LA LEGISLAZIONE PENALE CONTRO LA LIBERTA’ RELIGIOSA
NELL’IMPERO ROMANO - CRISTIANO
Uno itinere non potest perveniri
ad tam grande secretum.
Non si può arrivare per una sola via
a un così grande segreto.
(Quinto Aurelio Simmaco)
INTRODUZIONE
Questa tesi si occupa del trattamento giuridico penale riservato dalla legislazione
imperiale romana agli atteggiamenti religiosi eterodossi allorchè, abbandonati i vecchi
culti pagani, il Cristianesimo fu adottato come religione di Stato.
Varie ragioni hanno giustificato la scelta di questo argomento.
Anzitutto la constatazione che, a causa dell’intensa cristianizzazione che caratterizzò
pressochè l’intera epoca medievale e incise profondamente non solo sulle sfere individuali
ma anche sulle istituzioni, sui costumi sociali, sul comune sentire della gente, le
cronache storiche hanno inevitabilmente privilegiato l’ottica cristiana trascurando in
certo qual modo i fenomeni che rappresentavano una divergenza rispetto allo spirito dei
tempi.
Questo assetto asimmetrico ha comportato poi che la stessa sottovalutazione fosse
riservata al pesante tributo comportato dalla cristianizzazione. Se è verità storica
indiscutibile la politica persecutoria subita dai cristiani nei primi due secoli dell’era che
da essi prende il nome, è altrettanto vero che, una volta ribaltatasi la situazione a loro
vantaggio, manifestazioni di uguale intolleranza e violenza ebbero come vittime e martiri i
non cristiani ma i relativi resoconti certo non abbondano.
C’è stato poi l’interesse a comprendere gli effetti sociali della cristianizzazione.
Non si è voluto, ovviamente, tracciare impossibili scenari alternativi e immaginare
velletariamente quanto diversa sarebbe stata la storia umana se la Chiesa e il suo credo
non avessero conquistato quel posto così importante che invece hanno avuto nei secoli (e
per certi versi ancora detengono).
La storia ha un’imprescindibile correlazione con i fatti e questi dimostrano che il
Cristianesimo offrì una risposta importante e credibile agli uomini del Medioevo, ai loro
bisogni spirituali e materiali, alla loro esigenza di “non sentirsi soli” in una società
attraversata da profonde e durature lacerazioni e indebolita da paure esistenziali
altrimenti difficili da tenere a bada.
Fu sempre la Chiesa, sia pure in modo almeno parzialmente strumentale alle sue
esigenze di proselitismo ed egemonia culturale, ad esercitare un importantissimo ruolo di
preservazione e diffusione del sapere e a formare i ranghi da cui sarebbe poi germinato
l’insegnamento colto e popolare e, a cascata, il ceto che, proprio in quanto detentore del
sapere, costituì l’elite cui i sovrani si sarebbero affidati per l’amministrazione e la
produzione normativa.
E infine, ultimo ma non meno importante, fu soprattutto il Cristianesimo a dar vita alle
categorie morali che regolarono le relazioni interpersonali e gli fornirono la base valoriale
di riferimento.
È quindi un fatto che la Chiesa e il suo credo accompagnarono a lungo il cammino delle
popolazioni europee e bizantine in una sorta di riconoscimento reciproco.
E tuttavia, ancora una volta, è interessante tentare di comprendere se questo cammino
congiunto abbia imposto un prezzo. Cosa ne sia stato di quelle che oggi chiamiamo le
libertà civili (alcune delle quali già apparse in epoca classica ma seriamente
ridimensionate o addirittura annichilite nei periodi successivi), quali siano stati i
mutamenti (e, in caso, le torsioni) nella normazione, soprattutto quella in materia di
1
diritto pubblico, come gli individui abbiano reagito a quella normazione e l’abbiano
intesa.
In altre parole, si è voluto capire, sia pure entro i limiti derivanti dallo specifico oggetto
della tesi, in che modo le trasformazioni del periodo tardo – antico, dovute alla
cristianizzazione dell’Impero, abbiano interagito col diritto e con la vita concreta delle
persone di quei tempi.
Avvertenze di metodo
Il compito ed i fini illustrati nel precedente paragrafo hanno anzitutto richiesto una parte
definitoria.
È sembrato indispensabile infatti definire e delimitare con la maggiore esattezza possibile
ciò che deve intendersi per età tardo – antica, soprattutto in considerazione delle dispute
che ancora oggi riguardano questo periodo storico e gli eventi da ritenersi significativi per
la sua caratterizzazione identitaria.
Un’analoga operazione è stata compiuta per la definizione del concetto di Impero romano
– cristiano. In questo caso la difficoltà non è derivata tanto da dispute come quella
sull’età tardo – antica quanto piuttosto dalla complessità della fase di transizione dal
paganesimo al cristianesimo come strutture ideologiche portanti dello Stato e dalla
congerie di provvedimenti legislativi ed episodi storici che accompagnarono questo
passaggio. Si è trattato quindi di selezionare quelli di maggiore risonanza storica ma al
tempo stesso di più elevata significatività in quella fase cruciale.
Si è pensato poi che l’analisi di una svolta così importante e densa di conseguenze nei
secoli a venire dovesse essere condotta non solo attraverso gli accadimenti storici e i
percorsi normativi ma anche prendendo in considerazione il pensiero di quanti, di parte
cristiana o pagana, investiti o meno di pubbliche funzioni, contribuirono alla definizione
delle basi concettuali, filosofiche e politiche di quella gigantesca trasformazione.
Sono seguiti un’analisi generale, ancorchè sintetica, del diritto penale romano,
sostanziale e processuale, e della sua evoluzione nel tempo e un esame più dettagliato
delle figure di reato di cui si dotò la legislazione imperiale per conformare l’ordinamento
giuridico al ruolo centrale ormai riconosciuto al Cristianesimo.
Anche in questo caso, coerentemente all’intento di comprendere le ricadute sociali della
nuova normazione, sono stati esposti taluni episodi storici giudicati altamente
rappresentativi di quelle ricadute e, più in generale, delle reazioni popolari agli stimoli
legislativi dello Stato.
Si è pensato di assicurare in tal modo alla tesi un’organizzazione sistematica che, senza
trasformarla in un trattato o in una monografia specialistica, le permettesse comunque
di raggiungere i suoi scopi analitici e riflessivi.
Per quanto attiene infine all’apparato bibliografico, le relative citazioni sono state
anzitutto inserite a stretto contatto con i passaggi cui si riferivano, favorendo così la loro
maggiore visibilità e fruibilità.
Il loro elenco complessivo, classificato per tipologie di fonti, è stato inoltre esposto nella
parte finale.
2
CAPITOLO I
L’ETA’ TARDO - ANTICA
Indice del capitolo
Premessa
Dibattito storico sui confini temporali dell’età tardo - antica
Eventi determinanti per la caratterizzazione dell’età tardo – antica
La profonda crisi dell’Impero nel terzo secolo
Non solo crisi ma anche novità, cambiamenti ed evoluzioni
In particolare:
a) La reazione alla crisi: riorganizzazione dell’Impero e delle sue strutture portanti
b) Il nuovo ed accresciuto ruolo della Chiesa cristiana
c) Il profondo rimescolamento della popolazione dovuto alle penetrazioni barbariche
Premessa
Gli eventi sociali, culturali, istituzionali e legislativi oggetto di questa tesi si collocano per
intero in un periodo che gli storici contemporanei definiscono ormai da tempo come età
tardo – antica.
Nasce da qui l’esigenza di definire con la maggiore esattezza possibile i confini temporali
di tale periodo e gli accadimenti che lo caratterizzarono e contribuirono a dargli
autonomia rispetto alle epoche precedenti e successive.
Dibattito storico sui confini temporali dell’età tardo - antica
La definizione degli esatti confini dell’età tardo – antica è ancora tutt’altro che unanime.
Va registrata anzitutto l’opinione di chi colloca tale periodo tra il terzo e il sesto secolo d.
C., facendone coincidere l’inizio con l’estinzione della dinastia dei Severi, ovvero con
l’ascesa al potere di Diocleziano, e la conclusione con l’epoca giustinianea.
Non mancano tuttavia tesi differenti, ora volte ad un ridimensionamento della durata,
tale da comprendere solo il quarto ed il quinto secolo
1
, ora, al contrario, propense al suo
ampliamento. Si possono citare in tal senso l’opinione del Marrou
2
che comprende
nell’epoca tardo - antica l’intero terzo secolo e fino al sesto, quella dello Jones
3
che
individua il periodo compreso tra il 284 ed il 602 ed infine quella del Brown
4
che colloca
lo stesso periodo tra l’epoca di Marco Aurelio, dunque la metà del secondo secolo, e
quella di Maometto, dunque fino ai primi decenni del settimo secolo.
Eventi determinanti per la caratterizzazione dell’età tardo – antica
È chiaro che la determinazione dei confini temporali dell’età tardo – antica dipende
strettamente dagli eventi che ciascuna scuola storica o ciascun singolo studioso
considera determinanti per la caratterizzazione dell’identità di tale periodo.
Non mancano, come si è già visto, conflitti interpretativi anche a questo riguardo.
In questa sede e tenuto conto dell’oggetto della tesi e del suo periodo di riferimento,
appare tuttavia di maggiore interesse il nucleo di avvenimenti e trasformazioni sulla cui
collocazione all’interno dell’età tardo – antica vi è un consenso sostanzialmente unanime.
La profonda crisi dell’Impero nel terzo secolo
Una prima e importante linea guida può essere senz’altro individuata nella stessa
denominazione del periodo.
1
Averil Cameron, Il tardo Impero romano, Bologna, Il Mulino, 1995
2
Henry Irenèe Marrou, Decadenza romana o tarda antichità? III – V secolo, Milano, Jaca Book,
2
Henry Irenèe Marrou, Decadenza romana o tarda antichità? III – V secolo, Milano, Jaca Book,
1979
3
Harnold Hugh Martin Jones, The later Roman Empire, 284 – 602: a social, economic and
administrative survey 1964
4
Peter Brown, Il mondo tardo antico: da Marco Aurelio a Maometto, Torino, Einaudi, 1974
3
Tutte le volte che nella nomenclatura storiografica viene usato l’aggettivo “tardo”, si vuole
per ciò stesso riferirsi ad una condizione di decadenza la quale, manifestandosi
all’interno di una civiltà dopo un periodo di fulgore, ne esprime l’arretramento rispetto al
picco precedente ed un generale peggioramento degli indici più significativi.
L’esattezza di questa denominazione e del suo significato sottostante non può essere
seriamente messa in dubbio.
È certo infatti che nel corso del terzo secolo d.C. l’Impero romano dovette fronteggiare
una crisi senza precedenti.
Essa fu anzitutto dovuta alle stesse dimensioni raggiunte dal territorio imperiale,
talmente vaste da risultare di difficilissima difesa soprattutto nelle zone di confine e da
essere quindi esposte ai continui tentativi di penetrazione delle tribù barbare insediate in
prossimità della periferia dell’Impero.
Uno stillicidio di aggressioni, dunque, cui corrispose una crescente difficoltà nella difesa
dei confini, a sua volta dovuta all’impossibilità di schierare truppe dovunque fosse
necessario.
Al tempo stesso, e come fattore di ulteriore aggravamento della crisi, la disciplina e la
compattezza dell’esercito romano, tradizionalmente un punto di forza dell’Impero, si
erano notevolmente sfaldate fino a lasciare il posto ad una situazione di vera e propria
anarchia in virtù della quale i ranghi militari si divisero in una pluralità di fazioni,
ciascuna con un suo referente militare e politico e pronta ad alimentare il conflitto pur di
favorire l’ascesa del proprio leader.
Enorme influenza in senso negativo ebbero anche varie pandemie, caratterizzate da
altissimi tassi di mortalità e dalle quali derivò una drastica riduzione della popolazione.
Basti dire che l’epidemia di peste manifestatasi mentre era al potere Marco Aurelio
ridusse la popolazione dell’Impero da 70 a 50 milioni di persone
5
il che comportò un
rilevante spopolamento di vari territori dell’Impero ed un conseguente calo della
manodopera da adibire ai lavori agricoli.
Ne seguirono grandi difficoltà nel reperimento dei mezzi di sussistenza, un
impoverimento generale dell’economia, un rimescolamento al ribasso delle classi sociali (i
componenti del ceto artigianale confluirono in buona parte tra gli humiliores
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e persero
per ciò stesso una fetta rilevante dei loro diritti civili e sociali).
Mutamenti vistosi, e qui ci si avvicina all’oggetto di questa tesi, si ebbero in materia
religiosa.
Il tradizionale politeismo, tipico della religione romana, cui si accompagnava una
tradizione altrettanto radicata di tolleranza verso qualsiasi tipo di culto che non
minacciasse l’unità imperiale, fu messo in discussione fin dalla comparsa del
Cristianesimo. Si trattava non di piccole scaramucce ma di un vero e proprio scontro tra
visioni inconciliabili. Da un lato l’ideologia imperiale che esigeva, anche e soprattutto per
ragioni di unità politica, il riconoscimento all’imperatore degli attributi di “Signore e Dio”,
dall’altro il credo cristiano che esigeva a sua volta fede ed obbedienza esclusive verso il
Dio dei cieli e rifiutava di riconoscere natura divina a qualsiasi essere umano, fosse pure
il capo del più potente Impero mondiale dei tempi.
Non si parla peraltro di una minoranza sparuta se si considera che, secondo stime
storiche moderne, già alla fine del terzo secolo la popolazione di fede cristiana era
valutabile in svariati milioni di persone (da 7 a 15).
L’intransigenza religiosa dei cristiani, che finiva ovviamente per trasformarsi in
disobbedienza politica e fattore di turbativa sociale, provocò una dirompente reazione
dell’establishment imperiale che si tradusse in massicce campagne di persecuzione,
5
Giorgio Ruffolo, Quando l’Italia era una superpotenza, Torino, Einaudi, 2004.
6
Con questo termine erano designati i cittadini di rango sociale più modesto che, unitamente ai
tenuiores, componevano la plebe. L’appartenenza a tale ceto comportava una riduzione dei diritti
civili e l’assoggettamento, in caso di violazione della legge penale, a sanzioni aggravate rispetto a
quello applicabili agli honestiores.
4
iniziate con l’imperatore Decio e divenute particolarmente intense ed estese sotto
Diocleziano.
È perfettamente comprensibile il disegno strategico di quest’ultimo. Occorreva restaurare
l’unità imperiale come presupposto per fronteggiare la crisi del terzo secolo e questo fine
richiedeva che l’imperatore, in quanto simbolo e guida per tutti i sudditi, venisse
considerato una figura sacrale ed intoccabile, una vera e propria divinità terrestre.
Quest’aura doveva poi essere estesa ai dignitari più vicini all’imperatore, cioè coloro che
facevano parte del consiglio del principe, detto sacrum consistorium
7
.
La sublimazione dell’imperatore e della sua corte trovò la ferma opposizione dei cristiani
e da quel conflitto derivarono, come detto, non solo le persecuzioni ma il più generale
conflitto sociale generato dalla contrapposizione tra maggioranza pagana e minoranza
cristiana.
Non solo crisi ma anche novità, cambiamenti ed evoluzioni
È quindi certo che l’età tardo – antica portò con sé plurimi fattori di crisi profonda e
duratura della struttura e delle fondamenta ideologiche dell’Impero.
Eppure, quei secoli non furono soltanto questo.
Anche in quell’epoca, difatti, la storia umana non rimase ferma ed anzi segnò tappe
significative dalle quali è impossibile prescindere ancora oggi.
In particolare:
a) La reazione alla crisi: riorganizzazione dell’Impero e delle sue strutture portanti
Viene in rilievo a questo riguardo l’imponente opera riformatrice di Diocleziano,
imperatore dal 284 al 305.
Si deve a lui un vasto programma di riorganizzazione la cui idea portante fu il
rafforzamento in senso assolutistico e gerarchico del potere imperiale.
L’Impero fu diviso in due grandi partizioni amministrative: quella orientale la cui capitale
era Nicomedia (corrispondente all’odierna Izmit in Turchia) e quella occidentale con
capitale Milano.
A capo di ciascuna di queste partizioni fu posto un capo di rango imperiale che
assumeva la denominazione di Augusto. In sottordine, e destinato a succedere
all’Augusto, fu collocato un imperatore vicario che assumeva la denominazione di Cesare.
Questa struttura tetrarchica fu ideata allo scopo di eliminare in radice le lotte per la
successione imperiale che avevano caratterizzato i decenni precedenti, creando vuoti di
potere e una pericolosa anarchia.
Alle residue istituzioni repubblicane vennero assegnate soltanto funzioni formali ed
onorifiche.
Il governo effettivo del territorio venne progressivamente assegnato a funzionari imperiali
con un deciso potenziamento della burocrazia centrale ed una più capillare ed articolata
suddivisione dell’Impero in dipartimenti amministrativi.
La tetrarchia ebbe fasi alterne se si considera che già con Costantino l’Impero tornò alla
sua unitarietà precedente. Eppure il seme della divisione tra Occidente ed Oriente era
stato piantato ed avrebbe prodotto frutti importanti nei secoli a venire.
Non solo: l’opera riformatrice avviata da Diocleziano e consolidata da Costantino e il
ripristino dell’ordine politico che ne seguì favorirono una consistente ripresa economica
che si manifestò con grande forza nella parte orientale dell’Impero (mentre produsse
effetti sostanzialmente trascurabili nella parte occidentale) e durò fino a tutto il quinto
secolo e per buona parte del sesto, allorchè fu sostituita da una nuova congiuntura
negativa.
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Questo organismo era una sorta di consiglio privato dell’imperatore. Ne facevano stabilmente
parte i suoi più stretti collaboratori tra i quali il magister officiorum (capo dell’amministrazione
imperiale), il comes sacrarum largitionum (ministro delle finanze), il quaestor sacri palatii (ministro
della giustizia) e il comes rerum privatarum (ministro della proprietà privata). Poteva essere
chiamato a farne parte anche il praepositus sacri cubiculi (gran ciambellano).
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