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INTRODUZIONE
Testimonianza di una fra le attività etnomusicologiche più proficue ed entusiasmanti di tutto
il Novecento, la missione intrapresa da Béla Vikar János Bartók (1881-1945) e Zoltan Kodály
(1882-1967) nello riscoprire e analizzare la musica popolare e il canto contadino ungherese, fornì
innumerevoli spunti di riflessione sia ai i compositori stessi, sia ai posteri. Fra la moltitudine di
risvolti che questo lavoro di ricerca portò con sé, fondamentale fu quello di considerare per la
prima volta una nuova visione della musica e del far musica, non più come attività fine a se stessa
ma nata per rispondere ad esigenze ben più specifiche, assumendo ruoli funzionali e sociali
profondamente radicati negli usi e nelle consuetudini degli abitanti del mondo rurale. Attraverso
questa ricerca inoltre, Bartók e Kodály poterono finalmente screditare la posizione di musica
nazionale per eccellenza assunta dalla musica rapsodica zigana suonata nelle città la quale,
sviluppata nell’immaginario collettivo del periodo romantico e diventata fonte di ispirazione per
molti musicisti europei, non era di fatto ungherese ma di importazione straniera.
È dunque nostra intenzione indagare sul come e perché la ricerca del folklore musicale, figlia
diretta della fioritura delle scuole nazionali iniziata in Europa sul finire del XIX secolo, venne
vista da i due compositori quasi come una forma di necessità, un vero e proprio dovere da
adempiere nei confronti del proprio paese. Analizzeremo le modalità di ricerca mettendo a
confronto i vari stili e repertori raccolti da Bartók e Kodály nei loro viaggi, l’utilizzo del
fonografo, l’approccio del musicista col mondo contadino ed i riscontri storico-culturali che
questo lavoro seppe mettere in luce, ricordando come tutta la vicenda si collochi su uno sfondo
storico assai terribile, angoscioso e di assoluta incertezza quale il periodo precedente,
contemporaneo e successivo alla Prima Guerra Mondiale. Vedremo poi come lo studio sulla
musica popolare seppe aprire le porte ad un linguaggio armonico incredibilmente nuovo, ricco e
antico ma allo stesso tempo dal sapore decisamente moderno. Studiandone le caratteristiche e le
peculiarità, capiremo come questo linguaggio divenne ben presto la chiave per l’emancipazione
creativa del musicista nei confronti delle rigide regole dell’armonia tonale diventando lo
strumento liberatorio che permise, in particolar modo alla carriera di Bartók, di evolversi in
maniera sempre costante ed innovativa sino ad affacciarsi ad una forma di modernità musicale
dall’approccio indiscutibilmente personale e creativo, conducendo la musica novecentesca verso
strade rimaste fino ad allora inesplorate.
Nella speranza che queste pagine possano anche far suscitare spunti di riflessioni nei lettori,
il fine ultimo vuol essere quello di offrire un umile tributo all’immenso lavoro intrapreso dai due
compositori ungheresi all’inizio del secolo scorso, il quale fu per loro non solo scopo
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strettamente collegato alla propria attività musicale e professionale, ma un profondo ed autentico
messaggio di vita, di umanità e comunità, dimostrando come l’arte della musica possa diventare
indissolubile strumento di comunicazione sociale ed espressione di un intero popolo.
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CAPITOLO PRIMO
LA RICERCA POPOLARE
1.1 Nazionalismi musicali
Non v’è dubbio che il primo stimolo allo studio dei canti popolari […] sia coinciso con il
risveglio del sentimento di nazionalità
1
. (Béla Bartók)
Sin dalla sua origine, la storia della musica occidentale moderna fu, quasi esclusivamente,
legata allo studio di tre sole grandi nazionalità: italiana, francese e tedesca
2
. Le prime decisive
incursioni di musicisti provenienti da altre nazioni avvennero nel XIX secolo, ovvero col sorgere
del periodo romantico. Personaggi come Fryderyk Chopin, proveniente dalla Polonia, o Franz
Liszt, dalla vicina Ungheria, entrarono nel cuore dell’Europa musicale abbracciando pienamente
lo stile dell’epoca mantenendo però, Chopin su tutti, un certo legame affettivo con la propria
terra natia, riscoprendo e riproponendo la propria cultura musicale, come quella delle danze
(Mazurche
3
e Polonaise
4
) adattandole ai costumi salottieri parigini.
Fu proprio la seconda metà del secolo a risollevare i sentimenti nazionali anche al di fuori dei
confini mitteleuropei, “contagiando” territori sin ad allora mai veramente entrati nell’orbita della
storia musicale. Con il fiorire delle scuole nazionali musicali essi poterono finalmente assumere
un carattere dominante, contribuendo in modo determinante al destino della musica europea.
Il fenomeno delle scuole ebbe origine in un particolare contesto storico di rivoluzione che
portò gli stati da sempre dominati dalle grandi potenze egemoni ad una azione politica di lotta
per la ricerca d’indipendenza dal controllo straniero, motivata da una profonda ricerca delle
proprie radici (tradizioni e canti popolari, patrimonio linguistico e artistico).
Dopo il Congresso di Vienna del 1815, i vincitori contro Napoleone stabilirono il nuovo
assetto geografico e politico dell’Europa e ogni stato si organizzò per rispondere all’ondata
rivoluzionaria che aveva sconvolto l’intero continente tra il 1790 e il 1814. Successivamente altri
moti rivoluzionari, quelli della cosiddetta “Primavera dei popoli” tra il 1830 e il 1849, furono di
fondamentale importanza nel sollevare le iniziative indipendentistiche sconvolgendo
nuovamente tutta l’Europa.
1
Cit. Bartók [1977], p. 85.
2
Parlando di nazionalità tedesca, si vuole far riferimento sia all’Austria che al territorio dell’odierna Germania.
3
Le mazurche sono danze popolari di origine polacca.
4
Le polonaise (polacche in italiano) sono danze nazionali polacche di origine popolare e di carattere cerimoniale.
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Una reazione musicale si mosse di pari passo a quella politica, le prime vere forme di scuola
nacquero così in Spagna (Albéniz, Granados e successivamente De Falla); in Norvegia (Grieg);
in Finlandia (Sibelius); in Boemia (Dovřak e Smetana).
A giocare un vero e proprio ruolo da protagonista fu la Russia, dove l’attività musicale venne
alimentata da un fortissimo animo nazionalistico, nato in questo caso non come rivendicazione
d’indipendenza politica, ma come ricerca e costruzione di un’identità culturale. La scuola russa
si identificò principalmente nel “Gruppo dei cinque”, formato da Milij Balakirev, César Kjui,
Nikolaj Rimskij-Korsakov, Aleksandr Borodin e Modest Musorgskij.
Fu proprio quest’ultimo il più radicale nazionalista nel senso stretto del termine, iniziatore di
un proto-socialismo musicale che lo portò ad un conseguente isolamento dal gruppo. Musorgskij,
forse il più geniale artisticamente parlando dei cinque, tese a muoversi autonomamente, in
direzione quasi opposta agli altri musicisti russi ma parallela a quella del movimento populista
5
:
andare verso il popolo, vero cuore della nazione
6
. Ed ecco che l’arte, la musica, non furono più
solo materie fine a se stesse, ma divennero strumento di aggregazione fra individui della stessa
cultura, identificandosi in essa: conoscere e rappresentare l’identità dell’uomo russo.
Le scuole nazionali non divennero mai movimenti completamente indipendenti. Nell’’800,
soprattutto nell’Europa dell’est, ma anche in Scandinavia, tutte le istituzioni musicali presenti
erano d’origine o italiana o francese o tedesca (i teatri “all’italiana”, i balletti “alla francese”).
Emanciparsi da tali “potenze” culturali non era passaggio facile, tanto meno immediato, proprio
per questo le prime correnti nazionali furono fortemente debitrici della musica romantica colta,
quella appartenente all’Europa centrale. La possibilità di una musica di dichiararsi
autenticamente “nazionale” andava incontro a molti ostacoli: convenzioni culturali che, nel bene
o nel male, si erano già da tempo affermate ovunque. Una cosa è certa, per la prima volta nella
storia della musica, popoli di varie nazioni si unirono, facendosi promotrici della propria cultura,
cercando di svincolarsi dai sistemi ai quali da sempre erano stati sottomessi.
1.1.1 La scuola ungherese e il sentimento magiaro
Situata nel cuore dell’Europa slava, al confine con i territori asiatici, attraversata dal Danubio
e da immense distese di pianure fertili, l’Ungheria fu uno dei paesi che più subì nel corso della
storia un continuo susseguirsi di incursioni e di dominazioni da parte di popoli stranieri prima
5
Il Populismo fu un movimento politico e culturale nato nell’Impero russo nella seconda metà dell’Ottocento. Formato
da intellettuali e studenti, il movimento proponeva l’emancipazione delle masse contadine e la creazione di una politica
socialista, in reazione al regime zarista e ai gravi problemi economici.
6
Di Benedetto [1972].
8
del raggiungimento di una propria indipendenza (Repubblica ungherese nel 1918 ma vera
stabilità dopo le rivoluzioni interne durante il periodo sovietico
7
).
Come nelle altre nazioni, anche in Ungheria il XIX secolo vide la luce di una forte riscoperta
culturale che portò a scontrarsi contro l’Impero austriaco degli Asburgo. Memorabile divenne
Lajos Kossuth, l’eroe nazionale che nel 1948 guidò il popolo ungherese verso la propria
indipendenza, raggiungendola parzialmente nello stesso anno (non si separò mai definitivamente
dall’impero austriaco) e ottenendo diversi nuovi territori (Slovacchia, Transilvania, Croazia e
Istria).
Ricercando un solida identità, l’Ungheria non poté che re identificarsi con il popolo che per
primo si instaurò in questo luogo creandone una civiltà autonoma, ricca di patrimoni storici,
artistici e culturali. I magiari
8
, che oggi sono più del 90% della popolazione ungherese,
arrivarono da est, dalla zona dei monti Urali intorno al X secolo, occupando la Pannonia e l’intera
zona dei Carpazi. Facenti parte dei cosiddetti “popoli delle steppe”, i magiari erano per lo più
contadini e pastori, un popolo modesto, sostenuto da un profondo legame con la terra.
Il Romanticismo vide in Ungheria il sorgere di una ricerca d’indipendenza non solo
territoriale ma anche culturale, in particolar modo musicale, con la nascita di una scuola
nazionale, o meglio, magiara. Sicuramente è da ricordare la nascita Franz Liszt, nato quasi per
caso in Ungheria, portato via sin da fanciullo alla ricerca di una promettente carriera pianistica,
trovando infine a Parigi il miglior posto dove stabilirsi. Parigi era all’epoca la città d’eccellenza
del pianismo. Certo, la madre patria mantenne uno spazio nel cuore del compositore, tanto che a
essa dedicò una serie di rapsodie nello stile popolare
9
.
Ma a gettare le fondamenta di una prima idea di scuola, fu senza dubbio il compositore Ferenc
Erkel che divenne in poco tempo sia direttore del teatro nazionale di Budapest che della scuola
superiore di musica. Fu lui decretato come il porta voce di questa nuova sensibilità patriottica
nei confronti delle proprie origini e fu nelle sue opere come Bánk bán (1861, in 3 atti) a cui ci si
riferisce pensando all’opera nazionale dell’Ungheria. Le trame delle sue opere nacquero
direttamente dalla tradizione culturale e storica magiara. Lo stile delle sue melodie è ecclettico,
con molte affinità allo stile italiano (più che a quello tedesco).
Solo il passaggio tra i secoli XIX e XX, riuscì a portare alcuni compositori a cambiare la
realtà, a superare uno stile romantico che oramai era diventato inappropriato per rispondere alle
nuove esigenze musicali che si andarono ricercando. I musicisti si fecero così ricercatori sul
7
Rivoluzione ungherese del 1956.
8
Da “Magyar” che significa “ungherese”.
9
Si veda l’analisi ad esse dedicata a p. 5.