mente umana”, concetto elaborato da Morelli (2010). La mente
satura non può creare differenza e impedisce ogni sorta di attività produttiva, dunque ne
impedisce la partecipazione attiva.
Partecipare significa scambio con l’Altro, presuppone un certo sentimento di
appartenenza alla collettività e al territorio; partecipare prevede dei costi, possedere poche
risorse in fatto di tempo, energia e competenze è, talvolta, discriminante e limitante.
Successivamente, nel quarto capitolo, a conclusione del quadro teorico, si riflette
sull’importanza di una maggiore educazione del cittadino alla partecipazione; ciò prevede
la capacità di accessibilità al conflitto (Morelli, 2006). Il conflitto è qui inteso come
condizione di innovazione e creatività che si genera nell’incontro con l’Altro.
Nella seconda parte dell’elaborato ha inizio lo studio qualitativo. La scelta di
condurre un’indagine nell’Università degli Studi di Bergamo è nata dalla volontà di
lavorare in un contesto che si prestasse nell’immediato alla raccolta dati.
L’obiettivo è stato quello di poter verificare se quanto detto riguardo al rapporto tra
cittadino e istituzioni, ovvero un rapporto privo di quella fiducia necessaria ad una
partecipazione attiva, poteva valere anche in un contesto specifico. I cittadini coinvolti
sono stati gli studenti e l’istituzione in questione l’università.
L’analisi del contenuto delle quaranta interviste somministrate ha mostrato
chiaramente quali variabili entrano in gioco nel processo di costruzione della fiducia; lo
studente che ne emerge riflette le caratteristiche del cittadino attuale, un cittadino passivo,
ritirato in una condizione di isolamento sociale e indifferente verso l’istituzione.
L’immagine della fiducia non si sovrappone mai all’immagine dell’università,
considerata spesso come un’azienda che persegue i propri interessi. Anche l’università,
come le altre istituzioni, non ha mantenuto le promesse; lo studente, ormai disilluso, non
si sente appartenente al sistema, anzi, ne disapprova chiaramente le logiche.
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Questo studio apre le porte ad un’ulteriore riflessione sull’importanza di
un’educazione alla partecipazione che dovrebbe partire già dai primi anni di vita sui
banchi di scuola, questo forte impegno di pedagogia civile potrebbe essere un primo passo
verso la costruzione dei valori della democrazia, troppo spesso trascurati; da qui sarebbe
possibile l’impegno di tutti verso la cosa pubblica, patrimonio collettivo.
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1. La fiducia
1.1 La fiducia come riduzione della complessità
La fiducia è un concetto ampio, che si presta ad assumere diverse sfaccettature e
diversi ruoli a seconda del contesto in cui viene trattata. È luogo comune abbinare la
fiducia a termini quali aspettativa, sicurezza, fede, ma sul piano più propriamente
sociologico la fiducia può essere intesa come un’ attitudine umana messa in atto in un
contesto di incertezza, “un’aspettativa di esperienze con valenza positiva per l’attore,
maturata sotto condizioni di incertezza, ma in presenza di un carico cognitivo e /o emotivo
tale da permettere di superare la soglia della mera speranza” (Mutti, 1998, p.42). La
fiducia consente azioni che, senza, sarebbero impensabili e non perseguibili; essa diventa
una risorsa per affrontare il futuro e fa in modo, apparentemente, che siano prevedibili
eventi e situazioni incerte.
È fondamentale fare una precisazione che distingua il concetto del fidarsi da quello
di confidare, infatti il primo si fonda su aspettative ragionevoli che se disattese provocano
delusione; il secondo concetto, confidare, riguarda una modalità di azione basata sulla
speranza, un totale abbandono laddove appunto mancano delle aspettative ragionevoli su
cui fondare la propria fiducia (Cartocci, 2002). L’atto di confidare può essere proprio, per
esempio, della fede religiosa, ma nel contesto politico e istituzionale qui trattato si parlerà
strettamente di fiducia.
L’incertezza del futuro è una condizione che pervade tutta la vita dell’essere umano,
non tutto il futuro può diventare presente poiché è costellato da molteplici possibilità;
l’uomo non può anticipare il futuro, egli è costantemente alle prese con la complessità del
mondo. Una delle soluzioni adottate dagli individui per rendere sopportabile l’ansia
generata da una continua condizione di incertezza è proprio la fiducia; essa permette
l’azione, pur mantenendo in sé una dose di rischio.
Luhmann (1989/1998) teorizza perfettamente questa tensione tra presente e futuro
mediata dalla fiducia che, per quanto riguarda l’aspetto cognitivo, diventa quindi un
meccanismo di generalizzazione e selezione con la funzione di ridurre la complessità.
Ogni genere di pianificazione e di calcolo preventivo del presente futuro, tutti gli
orientamenti indiretti, a lungo termine, concepiti in maniera tortuosa, restano, considerati dal
PARTE PRIMA: CONCETTI CHIAVE E NODI TEORICI
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punto di vista della fiducia, problematici, e necessitano di un punto di riferimento nel
presente, al quale devono rimanere saldamente ancorati. La complessità sempre maggiore di
piani come questi rende sempre più necessario un differimento della soddisfazione e delle
decisioni, poiché le pianificazioni anticipate e le scadenze fisse non sono in grado di offrire
assicurazioni equivalenti. Per questo motivo, insieme ad una crescente complessità
assistiamo anche all’aumento del bisogno di rassicurazioni nel presente, ad esempio di
fiducia. (ibidem, p.20)
Se non esistessero l’ambiguità e l’indeterminatezza degli eventi, la fiducia non
sarebbe necessaria per pianificare e per prendere le decisioni. In una società dominata dal
progresso scientifico e tecnologico, dove sembra che tutto sia controllabile, la fiducia
diventa lo strumento che permette di sopportare la complessità crescente prodotta dalla
tecnica e dall’eccedenza di informazioni.
Nell’ambito della familiarità, invece, si parla di fiducia interpersonale e possiede la
medesima funzione, ossia “serve a superare un elemento di insicurezza nei confronti degli
altri individui, che viene vissuto come imprevedibilità dei cambiamenti di un soggetto”
(ibidem, p.33).
Colui che decide di conferire fiducia deve fare a priori un’analisi della propria
disponibilità a correre rischi sulla base di implicazioni simboliche, una sorta di indizi
dettati da molteplici fattori, quali ad esempio le esperienze passate, gli episodi di
delusione delle aspettative o, ancora, le caratteristiche dell’Altro relazionale; ciò riguarda
l’aspetto emotivo della fiducia. In caso di delusione, la conseguenza sarà più o meno
grave a seconda dell’entità dei danni che ne possono derivare e dal grado in cui il danno
viene percepito come effetto della concessione di fiducia (Mutti, 1998).
Come la fiducia, anche la sfiducia opera una riduzione della complessità
richiedendo però un maggior dispendio in termini emotivi: le strategie della sfiducia “il
più delle volte assorbono le energie di chi è diffidente in misura tale da lasciagli ben poco
spazio per esplorare […]” (Luhmann, 1989/1998, p.112).
Dall’analisi di Mutti (1998) si evince che il destinatario dell’aspettativa di fiducia
può essere un’organizzazione naturale e sociale, e si parla di “fiducia sistemica” oppure
singoli individui, la cosiddetta “fiducia personale”.
La fiducia nelle istituzioni sia politiche che economiche correla positivamente con
la fiducia in se stessi e negli altri, a dimostrazione del fatto che la fiducia personale è un
supporto importante alla fiducia sistemica; per Luhmann l’intera questione è risolta dal
fatto che nelle società complesse, la fiducia sistemica si sarebbe ormai resa indipendente
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dalle strutture motivazionali degli attori, grazie alla capacità del sistema di soddisfare i
bisogni di sicurezza di questi riducendo l’incertezza. Tutto ciò, secondo l’autore,
andrebbe a discapito delle motivazioni dei destinatari che sarebbero portati ad accettare
senza discussione le decisioni vincolanti, generando appunto quello scarso senso di
coinvolgimento, partecipazione e quell’apatia del cittadino per la politica.
1.2 La costruzione della fiducia nello sviluppo psicosociale
Il concetto di fiducia è, oltre che complesso, un determinante sulle azioni
dell’individuo; dunque, è d’obbligo definire da dove deriva e come viene costruita la
fiducia fin dalla primissima infanzia. La “sicurezza ontologica” è un’attitudine che
Giddens (1990/1994) definisce come l’atteggiamento di confidenza nella continuità della
propria identità e nella costanza dell’ambiente sociale entro cui agisce, riguarda la sfera
emotiva più che quella cognitiva. Le radici di questa sicurezza trovano affondo nelle
esperienze della prima infanzia; il caregiver, infatti, conferisce al bambino, attraverso le
cure, una dose di fiducia che lo allevierà da queste ansie ontologiche.
La teoria di Erikson (1982/1984), che affonda le sue origini nella psicologia dello
sviluppo, parla di una “fiducia di fondo” (ibidem, p.55) intesa come una profonda
sicurezza, alimentata dalle cure materne, che nel momento in cui viene disattesa deve
essere riparata attraverso un’adeguata consolazione. A questo proposito l’autore
contribuisce ad approfondire il tema dello sviluppo psicosociale, che Freud (1905)
chiamerebbe “sviluppo psicosessuale”; gli otto stadi previsti da Erikson (1963), al
contrario di Freud
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, non hanno termine con l’adolescenza, ma anzi si prolungano lungo
tutto il ciclo della vita, stabilendo un mutuo adattamento tra l’individuo e l’ambiente.
Questa sequenza di fasi ha come tema comune la ricerca dell’identità, mettendo così in
primo piano l’Io piuttosto che l’inconscio.
Ogni progresso evolutivo aiuta il bambino alla costruzione di un’autostima “capace
di riflettere e rinforzare la convinzione che si stanno facendo i giusti passi verso un futuro
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Freud nei Tre saggi sulla teoria sessuale, descrive lo sviluppo psicosessuale del bambino
suddividendolo in fasi legate a diverse parti del corpo: fase orale, fase anale, fase genitale infantile, fase di
latenza ed, infine, la fase genitale adulta.