2.1 COSA NON E' UNA RIVOLUZIONE
La parola “rivoluzione”, deriva dal latino revolutio, “rivolgimento, ritorno”, derivato dal
verbo revolvĕre “rovesciare”
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e comunemente indica un cambiamento improvviso e radicale
che trasforma il sistema della società nella quale si presenta. Se apparentemente questa parola
sembra delineare un concetto ben definito, in realtà presenta alcune insidie. Innanzitutto, è
possibile che un fenomeno etichettato con il termine di “rivoluzione” sia semplicemente il
risultato più evidente di una serie di processi indipendenti che hanno provocato un
cambiamento del sistema ma che non sono una rivoluzione.
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A esempio, come fa notare
Robert F. Weier
42
:
1. Una riforma politica, per quanto forte essa sia, non è una rivoluzione. I movimenti di
riforma, a differenza dei movimenti rivoluzionari, sono legali e autorizzati dall'autorità
politica legittima che ne stabilisce mezzi, limiti e misure. Nel momento in cui i limiti
della legalità vengono oltrepassati, l'autorità politica utilizza la propria forza coercitiva
per porre fine all'atteggiamento illegale.
2. La disobbedienza civile non è una rivoluzione ma è una forma di lotta politica, attuata
da un solo individuo o da un gruppo di persone, che comporta la consapevole
violazione di una norma di legge, considerata ingiusta. Tale violazione si svolge
pubblicamente, in modo da rendere evidenti a tutti e immediatamente valide le
sanzioni previste dalla legge stessa.
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Disobbedienza civile e rivoluzione possono
sembrare simili a un primo sguardo e sono spesso confuse perchè entrambe sono
illegali, sconvolgono i normali equilibri sociali e sono entrambe intenzionate a
provocare cambiamenti nel sistema e nella politica. Però la disobbedienza civile, a
differenza della rivoluzione, non rappresenta una minaccia al sistema legale di una
società ma è una protesta diretta contro una specifica legge o una politica di governo.
Inoltre, esiste un altro elemento che differenzia i due fenomeni ovvero il carattere
necessariamente pubblico che assumono le proteste proprie di un movimento di
40 “Wikipedia” Rivoluzione https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione
41 Charles Tilly Revolution and collective violence University of Michigan 1973 p. 6
42 Robert F. Weir What Revolution is-and is not “Worldview” Magazine novembre 1978
43 “Wikipedia” Disobbedienza civile https://it.wikipedia.org/wiki/Disobbedienza_civile_%28societ
%C3%A0%29
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disobbedienza civile a dispetto delle operazioni clandestine di un movimento
rivoluzionario.
44
Infine, la disobbedienza civile rifiuta in toto l'uso della violenza e si
propone come modello di azione che preferisce convincere gli altri invece di
sconfiggerli.
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3. Una ribellione non è una rivoluzione. La differenza è evidente a livello ideologico per
quanto riguarda l'uso della violenza che questi due fenomeni utilizzano. I ribelli mirano
a ristabilire un precedente livello di giustizia eliminando quell'elemento che ha tradito
la volontà dei governati. I rivoluzionari mirano invece a stabilire un nuovo ordine socio
politico seguendo un modello senza precedenti. La violenza delle ribellioni è
restaurativa mentre quella delle rivoluzioni è innovativa. Inoltre, laddove una ribellione
mira a ricostruire ciò che è stato oggetto di soprusi da parte di una élite, la rivoluzione
mira ad affidare il potere a una nuova élite, sostituendo quella precedente.
Hannah Arendt nella sua opera “On Revolution”
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compara ribellione e rivoluzione in
termini di liberazione e libertà: infatti afferma che alla fine della ribellione si ottiene
una liberazione da un governo o un'èlite particolarmente oppressiva ma è con la fine di
una rivoluzione che si ottiene la libertà.
4. Un colpo di stato non è una rivoluzione. Un colpo di stato non necessita una
mobilitazione di massa, richiesta invece per una rivoluzione. Anche se può essere
definito come una “rivoluzione di palazzo”, un colpo di stato, è un esercizio elitario
che mira alla sostituzione di un gruppo di comando con un altro mentre lo scopo di
una rivoluzione è un attacco all'intero regime o alla sua struttura.
2.2 CARATTERISTICHE DELLA RIVOLUZIONE
Nel definire che cos'è una rivoluzione bisogna essere consapevoli che tra i movimenti
rivoluzionari che hanno interessato le aree del mondo nel corso della storia, intercorrono
numerosi elementi culturali che li differenziano. Tuttavia, esistono delle caratteristiche comuni
a tutte le rivoluzioni una delle quali è l'uso della violenza. L'impiego di mezzi violenti è
44 Cit. What revolution is-and is not p. 14
45 Luigi Bonanate Disobbedienza civile “Treccani, Enciclopedia dei ragazzi”
http://www.treccani.it/enciclopedia/disobbedienza-civile_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/
46 Hannah Arendt On Revolution Penguin, New York, 1963
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necessario se le azioni non violente non hanno prodotto i cambiamenti desiderati e perchè
l'élite al comando si rifiuta di rinunciare al potere in modo volontario così i rivoluzionari sono
costretti a utilizzare canali che fuoriescono dalla legge.
47
La violenza rivoluzionaria comporta
azioni che disorientano il comportamento delle persone, sopratutto di quelle potenzialmente
fedeli al governo, mettendole in un continuo stato di angoscia e disperazione per la situazione
che li circonda, diventata per loro fonte di numerosi dubbi. L'uso della violenza quindi,
produce anche un effetto psicologico molto importante. L'assenza di stabilità, il ribaltamento
delle tradizionali abitudini di obbedienza e l'imprevedibilità del futuro sono gli ingredienti di
una campagna violenta per minare un governo che mostra la sua incapacità di fornire la
stabilità necessaria alla comunità umana sulla quale regna. Sebbene molto importante la
violenza è condizione necessaria ma non sufficiente a definire una rivoluzione.
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Un secondo elemento caratterizzante della rivoluzione è l'illegalità del ricorso alla violenza
infatti: il cambiamento rivoluzionario non è mai legale nonostante sia ritenuto legittimo da chi
lo mette in atto. La rivoluzione mira a portare avanti il cambiamento operando al di fuori di
un sistema considerato inefficace a causa della sua intrinseca ingiustizia. Una terza
caratteristica, forse la più significativa, riguarda il coinvolgimento del sistema politico dove si
rendono più evidenti i cambiamenti rivoluzionari. Il modo in cui la violenza è politicizzata è
evidente nei motivi che inducono gli individui a partecipare e negli obiettivi dei rivoluzionari.
La rivoluzione comporta una riallocazione violenta del potere e dell'autorità che sono
ingredienti fondamentali rispettivamente della vita politica e di quella sociale. Il quarto segno
distintivo di una rivoluzione sta proprio nell'intenzione dichiarata di voler ristrutturare il
potere e riallocare l'autorità nel sistema. Secondo Hannah Arendt si può parlare di rivoluzione
solo quando il cambiamento ha lo scopo deliberato di realizzare, tramite la violenza, un
nuovo corpo politico che libera le persone dall'oppressione e dove la libertà trova piena
espressione.
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L'intenzionalità è evidente nella dicotomia tra distruzione e ricostruzione nella
volontà dei rivoluzionari di distruggere il potere politico vigente per crearne uno nuovo che
garantisca condizioni di libertà, giustizia e diritti per tutti gli individui. E' proprio questa
volontà che differenzia le rivoluzioni da altri fenomeni come le ribellioni o le rivolte cittadine;
47 Cit. What revolution is-and is not p. 16
48 Ibidem
49 Ivi p. 17
16
infatti, una rivoluzione non può esistere senza i calcoli e i progetti diretti a un obiettivo futuro
ben preciso che riescono a incanalare il consenso del maggiori numero di persone possibile.
La presenza di più di un gruppo che esercita effettivamente un controllo sopra una parte
significativa dell'apparato statale è un altro elemento importante e la sovranità multipla che si
viene a creare è la caratteristica identificativa di una rivoluzione.
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Alla luce di questi elementi,
una rivoluzione può quindi essere definita come una forma di violenza politica che è
dichiarata nelle sue intenzioni, è caratterizzata da illegalità, partecipazione di massa e rapidità
del cambiamento. Nonostante abbia effetti anche a livello economico, giuridico e sociale è
diretta prevalentemente contro il regime politico esistente.
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2.3 COSA PROVOCA UNA RIVOLUZIONE
Lo storico, economista e saggista statunitense Chalmers Johnson
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analizzando la rivoluzione
che investì il popolo cinese, ha identificato 3 gruppi di cause che danno vita a una
rivoluzione:
1. Perdita di potere da parte della classe dirigente a favore di una maggiore influenza delle
forze occupanti;
2. Incapacità dei leader di sviluppare politiche che mantengano la fiducia nel sistema.
Finchè la classe dirigente può utilizzare la forza coercitiva in modo sufficientemente
forte da mantenere l'ordine, il sistema continua a esistere;
3. La causa sufficiente per una rivoluzione è la capacità di un gruppo rivoluzionario di
catalizzare attorno a sé l'attenzione delle masse in modo da privare le élite al governo
del loro potere. La mobilitazione delle masse contro il regime è quindi un elemento
fondamentale.
L'ultimo punto può considerarsi un acceleratore del cambiamento rivoluzionario sopratutto
quando si realizza in una società destabilizzata e senza leader forti. Più il disequilibrio di una
società diventa acuto, più tensioni si manifestano in tutti i settori della società. Queste
tensioni possono essere controllate da alcune persone attraverso meccanismi psicologici che
50 Cit. Revolution and collective violence p. 63
51 Ivi p. 18
52 Ivi p. 14 da Chalmer Johnson Revolutionary change Little Brown & Company 1966 p. 90-91
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