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INTRODUZIONE
La partecipazione di soggetti incapaci in impresa è argomento trattato dalla
dottrina soprattutto nei manuali di volontaria giurisdizione e di diritto
commerciale. I principali contributi teorici si soffermano sul tema spesso in
maniera sbrigativa, rinviando ad altri lavori o non approfondendo le varie ipotesi
in cui l’incapace può trovarsi nell’ambito della vita aziendale. Pochi sono i testi
che discutono in modo ampio le implicazioni che una partecipazione in impresa,
individuale o collettiva, comporta per l’incapace. Ancor meno sono le pronunce
della giurisprudenza di legittimità e di merito sull’argomento. A questo si
aggiunga una scarsa disciplina concretamente applicabile all’interdetto e al
beneficiario dell’amministrazione di sostegno la quale si compone di pochi
articoli, che riguardano principalmente la partecipazione ad un’impresa
individuale preesiste o ad una società in nome collettivo. In tutti gli altri casi non
espressamente disciplinati, si deve ricorrere allo strumento dell’interpretazione.
Invero la dottrina non manca di opinioni in materia, che molto spesso sono
contrastanti tra loro e non avvalorate da pronunce giurisprudenziali che ne diano
autorevolezza.
L’obbiettivo di questo lavoro è quindi fare chiarezza nell’articolato astrattismo
tecnico e teorico che caratterizza la disciplina della partecipazione dell’interdetto
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e del beneficiario dell’amministrazione di sostegno ad un’impresa, esaminando le
differenti posizioni dottrinali e giurisprudenziali, alla luce delle diverse ipotesi
mosse nei capitoli seguenti, e aderendo di volta in volta agli orientamenti che sono
ritenuti più ragionevoli, al fine di determinare se e come il rappresentante legale
può gestire l’impresa o la quota societaria. A tal fine occorre fare una precisazione
nella terminologia adottata. La dottrina, cosi come questo lavoro, si riferisce
spesso all’interdetto come a quel soggetto che partecipa all’impresa o che può
iniziare o meno nuove attività e società. Non si deve esser portati a pensare che sia
quest’ultimo effettivamente a gestirla, o che sia sempre quest’ultimo ad avanzare
l’ipotesi di iniziare una nuova impresa. L’interdizione, lo si vede
successivamente, si applica quando il soggetto è affetto da una infermità mentale
particolarmente grave, tale che difficilmente sarà in grado di discernere la realtà e
di avere le facoltà mentali per prendere siffatte decisioni. Su tutto opera il
meccanismo della rappresentanza legale: è il tutore in virtù dell’incarico
conferitogli dal giudice che ha l’onere di agire nell’interesse dell’interdetto, anche
nella gestione d’impresa, ove previsto.
Stessa cosa non si può dire del beneficiario dell’amministrazione di sostengo, il
quale è, fino a prova contraria, capace di agire. Il limite della sua capacità lo si
riscontra unicamente nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.
Il metodo utilizzato per approcciare l’argomento divide la trattazione in tre
capitoli. I primi due concernono l’imprenditore interdetto mentre l’ultimo si
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sofferma sul beneficiario dell’amministrazione di sostegno e la problematica
dell’incapacità naturale in connessione alla partecipazione in un’impresa.
Due solo le ipotesi principali che vengono affrontate nella varie forme giuridiche
in cui in incapace può partecipare. La prima, quella di un imprenditore cui la
situazione d’incapacità sia sopravvenuta improvvisamente, per un incidente o una
malattia non sospetta, da cui scaturisce il problema di comprendere il destino
dell’impresa che gestiva o delle partecipazioni che egli deteneva in una società.
La seconda ipotesi è invece relativa alla facoltà, per l’interdetto, di iniziare una
nuova impresa o una nuova società. In tal senso, quello che si analizza è la
necessità o meno del rappresentante legale dell’incapace di ottenere particolari
autorizzazioni per continuare ovvero iniziare l’impresa e per compiere gli atti
relativi alla sua gestione.
Invero la dottrina e questo lavoro ruotano attorno alla necessità, laddove
manchino delle disposizioni del legislatore, di comprendere se i negozi che
l’incapace (o il rappresentante legale per lui) vuole concludere abbisognano o
meno di un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per il loro compimento.
Laddove quest’autorizzazione non è dovuta, opera la piena autonomia dei
soggetti, e l’incapacità non determina particolari impedimenti.
Nel primo capitolo si affronta la partecipazione dell’interdetto ad imprese
individuali. Dopo un discorso generale sull’interdizione onde comprendere la
procedura che porta un soggetto ad essere dichiarato completamente, o quasi
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completamente, incapace, ci si sofferma sulla problematica di continuare o
iniziare imprese commerciali e agricole e a chi sia demandata la loro gestione.
Per le imprese commerciali esiste la sola possibilità di continuare un’attività
preesistente. Con preesistente s’intende un’azienda già avviata e funzionante da
tempo. All’interdetto è, invece, preclusa la facoltà di iniziare una nuova impresa
commerciale, in quanto l’autorizzazione al continuo si basa su una valutazione
che il giudice tutelare deve effettuare ex art. 371, primo comma, numero 3, e
secondo comma, c.c. Da questa deve emergere la convenienza e l’utilità evidente
di continuare l’esercizio d’impresa ed essa si basa sulla proiezione futura di una
serie di informazioni (andamento storico dell’impresa, capacità reddituale, il
numero di clienti, l’indebitamento finanziario, l’entità del patrimonio e altri), che
non si possono avere nel caso di una impresa di nuova costituzione, inficiando
così qualsiasi possibilità di valutazione, e rendendo altamente rischioso investire i
capitali dell’incapace in siffatta avventura.
L’interdetto è del tutto incapace di compiere qualsiasi atto; sotto questo profilo,
quindi, la gestione dell’impresa è demandata principalmente al tutore, suo legale
rappresentante. Nel secondo paragrafo si da ampio spazio a questa e ad altre
ipotesi connesse: attribuzione tramite procura della gestione ad un soggetto terzo,
quale un institore, ovvero affitto dell’azienda.
Nella prima parte del quarto paragrafo ci si domanda se alla piccola impresa, data
la sua minore rischiosità e vista l’esclusione dalla procedura fallimentare, sia
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applicabile la stessa disciplina dell’impresa commerciale. Si risponde che questa,
anche se di piccole dimensioni, è pur sempre un’impresa commerciale, quindi ad
essa si applica la medesima disciplina. Nella seconda parte si valuta l’opportunità
di continuare, ma anche iniziare, una nuova impresa agricola, essendo considerata
come impresa non commerciale. Si dimostra che per la sua gestione si deve
ricorrere alla disciplina generale degli artt. 372 e seguenti del c.c. che obbligano il
tutore a richiedere l’autorizzazione ogniqualvolta compie atti di straordinaria
amministrazione inerenti la gestione agricola. Inoltre, si coordina quanto concluso
con la riforma del d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228, la quale ha assottigliato la
differenza tra impresa agricola impresa commerciale stessa, in quanto alla prima
sono riconosciute una serie di attività suscettibili di rafforzare l’aspetto industriale
dell’agricoltore.
Il secondo capitolo riguarda la partecipazione dell’incapace a società sia di
persone che di capitali.
In questo caso, stante sempre le due ipotesi di incapacità sopravvenuta (e la
relativa problematica di continuazione del rapporto societario) e la possibilità di
costituire una nuova società, la particolare forma giuridica adottata e la normativa
ad essa applicabile apre tutta un’altra serie di ipotesi che vengono valutate di
seguito. È il caso dello scioglimento del rapporto sociale per recesso volontario,
esclusione o scioglimento della società, oppure dell’espressione del voto in
assemblea o dell’assunzione della carica di amministratore.
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Il terzo capitolo si sofferma soprattutto sull’amministrazione di sostegno. Si è
inserito nel lavoro quest’ultimo istituto di volontaria giurisdizione perché la sua
elevata flessibilità lo rende, a mio avviso, uno strumento migliore in caso di
gestione d’impresa, in quanto principio fondamentale della disciplina è quello di
considerare l’imprenditore come generalmente capace di agire. Al tredicesimo
paragrafo, dopo un discorso generale sulla procedura per l’istituzione
dell’amministrazione di sostegno e i compiti dell’amministratore di sostegno, si
formulano diverse ipotesi in merito alla continuazione di un’impresa che il
beneficiario esercitava prima dell’istituzione dell’amministrazione. Si vede come,
applicando l’amministrazione di sostegno ad un ampio spettro di disabilità, vi è
l’ipotesi, non troppo remota, che l’imprenditore possa continuare a gestire la sua
impresa o a partecipare ad una società senza che il rappresentante legale debba
agire per suo conto. D’altro canto, all’imprenditore può essere anche riconosciuta
l’incapacità di gestire l’impresa, e a tal fine spetta al giudice tutelare stabilire se e
in che misura egli sarà assistito ovvero rappresentato dall’amministratore di
sostegno. Al quattordicesimo paragrafo si tratta la partecipazione del beneficiario
alle società di persone e capitali. Mentre al quindicesimo si esamina la
giurisprudenza prevalente a sostegno delle ipotesi raggiunte.
Nel diciassettesimo paragrafo si valuta l’opportunità, espressa anche dalla recente
dottrina e giurisprudenza, di affiancare all’amministrazione di sostegno un trust
interno autodestinato, ove disponente e beneficiario coincidono. Quest’istituto di
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origine anglosassone e di diritto straniero ben si adatta all’esigenza di tutela del
patrimonio dell’incapace, a maggior ragione quando al suo interno vi sia
un’impresa. Il trust, data la sua flessibilità, permette di demandare
l’amministrazione dell’azienda al trustee, soggetto che, a seconda dei casi, può
essere un terzo ovvero lo stesso amministratore di sostegno. La sua applicazione
in connessione all’amministrazione, però, non è esente da criticità. Esse
rappresentano un motivo di scontro con la disciplina presente nel nostro codice
civile, e sono esaminate affiancandole alle proposte della dottrina per, se non
aggirarle, renderle più conformi al nostro ordinamento.
Nella fine del terzo capitolo si esamina anche l’incapacità naturale e la relativa
problematica connessa all’attribuzione dell’attività d’impresa all’imprenditore
quand’egli è incapace di intendere e di volere. Tale aspetto assume particolare
rilevanza quando il titolare dell’impresa, sebbene molto anziano, manchi di
effettuare un passaggio generazionale. Da qui l’ipotesi che taluni atti che pone in
essere, possono essere frutto di un distorno discernimento della realtà dato dall’età
avanzata, per i quali gli eredi o aventi causa possono agire per chiederne
l’annullamento a norma dell’art. 428 c.c., previa valutazione dello stato
d’incapacità del soggetto. Preliminarmente a ciò si ragiona sull’esistenza o meno
di un’incapacità naturale protratta e duratura nel tempo, tale che l’intera gestione
d’impresa ne sia inficiata.
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CAPITOLO I
ESERCIZIO DI UNA IMPRESA INDIVIDUALE
Sommario: 1. L’interdizione in generale – 2. Gestione del tutore di una impresa
commerciale preesistente – 3. Inizio di una impresa commerciale ex novo – 4.
Impresa non commerciale e l’impresa agricola.
1. L’INTERDIZIONE IN GENERALE
Un soggetto acquisisce la capacità all’esercizio di un’impresa con la piena
capacità d’agire, ossia al compimento del diciottesimo anno d’età.
Quando si è pienamente capaci di agire non s’incontra nessun limite nel compiere
un qualsiasi atto di straordinaria amministrazione, ivi compresa la possibilità di
iniziare una nuova impresa o continuarne una già esistente. Cosa che non si può
dire quando si perde questa capacità (tra le altre cause) con una dichiarazione
d’interdizione conseguente un’infermità di mente sopravvenuta e tale da non
permettere al soggetto di provvedere a se stesso, come espresso dall’art. 414 c.c.
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Si distingue l’interdizione giudiziale
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, pronunciata da un giudice, dall’interdizione
legale. Quest’ultima è prevista dagli artt. 32 e 33 del codice penale e opera ex lege
senza bisogno di alcun giudizio. Differentemente dall’interdizione giudiziale,
quella legale non ha lo scopo di tutelare l’interdetto, bensì è una pena accessoria
per chi ha compiuto reati dolosi di gravità tale da comportare una reclusione
superiore ai cinque anni. In questo lavoro si prende in considerazione unicamente
l’interdizione giudiziale
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, e si affrontano varie ipotesi nelle quali l’interdetto vuole
iniziare o continuare un’impresa.
L’interdizione giudiziale è uno strumento di protezione diretto a particolari
soggetti, che si trovano in “condizioni di abituale infermità di mente che li rende
incapaci di provvedere ai propri interessi”
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, volto a privarli della capacità d’agire.
All'interdizione si ricorre nei casi più gravi, perché l'interdetto perde di regola
totalmente la capacità di agire, tanto che per compiere qualsiasi atto, eccettuati
quelli cd. personalissimi, dovrà essere rappresentato (o tal volta assistito) da un
tutore.
Il soggetto che può essere interdetto è individuato dell’art. 414 c.c. nel minore
emancipato e nel maggiore d’età. Condizione per essere dichiarato interdetto è
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Per l’interdizione si possono vedere tra gli altri: A. PELLECCHIA, Separazione, divorzio,
interdizione e inabilitazione, Giuffrè editore, Milano, 2008; I. CORDA, Amministrazione di
sostegno, interdizione, inabilitazione. Questioni processuali, Giuffrè editore, Milano, 2010; S. DE
FRANCO, A. CRESCENZI, S. M. TERESA, Il procedimento di interdizione, inabilitazione e
amministrazione di sostegno, Giuffrè editore, Milano, 2011.
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Come si dirà successivamente al § 2, quanto nel proseguo affermato, si può dire anche per
l’interdetto legale.
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Art. 414, primo comma, c.c.