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ADOLESCENZA E PERSONALITA’
Definire l’adolescenza non è sicuramente un compito facile.
Si tratta di far riferimento a diverse teorie, le quali, a loro volta, fanno riferimento
a diversi ambiti di studio, che spaziano dalla psicologia alla sociologia, dalla
biologia alla filosofia.
L’ambito di interesse del presente lavoro è prettamente psicologico, tuttavia si
faranno riferimenti anche ad altri punti di vista, questo per meglio comprendere
l’oggetto di studio.
Potremmo, innanzitutto, seguendo l’esempio di Becchi nella introduzione al
saggio “Le teorie psicanalitiche dell’adolescenza” di Rolf E. Muss (1976),
spiegare il significato del termine “adolescenza”.
Una prima analisi etimologica ci rivela che esso deriva dal verbo latino
adolescere, che significa “crescere”, “mutare”.
Ma cosa vuol dire crescere? Anche questo necessita di una qualche riflessione.
Per la psicologia crescere significa soprattutto passare dall’infanzia ad un nuovo
stadio dello sviluppo, stadio caratterizzato da problematiche specifiche e da
particolari strategie di adattamento.
Le varie teorie dello sviluppo, da Piaget in avanti, hanno sottolineato come,
durante il corso della sua vita, l’uomo passi attraverso diversi stadi, tuttavia,
l’adolescenza, come periodo specifico dello sviluppo umano, solo negli ultimi
cinquanta anni ha incontrato l’interesse degli studiosi, che, anche in rapporto al
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ritardo con cui è stata presa in considerazione, la hanno definita un prodotto della
società moderna, una fase di recente costituzione.
Di questo parere è, ad esempio, Aries (1968) secondo cui si è passati da un
periodo in cui l’adolescenza era pressoché assente come fase della crescita, la
società preindustriale, ad un periodo in cui l’adolescenza ha assunto un ruolo di
importanza primaria. Da qui in avanti le riflessioni su questo tema si sono sempre
più intensificate, tanto da far discutere, oggi, circa la possibilità, o per meglio
dire l’esigenza, di estendere la sua durata ben oltre i 20-21 anni, termine fino a
poco tempo fa ritenuto adeguato nel marcare la soglia dell’età adulta (Scabini
1995).
Tutto questo fervente discutere circa i limiti e il contenuto del periodo
adolescenziale, se da una parte può introdurre una certa confusione, dovuta al
sorgere di numerose teorie ed opinioni fra loro divergenti, dall’altro evidenzia in
modo chiarissimo come l’adolescenza non sia solo definibile in termini di puro e
semplice cambiamento fisiologico , nemmeno se a ciò si aggiungono
considerazioni circa lo sviluppo di nuove modalità di pensiero o di
funzionamento mentale.
Adolescere, “mutare”, è qualcosa di più e di diverso che, certamente, comprende
gli aspetti citati, ma li supera, nella scoperta e nell’affermazione di quello che
potrebbe essere definito, come hanno fatto Allers e Gemelli ( in Titone 1995), un
“Io personale del soggetto adolescente”.
Titone, ( 1995) , scrive : “la scoperta e lo sviluppo del proprio Io pongono altre
questioni, che il pubescente e l’adolescente dovranno risolvere ( N.d.R. quel
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qualcosa di più e di diverso di cui si diceva): quali i rapporti dell’Io con gli altri
uomini, l’influenza di questi sull’individuo, l’incorporazione dell’individuo nella
società, l’affermazione dell’”io” mediante la parola e l’azione” (pag. 11)
Nell’introdurre l’argomento su cui centreremo il nostro studio, troveremo spesso
che la parola e l’azione ritornano, con una certa frequenza, nella trattazione
dell’adolescenza effettuata, e soprattutto ritornano l’inadeguatezza del linguaggio
e dei comportamenti tipici della fase infantile, che ora, in questo nuovo stadio
dello sviluppo, sembrano risultare fuori luogo, inadeguati appunto, addirittura
estranei alla nuova identità che nel soggetto si sta progressivamente strutturando.
Da qui la necessità di modificare parola ed azione, sia nella forma , che nel
contenuto, e tutto ciò per renderli più coerenti con la personalità del soggetto.
È proprio a questa inadeguatezza che pare facciano riferimento importanti autori
come Debesse (1936) , che nel suo approccio all’adolescenza, parla di crisi
d’originalità giovanile, o Erikson( 1968) che cita la crisi d’identità, o anche
Jeammet (1992) che introduce il concetto di indicibilità del mondo interno
dell’adolescente.
Ognuno di questi studiosi pone l’accento proprio sulla “novità”, sulla “rottura”
che caratterizzerebbero questo periodo della vita dell’uomo, in cui l’individuo,
non più preso nell’infanzia , ma non ancora entrato nella età adulta, si discosta
dalle caratteristiche sia dell’una, che dell’altra.
Vediamo per completezza , seppur brevemente, il contenuto degli apporti citati.
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TEORIE DELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITA’ NELL’ADOLESCENZA
La crisi di originalità giovanile secondo Debesse:
Debesse (1936) individua, come elemento importante e caratteristico della
pubertà, il desiderio di originalità, il quale insorge, contemporaneamente alla
percezione da parte dell’adolescente stesso , della sua unicità, del suo “Io”
distinto dall’ambiente circostante, qualcosa che lo rende speciale, eccezionale, ed
appunto unico nel sue essere.
Il desiderio di originalità si esprime, per quanto riguarda la parte manifesta,
attraverso la “crisi di originalità” , il cui apice viene ad essere collocato
dall’autore tra i 16 e i 17 anni, momento, tra l’altro, centrale, proprio dello
sviluppo dell’identità del soggetto adolescente, sviluppo che avviene attraverso
una affermazione intensa di sé, e, soprattutto, del “Sé”.
Ai fine del nostro studio è più che mai interessante la suddivisione proposta dallo
stesso Debesse, il quale considera la crisi di originalità sotto due aspetti: quello
sociale da una parte, e quello individuale dall’altra.
Il primo aspetto, quello sociale, è caratterizzato dalla rivolta giovanile nei
confronti della generazione adulta, rivolta che conferma il distacco esistente tra
questo periodo della crescita, e la fase successiva, proprio quella dell’età adulta.
Il secondo aspetto, quello individuale, richiama la scoperta del “Sé”, la sua
esaltazione , che passa attraverso un modo di esprimersi particolare ( e quindi
anche un particolare uso del linguaggio) , caratterizzato da una eccentricità
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diffusa, eccentricità nel vestire e nel parlare, stranezze linguistiche, gusto del
singolare e dell’inedito.
Spingendoci oltre potremmo dire che l’adolescente subisce il fascino del
ricercato, dove, con questo termine, si intende un uso del proprio comportamento
e della parola cercato con cura, messo in atto per differenziarsi dagli altri, per
evitare , citando le parole di Debesse , ”l’orrore della banalità” .
La crisi d’identità in Erikson:
Per Erikson (1968) la crisi d’identità caratterizza quel periodo della vita, in cui
le trasformazioni fisiche, sociali, psichiche, inducono il soggetto alla ricerca di
un nuovo vissuto interno di continuità e di unità.
Questo corrisponderebbe alla necessità dell’adolescente di integrare nel suo io
tutte le trasformazioni, gli sconvolgimenti, che intervengono a seguito
dell’evento puberale.
Nel nuovo vissuto, inoltre, viene ad essere inclusa la capacità di relazionarsi con
gli altri, di impegnarsi in rapporti autentici.
L’aspetto centrale, sul quale l’autore vuole fissare l’attenzione. sembra essere
quello della rottura del sentimento di continuità interna, in modo particolare la
messa in discussione di ciò su cui questo sentimento poggia le basi, e la ricerca,
dunque, di nuovi appoggi su cui far sorgere la sua identità finale.
Ci preme sottolineare che la concezione dell’identità, per Erikson, deve essere
comunque definita all’interno di un contesto interdisciplinare, dove fondamentali
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risultano soprattutto l’apporto biologico, organizzativo, le esperienze vissute dal
soggetto e l’ambiente culturale, tutti aspetti che, come appare ovvio, concorrono
nel definire la singolarità delle caratteristiche che differenziano ogni individuo
rispetto ad un altro, rendendolo, per questo, un essere unico.
Sempre secondo questo autore, l’identità viene acquisita tramite un conflitto tra
maturazione del corpo/psiche ed esigenze sociali , le quali chiedono la
dimostrazione di questo nuovo funzionamento di tipo adulto.
Per questo l’identità affonda le sue radici nel passato del soggetto, ma apre il suo
sguardo al futuro, trova le basi nell’infanzia, ma viene spinta ad allontanarsi da
questa, per andare incontro ai compiti richiesti dallo sviluppo stesso.
Ritorna ,ancora una volta, anche nella teorizzazione di Erikson, il tema della
inadeguatezza di quegli aspetti tipici del contesto infantile, incapaci di integrare
in sé i cambiamenti promossi dalla maturazione dell’individuo, e quindi sostituiti
completamente, o affiancati, da nuovi , e più efficaci, caratteri, tra questi noi
ipotizzeremo la presenza dello stile utilizzato nella comunicazione.
L’indicibilità del mondo interno per Jeammet.
È sotto gli occhi di ogni osservatore, per quanto ingenuo, che grandi
cambiamenti avvengono a livello del corpo e del linguaggio durante
l’adolescenza.
Jeammet (1992) mette in risalto la sensazione di estraneità vissuta
dall’adolescente rispetto al suo corpo, a cui si aggiunge la percezione di questo
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ultimo circa l’inadeguatezza del suo attuale linguaggio per esprimere il proprio
modo interiore.
Il linguaggio diventa quindi improprio, il soggetto sente più che mai viva la
necessità di creare un nuovo vocabolario, di usare nuovi termini, modalità di
espressione differenti, il tutto finalizzato a render conto del suo nuovo stato, il
tutto diretto ad esprimere quelle nuove esperienze vissute e percepite durante il
lungo cammino che lo condurrà all’età adulta.
A questo l’autore in questione fa risalire la nascita dei neologismi, l’uso bizzarro
dei termini, lo slang caratteristico di alcuni gruppi, che, al fine proprio di
differenziarsi dal mondo degli adulti, creano un nuovo linguaggio, tutto loro.
Inoltre, sebbene l’accesso a questo neolinguaggio rimanga limitato, per alcuni
versi, ai coetanei, resta comunque aperto anche all’ambiente esterno, come
dimostra il desiderio di comunicazione e di contatto che, al maturare del
soggetto, tende a farsi sempre più forte e vivo, tanto da spingere l’adolescente a
modificare i suoi strumenti comunicativi sia nella forma che nel contenuto.
È proprio il desiderio di contatto, di fare nuove esperienze e conoscenze, che
introduce l’importanza di far riferimento all’ambiente circostante in cui si colloca
l’adolescente, e del contesto in cui avviene lo sviluppo.