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Introduzione
Afus deg ufus, taàkemt ad tifsus
“Se tutti andremo mano nella mano il carico sarà meno pesante”
(Antico proverbio degli Amazigh)
Il presente lavoro nasce da un duplice interesse, quello per un paese, la Libia, che per la
sua centralità nello scenario geopolitico odierno e per i suoi secolari rapporti con il nostro
paese ha suscitato la mia curiosità; e quello per un insegnamento accademico, Teorie dei
Conflitti e Processi di Pace, che con una chiave di lettura prettamente sociologica si
inserisce nei cosiddetti “peace and conflict studies”, permettendo un‟analisi critica ed
approfondita dei conflitti contemporanei e delle relative difficoltà e fallimenti che si sono
registrati nel porre loro fine, e che diventano di centrale importanza nel complesso
momento storico in cui ci troviamo al giorno d‟oggi.
Il caos che ha investito la Libia dopo la caduta del regime del colonnello Mu'ammar
Gheddafi nel 2011 ha significato per il paese l‟inizio di un‟instabilità cronica, a tratti
riconducibile ad una vera e propria guerra civile, che ha reso la fase di transizione della
Libia un processo lungo, complesso e dall‟esito tutt‟ora incerto.
Il paese si trova ancora oggi, a cinque anni dalla morte di Gheddafi, in una difficile fase di
state-building, ma anche di nation-building, in particolar modo a causa della mancata
messa in sicurezza del paese, derivante dal forte potere delle numerose milizie armate
presenti sul territorio e dall‟interrelazione dei tre livelli identitari presenti: l‟identità
nazionale, quella regionale e infine quella clanico-tribale. Esse hanno influenzato e
modellato le sorti del conflitto e contribuito alla mancata legittimazione dell‟attuale
governo di unità nazionale.
La mediazione delle Nazioni Unite del 2015 non ha infatti portato all‟esito sperato. La
Libia è ancora un paese frammentato, anche a livello istituzionale, tanto che è possibile
ritrovare, per così dire, due governi e mezzo: il governo di “accordo nazionale”
(Government of National Accord, o GNA) di Fayez Serraj, risultato dell‟accordo di
Skhirat, mediato dall‟ONU e basato a Tripoli; il governo rivale di Abdullah al Thinni a
Beida, legato alla Camera dei Rappresentanti di Tobruk e sotto l‟influenza del generale
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Haftar, divenuto il volto dell‟opposizione all‟accordo dell‟Onu; e ciò che rimane del
Governo di salvezza nazionale a Tripoli, guidato da Khalifa al-Ghwell, che tenta di
riprendere il potere sulla capitale.
La ricerca qui proposta, intende ripercorrere le cause del conflitto, con un‟analisi del
periodo che dall‟ascesa di Gheddafi segue le vicende, le interrelazioni con gli altri paesi e i
cambiamenti in atto, fino al giorno d‟oggi, con l‟obiettivo di rilevare e comprendere i
fattori che hanno contribuito alla polarizzazione della situazione attuale, comportando la
mancata affermazione dello Stato, l‟instabilità cronica ed in particolar modo la forte
frammentazione identitaria che contribuisce in maniera sostanziale alla creazione di
legittimità plurime che impediscono una riuscita positiva del processo di transizione.
In primo luogo verrà, dunque, dato spazio allo studio dei fattori storici, politici ed
economici e alla loro evoluzione nel corso della crisi libica, analizzandoli all‟interno del
paradigma delle cosiddette “guerre post-moderne” elaborato da Duffield. L‟autore,
rifiutando la lettura evoluzionista e etnocentrica dei conflitti contemporanei, tipica del
paradigma della modernizzazione, analizza i cambiamenti attuali in termini di una
ridefinizione razionale delle forme statuali e dei rapporti di potere con i cittadini che
creano, non failed state, ma nuovi assetti politici, sociali ed economici all‟interno di società
colpite dalla guerra che egli rinomina “sistemi politici emergenti” poiché capaci di
adattarsi razionalmente ai nuovi e mutevoli assetti globali.
Nella seconda parte, invece, il lavoro si concentrerà su quegli aspetti più propriamente
sociali che si inseriscono in quel filone di studi che analizza il fenomeno della guerra nei
suoi molteplici aspetti e la sua trasformazione da evento eccezionale a evento che si
intreccia profondamente con la normale dimensione quotidiana, invadendo ogni aspetto
dell‟esistenza.
In questo contesto, per meglio comprendere gli avvenimenti che hanno caratterizzato la
crisi libica, verrà data una notevole rilevanza alla questione dell‟identità nazionale, in
primo luogo nella sua accezione tipicamente sociologica, per poi inserirla nel complicato
panorama tribale libico, in modo da constatare come essa si sovrapponga ad un normale
conflitto per il potere, rendendo ancor più complesso il caos che regna nel paese.
Il concetto di identità nazionale diventa dunque cruciale per spiegare le forme di
conflittualità contemporanee, tanto che la questione etnico-identitaria viene inserita da
Mary Kaldor tra gli scopi delle cosiddette “nuove guerre”, che farebbero leva su una
mobilitazione identitaria, cioè su rivendicazioni politiche che si basano su una particolare
identità, religiosa, nazionale, linguistica, in contrapposizione a quelle guerre, considerate
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tradizionali, che caratterizzavano il periodo bipolare e che avevano invece fini ideologici o
geopolitici.
L‟analisi proposta inserisce inoltre le critiche mosse contro questo paradigma, soprattutto
da Kalyvas, il quale ritiene, a differenza di Mary Kaldor, che gli atti di violenza rispondono
a una miriade di dinamiche molto più fluide che mescolano il pubblico e il privato, il
collettivo e l'individuale, amalgamando dunque la questione dell‟identità con le azioni
politiche e private. In questo modo è possibile comprendere come, nel caso libico, tutte le
forze in campo tendono a presentarsi, con diverse retoriche, come le uniche forze legittime
del paese, auto-legittimandosi con motivazioni ed identità diverse.
Identità e legittimità si legano e si mescolano, dunque, in un processo di transizione che
ancora non è concluso proprio a causa dell‟ambiguità di questi due aspetti all‟interno dello
scenario libico. Al fine di delineare come queste componenti agiscono sul sistema di
ridefinizione dell‟autorità, dell‟attribuzione del weberiano monopolio della forza e sulla
stabilizzazione della crisi sono stati intrapresi una serie di incontri, che hanno portato a
delle interviste, con esponenti della comunità libica in Italia, in modo da capire se il
riconoscimento dell'autorità è considerato, non più conseguenza, ma fondamento della
legittimità, poiché in mancanza di un processo di legittimazione che poggi sul rapporto
fiduciario tra elettore ed eletto, il quale al momento non è ancora avvenuto, non si potrà
parlare di democrazia rappresentativa e porre dunque fine al caos libico ancora in atto.
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1. PRIMAVERA LIBICA, UNA RIVOLUZIONE CONTRO 42 ANNI DI
DITTATURA
1.1 Dall’Indipendenza alla crisi della monarchia
Nel cuore del Mediterraneo, compresa tra il Maghreb e il Mashreq, sorge la Libia, il
diciassettesimo paese più grande del mondo, con una superficie di 1,759,540 chilometri
quadrati (più di cinque volte l‟Italia).
La sua forma di quadrilatero trapezoidale dimostra come le delimitazioni del territorio
libico siano state realizzate artificialmente in diversi momenti della sua storia: nel periodo
dello scramble for Africa, nel corso del dominio italiano e infine durante la prima
indipendenza del paese nel 1951.
Le tre maggiori province libiche, la Cirenaica a est, la Tripolitania a ovest e il Fezzan a
sud, sono state separate sotto l‟Impero Ottomano, riunite poi sotto gli Italiani e tenute tali
anche sotto la monarchia di re Idris al-Mahdi al-Senussi.
La Libia è, dunque, da sempre, un paese ricco di contrasti, alcuni dei quali con radici
profonde non solo a livello regionale, ma anche presenti nel substrato che accoglie identità
tribali, etniche e religiose differenti. Cirenaica e Tripolitania erano e sono tuttora diverse
fra loro, non solo in termini morfologici e territoriali, ma anche a livello tribale ed etnico:
arabi e berberi, presenti in percentuali diverse in entrambe le regioni, hanno portato avanti
negli anni contrasti e dispute interne, che sono state fomentate dai colonizzatori e da chi
era al potere. Come espresso da uno studioso statunitense della Libia moderna, la Libia è
"uno stato accidentale: creato da e per volere di grandi interessi di potere e concordato con
le province locali che temevano altre alternative"
1
.
Quando il 24 dicembre 1951 re Idris I proclamò l‟indipendenza del nuovo Stato, si trovò
senza né mezzi finanziari per coprire le spese di bilancio, né personale autoctono
qualificato per ricoprire i ruoli fondamentali dell‟amministrazione pubblica.
La Libia era uscita, infatti, dal secondo conflitto mondiale come uno degli Stati più poveri
del bacino del Mediterraneo, con una popolazione di circa 1.100.000 abitanti in gran parte
analfabeti, un‟economia basata principalmente sull‟agricoltura e la pastorizia nomade e
con un territorio tempestato di mine antiuomo che dilaniavano la popolazione.
1
Vanderwalle, D., Libya since Independece. Oil and State-building, Ithaca&London, Cornell up, 1998, p. 40.
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In questa situazione di povertà dilagante e stagnazione economica, gli aiuti delle potenze
straniere si presentavano come l‟unica alternativa possibile per ripristinare una seppur
precaria stabilità sociale e incentivare la ripresa economica. Il governo libico fu quindi
costretto, fin dal primo momento, a chiedere aiuti economici e finanziari ai paesi
occidentali, in particolare alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, che accettarono con la
condizione di poter mantenere la basi aeree di El Adem e Wheelus Field nei punti
strategici del territorio libico. I due Trattati, firmati rispettivamente il 7 dicembre 1953 e il
9 settembre 1954, oltre a comportare notevoli vantaggi dal punto di vista strategico-
militare, fornivano alle due potenze straniere un controllo non indifferente su tutta la
struttura politico-amministrativa del paese.
Per quanto riguarda l‟Italia, sin dall‟Indipendenza, i due paesi intrattennero lunghi
negoziati che si conclusero con la firma del trattato italo-libico del 2 ottobre 1956. Con
esso Italia e Libia si impegnavano in un accordo di collaborazione economica che regolava
anche tutte le questioni in merito al riconoscimento dell‟Indipendenza. Il trattato garantiva
la permanenza della comunità italiana residente in territorio libico e assicurava ai cittadini
italiani il libero godimento dei loro beni; in cambio Roma avrebbe contribuito finanziando
la ripresa economica del paese nordafricano.
Nonostante gli aiuti economici e finanziari occidentali e le ingenti risorse petrolifere che,
grazie soprattutto all‟intervento delle grandi compagnie occidentali, permisero la nascita e
l‟espansione tra il 1959 e il 1961 dell‟industria del petrolio in Libia, il paese rimaneva
povero, sostanzialmente diviso tra Occidente e Mondo Arabo, e con la maggioranza della
popolazione che non godeva dei privilegi ottenuti dall‟estrazione del petrolio.
La corruzione dilagante della monarchia, inoltre, aveva accentuato il divario sociale,
accrescendo favoritismi e risentimenti popolari.
Il rovesciamento della monarchia non arrivò dunque inaspettatamente. Nei mesi che
precedettero il colpo di stato, ci furono consistenti voci su piani militari per prendere il
controllo, tanto che il re fu costretto più volte a spostare le unità dell‟esercito in varie zone
del paese per impedire un sovvertimento delle truppe. Inoltre anche a livello civile,
soprattutto tra gli studenti, si levarono numerose proteste, scioperi e manifestazioni in tutte
le città del nord del paese.
Nonostante l‟aspettativa generale in Occidente e in gran parte del Medio Oriente fosse che
a prendere il controllo e a rovesciare la monarchia sarebbero stati leader militari di alto
livello, i golpisti si rilevarono, invece, capitani e giovani ufficiali, senza collegamenti con
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la monarchia o con figure militari di alto livello, con a capo colui che sarebbe diventato
l‟attore indiscusso del panorama libico di quasi mezzo secolo, Mu‟ammar Gheddafi.
“Un dittatore che per 42 anni ha guidato uno dei regimi più violenti della regione. I libici
non hanno potuto mai definire la propria identità o decidere il proprio futuro, né ai tempi
della monarchia di Idris (1951-1969) né sotto il regime di Gheddafi.”
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1.2 Gheddafi: dal colpo di stato alla Jamahiriya
1.2.1 Il colpo di Stato e l’ascesa di Gheddafi
È il 1965 quando nasce il primo nucleo della società segreta degli Ufficiali Liberi
Unionisti, il movimento eversivo rivoluzionario composto da persone provenienti da ogni
estrazione sociale, dal ceto medio a quello rurale, che rappresentavano quelle classi che
erano state deliberatamente escluse dalla vita politica del paese.
La dirigenza libica era la meno progressista e più dipendente dalle potenze occidentali del
mondo arabo, corrotta e inefficace, e diventa, per questi motivi, il bersaglio del nuovo
progetto panarabo coltivato dagli Ufficiali Liberi, che si ispirano alla figura di Nasser,
modello della vittoria degli ideali arabo-nazionalisti sugli interessi neo-colonialisti
occidentali.
Approfittando della situazione di incertezza in cui si trovava la Libia, con il re Idris
all‟estero e il clima di scarsa adesione dell'esercito ad una monarchia in disfacimento, gli
Ufficiali Liberi, con “l‟Operazione Gerusalemme”, organizzarono un colpo di Stato di
un‟efficienza sorprendente. Già alle prime luci del mattino del 1° settembre 1969 le
maggiori città libiche ad eccezione di Tobruq erano nelle mani del movimento dei giovani
Ufficiali. Nell‟arco della mattinata, vennero arrestati tutti gli ufficiali superiori delle forze
di pubblica sicurezza e dell‟esercito, insieme a tutti coloro che avrebbero potuto
organizzare una resistenza e, in seguito, vennero presi sotto controllo anche tutti i mezzi di
comunicazione e gli aeroporti.
Re Idris, nel frattempo, cercò l‟appoggio inglese, tramite un appello al governo, in virtù del
trattato di alleanza militare, perché intervenisse per ristabilire l‟ordine e riportare la
dinastia sul trono, tuttavia il governo britannico aveva già deciso di non intervenire.
2
Issander el Amrani, in “Internazionale” n. 912, 26 agosto 2011.
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L‟ottantenne re Idris fu quindi costretto ad abdicare, mentre il cinquantatreenne, principe
ereditario, Hassan er-Rida‟ dopo aver rinunciato al trono, annunciò il suo sostegno al
nuovo regime.
La rivoluzione si può dire dunque terminata con un bilancio di un morto e qualche decina
di feriti.
Nei primi giorni che seguirono il colpo di Stato un fitto mistero avvolse l‟identità dei
membri di quello che fu chiamato Consiglio del Comando Rivoluzionario (CCR), che si
pose alla dirigenza del paese.
Solo dall‟8 settembre cominciarono a circolare i nomi dei capi rivoluzionari e specialmente
quello del loro leader, il Capitano Mu‟ammar Gheddafi, appena proclamatosi colonnello e
comandante in capo delle forze armate.
Fin da subito Gheddafi e il suo governo misero in luce la volontà di creare un futuro
migliore per la Libia, indipendente dalle potenze occidentali, con il fine ultimo di rompere
definitivamente con il passato. La svolta verso il mondo arabo era chiara, come si nota da
un discorso del CCR in seguito al colpo di stato: “Dite al presidente Nasser che abbiamo
fatto questa rivoluzione per lui. Può prendere tutto ciò che abbiamo e usarlo insieme alle
altre risorse del mondo arabo nella battaglia (contro Israele e per l'unità araba)”
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La Costituzione provvisoria promulgata l'11 dicembre 1969 dal CCR dimostrò come il
colpo di stato non aveva tuttavia reso la Libia un paese completamente libero ed
indipendente. Lo stesso Consiglio si pose come la più alta autorità del Paese col compito di
nominare il Consiglio dei Ministri, legiferare e dettare le politiche dello Stato.
Tra gli obiettivi principali del CCR figuravano innanzitutto l'eliminazione delle basi
straniere presenti sul territorio libico, ritenute un retaggio del colonialismo e la
nazionalizzazione delle principali compagnie petrolifere operanti in Libia, per riacquistare
l‟effettiva proprietà delle ingenti risorse energetiche del paese. Già il 16 ottobre in un
discorso pronunciato a Tripoli, il colonnello aveva affermato che l‟eliminazione delle basi
straniere fosse un fine prioritario, poiché la rivoluzione “non accettava né basi, né stranieri,
né imperialisti, né intrusi di ogni genere”
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Inizia così, con l‟apparizione di un leader carismatico e in molti modi controverso e
particolare, questa fase della storia libica che verrà denominata dagli storici “Seconda
Indipendenza”
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Heikal, M., The road to Ramadan, New York, Quadrangle NY Times book co., 1975 p.70.
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Cresti F., Cricco M., Storia della Libia contemporanea, Roma, Carocci, 2015, p. 209.
5
Del Boca, A., Gheddafi. Una sfida dal deserto, Roma, Laterza Editore, 2014, p. 39.