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INTRODUZIONE
Immaginando, per astrazione, di descrivere un mondo dove esistono vari congegni
meccanici, ognuno con il proprio meccanismo specifico, ciascuno con le proprie
funzioni ed esigenze di funzionamento, dovrà allora, dovrà esistere anche un soggetto
che abbia per scopo ed interesse il controllo e la verifica del buon funzionamento di
ciascun marchingegno, intervenendo ed aggiustandolo in caso di guasto e mal
funzionamento. Costui avrà la funzione d’essere il manutentore di tali meccanismi.
Ebbene possiamo considerare tali meccanismi come le imprese che formano l’ambiente
economico, ciascuna con le proprie caratteristiche, e differenti vesti giuridiche,
competenze tecnico-manageriali, settori d’operatività e così via. Ogni impresa risulta
essere a sua volta un soggetto complesso formato da varie parti (divisioni o funzioni a
seconda della scelta operativa effettuata), ciascuna con diverse funzioni e obiettivi ma
ognuna concorrente al corretto funzionamento dell’impresa stessa. Tali parti possono
essere considerate i meccanismi del congegno meccanico “impresa” che pur essendo di
varia misura ed assolvendo a differenti funzioni, operano all’unisono concorrendo al
corretto, efficiente ed efficace funzionamento del dispositivo “impresa”.
Risulta chiaro allora che ogni meccanismo con la propria complessità non è sottoposto
solamente a difficoltà interne a cui far fronte (vuoi per attrito tra le parti, o per la rottura
di singoli pezzi), ma, essendo inserito in un contesto ben più ampio, è sottoposto
costantemente a spinte e forze dirette ed indirette dall’esterno. Qualora però tale
congegno, vuoi per incuria dei manutentori, vuoi per il mutamento del contesto
ambientale in cui esso è posto e che lo rende non più in grado di rispondere
efficacemente alle sfide esterne, si trovi ad affrontare situazioni di stress, il corretto
funzionamento potrebbe risultarne incrinato causando lo squilibrio tra le parti del
meccanismo stesso. In questo caso se non si riuscirà a porre rimedio con tempestività e
validità a questi cambiamenti, si giungerà ad una situazione di difficoltà che, in un
crescendo negativo, passerà da momentanea a permanente con la rottura definitiva del
marchingegno.
Mantenendo la finzione letteraria si ha che di fronte a questi mutamenti si possono
indicare due possibili modalità di agire del manutentore: egli infatti può promuovere la
distruzione del dispositivo meccanico attraverso lo smembramento ed eventualmente il
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riutilizzo delle sue parti meccaniche in altri meccanismi, oppure, se riesce ad agire
tempestivamente attraverso la manutenzione ordinaria, la riparazione dello stesso
eventualmente cambiando le parti difettose, stringendo meglio le viti ed oliando
nuovamente il tutto.
Se invece tale dispositivo fosse così complesso da avere esso stesso le capacità e
competenze per auto regolare la situazione di crisi operando autonomamente le scelte ed
attuando direttamente le operazioni volte a ripristinare lo stato precedente, è ancora
necessario l’intervento diretto del manutentore? Non è forse preferibile lasciare che sia
l’apparecchio stesso ad auto regolarsi intervenendo solamente in caso di fallimento
dell’iniziativa dello stesso e solo allora decidere se rottamarlo definitivamente o tentare
nuovamente di aggiustarlo, ma questa volta coattivamente? Qualora poi si consideri che
questo ambiente immaginario si presenti più complesso per via della presenza di vari
meccanismi con funzioni/capacità diverse, che possono essere molti i congegni che si
guastano e che le procedure per ripararli o rottamarli siano piuttosto complesse e lunghe
in termini temporali, è ancora saggio mantenere un controllo diretto su ciascuno di essi
da parte del manutentore, correndo il rischio che questi non sia più in grado di seguire
con efficacia ogni singola situazione? Oppure è preferibile favorire l’autoregolazione da
parte dei congegni stessi?
Parlando fuor di metafora e tornando alla realtà dei fatti, sono varie le tematiche che si
possono sviluppare nell’ambito complesso della crisi d’impresa.
La crisi stessa è connaturata all’attività d’impresa in quanto lo svolgimento di tale
attività comporta in capo all’imprenditore l’assunzione di molti e complessi rischi, e la
costante incertezza negli scenari futuri.
Con questo lavoro, allora, ci si propone di sviluppare l’analisi degli Accordi di
Ristrutturazione dei Debiti, come delineati dall’art. 182-bis della Legge Fallimentare,
istituto introdotto con lo scopo di dotare il panorama normativo di uno strumento che
permettesse una risoluzione della crisi d’impresa con modalità alternative alle procedure
concorsuali. La principale novità, rispetto agli istituti previsti nella legislazione
fallimentare, della disciplina degli accordi stragiudiziali consiste nell’eccezionale carica
autonomista garantita in capo ai soggetti che vi ricorrono rispetto alle precedenti
procedure concorsuali: tanto l’imprenditore quanto i creditori sono liberi di cercare e
concludere un accordo con il quale rispondere alle diverse esigenze, attraverso il quale
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poter raggiungere il duplice (e certamente non facile) scopo di favorire il
soddisfacimento delle pretese creditorie e di ripristinare l’economicità nella gestione
dell’impresa, rimuovendo in tal modo la crisi stessa.
Così delineato, allora, l’istituto degli accordi va ad inserirsi in un panorama che ha visto
una generale rivisitazione e modifica da parte del normatore al fine di rendere gli
strumenti di risoluzione della crisi d’impresa e dell’insolvenza, più adatti ai tempi e
maggiormente efficaci e rapidi nell’utilizzo. Tuttavia la complessità connessa allo “stato
crisi” e il carattere eccezionalmente negoziale dell’istituto accordi di ristrutturazione,
hanno fatto emergere alcune criticità nell’utilizzo alle quali il legislatore ha risposto a
rilento e non sempre con efficacia.
L’istituto che con il tempo si è delineato allora presenta dei caratteri peculiari che si
approfondiranno con questa tesi.
Volendo dare maggior spazio allo studio della caratteristica principale degli accordi,
l’autonomia lasciata ai privati, si è diviso il lavoro in due parti:
- nella prima parte si evidenziano i caratteri principali dell’istituto approfondendo
il rapporto tra autonomia privata, crisi d’impresa e intervento dell’autorità
giudiziaria. Nella parte iniziale del primo capitolo si esaminerà il significato
economico della crisi d’impresa e la tipologia di interventi che l’imprenditore (o
il management) può adottare. Nel secondo sotto-capitolo si analizzerà il
significato dell’autonomia privata nell’ambito della crisi d’impresa prima in una
breve ricostruzione storica, successivamente attraverso il confronto tra
l’insolvenza di tipo concorsuale e quella c.d. privata, infine si riprenderà il filone
storico delineando le tappe che hanno portato all’introduzione dell’istituto degli
accordi nella legge fallimentare, evidenziando il mutato atteggiamento del
legislatore nei confronti delle dinamiche incidentali nella vita d’impresa.
Il terzo sotto-capitolo evidenzierà le finalità e protezioni garantite agli accordi
che verranno riprese e ampliate nei capitoli successivi del lavoro.
Il quarto sotto-capitolo specifica e sottolinea la significativa assenza del carattere
di concorsualità per l’istituto e dell’autonomia dello stesso, dal concordato
preventivo.
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Con il quinto, infine, inserendo gli accordi nelle procedure di composizione
negoziale della crisi d’impresa, si effettuerà una comparazione dell’istituto con il
concordato preventivo e con i piani di ristrutturazione attestati.
Nel secondo capitolo, invece, si inizia con l’analisi della coesistenza di una
natura stragiudiziale e di una natura giudiziale nell’istituto, e si prosegue con i
successivi sotto-capitoli nello studio degli accordi come contratto di
ristrutturazione, secondo i requisiti fondamentali richiesti dalla legge,
evidenziando, anche in questo caso, criticità e punti di forza di questo strumento.
- Nella seconda parte si evidenzierà il funzionamento degli accordi attraverso
l’analisi della fase stragiudiziale nel primo capitolo, specificando allora i
presupposti richiesti per accedere all’omologa e le protezioni previste e
garantite dalla normativa (ciò che si vedrà essere il c.d. “ombrello protettivo”).
Con il secondo capitolo invece si analizzerà la fase giudiziale, specificando la
natura dell’intervento del Tribunale con l’omologazione e la tipologia degli
effetti conseguenti ad un accordo omologato anche relativamente all’esenzione
dai profili penali.
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PARTE PRIMA:
Gli accordi di ristrutturazione del debito: profili generali
dell’istituto
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CAPITOLO 1.I
Gli elementi caratterizzanti.
1.1 Economicità e crisi d’impresa: la preferenza per la soluzione privatistica.
Considerando la crisi di un’impresa come uno stato di natura, vale a dire un possibile e
naturale sviluppo della vita di questa, giova chiarire cosa effettivamente si intenda con
tale espressione dal momento che la sua definizione risulta essere decisiva per poter
approfondire l’analisi dell’istituto degli accordi in modo adeguato. Nel giungere a
questa nozione può essere maggiormente utile procedere a ritroso nell’analisi del
declino d’impresa, partendo quindi dalla situazione definitiva dell'insolvenza.
Essa infatti non risulta mai essere un evento isolato, si presenta invece come l’ultima
manifestazione esteriore e conseguenza diretta di un percorso, più o meno lungo, che
vede il passaggio prima in altre fasi o stadi che presentano stretti legame di dipendenza
tra di loro. In questa sede non ci si propone di approfondire tematiche già ampiamente
affrontate nella letteratura economica e specialmente aziendalistica, si richiamano solo
alcuni concetti che permettono di sviluppare meglio la trattazione
1
.
Il dissesto di un’azienda è una situazione a carattere definitivo conseguente
dall’insolvenza, la quale a sua volta discende da un percorso formato da due fasi
distinte: declino e crisi.
Volendo rappresentare la vita di un'impresa con gli strumenti della geometria analitica
la curva che risulta essere maggiormente efficace a tal scopo, e per questo più usata in
letteratura, è certamente la parabola. La semplicità di questo strumento (utilizzato anche
per raffigurare il ciclo di vita di un prodotto) consiste nel raffigurare efficacemente le tre
classiche fasi di crescita (caratterizzata dal forte andamento crescente della curva),
maturità (identificata con il vertice della parabola), declino (dall’andamento
decrescente) della vita di un’impresa. La crisi quindi risulta essere solo l’ultima
manifestazione esterna di questa progressione, successiva al declino, fase che si
potrebbe concludere con la scomparsa dell’impresa dal mercato. Questo in base alle
rappresentazioni classiche della vita di un'impresa. Si è rilevata, tuttavia, la presenza di
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Per un’analisi più approfondita si veda tra tutti L. Guatri, in Turnaround. Declino, crisi e ritorno al
valore, EGEA, 1995;
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una ponderante modifica delle tre fasi sopra menzionate che ha comportato serie
incidenze nello sviluppo dell'azienda. Infatti lo sviluppo economico avvenuto negli
ultimi anni e la formazione di un mercato di carattere sempre più globale, hanno
comportato una diffusa compressione della fase di maturità, mutamento che è stato
ripreso anche nelle rappresentazioni grafiche: ora al vertice della parabola della vita
d’impresa viene comunemente attribuita la fase di declino, non più di maturità,
portando alla significativa conclusione che il processo che porta al dissesto ne risulta
anticipato.
Questo evidente paradosso è stato ben evidenziato da A. Danovi
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il quale affermando
che “il momento di inizio della crisi coincide con l’apice del successo” spiega come in
realtà “in periodi di ipercompetizione, come l’attuale (situazione economica dovuta alla
globalizzazione), per l’azienda è difficile difendere a lungo la propria posizione
concorrenziale” e per tal motivo “non esiste più un durevole stato di maturità in cui
l’impresa gode di un vantaggio competitivo sostenibile senza subire la minaccia
dell’ambiente esterno e dei competitors”.
Pertanto in assenza di una costante spinta competitiva l’impresa non riesce a sfruttare
pienamente e a proprio vantaggio la posizione di maturità conquistata, essa invece
manifesta in anticipo gli squilibri finanziari e le inefficienze che sono causa delle prime
perdite economiche - che non si evidenziano solo dal confronto con le performance
passate ma anche in relazione alle aspettative di risultato future - e motivo di distruzione
di valore. Qualora l’imprenditore o il management non riuscissero a fronteggiare la
situazione adottando le misure adatte a contrastare le inefficienze e il deterioramento
dell’immagine e dei rapporti con gli stakeholder, ciò che originariamente poteva essere
solo uno squilibrio e una temporanea diminuzione dei flussi di cassa, inizia a
manifestarsi come una situazione a carattere definitivo.
Come anticipato in assenza di interventi significativi alla fase di declino sopraggiunge
una vera e propria crisi che oltre all’aggravamento delle difficoltà già esistenti comporta
una seria perdita di credibilità nei confronti degli stakeholders (come ad esempio una
maggior diffidenza da parte dei finanziatori, principalmente gli istituti di credito, a
concedere nuovi fidi o semplicemente a confermare le esistenti linee di credito;
l’eventualità che i fornitori possano decidere di ridurre i quantitativi di merce concordati
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A. Danovi in Crisi d’impresa e risanamento finanziario nel sistema italiano, Milano, 2003, pag. 9.