8
Introduzione
Il presente lavoro si propone di indagare la tutela penale dei fenomeni di
disastro ambientale. L’attuale disciplina è stata introdotta con la l. 22 maggio
2015 n. 68 ma già sul finire degli anni ‘70 l’arma della supplenza giudiziaria
ha tentato di fornire una risposta sanzionatoria alle più gravi forme di
inquinamento dell’ecosistema. Per meglio intendere le ragioni dell’opera
giudiziaria e riformatrice e offrire un quadro completo della figura criminosa
di cui si discute si è considerato innanzitutto necessario procedere a un’analisi
del contesto normativo e della sua evoluzione. Le criticità di cui da sempre
soffre il diritto penale ambientale, giovane fronte d’intervento di un
legislatore che è stato per lungo tempo sordo nei confronti delle istanze di
salvaguardia degli equilibri naturali, sono state superate in virtù di una duplice
forza motrice.
Da un lato grazie alla sensibilità sviluppatasi nell’ambito dell’Unione
Europea la quale si è fatta promotrice appassionata della tutela
dell’ecosistema; dall’altro, come osservato, è stata la stessa giurisprudenza a
farsi carico delle esigenze politico – criminali sottese agli episodi disastrosi,
intraprendendo un’operazione ermeneutica al limite – o forse anche
travalicante il limite - del principio di legalità, rinvenendo nella disposizione
di cui all’art. 434 c.p. la norma chiave per assicurare presidio a tali fenomeni.
Si è ritenuto quindi di non poter prescindere dallo studio del delitto ora
menzionato e del suo vissuto giurisprudenziale e dottrinale nell’intervallo di
tempo che separa l’introduzione codice rocco dalla successiva evoluzione in
chiave ambientale della fattispecie, che ha messo in luce una incriminazione
particolarmente densa di problematiche interpretative e atta a presidiare fatti
criminosi del tutto diversi rispetto a quelli ricadenti nella figura giudiziaria
rivolta salvaguardare l’habitat naturale e umano dalle più feroci aggressioni.
L’attenzione si è quindi concentrata su quest’ultima: dalla sua origine, fatta
9
concordemente risalire al c.d. disastro di Seveso, per poi affrontare la svolta
avvenuta con il caso di Porto Marghera il quale ha segnato l’inizio di una
stagione giurisprudenziale, fortemente avversata dalla dottrina, che ha
ricondotto nell’alveo del disastro innominato le più disparate ipotesi di danno
all’ecosistema. L’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 327
del 2008, chiamata a vagliare la compatibilità del reato in primis con il
principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., non ha impedito la prosecuzione
di tale opera, giunta al culmine con la vicenda Eternit di cui si propone
un’indagine a partire dall’impostazione della Procura sino alla pronuncia
della Corte di cassazione. A fianco dell’esame della casistica circa le condotte
sussunte nell’art. 434 c.p., non poteva rinunciarsi a osservare l’atteggiamento
della giurisprudenza relativamente alla causalità e alla colpevolezza, le cui
dogmatiche cedono entrambe se declinate in funzione dei fenomeni disastrosi.
Si propone quindi un’analisi del novello reato di cui all’art. 452 quater c.p. In
assenza di un lavoro giurisprudenziale sulla norma, lo studio verte sulle
criticità messe in mostra dalla letteratura giuridica: nonostante il lungo
travaglio e il prolifero dibattito scientifico che ne ha preceduto l’introduzione
il reato soffre della furia legislativa di cui è il parto. La scadente tecnica
redazionale e l’approssimazione che lo caratterizzano ha impedito alla
maggior parte dei commentatori di poterlo accogliere con favore.
Le riflessioni conclusive cercano di cogliere la questione relativa alla tutela
degli accadimenti disastrosi, quali archetipi fenomenologici delle proiezioni
offensive della postmodernità, sotto un punto di vista di più ampio respiro. Le
sfide della società del rischio paventano la demolizione alle radici dei cardini
del diritto penale che diviene mero strumento di rassicurazione degli umori
popolari. È stato quindi necessario chiedersi in che termini si sono realizzate
le vistose flessibilizzazioni dei criteri di imputazione del rimprovero e quale
ruolo possa utilmente svolgere la responsabilità penale dinanzi alle
manifestazioni criminose della postmodernità: è la prospettiva dell’operare
congiunto delle diverse aree del diritto a apparire quella maggiormente capace
di assicurare una salvaguardia effettiva dell’ambiente.
10
I Breve introduzione al diritto penale ambientale. Il
contesto della riforma.
1. Dal codice Rocco al D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Le tematiche ambientali sono state a lungo vittime di un’insensibilità tanto
sociale quanto giuridica. Tale indifferenza si è tradotta inizialmente in un
vuoto normativo. Il codice penale del 1930 nella sua formulazione originaria
non mostrava alcuna preoccupazione verso tale argomento e l’ambiente era
protetto non in quanto bene in sé meritevole di difesa ma in via incidentale,
nel momento in cui la sanzione penale si rivelava la più adatta a salvaguardare
altri valori
1
. A una lettura superficiale delle norme codicistiche si possono
infatti scorgere ipotesi di reato che prima facie sembrerebbero accordare
tutela alle diverse componenti dell’ecosistema ma che in realtà risultano
strumentali rispetto alla salvaguardia di beni diversi. Tra queste si rinviene la
fattispecie di cui all’art. 635 comma 2 n. 5 c.p. la quale, nel prevedere il reato
di danneggiamento, incrimina quelle condotte di distruzione e dispersione di
diverse specie floristiche: a tale ipotesi delittuosa è sì sotteso l’interesse di
proteggere il patrimonio arboreo e floreale ma in quanto sinonimo della
ricchezza del singolo e della nazione e non per una particolare inclinazione
del legislatore alla conservazione degli equilibri naturali. Analogamente nel
delitto di distruzione di prodotti agricoli di cui all’art. 499 c.p. o di diffusione
di una malattia delle piante o degli animali di cui all’art. 500 c.p. l’oggetto
della tutela riguarda le componenti ambientali non in quanto tali ma in
funzione della ricchezza, come può agevolmente ritenersi considerando la
collocazione di tali reati, appunto nel Titolo VII c.p. relativo ai “Delitti contro
l’economia pubblica, l’industria e il commercio”
2
.
La sensibilità sociale nei confronti delle tematiche ecologiche, come anche
una presa di coscienza dell’elevata pericolosità dei risultati della gestione di
attività industriali, si è imposta solo a partire dalla seconda metà del secolo
1
R. ZANNOTTI, Il ruolo della sanzione penale nella tutela dell’ambiente in Trattato di
diritto dell’ambiente, vol. I, diretto da P. DELL’ANNO - E. PICOZZA, Lavis, Cedam, 378.
2
R. ZANNOTTI, op.ult.cit., 379.
11
scorso. Conseguentemente si è affermata la tendenza a utilizzare lo strumento
penale per raggiungere un equilibrio tra esigenze della produzione e habitat
salubre. Nasce così il diritto penale ambientale che senza irrompere
all’interno del codice trova spazio nella legislazione complementare, in linea
con il carattere occasionale e settoriale degli interventi del legislatore che di
volta in volta appresta specifiche tutele (l. 3125/1966 c.d. antismog, l.
319/1976 c.d. legge Merli per la tutela delle acque interne, l. 979/1982 per la
difesa del mare, d.p.r.915/1982 in materia di rifiuti solidi, D.P.R.203/1988
sull’inquinamento atmosferico ecc.).
Nonostante l’affiorare di una coscienza sociale in tal senso, le problematiche
in esame non assumono consistenza politica: l’entusiasmo dovuto al boom
economico degli anni ‘50 avvantaggiava l’interesse della grande produzione
industriale
3
.
Solo a partire dagli anni ‘90 una rinnovata attenzione verso i rischi derivanti
da uno sviluppo tecnologico e scientifico indiscriminato ha portato con sé la
richiesta di una risposta punitiva rigorosa e coerente. Il diritto penale
ambientale subisce quindi un tentativo di ricomposizione con il D.lgs. 152 del
2006 recante “Norme in materia ambientale” il quale, ispirato a finalità di
riorganizzazione e coordinamento, regola i principali istituti e settori della
materia mentre la disciplina penalistica è posta in chiusura, a seguito della
normativa amministrativa coinvolgente le varie componenti dell’ecosistema
4
.
La riforma ha mantenuto immutate le linee di fondo che hanno ispirato il
sistema penale ambientale sin dai primi interventi in materia: l’anticipazione
della tutela, la qualificazione delle fattispecie come contravvenzionali e la
conseguente strumentalità rispetto alla funzione amministrativa.
Dinanzi alle aspettative di un rinnovo radicale della disciplina tale soluzione
di continuità rispetto al passato nonché le imprecisioni, la presenza di diverse
definizioni della medesima nozione
5
e il mancato coordinamento con la
3
M. RENNA, I principi in materia di tutela dell’ambiente in Riv. quad. dir. amb., fasc. 1-2,
2012, 62.
4
C.R. RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, G. Giappichelli Editore, 2013, 21.
5
Per esempio della nozione di inquinamento di cui si rivengono due definizioni diverse agli
artt. 183 e 268.
12
normativa comunitaria
6
hanno suscitato una reazione di profonda delusione
nella dottrina
7
, al punto che voci autorevoli hanno affermato che “nella storia
della normativa ambientale, rappresenta la peggiore prova data dal
legislatore nell’ultimo trentennio”
8
.
2. Il tradizionale modello di tutela penale dell’ambiente:
l’accessorietà rispetto alla funzione amministrativa.
Sin dai primi interventi in materia il sistema penale ambientale si è
caratterizzato per l’essere servente rispetto alla funzione amministrativa cioè
all’attività di gestione, direzione e controllo degli uffici. Al diritto penale è
affidato il ruolo di garante del corretto esercizio della funzione della pubblica
amministrazione quale principale titolare della governance dell’ambiente e
dell’osservanza dei suoi precetti
9
.
Tale caratteristica ha determinato notevoli conseguenze sul modello di
strutturazione degli illeciti in materia i quali sono stati plasmati come reati di
pericolo astratto e di natura contravvenzionale.
2.1 Il pericolo presunto.
Tramite fattispecie di pericolo presunto si è anticipato l’intervento
sanzionatorio a una fase precedente la lesione. A seconda del rapporto
intercorrente tra norme penali e fonti extra-penali il ventaglio dei reati si è
plasmato su tre principali tipologie di incriminazione così come individuate
dalla dottrina
10
: a) quelle che puniscono l’esercizio non autorizzato di attività
6
L.RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Cedam, Padova, 2009,10.
7
R. ZANNOTTI, op.cit., 383; G. AMARELLI, La riforma dei reati ambientali: luci e ombre
di un intervento a lungo atteso in www.penalecontemporaneo.it, 2; M. TELESCA,
Osservazioni sulla l.68/2015: ovvero i chiaroscuri di un’agognata riforma in
www.penalecontemporaneo.it, 3.
8
La citazione è di L. RAMACCI, op. cit., 9.
9
Così P. PATRONO, Il diritto penale dell’ambiente in Riv. trim. pen. ec., 1996, 1148; R.
ZANNOTTI, op.cit.,387 ss.; C.R. RIVA, op.ult.cit., 12 ss.; A. GARGANI La protezione
immediata dell’ambiente tra obblighi comunitari di incriminazione e tutela giudiziaria in
Scritti in memoria di Giuliano Marini a cura di S. Vinciguerra e F. Dassano, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli, 2010, 412.
10
L. SIRACUSA, op.ult.cit., 115 ss.
13
rischiose per l’ambiente, che di fatto sanzionano la mera assenza di
autorizzazione e quindi la funzione amministrativa a prescindere dalla
sussistenza di un’offesa effettiva agli equilibri naturali; b) le fattispecie che
puniscono l’inosservanza di precetti extra-penali, che si risolvono in reati di
mera disobbedienza all’autorità secondo lo schema delle norme penali in
bianco; e infine c) le ipotesi di reato modellate sulle c.d. soglie di punibilità
che incriminano il superamento dei limiti previsti dalle disposizioni
amministrative in relazione all’immissione di sostanze nocive per
l’ecosistema, indicate in apposite tabelle o allegati e richiamate dalle norme
incriminatrici
11
.
L’adozione di modelli di tal genere trae con sé diverse conseguenze.
Il perfezionamento del reato coincide con la violazione delle prescrizioni
dell’autorità
12
e configura un illecito di mera disobbedienza in cui il disvalore
della condotta è depositato non nella causazione di un’offesa a un bene
giuridico ma nell’intralcio alla funzione amministrativa
13
la quale è l’oggetto
diretto della tutela e il cui esercizio riempie di contenuto l’incriminazione,
con conseguente anticipazione della punibilità
14
.
L’ambiente riceve al contrario una protezione mediata e al contempo
anticipata poiché non è sanzionata la sua lesione concreta ma la mancata
richiesta di un provvedimento, l’omessa osservanza di un precetto, oppure il
superamento dei limiti previsti. L’intervento penale assume quindi carattere
esclusivamente rafforzativo e sanzionatorio di regole allo stesso estranee
15
.
11
M. CATENACCI, I reati in materia di ambiente in Questioni fondamentali della parte
speciale del diritto penale di A. FIORELLA, Giappichelli Editore, Torino, 2012, 348 ss. in
cui l’autore riporta a titolo di esempio, per la prima classe di ipotesi: l’art. 256 T.U.A. che
punisce chi effettua attività di smaltimento di rifiuti in assenza di autorizzazione regionale;
per la seconda classe: l’art 25 comma 2 del d.P.R. 203/1988 relativo all’inosservanza delle
prescrizioni che hanno autorizzato l’apertura di un impianto di emissioni gassose; per la terza:
l’art 137 comma 5 T.U.A. che punisce il superamento dei limiti tabellari nell’effettuazione
di uno scarico di acque reflue industriali; C.R. RIVA, op. ult. cit.,15. L’autore ricorda che a
tali archetipi sfuggono alcune fattispecie codicistiche e due di cui al D.Lgs. 152 del 2006
ovvero l’omessa bonifica e l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti.
12
E. LO MONTE, Diritto penale e tutela dell’ambiente. Tra esigenze di effettività e
simbolismo involutivo, Giuffrè Editore, Milano, 2004, 132.
13
G. INSOLERA, Modello penalistico puro per la tutela dell’ambiente in Dir. proc. pen.,
1997, fasc. 6, 737.
14
E. LO MONTE, op. cit., 133 ss.
15
E. LO MONTE, ibidem.
14
L’adozione di un modello c.d. politico-amministrativo si riverbera inoltre sul
ruolo degli attori della tutela in quanto sottrae al giudice la valutazione
relativa all’offesa e la rimette alla pubblica amministrazione che diviene
mediatrice tra interessi in gioco, stabilendo i parametri di pericolosità
16
.
Infine consente di ovviare alle problematiche che sarebbero derivate se
fossero state adottate fattispecie di evento: la dimensione seriale delle
condotte rilevanti porta con sé notevoli difficoltà nell’individuare il soggetto
responsabile e nella ricostruzione del nesso causale, paventando il rischio di
una probatio diabolica
17
.
2.2 Il carattere contravvenzionale delle fattispecie.
La scelta di qualificare gli illeciti ambientali come contravvenzionali -salvo
alcune ipotesi delittuose, tra cui il traffico illecito di rifiuti e attività
organizzate per il traffico illecito di rifiuti, previste agli artt. 259 e 260 d.lgs.
152/2006, peraltro ritenute il frutto di un improvvisazione del legislatore e
non di un intervento consapevole
18
-, risponde anch’essa all’idea
dell’accessorietà del diritto penale rispetto alle funzioni amministrative e alla
connessa esigenza di anticipazione della tutela. Al modello strutturale che
punisce non chi provoca una lesione concreta ma chi non rispetta le
disposizioni dettate dall’autorità risulta sicuramente più consona la
configurazione della fattispecie come contravvenzionale
19
.
L’adozione di tale paradigma è inoltre incentivata dalle importanti
conseguenze che determina sul criterio di imputazione soggettiva del fatto, in
quanto l’art. 42 comma 4 c.p. attribuisce responsabilità penale all’autore
indistintamente a titolo di dolo o di colpa, agevolando notevolmente
l’accertamento dell’elemento soggettivo in sede processuale
20
.
16
G. INSOLERA, op.ult.cit., 739.
17
A. MANNA, Le tecniche penalistiche di tutela dell’ambiente in Riv. trim. dir. pen.
ec.,1997, 669; per le problematiche inerenti l’individuazione del soggetto attivo del reato
relativamente a fattispecie d’evento, nella specie di disastro ambientale, si veda par. 1 ss. sez.
III cap. III; per quanto riguarda la causalità si rinvia a par. 2 ss. sez. III cap. III
18
G. DE SANTIS, La tutela penale dell’ambiente dopo il d.lgs. n. 121/2011 di attuazione
della direttiva 2008/99/CE in Resp. civ. e prev., fasc.2, 2012, 668.
19
C.R. RIVA, op.cit., 20.
20
C.R. RIVA, idem., 21.