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INTRODUZIONE
L’oggetto di studio della presente tesi è il trauma, inteso come concetto clinico e
psicopatologico. Il concetto di trauma e la relativa argomentazione riguardo alla
traumaticità di un evento, di una situazione o di una relazione, è, ancor oggi, dopo quasi
due secoli di ricerche, ancora molto attuale e ricca di spunti speculativi ed empirici.
Nel corso degli anni, in psicologia clinica, tale costrutto ha assunto varie configurazioni,
che cercheremo di esaminare nel primo capitolo di questa tesi. La scelta di analizzare
vari punti di vista sulla teorizzazione sul trauma, come quella energetica, quella
relazionale e quella neurobiologica, parte proprio dalla convinzione che tale analisi
risulti molto complessa, in quanto il trauma determina modificazioni in tutte le
componenti dell’individuo che lo subisce: cognitive, biologiche, psicologiche, sociali e
relazionali. Il primo capitolo ripercorre, appunto, la storia del trauma in psicologia
clinica, partendo da una visione di questo in senso prettamente biologico: i sensisti e gli
psichiatri di inizio Ottocento, infatti, credevano che il trauma producesse effetti solo di
ordine biologico sulla vittima. Ben presto tale visione fu criticata da molti studiosi,
ancorati dalla nascita di nuove discipline, come la psicologia, i quali iniziarono a
concentrarsi sugli effetti di ordine psicologico che il trauma produce. Tra le teorie più
importanti, approfondiremo quella freudiana, che, basandosi sugli studi effettuati da
Charcot riguardo l’ipnosi, esprime che il trauma sia un evento che provochi una forte
stimolazione, o meglio, una sovra stimolazione che l’individuo è incapace di liquidare,
determinando un disturbo nell’economia energetica della psiche. Freud parlerà anche
del concetto di fissazione del soggetto al momento del trauma, meccanismo legato
all’angoscia, cioè la reazione originaria all’impotenza vissuta nel trauma; il trauma e gli
stati affettivi ad esso associati, per Freud, saranno “agiti” nel presente, sotto forma di
risposte comportamentali, ad esempio.
Per quanto riguarda invece la teoria di Sandor Ferenczi, egli definisce il trauma come un
forte shock che va a modificare il sé dell’individuo, il quale non riuscirà a formarsi
correttamente, ma solo attraverso una distruzione parziale o totale del sé precedente.
È quello che Ferenczi definisce come “frammentazione del sé”: l’individuo organizzerà
le varie parti del sé come distinte, come una sorta di difesa e di protezione contro la
sofferenza e il dispiacere intollerabile.
Anna Freud invece centra la sua teoria del trauma sull’Io, concepito come la vittima
principale dell’evento traumatico. Ella dà rilievo inoltre alla relazione madre – bambino,
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esprimendo che una funzionale relazione tra questi può avvenire quando la madre è
attenta ai bisogni del bambino e si adatta ai suoi ritmi, garantendo un’adeguata
maturazione dell’Io del bambino, processo fondamentale per il suo corretto sviluppo
futuro. Tra gli autori della scuola relazionale, prenderemo in esame Donald Winnicott,
ad esempio, il quale ha concepito il trauma come un “urto” provocato dall’incapacità
materna di regolare gli stimoli interni ed esterni del bambino nella prima infanzia; o
Bowlby, il quale ha affermato che ad essere traumatica è proprio l’esperienza non
funzionale di attaccamento madre – bambino. Vedremo anche in linea generale le teorie
di Balint, Lichtenberg, Khan, mentre nel dettaglio quella kohutiana, con la teoria del sé.
Tra gli studi più recenti, invece troviamo Allan Schore che, riprendendo sia Kohut che
Bowlby, sostiene che il trauma è una rottura della sintonia affettiva della relazione
bambino – caregiver. Schore ne approfondisce, poi, anche l’aspetto neurobiologico,
esprimendo che il trauma blocchi o rallenti nel bambino lo sviluppo dell’emisfero
destro, sede delle funzioni attentive e della regolazione delle emozioni.
Ci dedicheremo inoltre anche ad altri autori recenti, come Bromberg, o Bohleber,
concludendo con le ultime considerazioni riguardo al trauma che, in tempi attuali, è
stato esaminato più in termini di trauma collettivo e di massa.
Nel secondo capitolo invece affronteremo gli effetti che un trauma può avere sulla
memoria dell’individuo che lo subisce. I ricordi insopportabili dell’evento traumatico
no n riescono ad essere elaborati dal soggetto, e, per questo “non ricordati”, questi, però,
possono comparire in altre forme, come uno stile caratteriale, dei flashback, delle
sensazioni fisiche e percettive, argomento che approfondiremo attraverso la letteratura
di Bessel Van der Kolk. Nel caso in cui si presentino emozioni legate ad esperienze
particolarmente difficili, l’individuo non sarà in grado di utilizzare gli schemi cognitivi
preesistenti nella categorizzazione di tali eventi dolorosi. Questa incapacità produrrà
dei ricordi traumatici che verranno dissociati dallo stato cosciente, dal controllo
volontario dell’individuo e, dunque, non verranno assimilati all’interno della memoria
narrativa. In ultima analisi, ci dedicheremo, infatti, al meccanismo di difesa della
dissociazione che, nei casi di trauma grave, come un abuso sessuale nell’infanzia, viene
a rappresentare l’unica “via di scampo” per il bambino il quale, non riuscendo ad
integrare tale esperienza nella coscienza, la scinde. Esamineremo come tale concetto è
stato discusso nella letteratura clinica, riprendendo in particolare l’indagine di Onno
Van der Hart, di Bessel Van der Kolk e di Marlene Steinberg.
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CAPITOLO 1: “Il concetto di TRAUMA nella psicologia clinica:
un excursus storico
1.1 Definizione e origine del termine Trauma
L’etimologia del termine trauma, derivante dal greco “traumatimos”, l’atto del
ferire, e dal sostantivo “trauma” che indica una ferita, un danno, ci rimanda subito
ad una alterazione della normale esistenza di un individuo, ad una lesione a cui
l’individuo è esposto e che causa forti angosce.
Il trauma, in senso fisico, così come inteso dalla tradizione medica, si riferisce ad una
ferita inflitta con perforazione e la quale determina conseguenze che sono visibili a
terzi. Gli effetti di un trauma sono dunque evidenti, chiaramente manifestati in una
determinata parte del corpo. Il termine trauma infatti, fu dapprima coniato dalla
patologia chirurgica, considerato come uno shock meccanico per opera di un agente
fisico esterno che compie una violenta e rapida azione su una parte del corpo di un
individuo. Tale connotazione è ritrovabile anche applicata alla psicologia, in cui il
trauma è considerato, ugualmente alla riflessione prettamente medica, come uno shock
violento, esercitato da un agente esterno, che va a causare delle perturbazioni
psicopatologiche, determinando una notevole carica emotiva ad esso associato.
In termini generali, il trauma è un episodio insolito, improvviso che causa dolore,
spavento, che turba e disorienta l’individuo che lo subisce; l’impotenza è infatti un altro
elemento fondamentale sulla riflessione sul trauma. Infatti, nel momento del trauma, il
soggetto rimane inerme, come se fosse bloccato.
Il soggetto che presenta un trauma psichico non riporterà, al contrario del danno
fisico, una manifestazione esteriore tangibile, alcuna ripercussione visibile sul
corpo del soggetto – vittima. Le conseguenze del danno psichico sono, perlopiù,
più “interne”, e si presentano causando una rottura dell’integrità del soggetto che
lo subisce, un’interruzione del suo senso di sé, e quindi causando una riduzione
delle funzioni psichiche del soggetto, tale da impedire a questi di svolgere le sue
attività ordinarie, intese come aspetti dinamico – relazionali.
Questo accade nonostante la capacità umana di sopravvivere e di adattamento,
perché le esperienze traumatiche alterano l’equilibrio psicologico, biologico e
sociale di chi lo subisce, tanto che il ricordo di questo evento va a danneggiare
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tutte le altre esperienze di vita del soggetto. Dicevamo che il trauma va a rompere
l’integrità del soggetto, o meglio, la sua omeostasi, ossia la tendenza dell’entità
somatopsichica a mantenere la forma, che viene ad essere turbata e i meccanismi
di regolazione non possono più controllare l’afflusso di massa o energia
all’interno del sistema, costituendo così una situazione traumatica. L’unica
modalità di risposta del sistema è quella di trascurare il controllo della
distribuzione dell’energia in una sua parte, meccanismo messo in atto dal soggetto
per assicurarsi la sopravvivenza.
Possiamo poi distinguere i traumi, inoltre, in base alla loro durata: abbiamo traumi
con durata limitata nel tempo (uno stupro o un incidente aereo) caratterizzati
dall’impreparazione della vittima, oppure vi possono essere traumi ripetuti,
sequenziali, o meglio con effetto cumulativo (vissuti ad esempio da persone con
professioni di emergenza, o pericolose, come operatori sanitari, polizia,..), e infine
possiamo avere dei traumi a cui il soggetto è esposto nel tempo, come la violenza
intrafamiliare reiterata, la quale, va inoltre, a pregiudicare i legami di
attaccamento e il senso di sicurezza e di continuità del sé del soggetto.
Gli eventi traumatici eludono i meccanismi attraverso cui normalmente
interpretiamo le nostre reazioni, quelle altrui e attraverso cui creiamo schemi di
interazione con la realtà. Inoltre sono esperienze impossibili da circoscrivere e
delimitare nel passato e conseguentemente presentano una attitudine a riproporsi
ossessivamente nella vita della vittima.
Il dibattito tra danno fisico e danno psichico ha accompagnato tutta la letteratura
scientifica, riunendo alla fine il termine trauma in un unico concetto in cui gli
elementi psicologici e quelli biologici sono interconnessi.
Per Van der Kolk, infatti, «l’assunto che sta alla base del concetto di trauma
psichico è che la realtà possa interferire in profondità, modificandone» [sia la]
«biologia che la psicologia dell’individuo». Infatti, come suggerisce Van der
Kolk, il trauma va considerato tenendo conto della dimensione oggettiva, riguardo
ad esempio la drammaticità dell’evento (torture, abuso), e la dimensione
soggettiva, ossia il modo individuale di reagire e di elaborare l’evento traumatico,
sulla base degli individuali processi cognitivi e affettivi del soggetto.
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Fondamentalmente, il concetto di trauma è stato inizialmente utilizzato in
psichiatria, che lo ha adoperato non tenendo conto dell’impatto psicologico che il
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Van der Kolk, Stress traumatico, Prefazione, 2007, Edizioni Magi
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trauma produce, riducendolo invece solamente a fattori costituzionali o
intrapsichici. Il dibattito riguardo l’eziologia del trauma si è invece acceso,
andando a considerare se questo fosse di origine organica o di origine psicologica
e, come domanda Van der Kolk nel libro Stress traumatico, se sia da considerarsi
trauma «l’evento stesso oppure la sua interpretazione soggettiva», o se «il disturbo
(conseguente) viene provocato proprio dal trauma oppure da vulnerabilità
preesistenti»
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.
Tra gli esponenti dell’origine organica del trauma, troviamo i medici organicisti e
i sensisti del diciottesimo secolo, tra cui Codillac, ad esempio, il quale
riconosceva non solo che la mente umana sia “impressionabile” dalla realtà
esterna, ma che le stesse “impressioni” potessero influenzare il pensiero, il
ragionamento e i sentimenti di un individuo. In linea con questa descrizione,
troviamo anche il chirurgo Erich Erichsen che incitava i suoi pazienti che avevano
riportato ferite gravi a non confondere i loro sintomi con quelli dell’isteria.
La tradizione organicista conferiva alle nevrosi traumatiche un’origine organica,
dunque, rinforzata questa anche dalla teorizzazione secondo cui i soldati che
all’epoca avessero partecipato ad attività belliche, e i quali presentavano un alto
tasso di incidenza di sintomi cardiovascolari, che le loro problematiche post-
traumatiche fossero associate a nevrosi cardiache, come suggeriva Myers (1870),
psichiatra militare britannico, definendo tali nevrosi come “cuore irritabile”,
“cuore del soldato” o anche “astenia neuro circolatoria”
3
.
Questa descrizione organica delle nevrosi post- belliche dava inoltre la possibilità
di proporre una soluzione onorevole ai militari, in quanto, in questo modo, «il
soldato non perdeva l’autostima, il medico non doveva diagnosticare un
insuccesso personale (…) e le autorità militari non dovevano spiegare come mai
un soldato (…) fosse affetto da esaurimento nervoso». Myers descrisse tale
condizione con il termine “shock da granata”.
Ben presto però si evidenziò come anche in soldati che non erano stati esposti
direttamente al fuoco, si riscontrassero tali sintomi, allora anche Myers arrivò a
definire le cause delle nevrosi associate ad uno shock prettamente “emotivo”.
Il chirurgo Page, collega di Erichsen, si dissociò invece dalla posizione
organicista del collega, avanzando invece l’ipotesi che alcune patologie potessero
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Ib., pp.61
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Ib., pp.62
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avere un’origine prettamente psicologica. Un esempio ne è la “spina dorsale del
ferroviere”
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, espressione con la quale si incomincia ad intravedere e ad
approfondire l’impatto psicologico di un trauma violento, improvviso o
prolungato, che si ripercuote non solo sull’integrità psichica del soggetto
traumatizzato, ma anche sul piano fisico.
L’intuizione che Page sviluppò, suscitò un notevole interesse, tanto da portare
molti suoi colleghi ad abbandonare il modello organicista, ritenuto ormai una
“soluzione di comodo” per l’attività medica, e andando a delineare invece una
nuova via di ricerca. Un segno evidente di tale cambiamento possiamo ritrovarlo
nei costrutti di “nevrosi traumatica” e di “trauma psichico” introdotti da
Strumpbell.
Quest’ultimo descrisse il trauma psichico come un evento critico nella vita di un
soggetto, che ha come conseguenze una soverchiante stimolazione sensoriale e
una forte angoscia, una paura invasiva. Strumpbell affermò inoltre che nel
momento del trauma il soggetto è passivo, non riesce a reagire, vive uno stato di
forte impotenza, ed è proprio questa passività, per Strumpbell, a potersi
trasformare in una idea patogena.
Il dibattito scientifico, dalla fine del Settecento in poi, ha dato agli eventi
traumatici la possibilità di essere considerati cause di natura psicogena o
ambientale e ha anche aiutato a delineare un modo in cui le esperienze di un
individuo vengano processate a livello psichico, (Van der Kolk), per capire infine
quali modalità difensive la mente umana mette in atto per rendere tollerabile tutto
ciò che può portare un carico d’angoscia altrimenti insostenibile.
Numerosi studiosi si sono impegnati nella definizione e nella descrizione
dell’evento traumatico, partendo dal contributo dato dalla psicoanalisi ad
impostazione freudiana, con il superamento successivamente di questa, per dare
voce invece ad una concezione di trauma in senso più “relazionale”, con le teorie
di Ferenczi, Khan; per arrivare infine alla psicoanalisi moderna (Bromberg, Stern)
a alle ultime considerazioni su tale argomento. L’intero capitolo sarà dedicato di
seguito ad una analisi esplicativa dei vari contributi.
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Ib.,pp.62