Introduzione
2
Il simbolo si distingue dal segno proprio per la sua
ambivalenza semantica; il colore la possiede sia in sede fisico-
fisiologica, sia in sede psicologico-linguistica.
Ecco dunque l’interesse e la difficoltà di inquadrare in
un breve saggio una realtà così cangiante ed ecco, quindi, la
scelta di affrontare solo uno “spicchio” dell’universo del quale
il colore è parte integrante e costituente.
Tenterò di tracciare un’evoluzione storica dei colori,
evidenziando la loro forte valenza e incidenza sociale; parlerò
di come l’uomo percepisce questa realtà dal punto di vista
fisiologico e psicologico; esporrò il pensiero di due grandi
come Goethe e Wittgenstein che hanno scritto teorie e
osservazioni su questo fenomeno3; infine, per attualizzare il
mio lavoro, affronterò due discipline, familiari alla maggior
parte di noi, che sul colore hanno sempre scommesso: la
pubblicità e il marketing. Spero di dimostrare come le varie
scelte cromatiche non sono casuali, ma frutto di un complicato
processo di simbolizzazione: il colore diventa segno nel
momento in cui rappresenta nell’immagine i contenuti
dell'azienda o del prodotto di riferimento e diventa facilmente
memorizzabile soprattutto se associato ad altri colori-guida
fino a stimolare, nel potenziale acquirente, desiderio e
immaginazione.
3
A questo proposito citerò ampiamente La teoria dei colori di Goethe e Le osservazioni sui
colori di Wittgenstein.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
3
CAPITOLO I
UNA STORIA SOCIALE DEI COLORI
I.1 Un approccio al colore
Il colore, oltre ad essere una proprietà (qualità) fisica, è
soprattutto esperienza psicologica; proprio per questo il suo
utilizzo è sempre stato regolamentato da qualsiasi società.
Non solo, anche le strategie della pubblicità e del marketing si
sono interessate a queste problematiche. Infatti, capire la
psicologia dei colori è un imperativo quando si vogliono
massimizzare i risultati ottenibili dal lancio di un prodotto o
dal marchio di una fabbrica, specialmente se si pensa che
usare un colore giusto costa esattamente quanto usarne uno
sbagliato4.
Il rapporto della pubblicità con l’impresa e i suoi
mercati coincide con l’obiettivo primario della pubblicità:
agire sui consumatori, ma questo rapporto è difficile da
valutare. Infatti è complicato e talvolta impossibile misurare
con precisione l’efficacia reale della pubblicità sulle vendite o
anche sull’evoluzione dell’immagine delle marche5. Questo ha
fatto sì che si moltiplicassero le indagini e le ricerche di
4
Cfr. Godfrey J. Mead, The importance of colour in advertising,
www.equitysnow.com/pagead/mead/color.htm, pag. 1.
5
Cfr. Bernard Brochand e Jacques Lendrevie, Le regole del gioco, Lupetti, Milano 1995, pag.
253.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
4
mercato, in modo da ridurre al minimo i rischi di un lancio
poco efficace.
La totalità delle inchieste condotte dopo la seconda
guerra mondiale ha indicato che quasi il 50 per cento delle
persone interrogate, nel mondo occidentale (Europa
occidentale, Stati Uniti e Canada), alla domanda: “Qual è il
vostro colore preferito?” rispondevano indicando il blu,
seguito dal verde, dal bianco e dal rosso. Sono questi in
Occidente i dati attualmente disponibili che riguardano la
popolazione adulta.
I bambini, invece, hanno citato per primi i colori rosso e
giallo. In entrambi i casi, c’è invarianza statistica tra i sessi;
neppure l’appartenere o meno ad una certa classe sociale
costituisce una variabile degna di nota. L’unica differenza
evidenziata riguarda l’età: si amano i colori caldi (come il
giallo e il rosso) fino a 9/10 anni, quelli freddi (come il blu)
quando si è più grandi.
La civiltà occidentale è polarizzata intorno al blu (il blu
è l’emblema dell’Europa, compare sulla bandiera e nella serie
dei cinque anelli olimpici) e manifesta un’omogeneità
culturale notevole in materia di colori. Anche in Australia e
Nuova Zelanda il blu è citato per primo, la sola eccezione è la
Spagna, che indica il rosso come colore preferito. Ciò
potrebbe essere ricondotto all’associazione positiva rosso-
sangue; quest’ultimo, che in genere ha valore negativo
(veleno, pericolo) anche per le chiese (martirio = abiti
Capitolo I Una storia sociale dei colori
5
liturgici rossi), per la cultura spagnola è positivo, basti
pensare all’arena di Madrid in cui si combatte tutt’oggi.
Non sono tali le scelte dell’America del sud, anzi, si
presentano delle variazioni sostanziali: in Brasile, ad esempio,
il blu viene per primo e poi segue il rosso; in Cile e Argentina,
il blu precede il bianco; in Perù, il rosso viene prima del
verde. L’analisi statistica del quesito illustra come la scala di
valori cromatici europei, sia differente da quella di altre
civiltà.
Scarsi i dati riguardanti l’Europa dell’Est. I pochi
disponibili, pur non avendo un reale valore per la ricerca
scientifica, si accostano a quelli italiani, francesi e americani:
il blu primeggia davanti al verde, gli altri colori, invece, sono
collocati più indietro6.
La situazione in Giappone è del tutto diversa. I dati che
possiamo analizzare in quanto unico paese non occidentale,
presentano una scala dei colori preferiti che vede in testa il
bianco, seguito dal nero e dal giallo. Queste scelte cromatiche
pongono delle gravi problematiche alle multinazionali
giapponesi che in materia di pubblicità, ad esempio, devono
adottare due strategie differenti: una per il consumo interno,
l’altra per l’esportazione.
Il caso giapponese è emblematico anche per altre
ragioni. Esso sottolinea come il colore sia definito e sia
percepito e vissuto differentemente a seconda delle culture.
6
Cfr. Michel Pastoureau, L’uomo e il colore, in “Storia e dossier”, n° 5 (1987), pag.10.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
6
Il parametro essenziale per la società nipponica, è
definire il grado di luminosità di un colore, ossia se tale
colore è opaco o brillante, e non sapere se una tinta sia blu,
rossa o gialla. Infatti, il bianco è tipicizzato, cioè assume nomi
differenti per le diverse timbriche che vanno dal matto più
smorto al brillante più luminoso. L’occhio occidentale, al
contrario di quello giapponese, non è in grado di distinguerli;
e così pure il lessico delle lingue europee nella gamma dei
bianchi, è troppo povero per poterli tradurre tutti.
Ciò che si è potuto osservare in Giappone, dove la
cultura è ancora più visiva della nostra, è sempre più evidente
quando facciamo riferimento alle altre culture asiatiche,
oceaniche o africane7.
Ad esempio, nella maggior parte delle civiltà dell’Africa
nera, un dato colore è sentito e descritto come secco o umido,
morbido o duro, liscio o ruvido, sordo o sonoro, allegro o
triste e non si dà alcuna importanza alle tonalità. E’
sicuramente una cultura guidata dal tatto, poiché anche il
senso dell’udito, soprattutto per le percussioni, produce
sensazioni tattili. Il colore non è una cosa in sé, né un
fenomeno soltanto ottico. Infatti esso è percepito con altri
parametri sensoriali e da questo punto di vista, tinte e
sfumature non hanno alcuna ragion d’essere. La bellezza di
una statua non è il vederla, ma il toccarla. Inoltre, in alcune
società dell’Africa occidentale, la cultura cromatica e il
7
Ibidem, cfr. pag. 12.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
7
vocabolario che vi si riferisce, differiscono a seconda dei
sessi. Ad esempio, il lessico dei bruni, che è molto ricco, non
è lo stesso per gli uomini e le donne.
“Esiste una storia materiale e culturale dei colori che ha
messo a confronto, in rapporti di scambio e dipendenza,
civiltà altrimenti comunicanti con la sola rarità delle spezie,
attraverso il mercato di prodotti, dell’Oriente e delle
Americhe: il nero di China e la polvere nera, i colori traslucidi
delle lacche, nonché le foglie indaco delle Antille e la
cocciniglia del Centro America, il legno carminio detto
“brasile” insieme ai “colori preziosi” delle pietre e dei metalli,
sognati attraverso la lucentezza della loro materia
splendente”8.
Queste differenze tra le società sono fondamentali
perché evidenziano il carattere fortemente culturale della
percezione dei colori e dei modi con cui vengono designati.
Se ciò è vero da un punto di vista geografico, lo è anche
da un punto di vista cronologico. Il relativismo culturale,
inteso come evoluzione della percezione, modifica la
denominazione e l’utilizzazione sociale o simbolica del colore
nel tempo, e questi rivolgimenti descritti a posteriori vengono
definiti “storia”.
Non è possibile ricostruire perfettamente il percepito e
ogni tentativo di proiettare nel passato le nostre concezioni
del colore è destinato a fallire. Per noi, ad esempio, il verde è
8
Manlio Brusatin, Storia dei colori, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1983, pag. 7.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
8
un punto che si colloca tra il giallo e il blu e tutto, anche
fenomeni naturali come l’arcobaleno, ne sono la
dimostrazione. Nel medioevo non era così. Nessun sistema di
colori di quell’epoca situava il verde tra il giallo e il blu.
Questi due colori, infatti, non venivano ricondotti alla
medesima scala, perciò non poteva sussistere uno stadio
intermedio, ossia il verde.
Simile è il caso del grigio. Nel medioevo, la sua
rappresentazione appare tardivamente e lentamente, e di certo
non lo si include tra il bianco e il nero: esso evoca
semplicemente l’idea di macchie, di screziature, di assenza di
genuinità e pulizia. Un cavallo grigio, non è un cavallo il cui
manto è grigio, ma è striato con diversi colori, tutte
caratteristiche che il latino esprime con il termine “varius”.
Per gli uomini di questo periodo storico, a metà tra il bianco e
il nero, esiste il rosso, ossia, il “terzo colore”.
Il diagramma seguente, leggibile da sinistra verso
destra, è codificabile secondo un principio di espansione che
prende origine da due colori fondamentali (il bianco e il nero),
i quali si evolvono per contrapposizione e distinzione rispetto
a quel colore che nel profondo di ogni civiltà nasce
originariamente con il sangue e la vita che porta: il rosso9.
9
Ibidem, cfr. pag. 9.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
9
I.2 Un’eredità antica
Fin dai primordi l'uomo fu impressionato dal colore ed
imparò a sfruttare le risorse che la natura gli offriva per
procurarsi le materie coloranti, ora ricavandole dalle piante,
ora dagli animali, ora dalle rocce e dai terreni. Reperti
archeologici e analisi chimiche consentono oggi di tracciare,
per i colori degli antichi, un quadro relativamente completo.
Le prime notizie sui colori hanno origini molto remote.
In epoca preistorica, l’uomo aveva già sviluppato il senso
dell’arte, lo dimostrano gli ornamenti ritrovati nelle caverne
scoperte in Europa e il vasellame costruito con ossa e argilla
rozzamente decorato, rinvenuto nelle abitazioni trogloditiche e
nelle palafitte.
La Mesopotamia e la Valle del Nilo hanno ospitato due
tra le più grandi sorgenti culturali dell'umanità. Sarebbe oggi
inutile e difficile, ai fini del nostro discorso, discutere quale
delle due preceda l'altra, anche se, come sembra, la
Mesopotamia si è messa in movimento un po' prima.
Nel 3000 a.C. sono numerose nell'arte mesopotamica le
rappresentazioni di mufloni o arieti e la preziosità dei colori e
grigio
arancione
rosso
porpora
marroneblue
verdegiallo
giallo verde
rosso
bianco
nero
−−−
−
−
−
Capitolo I Una storia sociale dei colori
10
dei materiali impiegati testimoniano senza alcun dubbio il
forte senso artistico di quella civiltà.
Il fatto fortuito che i Sumeri abbiano affidato i resoconti
delle loro attività ad iscrizioni incise a caratteri cuneiformi su
tavolette di argilla, anziché a materiali deperibili quali il
papiro o la pergamena, ha consentito agli archeologi di
ricostruire buona parte degli usi e costumi di quella civiltà. La
gamma dei coloranti impiegati dai Sumeri era abbastanza
estesa. I rossi brunastri erano ottenuti con ocra rossa
finemente macinata, ma è provato che i popoli mesopotamici
conoscevano anche la tintura con oricello e con coloranti
simili al chermes estratti da insetti indigeni. Gialli e aranciati
provenivano dallo zafferano, dal cartamo, dallo scotano e,
probabilmente, anche dalla curcuma, mentre, per i toni
azzurri, conoscevano l'uso dell'indaco.
Antichissimi maestri in diverse forme d’arte, i Cinesi,
già 3000 anni prima di Cristo, conoscevano e adoperavano
molti colori come il cinabro, gli ossidi di ferro e manganese,
la biacca, con i quali ornavano vasi e dipingevano stoffe
pregiate. Pur essendo la Cina il paese originario della seta - la
fibra più pregiata dell'antichità - scarse sono le notizie a noi
pervenute sull'arte tintoria di quel popolo, anche se vi sono
buone ragioni per ritenere che la tintura delle stoffe avesse
raggiunto, in Cina, un alto grado di perfezione. Secondo
alcuni, questa carenza di notizie sarebbe dovuta al fatto che,
per lungo tempo, la Cina rimase una civiltà chiusa.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
11
Anche gli Egiziani, indipendentemente dai Cinesi,
acquisivano una certa esperienza in materia di colore, basti
pensare che conoscevano diversi processi per la colorazione
del vetro, l’uso dei mordenti nell’arte tintoria, l’utilizzo dei
colori al miele; e tutto questo con celebre maestria, se si
considera che l’oro ritrovato nei reperti egizi è ancora solido e
brillante a distanza di molti secoli. Vi sono buone ragioni per
ritenere che i tintori egizi conoscessero anche l'uso degli
acidi, degli alcali e di certi sali metallici usati come mordenti
e, nei procedimenti di mordenzatura, sembra che già
conoscessero una tecnica, oggi nota come "tintura o
mordenzatura differenziata". Secondo Plinio, infatti, gli
Egiziani, dopo aver preparato le loro stoffe con dei reattivi,
potevano immergerle in un solo bagno di tintura ed ottenerne
colorazioni e disegni vari.
“Le tavolozze per colori usate dagli Egiziani erano il
più frequentemente di alabastro ed avevano sette cavità
sormontate dal nome del colore che dovevano contenere, più
sotto un’altra cavità conteneva altrettanti sottili stili (i nostri
pennelli). La disposizione era la seguente: bianco, azzurro,
giallo, verde, rosso, bruno scuro, nero”10.
I colori degli Egizi rappresentano un gruppo colorico
corporeo, tanto che Rimmel (1870) si ispira a questi per
dettare i fondamenti dell’arte cosmetica: “il bianco che
corregge i toni della pelle, il rosso che ripristina la freschezza
10
Ettore Rizzino, Colori e colorificio, Editore Enrico Hoepli, Milano 1948, pag. 35.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
12
delle guance, l’azzurro che sottolinea i confini della fronte, il
carminio che ravviva l’incarnato delle labbra, lo henna (rosso
tenue) che impartisce alle dita le tonalità dell’aurora”11.
I Fenici, dal greco joinix (foinix = porpora), e
particolarmente gli abitanti di Tiro, furono celebri in tutta
l'antichità e ancor oggi sono ricordati per la loro abilità
nell'arte tintoria e per l'uso che facevano di quella bella
materia colorante detta, appunto, “Porpora di Tiro”. Abili
artigiani, avventurosi navigatori, mercanti intraprendenti, i
Fenici ebbero contatti e scambi con tutte le popolazioni del
bacino mediterraneo ed in particolare con quelle dell'area
giudaica.
Gli ebrei12 stessi furono tintori abilissimi, abilità che
venne tramandata nei secoli, tanto da farli stimare ancora
nell'alto Medioevo come i migliori maestri di quest'arte. Non è
del tutto ingiustificato affermare che le più qualificate tintorie
medioevali dell'Italia meridionale furono senz'altro quelle
dirette dagli ebrei.
Tutto quello che abbiamo modo di osservare a proposito
dei colori per quanto riguarda i popoli “privi di scienza” è di
carattere pratico. Solo passando ai greci e alla loro cultura
troviamo l’elemento teoretico13.
Epicuro, infatti, “nega che i colori abitino nei corpi e
afferma che essi originerebbero dalla posizione dei corpi in
11
Paolo Rovesti, Alla ricerca dei cosmetici perduti, Marsilio, Venezia 1975, pag. 38.
12
Secondo la tradizione ebraica, il primo nome dell’uomo, Adamo, sta per “rosso”,”vivente”.
13
Cfr. Johanne Wolfgang Goethe, Storia dei colori, Luni Editrice, Milano 1998, pag. 53.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
13
relazione alla vista. In questo modo, un corpo può avere o
meno un colore. Anche a prescindere da ciò”, dice, “non so
come si possa dire che un corpo, nell’oscurità, ha colore. Il
colore si modifica a seconda della posizione degli atomi”14.
In Grecia si ebbe anche il culmine artistico. Illustri e
molteplici sono gli artisti che si sono dedicati alla pittura, al
decoro, alla fabbricazione di porcellane e vetro, contribuendo
ad ampliare in maniera significativa la conoscenza tecnica
nella preparazione dei colori. Molti antichi libri greci sono
dedicati al colore nei suoi molteplici aspetti, basti pensare al
Dei colori di Aristotele15, nel quale sono descritte le tinte
usate da Polignoto di Taso, Zeusi, Timante e altri e al Sui
colori di Paracelso16, nel quale si parla della preparazione del
cinabro, della biacca e delle ocre.
Per quanto riguarda le conoscenze dei Romani in
materia di colori, dobbiamo riconoscere che le principali
nozioni sono attinte dai Greci, dai quali hanno derivato molto
del loro sapere. Lucrezio, ad esempio, ci ricorda il pensiero
quando afferma: “Se non ci può essere colore senza luce, e i
principi delle cose non appaiono alla luce, è evidente che non
sono rivestiti di nessun colore. Che specie di colore ci può
essere nelle cieche tenebre? Il colore cambia con la luce,
secondo sia colpito da raggi diretti o obliqui: cangia al sole il
piumaggio che fa corona attorno alla nuca e al collo della
14
Ibidem, pag. 56.
15
Aristotele (Stagira 384-383 a.C. – Calcide 322 a.C.).
16
Paracelso (1493-1541). Il suo vero nome fu Teofrasto Bombasto von Honheim. Oltrechè sui
colori scrisse anche le prime memorie sulla chimica farmaceutica della quale si ritiene il
fondatore.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
14
colomba, a volte ha il rosso fulgore di un rubino, a volte, per,
una diversa impressione, sembra mescolare all’azzurro
lapislazzuli il verde smeraldo. Allo stesso modo la coda del
pavone, bagnata da luce abbondante, cangia di colore a
seconda delle diverse esposizioni. Se tali tinte sono prodotte
da una particolare incidenza della luce, dobbiamo concluderne
che non potrebbero esistere senza di essa. Se le impressioni
diverse giungono a colpire la pupilla, a seconda che provi o la
sensazione del bianco o del nero o di qualsiasi altro colore - e
per gli oggetti sottoposti al tatto il colore è indifferente,
importa solo la forma - , è evidente che gli atomi non hanno
bisogno di colore, ma la varietà delle nostre impressioni
colorate”17.
Ma il senso dei colori si è sviluppato nell’uomo molto
lentamente e si è perfezionato sempre più con il progredire
della civiltà. In principio, l’uomo percepiva la luce senza
distinguerne i colori; è col passare del tempo che l’occhio
comincia a distinguere oltre il chiaro e lo scuro, anche il rosso
e il giallo, poi il verde, l’azzurro e il violetto. Per questo
motivo gli scritti che riguardano l’argomento si fanno sempre
più ricchi e completi col passare del tempo, potendo giovare
dell’esperienza di numerosi e diversi uomini; del resto, il
colore è prima di tutto, un fatto di esperienza personale, come
ci insegna Platone: “E così il nero il bianco e ogni altro colore
ci appariranno generati dall’incontro degli occhi con qualche
17
Lucrezio, La natura, a cura di L. Canali, trad. it. di B. Pinchetti, Milano 1991, vol. II, vv.
709-815.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
15
cosa che si muove nella direzione degli occhi stessi; e ciò che
noi diciamo questo o quel colore non sarà né l’oggetto che
viene incontro all’occhio né l’occhio che è incontrato,bensì
qualche cosa che si è generato tra mezzo e che è particolare a
ciascuno”18.
I.3 Colori, sistemi sociali e codici dell’abbigliamento
Un territorio di indagine prolifico per cercare di
tracciare l’evoluzione dei colori in una data società, è quello
costituito dall’abbigliamento. La ricerca sul tessuto è quella
che abbraccia più problematiche riguardanti il colore: dalla
chimica dei pigmenti, alle tecniche delle tinture, dalle
costrizioni finanziarie, alle implicazioni commerciali, dalle
ricerche artistiche, alle preoccupazioni simboliche,
dall’organizzazione di codici sociali, ai sistemi di
rappresentazioni.
La riverberazione sul sociale è annunciata in Italia da
Tommaso Campanella agli inizi del XVIII secolo: “ I colori,
de’ quali si diletta ogni secolo e nazione, mostrano i costumi
di quella. Ed oggi tutti amano il nero, proprio della terra, della
materia e dell’inferno, di lutto e d’ignoranza segno. Che il
primo colore fu il candido celeste…poi il rosso nella bellica
crudeltà; poi vario nelle sedizioni; poi venne il bianco a tempo
di Gesù Dio, e tutt’ì battezzati prendevano la veste bianca, e
18
In Ettore Sottsass, Note sul colore, a cura di Barbara Radice, Abet Laminati, pag. 25.
Capitolo I Una storia sociale dei colori
16
da quella per vari colori siamo ora arrivati al nero. Dunque,
tornerà al bianco, secondo la ruota fatale”19.
Tingere una stoffa è sempre stata un’attività essenziale
per l’uomo che vive in società, ma le nostre conoscenze
sull’industria tessile e sul commercio delle stoffe sono ancora
rudimentali.
Nell’antichità e nel medioevo la quasi totalità delle
sostanze tintorie è di origine vegetale, ma si presentano
differenziazioni nella gamma delle tinte prodotte. Nell’epoca
romana, infatti, tingere una stoffa significava sostituire al suo
colore originario un colore che si situava nell’ampia gamma
dei toni rossi. La maggior parte dei coloranti che generano il
rosso, entrano profondamente nelle fibre del tessuto e
resistono meglio delle altre tinte agli effetti del tempo
producendo poliedrici giochi di luminosità.
Colorare una stoffa di rosso era sinonimo di tingerla,
fatto confermato anche dal lessico, che utilizza spesso come
sinonimi i termini “coloratus” e “ruber”.
Il primato del rosso dovrebbe risalire addirittura alla
protostoria e spiegherebbe il motivo per cui nelle civiltà
indoeuropee, e soprattutto in quella occidentale, il bianco ha
avuto per molto tempo due contrari: il rosso e il nero. In
coerenza con questa ipotesi possiamo intendere questi tre
colori come i poli intorno ai quali, fino al medioevo, si sono
articolati tutti i sistemi simbolici e i codici sociali.
19
Tommaso Campanella, Opere, a cura di R. Amerio, Ricciardi, Milano-Napoli 1956: Sopra i
colori delle vesti, pag. 852.