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Introduzione
Come ogni innovazione dirompente, e forse più di qualunque altra, Internet ha
portato alla ridefinizione di mercati e modelli di business, oltre ad aver modificato in
maniera radicale società, comportamenti e relazioni. E lo ha fatto con una velocità e
un livello di diffusione mai verificatosi prima.
A partire dalla fine dello scorso decennio, i suoi effetti sono stati amplificati da
un’altra fondamentale invenzione: lo smartphone.
L’unione di queste due innovazioni ha portato ad una situazione che è difficilmente
paragonabile a qualsiasi altro cambiamento avvenuto nella storia dell’umanità: se da
un lato Internet ha reso disponibile a chiunque ne abbia accesso un’offerta
praticamente illimitata di informazioni, intrattenimento, possibilità di comunicazione,
servizi e beni fisici, dall’altro lo smartphone ha permesso che questa offerta
diventasse accessibile sempre e ovunque.
Non solo lo smartphone permette oggi di fare in maniera più facile e conveniente la
maggior parte di ciò che veniva già fatto prima in maniera “analogica”, ma come era
normale che accadesse ha anche contribuito alla nascita di nuovi bisogni offrendo
allo stesso tempo le soluzioni per soddisfarli. Se a questo si aggiunge il fatto che il
modello di business prevalente su Internet si basa sulla gratuità dell’offerta, ecco
venir meno anche un altro dei limiti del mercato tradizionale: la disponibilità
economica del consumatore.
L’insieme di queste condizioni ha fatto sì che nella società moderna lo smartphone
sia diventato il centro della vita della maggior parte delle persone, punto di accesso
per la soddisfazione di un numero sempre maggiore di bisogni e sempre a portata di
mano. Solo i vestiti, e per alcuni orologio, occhiali o altre protesi, hanno finora
accompagnato l’uomo durante tutta la sua giornata risultando indispensabili, senza
però che nessuno di questi “artefatti” richiedesse continuamente un intervento,
un’azione per essere utilizzato.
Nel percorso che ha portato alla rapida diffusione di Internet prima e dello
smartphone poi, domanda e offerta si sono alimentate a vicenda e, come in una
moderna corsa all’oro, aziende tradizionali e nuove imprese hanno trovato in Internet
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il terreno ideale per espandere la propria offerta e accedere a nuovi clienti in tutto il
mondo in maniera conveniente.
Quello che sembra configurarsi però in questo particolare periodo storico è
l’avvicinarsi di una situazione di relativa maturità e saturazione, all’interno di una
rivoluzione digitale che è ben lontana dal suo compimento. Con occasioni di utilizzo
pressoché continue, e la possibilità d’accesso a contenuti sempre più rilevanti e
interessanti, creati da editori, brand e utenti stessi, l’utente/consumatore rimane pur
sempre sottoposto a due vincoli che ne limitano il consumo: il tempo e le capacità
cognitive/di attenzione.
Se in un momento di euforia ed entusiasmo iniziale, più che giustificato dalla novità e
dalla convenienza del mezzo, si è assistito ad un aumento continuo dell’utilizzo di
Internet, dei nuovi media e della tecnologia in generale, sembra dunque arrivato il
momento in cui utenti da una parte e aziende dall’altra si trovano a dover fare i conti
con queste due risorse scarse.
Presupponendo un comportamento razionale, l’utente/consumatore dovrà quindi
compiere una scelta su come allocare queste due risorse per massimizzare la
propria soddisfazione, mentre in un ambiente ipercompetitivo come è diventato oggi
Internet si assisterà forse ad una riduzione degli attori coinvolti, e probabilmente
Internet stesso comincerà progressivamente ad essere considerato non più come la
scelta ideale per arrivare al consumatore, sempre e comunque, ma come una delle
alternative possibili, per quanto sicuramente tra le più efficaci ed efficienti.
Lo scopo di questa ricerca è quello di considerare l’evoluzione del comportamento
del consumatore di fronte a queste nuove problematiche, proprio nel momento in cui
cominciano a diventare evidenti e ad entrare per molti nella dimensione della
consapevolezza, cercando di inquadrarlo all’interno di modelli già conosciuti e di
offrire un’interpretazione che possa essere applicata anche in ambito economico.
Nel suo sesto rapporto annuale, l’agenzia di comunicazione londinese Hotwire
1
ha
identificato come uno dei principali trend per il 2016 la crescita di un segmento di
utenti in controtendenza rispetto alla cultura dominante del “sempre connessi”, che
definisce anti-tech o neo-luddisti.
1
Hotwire, Digital Trend Reports 2015, 25 novembre 2015, http://www.hotwirepr.com/dtr/wp-
content/uploads/2015/01/Digital-Trends-Report-UK.pdf (accesso: 3 novembre 2016)
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Il 30 marzo 2016, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato la
strategia sulla Governance di Internet per il 2016-2019
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, in cui per la prima volta si fa
riferimento al Digital Detox e all’importanza per gli utenti di “sviluppare un rapporto
sano ed equilibrato con Internet, fondato sulla libertà di connettersi ma anche di
sconnettersi”.
Mentre delle espressioni di “resistenza” all’iperconnettività cominciano a trovare
sempre più spazio all’interno della stessa cultura digitale (Morrison e Gomez, 2014),
si comincia ad assistere al successo di libri (Pang, 2013; Turkle, 2011) i cui autori,
entusiasti della tecnologia per loro stessa ammissione e per background, invitano a
ripensare al ruolo che questa deve avere nella vita di tutti i giorni.
Anche dal lato business si inizia a notare un utilizzo del tema della disconnessione
come strategia di marketing, con aziende che mirano a creare o valorizzare
occasioni di non-uso (soprattutto nel settore del turismo), a far leva sul sentimento di
digital overload nelle campagne di comunicazione, o a proporre alternative
tecnologiche all’invadenza dell’attuale modello dominante.
E non è immune a questa tendenza nemmeno l’ambiente lavorativo, nel quale lo
strumento dell’email è diventato talmente utilizzato da diventare spesso un ostacolo
alla vita privata ma anche alla stessa produttività, e si assiste ai primi tentativi di
regolarizzarne l’uso (limitandolo ad esempio al solo orario di lavoro).
Se le parole anti-tech e luddismo possono richiamare concetti di ostilità a priori verso
la tecnologia, che hanno sempre caratterizzato la storia dell’uomo e quindi sono
sicuramente presenti anche in questa fase, è importante sottolineare come in questo
caso si sia di fronte (o perlomeno è quello che si intende esplorare) a un fenomeno
diverso, dove a partire da una accettazione di fondo della tecnologia, di cui ne
vengono riconosciuti i benefici e la centralità nella vita dell’uomo, si arriva a
considerarne anche i costi connessi e gli aspetti negativi, nell’ottica di individuare una
strategia che è possibile collocare nel continuum tra non utilizzo da una parte e
utilizzo illimitato e accettazione incondizionata dall’altra.
2
Council of Europe, Internet Governance - Council of Europe Strategy 2016-2019, 30 marzo 2016,
https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectId=09000016805c1b60 (accesso: 3
novembre 2016)
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Addirittura gli stessi metodi che si basano sul quantified self come mezzo per
migliorare sé stessi, diffusisi proprio con e grazie all’avvento dello smartphone, sono
utilizzati da sempre più applicazioni per tenere monitorato l’utilizzo del dispositivo e
segnalare il raggiungimento di determinati limiti. Quello che a prima vista può
sembrare un paradosso, l’utilizzo della tecnologia per limitare l’utilizzo della
tecnologia stessa, è in realtà un’ulteriore conferma di come questa abbia ormai un
ruolo di primo piano nelle nostre vite, e che l’alternativa non può più essere un ritorno
alla vita pre-Internet, che sicuramente in pochi vorrebbero, ma un bilanciamento tra
l’utilizzo eccessivo che in molti potrebbero essere portati a farne e quello che
effettivamente è necessario e sufficiente per migliorare la nostra vita senza perciò
stravolgerla o dover fare i conti con degli effetti collaterali.
È facile, a questo punto, trovare delle analogie con il settore food, dove si è passati
dalla scarsità all’abbondanza e successivamente alla ricerca di un equilibrio, come
attesta anche la diffusione di termini come infobesity, social media diet e digital
detox.
Nell’ambito della ricerca scientifica, gran parte della letteratura si è finora concentrata
sull’adozione della tecnologia e sulla non-adozione come alternativa a questa,
mentre solo recentemente viene presa in considerazione anche la ricerca di un
comportamento intermedio tra questi due estremi (Rama Murthy e Mani, 2013).
Per quanto un approfondimento dell’argomento esuli dall’ambito di questa ricerca, e
si rinvia per questo a studi di psicologia e medicina, sarebbe una grave limitazione
non considerare qui anche i fenomeni di Internet addiction e smartphone addiction.
Tralasciando quindi eventuali aspetti clinici e situazioni estreme, che peraltro
inducono a riflettere sulla vastità degli effetti di Internet sulla nostra società, è ormai
evidente come l’utilizzo dello smartphone porti allo sviluppo di abitudini che ne
aumentano a loro volta il grado di utilizzo (Oulasvirta, Rattenbury, Ma e Raita, 2011).
E proprio la facilità di creare queste abitudini, grazie alle caratteristiche intrinseche
dello smartphone insieme alla quantità di dati che è possibile analizzare sul
comportamento degli utenti, è alla base del successo dei servizi e delle applicazioni
più usate in tutto il mondo (Eyal, 2014).
Se quindi alle illimitate possibilità d’uso che Internet offre si aggiunge anche il fatto
che in molte occasioni ci si ricorre oltre che volontariamente anche per abitudine, se
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non addirittura dipendenza, appare ancora più evidente la necessità di una strategia
per gestire il tempo e la propria attenzione.
In una recente ricerca che mette a confronto due tra i contenuti che si ritiene
conducano ad una maggiore dipendenza, giochi e social network, l’uso di questi
ultimi si è rivelato come il fattore maggiormente predittivo di una dipendenza da
smartphone (Jeong e Hwang, 2016; Salehan e Negahban, 2013). E proprio i social
network sono al centro delle ricerche che finora hanno considerato gli aspetti di un
uso eccessivo (Bright, Kleiser e Grau, 2015; Maier, Laumer, Weinert e Weitzel, 2015)
e del conseguente desiderio di limitarlo quando non addirittura interromperne
completamente l’utilizzo (Baumer, Adams, Khovanskaya, Liao, Smith, Sosik e
Williams, 2013; Sleeper, Acquisti, Cranor, Kelley, Munson e Sadeh, 2015).
I social network sono in effetti un perfetto esempio di come un modello di business
basato sulla gratuità dell’offerta e sulla creazione/condivisione di contenuti da parte
dell’utente possa portare quest’ultimo a farne un utilizzo sempre maggiore fino ad
arrivare ad un trade-off tra costi e benefici (Bowman, Westerman e Claus, 2012):
aiutano infatti a soddisfare alcuni dei bisogni più importanti come quelli di
comunicazione, intrattenimento e informazione, con i contenuti, ormai creati quasi
indistintamente da utenti, brand ed editori tradizionali, che vengono proposti in un
flusso continuo e costantemente aggiornato che richiede uno sforzo sempre
maggiore per evitare il rischio e l’ansia di rimanere esclusi o perdersi qualcosa.
Tecnostress e information overload (Holton e Chyi, 2012; Pentina e Tarafdar, 2014)
sono alcune delle conseguenze che possono rappresentare possibili costi da
valutare insieme ai benefici ottenuti, cui si aggiungono perdita di tempo e minore
produttività dovuti alla continua distrazione sempre a portata di mano e perciò
irresistibile.
I social network sono stati finora oggetto di studio non solo per la quantità di tempo
che ci viene spesa in media dai possessori di smartphone e tablet, ma anche perché
sono diventati la destinazione preferita dai brand per entrare in contatto con i
consumatori, oltre che quella verso cui convergono anche i media tradizionali, dai
giornali alla televisione.
Se ci spostiamo però a livello di smartphone, al suo interno i diversi social network
devono ormai spartirsi tempo e attenzione non solo tra di loro, ma con email, servizi
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di messaggistica istantanea, fotocamera e galleria di foto già scattate, musica, video
e altre forme di intrattenimento, siti di informazione, mappe, app per incontri, chat,
giochi, servizi finanziari e pagamenti, shopping, altre app ancora per monitorare
alimentazione, fitness e salute, controllare casa e animali domestici, comprare,
noleggiare o vendere, consultare recensioni, leggere, studiare e lavorare. A sua volta
lo smartphone, con tutto quello che permette di fare, si trova a dover competere per
l’attenzione che ci viene richiesta per svolgere compiti di lavoro o di studio,
conversazioni faccia a faccia, e con la necessità di avere momenti di solitudine e
riflessione.
Quello che all’inizio ha attratto tutti per la sua novità, la convenienza ed il senso di
controllo che offre, ora per alcuni sta cominciando a diventare quasi un lavoro a
tempo pieno, con il dilagare di schermi che richiedono troppa attenzione (Krishna,
2015) in tutti i momenti della giornata, compreso quando si parla con altre persone,
mentre si cammina o addirittura alla guida.
Capire la portata di questo fenomeno, le motivazioni che ne stanno alla base e di
quali soluzioni abbiano bisogno gli utenti diventa fondamentale per tutti gli attori che
operano nella società attuale, da chi realizza la tecnologia a chi fornisce i contenuti,
da chi svolge la propria attività solo online a chi lavora in settori ancora
prevalentemente analogici, dal mondo del lavoro a quelli dell’educazione e della
salute.
Sulla base di queste premesse, obiettivo di questa ricerca è trovare un punto di
osservazione che tenga conto allo stesso tempo di aspetti teorici e pratici, individuare
sulla base della letteratura esistente le domande che possono portare ad una
maggiore comprensione e provare a dare delle prime risposte tramite un
procedimento empirico.