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apprendimento, conoscenza su ciò che va al di là del
comportamento manifesto ma che ne è alla base.
La situazione di gruppo, così rivalutata porta, a galla un
gran numero di informazioni sull’oggetto di studio; in
particolar modo, osservare, con fini di studio, una situazione o
un’azione sociale all’interno di un agire di gruppo, non solo
rende trasparenti le complesse interazioni instauratesi tra i
membri ma, soprattutto, permette di negoziare con i soggetti
osservati la definizione dell’oggetto d’indagine. Viene così
spodestata dal trono l’unica visione del reale in passato
accreditata, quella del ricercatore.
L’utilizzo crescente del gruppo, pertanto, non ha migliorato
soltanto la qualità degli insight conoscitivi, ma ha mostrato
molteplici valenze, non ultima quella di aprire la strada al
pluralismo: pluralismo di idee, di conoscenze, di decisioni, di
opinioni espresse in merito alla questione analizzata. Il tutto
avviene in una coinvolgente atmosfera internazionale e nel
contempo paritaria, in cui crollano le massicce barriere tra
osservatori e osservati; ogni visione del problema ha la sua
dignità, il suo interesse la stringente necessità di essere espressa
ed ascoltata.
Questo è in pratica il senso del focus group nella ricerca
sociale:
è una potente lente d’ingrandimento, una telecamera ad alta
definizione che coglie le sfumature e le molteplici prospettive
delle dinamiche relazionali e motivazionali (difficilmente visibili
con altri strumenti).
Bisogna però, a questo punto, contestualizzare in modo
preciso la rinascita (in senso metaforico) dello strumento-
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gruppo e la conseguente affermazione del focus e delle altre
tecniche di gruppo.
L’esigenza di offrire le coordinate epistemologiche del
mutamento in atto nell’attuale ambito di ricerca, ha spinto ad
iniziare questa trattazione con degli accenni alla rivalutazione
della ricerca qualitativa e alla contemporanea e radicale
trasformazione dei presupposti conoscitivi.
Di certo non si può affrontare questo complesso argomento
senza imbattersi, inevitabilmente, in una questione ancora più
delicata, in quanto oggetto di numerose e contraddittorie
considerazioni: l’opposizione qualità-quantità.
In relazione a questa dibattutissima dicotomia, ciò che si è
voluto mostrare in modo inequivocabile è il non senso di una
rigida separazione tra quantità e qualità e, ancor più,
dell’assurda incomunicabilità esistente tra i sostenitori dei due
modi di far ricerca.
Tale comportamento viene imputato molto spesso ad una
mentalità positivista, pervasivamente diffusa in passato e non
ancora completamente superata.
Essa ha decretato il successo del modello standard di
ricerca, un modello che insegue ad ogni costo l’oggettività della
conoscenza, ovvero il rispecchiamemto fedele della realtà.
Gli strumenti quantitativi, primo fra tutti la survey, hanno
ricevuto così un’attenzione privilegiata dalla ricerca classica,
impegnata in una imitazione acritica delle scienze naturali per
contrastare la diffidenza e la marginalizzazione cui è sempre
stata soggetta.
Il motivo principale dell’interesse per tali strumenti deriva
da alcune loro peculiari qualità: in particolare è stato decisivo
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nel decretarne il successo la standardizzabilità, la
generalizzabilità e la verificabilità dei risultati.
Emerge in tal modo un altro mito, quello della quantità e
delle tecniche su di essa basate come mezzi eccellenti per
penetrare, categorizzare e quindi spiegare qualsiasi oggetto di
studio.
Da qui la conseguente ghettizzazione, improduttiva ai fini
euristici, delle tecniche qualitative di ricerca percepite come
imprecise, inconsistenti, addirittura nocive se confrontate con le
procedure quantitative altamente rigorose.
Tuttavia, se il positivismo e il dominio incontrastato della
scienza sociale classica hanno avuto una parte di notevole
spessore nell’irrigidimento della diatriba qualità-quantità,
c’è comunque a parer mio qualcos’altro che va menzionato.
Più precisamente si tratta di un’innata tendenza,comune a
gran parte degli uomini, a racchiudere il molteplice e infinito
scorrere delle cose in forme finite, delimitate; molto spesso il
perimetro di tali forme è talmente ben costruito da non
permettere nessun tipo di sconfinamento seppur positivo.
E’, in pratica, l’umano desiderio di avere a propria portata
il mondo, la vita, gli eventi, che ce li fa semplificare,
categorizzare, ordinare in classi separate e, quindi, svuotare del
loro vero senso.
Esattamente questo è accaduto nella scienza sociale dove il
caotico ma arricchente groviglio di presupposti, visioni,
tecniche (la vera natura della ricerca) è stato superficialmente
compendiato in due contenitori concettuali limitati e limitanti
(qualità-quantità).
Per fortuna, oggi si è sulla strada giusta per cogliere
l’imperativo ad un’integrazione metodologica che spazzi via
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ogni sterile dualismo; tuttavia questa strada è stata percorsa
faticosamente, difendendosi con tenacia dai pregiudizi più
diffusi e ridimensionando i miti più radicati.
La meta dovrebbe essere, alla fine, la matura e serena
accettazione della complementarietà dei due orientamenti, delle
loro peculiarità, dei loro impieghi in contesti e per obiettivi
differenti; una meta a dir poco ambiziosa, che però ci sono
buone speranze di raggiungere, soprattutto negli ultimi
decenni, grazie anche alle profonde transizioni sociali (stimoli
fortissimi alla rivoluzione dei fondamenti della ricerca).
Tali problematiche vengono esposte nel primo capitolo il
quale si propone di mostrare, con l’aiuto dei principali studiosi
in questo campo l’insostenibilità della vecchia dicotomia nel
panorama attuale della teoria sociale, forte di una nuova
epistemologia.
Il cambiamento di cui si sta parlando presenta una palese
connessione, anche se non di natura causale, con la rinascita
della qualità; in altre parole il versante qualitativo della ricerca
ha dato ha dato una potente spinta propulsiva a tale
rivolgimento, affermando con forza i propri tratti distintivi
quali:
• l’esplorazione empatica dell’oggetto di studio;
• l’importanza del rapporto osservatori-osservati e della
riflessione sulle conseguenze di tale rapporto;
• l’esaltazione dell’unicità contro la ricorsività;
• il ridimensionamento del numero ad uno dei tanti
strumenti di misurazione.
In tale rinnovato contesto, fervido di scoperte, rivalutazioni,
costruzioni di nuovi presupposti sulle macerie di quelli vecchi,
si inserisce inevitabilmente il focus group, per anni dimenticato
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completamente dalla ricerca scientifica e apprezzato
soltanto dal marketing.
Il secondo capitolo, infatti, è dedicato proprio a tale
particolare tecnica di gruppo e ai cardini della sua struttura;
esso inizia con una breve ricostruzione storica delle sue origini,
per arrivare a focalizzare, tra gli altri tratti discriminanti
(l’essere uno strumento di rilevazione dei dati e il far parte della
ricerca cosiddetta qualitativa), il suo valore aggiunto, ovvero
l’impiego costante del gruppo come strumento diagnostico-
operativo adatto a svariati contesti.
Dalle qualità arricchenti del gruppo si passa poi a delineare
un quadro dei particolari meccanismi, delle difese e paure che
lo stesso produce e che bisogna tenere sotto controllo quando lo
si usa concretamente.
Inoltre, ci si è soffermati sul funzionamento pratico delle
sessioni di un focus group e su quelle che sono le figure chiave di
tali discussioni, vale a dire il moderatore e i partecipanti.
Il primo rappresenta il regista, il coordinatore
dell’indagine: la sua è una presenza forte e allo stesso tempo
discreta che guida il discorso senza forzarlo e previene
inopportune degenerazioni o deviazioni dal tema.
I secondi sono i dati stessi del focus, la sorgente primaria di
informazione, la conditio sine qua non di questo tipo di
esplorazione.
Il capitolo si conclude con una panoramica dei limiti e
benefici che il focus come ogni altra procedura metodologica
possiede.
Proprio la constatazione di tale fatto, l’ineluttabilità di
vantaggi e svantaggi, deve alimentare la certezza che non
esistono tecniche
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superiori o inferiori in assoluto, ma piuttosto tecniche più o
meno adeguate agli ambiti e oggetti di studio di volta in volta
analizzati dai ricercatori.
Ben consapevoli di ciò, si è infine cercato di abbozzare un
elenco, non certo esaustivo ne tanto meno prescrittivo, dei casi
in cui è consigliabile o viceversa sconsigliabile il focus group.
L’ultimo capitolo, invece, si propone di disegnare in
maniera veloce un quadro comparativo delle altre tecniche
basate sul gruppo rispetto al focus.
L’intento è quello di mettere ordine fra tecniche, il cui
comune impiego del gruppo come strumento di rilevazione dei
dati, ha generato una confusione deleteria per la comprensione
delle loro specifiche caratteristiche.
Spesso, quindi, chi si interessa di ricerca, si trova a dover
fare i conti con un amalgama indistinto, dove strumenti dotati
di proprie autonome e importanti qualità conoscitive diventano
un tutt’uno, perdono la loro peculiarità e, addirittura, vengono
impiegate in maniera interscambiabile.
Questa incauta e superficiale strategia di ricerca, anche se
invalsa, non è un modello ideale da seguire; per questo si è
cercato di esporre nella maniera più elementare possibile sia le
differenze che distinguono le varie tecniche di gruppo fra loro,
sia le analogie che le accomunano. Ed ancora, si è cercato di
mostrare come possano essere usate in contesti del tutto
dissimili fra loro, a seconda delle specifiche istanze di ogni
indagine, senza negare tuttavia la possibilità di una loro
produttiva integrazione quando necessario.
E’ proprio, infatti, con il concetto di integrazione, già
menzionato a proposito della dicotomia quantità-qualità, che si
conclude l’ultima parte del lavoro.
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L’obiettivo è, in pratica, quello di rendere chiaro come la
completezza di un’esplorazione conoscitiva non possa che
risultare dal contributo di più strumenti.
Se appare quindi, auspicabile in linea di principio l’abolizione
di ogni confusione fra i vari strumenti della ricerca, deve
apparire altrettanto auspicabile il crollo di tutti i giunti rigidi
che li separano.
Entrambi tali estremismi infatti conducono ai luoghi dove è
preclusa la conoscenza vera della realtà.
Soprattutto, bisogna combattere, riprendendo ciò di cui
abbiamo parlato all’inizio, l’atavico contrasto tra gli strumenti
qualitativi e quelli quantitativi.
A tal fine si è voluto concludere il capitolo finale con un
accenno alla possibilità di abbinare sapientemente ed in modo
euristicamente efficace il focus group (comunemente
considerato strumento qualitativo) e la ricerca standard
(intervista strutturata).
Inoltre, sempre in questa matura tendenza
all’integrazione si inserisce una nuova sperimentazione di
ricerca: l’intervista RD, il cui funzionamento viene brevemente
descritto in questo lavoro.
Tale novità metodologica, che è in pratica una normale
intervista strutturata preceduta dalla presentazione di un focus
(o una serie di focus) ad ogni singolo intervistato, nasce dalla
volontà di sfruttare le potenzialità migliori di entrambi gli
strumenti.
Vi è quindi alla base, ed è una vera conquista nell’ambito
della teoria sociale, l’ansia della complementarietà, della
cooperazione, della convergenza produttiva; l’ansia del
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pluralismo come apertura al nuovo, come esplorazione di ciò
che è sotteso.
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1.1 QUALITA’- QUANTITA’:
UNA DICOTOMIA DA SUPERARE
1.2 LA RISCOPERTA DELLA QUALITA’
E LA SVOLTA EPISTEMOLOGICA
CAPITOLO I
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CAPITOLO I
1. Qualità-Quantità: una dicotomia da superare.
Nel vasto impero della teoria sociale,continua trionfante a
regnare, sebbene in modo meno pervasivo rispetto al passato, la
sempre verde contrapposizione qualità-quantità .
E’ questa una diatriba che ha visto schierarsi l’un contro
l’altro armati eminenti sociologi, antropologi ed esperti in
materia.
Volendo metaforicamente considerare questa opposizione
come una battaglia, essa si è combattuta a suon di accuse,
etichette e pretese che spesso non hanno avuto altra funzione se
non quella di riempire un sostanziale vuoto definitorio e di
nascondere dietro prese di posizione epistemologica l’effettiva
lacunosità della reale pratica di ricerca.
Ciò che ne viene fuori è, quindi, una rappresentazione
semplicistica e superficiale di un mondo (per l’appunto quello
della ricerca sociale) che ha tali caratteristiche di complessità,
da essersi guadagnato l’appellativo di infido e impervio.
Accade così che tutta la ricchezza di sfumature,
convergenze, intrecci di presupposti e procedimenti che
caratterizza la ricerca sociale nella sua interezza ed unità,
vada dispersa in un rigido dualismo stereotipico tra due
territori autonomi ed indipendenti con confini nettamente
delimitati e senza possibilità di reciproche incursioni:
ricerca qualitativa e ricerca quantitativa.