Introduzione
2
Entrambi i quotidiani, poi, hanno edizioni locali che ci permettono di analizzare ancora meglio la
realtà più vicina a noi e nella quale più direttamente siamo coinvolti. Il quotidiano milanese esce
con il Corriere del Mezzogiorno, tutti i giorni tranne il lunedì e Repubblica contiene una dozzina di
pagine di informazione locale.
Più discutibile può sicuramente apparire la scelta degli altri tre quotidiani. E’ chiaro che si sarebbe
potuto optare per altri quotidiani autorevoli e prestigiosi come La Stampa, Il Sole-24 Ore o per
quotidiani meridionali come La Gazzetta del Mezzogiorno. Ma anche questa scelta, sarebbe potuta
apparire altrettanto discutibile. Per cui andiamo a vedere le ragioni di questa nostra, soggettiva, ma
crediamo significativa selezione.
Poiché il nostro scopo rimane quello di studiare come la stampa quotidiana vede il Sud, è
necessario dare spazio a voci diverse, che si pongano in antagonismo con i due più grandi giornali
italiani e che non vogliano assomigliarvi a tutti i costi. La scelta del Giornale va proprio in questa
direzione. Il quotidiano attualmente diretto da Maurizio Belpietro, con Mario Cervi che ha
ricoperto la funzione di direttore responsabile fino a poco tempo fa, ha una politica molto chiara,
con un deciso orientamento di centro-destra, in particolare filo-berlusconiano, e non potrebbe
essere altrimenti visto che l’editore si chiama Paolo Berlusconi, fratello del più noto Silvio, già
editore lui stesso fino al 1992, quando, per incompatibilità tra tv e quotidiani dovette disfarsene,
limitandosi a cederlo, appunto, al fratello.
Bene, il Giornale ha sperimentato una serie di notevoli cambiamenti nel periodo che noi stiamo
considerando (1992-2001). Il quotidiano fondato nel 1974 da Indro Montanelli che lo diresse fino
al 1994 è oggi irriconoscibile rispetto alla struttura e all’impostazione originaria. Oggi abbiamo un
giornale più politicizzato e schierato, “amico” verso il potere ma ribollente di vigore polemico
contro il governo di ieri.
Una voce forte, che si fa sentire, partigiana e abile a muoversi nel mercato difficile dei lettori
italiani, senza la scorza dell’ufficialità e il carattere istituzionale del Corriere e di orientamento
politico opposto a quello (meno marcato) di Repubblica.
È sufficiente soffermarsi sull’architettura della prima pagina per trovare una conferma di quanto
detto.
L’importanza, anzi la necessità di analizzare il Sud da prospettive molteplici sottende anche alla
scelta degli altri due quotidiani, la Padania e il Mattino, che guardano il Sud da punti di vista
differenti, anche molto differenti, contrastanti.
La Padania, organo ufficiale della “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, è molto giovane. È
estremamente difficile leggere la Padania qui al Sud, non fosse altro che per una questione logistica.
Introduzione
3
Questo quotidiano, infatti, non viene distribuito nelle edicole del Mezzogiorno. Noi siamo andati a
studiarlo su Internet a partire dal primo anno in cui vi compare, il 1998, perciò non potremo
analizzare come vengono coperti gli avvenimenti precedenti quell’anno.
La Lega è un partito politico che generalmente guarda al sud dell’Italia come a una palla al piede
fastidiosa, anzi di cui è meglio disfarsi completamente. E l’organo ufficiale di questo partito non
può che rispecchiare in pieno tale visione. Certo, le recenti elezioni politiche, il cui impatto
sull’impostazione del quotidiano sarebbe interessante approfondire, impongono una maggiore
cautela. Quello che è importante sottolineare, comunque, è che la Padania guarda il Sud con gli
occhi del Nord, poi cercheremo di capire in che modo, mentre il Mattino guarda il Sud con gli occhi
del Sud.
Due sguardi decisamente diversi, quindi, per osservare uno stesso oggetto.
Va fatta, poi, un’ulteriore precisazione di tipo metodologico. Non è certo possibile svolgere
un’analisi completa e sistematica di tutti i fatti, temi e problemi che hanno interessato il Sud in
questi ultimi anni, per cui anche qui si impone la necessità di una doverosa selezione. Subentra,
allora, un’ineliminabile componente soggettiva e personale nell’operare questa scelta, che al pari di
tutte le scelte comporta l’obbligo di considerare alcuni elementi e scartarne altri. Come nel caso dei
quotidiani selezionati tra tanti altri, si tratta sicuramente di una scelta opinabile, che noi riteniamo,
però, significativa e comunque non più soggettiva di altre per le quali si sarebbe potuto (altrettanto
legittimamente) propendere.
I temi da noi presi in particolare considerazione, fatta questa necessaria premessa, sono dunque:
1. la criminalità;
2. i disastri ambientali;
3. il federalismo;
4. l’identità del Sud.
Sono sicuramente tutti temi attualissimi sui quali comunque si dibatte da anni e che possiamo
brevemente introdurre spiegando perché sono stati scelti.
Dopo un primo breve capitolo in cui riassumeremo le vicende storiche italiane degli anni di cui ci
stiamo occupando, parleremo, nel capitolo successivo, di criminalità. Sappiamo di come il
problema sia grave e pervasivo e per ciò stesso rappresenti un aspetto importante, ancorché
negativo, del Sud. Un aspetto che è quindi fondamentale tenere in considerazione, come fa del
resto la stampa, per il ruolo pesantissimo che ha giocato e gioca sull’economia, la politica e la storia
non solo degli anni considerati, a partire cioè dal 1992.
Introduzione
4
La criminalità organizzata recentemente è diventata sempre più spietata e sbrigativa di quella
tradizionale. Negli ultimi anni, a cominciare proprio dal ’92, l’offensiva criminale si è caratterizzata
per un’improvvisa recrudescenza uccidendo i giudici Falcone e Borsellino e dichiarando
inequivocabilmente guerra allo Stato.
Questi eventi sono stati in grado, come pochi in passato – gli assassini di Dalla Chiesa e La Torre
per esempio – di suscitare un’ondata emotiva e una mobilitazione tale da produrre un impegno più
diffuso ed efficace sul piano legislativo e di organizzazione della giustizia.
Il pentitismo è stato poi al centro della questione giustizia così come l’intreccio tra criminalità,
politica, mondo dell’imprenditoria e della finanza. Attualmente la mafia ha adottato una strategia
diversa, meno appariscente, che fa meno notizia, come si dice, ma tale da essere sempre presente e
avvertita sul territorio.
“Tutti sono convinti peraltro – governo, Confindustria, sindacati, associazioni di categoria – che il
predominio della criminalità è oggi il maggiore ostacolo per qualsiasi processo di sviluppo
economico e sociale che il Sud potrebbe finalmente tentare di avviare dentro i nuovi equilibri e
forme dell’economia mondiale e con il concreto contributo dell’Unione europea”.
1
Alla luce di queste considerazioni il tema della criminalità e dell’ordine pubblico ci sembra
s’imponga di per sé all’attenzione come uno dei più importanti ai fini della nostra indagine.
Quanto ai disastri ambientali, oggetto del terzo capitolo, va detto che purtroppo il materiale sul
quale lavorare non manca. Di tragedie ce ne sono state e ce ne saranno, ospiti tanto sgraditi quanto
puntuali. La stampa, per ovvi motivi, vi dedica un’attenzione particolare, quindi lo spazio per
un’analisi approfondita c’è tutto. I disastri ambientali sono evidenziatori dei disastri sociali e perciò
costituiscono una lente significativa attraverso la quale guardare con attenzione il Sud.
Essi rappresentano un momento di riflessione e di discussione sullo stato del nostro Paese e del
Mezzogiorno in particolare, in quanto sembrano costituire un trampolino di lancio per un’analisi
più generale, più di fondo, quasi si trattasse di un bilancio da trarre a fine anno per misurare la
bontà del lavoro svolto. I disastri ambientali sono eventi singoli che si frammentano in altri e più
numerosi eventi poiché non si esauriscono in sé, ma chiamano in causa diversi altri aspetti della
realtà portando alla ribalta quello che è stato fatto e non fatto sul territorio, il ruolo e le colpe della
politica, del mondo dell’economia, della società, delle persone. Così come viene portato alla ribalta
il valore della solidarietà, dell’impegno civile e la voglia di rinascita.
Nei disastri ambientali possono quindi concentrarsi il peggio e il meglio del nostro carattere come
anche in tante altre situazioni, ma qui in maniera particolare data la drammaticità delle vicende che
1
F. Barbagallo, la Repubblica Napoli, 6 settembre 2000
Introduzione
5
li fa emergere in modo più forte e schietto. Si tratta di due anime, quindi, due Sud, due Italie, figlie
di una cultura vittimista, rassegnata, ma anche solidale e coraggiosa, immagini diverse e significative
che emergono e che cercheremo di capire meglio attraverso la lettura che ne danno i quotidiani.
Un altro grosso punto sul quale si incardinerà la nostra ricerca – e siamo al quarto capitolo – è,
come detto, il federalismo. E’ sicuramente una questione cruciale, che per qualche tempo pareva
coincidere con quella della secessione, attualmente messa in soffitta. Leggendo i giornali sembra a
prima vista che il federalismo riguardi soprattutto se non esclusivamente le regioni del Nord, ma è
chiaro invece che una tale riforma dello Stato italiano avrebbe conseguenze altrettanto rilevanti
anche al Sud.
Il federalismo dovrebbe essere infatti un patto il cui fine è lo sviluppo di tutta la comunità
nazionale. Più autonomia si darà agli enti locali e più il Mezzogiorno dovrà dimostrare di poter
camminare con le proprie gambe e fare da solo.
Il federalismo è poi un tema che ci permette di estendere lo sguardo a molti altri settori della vita
civile e sociale poiché tutti ne sono interessati e ne verranno modificati. Partendo, quindi, da
un’analisi su come la stampa vede il rapporto tra federalismo e Sud si può gettare uno sguardo
d’insieme su una dimensione molto più vasta, su aspetti e livelli diversi di realtà. Proprio quello che
fa per noi, in altre parole.
Nel quinto capitolo prenderemo in considerazione il tema dell’identità. Raffaele Nigro anni fa
scriveva che l’identità è come una bussola che indica la rotta da seguire. Perderla è come trovarsi a
guidare una nave senza timone, in balia della tempesta, incapace di dirigersi verso acque tranquille e
porti sicuri.
L’importanza del tema dell’identità sta proprio in questo. In un mondo globalizzato occorre essere
ben consapevoli della propria identità per impedire che si sviluppi il pensiero unico, l’omologazione
dei valori, l’uniformità di scelte e abitudini. Bisogna saper usare la propria identità anche come
risorsa non perdendo i contenuti e la direzione della memoria storica, consapevoli di chi siamo nel
bene e nel male, considerando che l’identità non è costituita solo da connotati positivi, ma anche da
quelli negativi.
Il problema è interessante e complesso. A complicare il quadro si può sottolineare, con Elisabetta
Rasy, come “ogni identità troppo coerentemente o idealisticamente o opportunisticamente assunta
è una trappola, in quanto l’identità aperta è una risorsa e quella chiusa è una condanna”.
2
2
E. Rasy, Corriere del Mezzogiorno, 12 ottobre 2000
Introduzione
6
Nel sesto capitolo, poi, si effettuerà una breve ricognizione su come la stampa estera, con
particolare riferimento al Times di Londra e al New York Times, guarda il Mezzogiorno e verranno
riproposti alcuni reportage di questi e altri quotidiani stranieri sulle due capitali del Sud: Napoli e
Palermo.
Avremo, infine, una sezione dedicata alla satira che, dice Umberto Eco, per funzionare bene
dovrebbe essere un colpo basso che ti arriva addosso all’improvviso. Spesso non è così, ma andare
alla ricerca di una bella vignetta fa sempre piacere. Noi ne proporremo alcune relative alle
tematiche prese in esame e tratte dai quotidiani considerati.
Una considerazione di fondo molto importante che non va dimenticata, un dato preliminare col
quale bisogna fare tremendamente i conti riguarda il mercato asfittico dei lettori di quotidiani in
Italia.
Un po’ di storia e di cifre ci possono venire in aiuto. Tra il 1984 e il 1985 si raggiunsero e
superarono i 6 milioni di copie vendute mediamente al giorno, un risultato ragguardevole che
dimostrava la fine definitiva della crisi in cui la stampa versava da tempo. Nel 1990 anche il muro
dei 6 milioni e mezzo di lettori fu abbondantemente superato e si sperava a quel punto di
raggiungere anche la soglia dei 7 milioni. Invece, nel 1991 è cominciata la discesa e il brusco ritiro
dei lettori.
Nel 1997 si è scesi di nuovo al di sotto dei 6 milioni e con 105 copie ogni mille abitanti (erano 112
nel 1993) eravamo terzultimi in Europa, davanti a Grecia e Portogallo. In Gran Bretagna e in
Germania si vendono abbondantemente più di 300 copie ogni mille abitanti. E’ vero che su quei
mercati circolano anche fogli popolari a basso prezzo che in Italia non ci sono; ma la limitata
dimestichezza degli italiani con i quotidiani resta un dato irrefutabile. Inoltre perdura un forte
divario tra i lettori del centro-nord e quelli del sud dell’Italia. Da noi si legge pochissimo.
3
E’ questo il contesto di fondo nel quale ci muoviamo e che non dobbiamo mai dimenticare anche
se, stando ai dati più recenti che la FIEG ha pubblicato, c’è una certa ripresa tanto delle copie
vendute, quanto dei ricavi pubblicitari.
Ed è in questo contesto che andiamo a svolgere la nostra analisi. Un’analisi in cui cercheremo di
capire come viene visto il Sud attraverso la stampa, avendo come faro una importante lezione che il
giornalismo ci ha insegnato: è vero, cioè, che l’obiettività non esiste, non è di questo mondo; ma è
anche vero che esiste la serietà dei giornalisti e il loro impegno per ottenere un’informazione che sia
comunque la più obiettiva e la più seria possibile.
E tale vuole anche essere lo spirito che anima queste pagine.
3
Cfr. P. Murialdi, Il giornale, il Mulino, Bologna, 1998, pag. 10
17
Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della realtà
F. Nietzsche
Profilo storico degli anni 1992-2001
19
Capitolo primo
PROFILO STORICO DEGLI ANNI 1992-2001
Gli anni che vanno dal 1992 a oggi sono quelli più vicini a noi e alla nostra memoria, quelli che
sicuramente ricordiamo perché caratterizzati da avvenimenti ancora profondamente legati
all’attualità; anni che sembrano quasi non essere stati consegnati ancora alla Storia e che abbiamo
potuto seguire ampiamente in tv e sui giornali.
Tuttavia, per avere un quadro di riferimento più preciso del periodo che consideriamo, può essere
utile ripercorrere brevemente la storia di questi anni ricostruendone le tappe fondamentali.
Facciamo cominciare tutto dal febbraio ’92. Dal 17 in particolare, quando Mario Chiesa, potente e
temuto presidente del Pio Albergo Trivulzio, istituzione emblema dell’assistenza milanese agli
anziani e agli orfani, fu sorpreso dai carabinieri con ancora in mano la tangente appena versata da
un piccolo imprenditore in cambio della concessione di un appalto per le pulizie. L’imprenditore,
stanco delle continue vessazioni, aveva deciso di raccontare tutto ai carabinieri e si era prestato a
fare da esca tenendo un microfono sotto la giacca e consegnando a Chiesa le banconote
opportunamente segnate dagli stessi carabinieri.
Regista dell’intera operazione fu Antonio Di Pietro.
Iniziò da allora quella serie di indagini, battezzata “Mani pulite”, che scoperchiò un gigantesco
calderone di malaffare e loschi rapporti tra politica e imprenditoria che ebbe conseguenze
inaspettate e devastanti per la classe politica la quale ne risultò decimata.
Era scoppiata Tangentopoli.
Quello che venne fuori fu un regime di corruzione che progressivamente, sistematicamente ed in
modo sempre più arrogante e sfrontato aveva costruito un diffusissimo sistema di finanziamento
illegale dei partiti e dei politici con la complicità di società, piccole e grandi, e di imprenditori
privati.
I partiti che maggiormente risentirono di questa ondata rivoluzionaria di inchieste furono la DC e il
PSI.
Proprio mentre Tangentopoli cominciava clamorosamente a venire a galla, il 5-6 aprile si tennero
le elezioni per il rinnovo di Camera e Senato e le novità, altrettanto clamorose, non si fecero
attendere. Sconfitta la DC, in flessione il PSI, perde parecchio anche il neonato PDS, pur
considerando i voti di Rifondazione Comunista. Ma la vera vincitrice delle elezioni fu la Lega Nord,
nata dall’unione di Lega lombarda, Lega veneta e Lega Piemonte, che divenne il quarto partito
italiano.
Capitolo Primo
20
In una situazione già carica di difficoltà si inseriva l’improvvisa recrudescenza dell’offensiva
mafiosa contro i poteri dello Stato. Il 23 maggio un attentato dinamitardo lungo l’autostrada tra
l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo, all’altezza di Capaci, uccise il giudice Giovanni Falcone, la
moglie e i tre agenti di scorta. Meno di due mesi dopo, il 19 luglio, anche il giudice Paolo Borsellino
e i cinque agenti della scorta furono uccisi da un’autobomba, in via D’Amelio, nel pieno centro di
Palermo.
Falcone e Borsellino erano in primissima fila nella lotta contro la mafia e l’onda di grande
emozione che ha percorso tutta l’Italia dopo la loro morte è ancora sicuramente viva.
Alla crisi dei partiti e all’allarme per l’inarrestabile dilagare della criminalità organizzata si
aggiungevano anche i problemi della crisi produttiva e della gravissima posizione debitoria dello
Stato. Eccezionali erano dunque i compiti che si prospettavano al nuovo governo nato nel giugno
‘92 quando Oscar Luigi Scalfaro (eletto presidente della Repubblica a maggio), ricevute le
dimissioni da parte di Andreotti, affidò al socialista Giuliano Amato l’incarico per la formazione del
nuovo governo. Furono varate allora misure straordinarie per far fronte all’ammontare del debito
pubblico che nel marzo del ’92 viaggiava intorno all’astronomica cifra di 1.600.000 miliardi. Fu poi
presa la decisione di privatizzare alcuni grandi enti e imprese pubbliche. Questi interventi si resero
tanto più necessari dopo che, in settembre, una violenta speculazione aveva costretto la lira a uscire
dal Sistema Monetario Europeo.
Un passo importante per il rinnovo delle istituzioni fu compiuto con il referendum del 18 aprile
1993.
La larga vittoria del sì al quesito concernente la legge elettorale consentì l’introduzione del sistema
uninominale maggioritario al posto di quello proporzionale.
L’approvazione della nuova legge elettorale maggioritaria si ebbe con il governo Ciampi,
economista di indiscussa fama internazionale, già governatore della Banca d’Italia, estraneo alla
logica dei partiti e del potere politico. Negli otto mesi del suo governo da annoverare è anche il
concreto avvio delle privatizzazioni e il risanamento dei conti pubblici che si tradusse in un calo del
costo del denaro e nella discesa dell’inflazione.
Ma l’avvenimento clamoroso degli ultimi mesi del 1993 è la “discesa in campo” di Silvio
Berlusconi, uno dei grandi imprenditori del Paese, che fondò un suo partito, Forza Italia, che in
vista delle elezioni politiche del 1994 si alleò con Alleanza nazionale-MSI, CCD, Lega Nord mentre
la DC e il PSI si erano avviate verso l’autoscioglimento. Il Polo delle libertà incentrato su Berlusconi
vinse le elezioni e il suo leader divenne capo del governo dando luogo ad un’anomalia tutta italiana
visto il pesante conflitto di interessi che si veniva a determinare dall’intreccio tra politica e affari
privati. Dissidi interni alla coalizione di centro-destra portarono poi nel dicembre dello stesso anno
Profilo storico degli anni 1992-2001
21
alla caduta del governo. Né molto più fortunata risultò essere la successiva esperienza alla guida del
governo di Dini che si concluse ad un anno dalla sua nascita.
Arriviamo così al 1996 e alla costituzione del governo di Romano Prodi, sostenuto dalla coalizione
dell’Ulivo, con la presenza di nove ministri del PDS. Tra i momenti più significativi possiamo
ricordare il rientro della lira nello SME, l’ulteriore riduzione del livello dell’inflazione e
l’abbassamento del tasso di sconto operato dalla Banca d’Italia che lo ha portato al 6,75% e cioè a
un limite che non si raggiungeva da oltre venti anni. In questo contesto la disoccupazione si
manteneva elevata e la crescita del PIL modesta.
Notevole interesse e grandi speranze suscitò, poi, la nuova Commissione bicamerale costituita nel
1997 che avrebbe dovuto elaborare una serie di importanti riforme ma che, dopo il solito scambio
reciproco di accuse tra le parti politiche, fallì.
I profondi e inaspettati cambiamenti di questo periodo storico hanno imposto con troppa fretta la
consuetudine di considerare conclusa la vicenda della “prima repubblica” e avviata quella della
seconda. Ma le aspettative di una diversa pratica dei governi e di un diverso rapporto tra cittadini e
Stato affidate a questo passaggio epocale sembrano ancora lontane dall’essere realizzate.
Il resto, più che storia, è cronaca, compresa la recente vittoria elettorale del Polo di Berlusconi,
attuale Presidente del Consiglio come nel 1994, ma questa volta a capo di una coalizione più solida.
Gli anni di cui ci stiamo occupando hanno visto almeno altri due importanti fenomeni interessare il
nostro Paese: la costituzione dell’Unione Europea e la crescita dell’immigrazione.
Quanto al primo punto ricordiamo come a Maastricht nel dicembre del 1991 i governi dei 12 Paesi
che allora componevano la CEE firmarono uno storico trattato che prevedeva la realizzazione
dell’unione economica e monetaria (UEM), la creazione di una moneta unica e della Banca centrale
europea. L’integrazione tra i Paesi dell’Europa avrebbe progressivamente riguardato anche altre
materie come la politica estera e di sicurezza comune, una maggiore cooperazione nei settori degli
affari interni e della giustizia.
A partire dal 1993 venne istituito il mercato unico e si abolirono le frontiere doganali in modo che
persone, capitali, merci e servizi potessero circolare liberamente.
Ogni Paese, per entrare nell’unione monetaria e per continuare a farne parte, deve rispettare dei
criteri di convergenza nel raggiungimento dei quali l’Italia e i suoi governi si sono giocati una fetta
importante di credibilità. Alla fine l’obiettivo è stato raggiunto; quando nel maggio del 1998 il
Consiglio europeo annuncia quali Paesi possono partecipare alla fase finale dell’UEM, c’è anche
l’Italia, insieme ad altri dieci Paesi, dove dal 1° gennaio 1999, con la determinazione delle parità
fisse ed irrevocabili, l’euro è diventata la moneta ufficiale dell’Unione Europea.
Capitolo Primo
22
Romano Prodi, già presidente del consiglio, dimessosi dal suo incarico, affidato a D’Alema e poi a
Giuliano Amato, che aveva fatto dell’ingresso in “Eurolandia” uno dei punti fondamentali del suo
programma, siede ora alla presidenza dell’Unione.
Quanto all’immigrazione, la crisi del regime comunista in Albania, accompagnata da un tracollo
dell’economia e della produzione e distribuzione di generi alimentari, ha prodotto, a partire dal
1991, un’ondata di immigrazione illegale in Italia di cui il drammatico approdo nel porto di Bari
della nave Vlora, con migliaia di persone ammassate a bordo, rappresenta l’immagine forse più
significativa.
Il fenomeno continua tuttora, la storia sconfina nella cronaca. Attratti dal miraggio di un Paese
ricco, intravisto sulla sponda orientale dell’Adriatico attraverso gli schermi televisivi, decine di
persone ogni giorno intraprendono un viaggio disperato, alla mercé di scafisti senza scrupoli. I
Paesi di provenienza sono diversi, non c’è solo l’Albania, ma l’ex Jugoslavia dilaniata dalle guerre,
l’Africa e l’Asia. In questo triste commercio di esseri umani che pagano cifre enormi pur di
scappare dalla loro terra, ha finito per inserirsi ben presto la mafia italiana, oltre a quella albanese e
internazionale, che rende il problema ancora più complesso.
L’Italia, da Paese di emigranti sta diventando Paese di immigrati e deve quindi affrontare delle
difficoltà crescenti alle quali non era abituata e che producono a volte preoccupanti manifestazioni
di intolleranza.
Le migliaia di chilometri di coste italiane e del Sud in particolare diventano, così, oggetto di grande
attenzione e il tema dell’immigrazione rimane uno dei più caldi nel dibattito politico e sociale
italiano, insieme alla riorganizzazione del mercato del lavoro, alla disoccupazione, ai conti pubblici
dello Stato, al welfare.
29
Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo
F. M. Voltaire
Criminalità
31
Capitolo secondo
CRIMINALITÀ
Il primo importante aspetto che andremo a considerare è, come abbiamo detto, quello della
criminalità. Si tratta di un tema che possiamo immaginare come una lente attraverso la quale
guardare al Sud, o meglio cercare di capire come la stampa vede il Sud.
Il problema della criminalità è assai vasto, chiama in causa molti altri fattori, di tipo sociale,
economico, politico e anzi proprio per questo motivo lo abbiamo scelto ritenendolo
particolarmente significativo per ciò che ci proponiamo di indagare.
Dobbiamo poi chiarire che il materiale sul quale lavorare non manca di certo. Ci sono tantissime
testimonianze, commenti e articoli su questo tema. Sarebbe stato difficile per noi recuperarli tutti a
partire dal 1992, anno in cui abbiamo scelto di iniziare questa nostra analisi, fino ad oggi. Perciò
abbiamo deciso di limitarci ad alcuni avvenimenti che sono obiettivamente più importanti di altri o
che comunque hanno destato particolare clamore: l’omicidio del giudice Giovanni Falcone, della
moglie e degli agenti di scorta avvenuto il 23 maggio del 1992; quello di Paolo Borsellino e degli
agenti di scorta avvenuto meno di due mesi dopo; la cattura di Totò Riina datata 15 gennaio 1993;
l’omicidio di Nicholas Green del 30 settembre 1994; l’omicidio della piccola Valentina Terracciano
che è del 12 novembre 2000.
Si tratta di cinque avvenimenti sui quali i giornali hanno lavorato parecchio, attorno ai quali si sono
fatte analisi profonde e molto interessanti, di certo utilissime se vogliamo capire come viene
rappresentato il Sud da questa particolare prospettiva.
L’idea che personalmente ci siamo fatti della criminalità al Sud è questa: si tratta di un fenomeno
paragonabile ad una guerra che lo Stato, noi, combattiamo sempre. C’è il fronte, con i giudici “in
prima linea” come vengono non a caso definiti. Ci sono le auto blindate, le aule bunker, le scorte,
ecc.
Più dietro ci siamo tutti noi, considerando che la criminalità, la mafia e soprattutto una certa
mentalità mafiosa, si manifestano anche nelle cose di tutti i giorni, nelle piccole grandi sopraffazioni
che non vanno sempre sui giornali, anzi quasi mai per la verità.
Capitolo Secondo
32
Tante persone, tanti di noi possono essere coinvolti, più o meno da vicino e più o meno
direttamente. Ciononostante tutto continua ad andare avanti, niente turba veramente le nostre
coscienze, almeno fino a quando non accade un fatto clamoroso, la strage di Capaci, quella di via
D’Amelio per esempio, e allora si ha più chiara la percezione della guerra che è in atto. Lo Stato
risponde in maniera forte. Subito. Ma dopo, cessata l’emotività del momento, tutto ridiventa
tranquillo, cala l’attenzione generale su un problema che evidentemente non si è aperto e chiuso lì,
si “abbassa la guardia” come tanti magistrati non si stancano di ripetere. In attesa del successivo
fatto clamoroso che ridesti di nuovo l’attenzione e riaccenda le luci della ribalta spente forse troppo
presto.
Questa è, in breve, l’impressione che sulla criminalità abbiamo ricavato non solo dai giornali, ma
anche dagli altri media e dalla nostra personalissima esperienza.
Quello che però bisogna davvero osservare ai fini della nostra analisi è come i giornali considerino e
rappresentino il Sud partendo da questo particolare aspetto, cioè dal fenomeno criminale.
Possiamo allora subito trovare una conferma della nostra impressione ricordando quello che dice
Corrado Stajano sulle colonne del Corriere della Sera: “La questione della mafia non sembra proprio
più una questione nazionale come riuscì ad esserlo dal 1982 al 1987 e poi dal 1992 al 1995. Tutto
tace.”
4
E ancora: “In questi ultimi anni la società politica, nel suo complesso, ha minimizzato il
problema tenuto vivo solo da alcune minoranze”.
5
Noi crediamo, come l’articolista del Corriere, che il problema continui ad esistere, probabilmente in
forme diverse dal passato, perfino in forme meno gravi e pervasive tanto da far esclamare troppo
entusiasticamente a Pino Arlacchi nella recente conferenza ONU sulla criminalità tenutasi a
Palermo, che la mafia è quasi sconfitta e che siamo vicini a batterla definitivamente. Il problema
della mafia e della criminalità, non dimentichiamoci nemmeno per un momento della camorra, della
‘ndrangheta e dell’ultima nata, la Sacra Corona Unita, è certamente ancora vivo e vegeto, ben
lontano dall’essere veramente eliminato, tanto che lo stesso Arlacchi si è precipitato ben presto a
ridimensionare i toni del suo ottimismo. Il problema della criminalità è ancora lì, pronto a sfigurare
di nuovo il nostro Sud come ha già fatto tante volte e come sta facendo adesso.
Noi crediamo però che esista anche un Sud che vuole battersi per la legalità, produrre economia
sana e scrollarsi di dosso il peso insostenibile della criminalità. Questo Sud va raccontato, seguito e
sostenuto, a partire dal suo guardare in faccia la realtà senza voltarsi indietro facendo finta di niente
o ridimensionando la questione. Riconoscere il male di cui si soffre è il primo passo verso la
guarigione e da questo basilare punto di vista è indubitabile che qualche risultato sia stato
raggiunto. Ce lo dice Paolo Borsellino nel comitato antimafia del luglio 1988: “Io sono vissuto in
4
C. Stajano, Corriere della Sera, 7 novembre 2000
Criminalità
33
una società in cui, quando avevo 15 anni, un mio compagno di scuola si vantava di essere figlio o
nipote del capomafia del suo paese, e io lo invidiavo. Oggi, probabilmente, non ci sono a Palermo
giovani come me che a 15 anni invidiavano il compagno di classe perché figlio del capomafia”.
Ma cos’è la criminalità per il Sud? Cosa sono mafia, camorra, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita? E’
chiaro che la saggistica sull’argomento è assai copiosa, sono state sviscerate ragioni storiche, sociali
e quant’altro. Noi più semplicemente ci contenteremo di prendere in esame qualche intervento
apparso sui giornali e altre poche riflessioni che ci hanno particolarmente colpito.
Cominciamo con Giuliano Zincone: “La mafia – ma potremmo dire in generale la criminalità
organizzata – non è un cancro piovuto da cieli lontani. E’ un potere autoctono che ha profonde
radici nelle masse, che è largamente accettato, forte nell’economia, potente nel mondo della
produzione, ente di assistenza, agenzia di collocamento, camera di compensazione rispetto alle
ingiustizie (vere o ipotetiche) dello Stato centrale, banda armata che distribuisce ai fedeli le
sontuose elemosine che piovono dalle colpevoli elargizioni romane. E’ ingenuo o peggio
irresponsabile ritenere che un’organizzazione come questa sia, in qualche modo, espressione del
potere politico governativo. Cosa Nostra – la criminalità organizzata – è un regno autonomo che
agisce, di volta in volta, secondo i propri interessi: vende voti a un partito in cambio di favori,
oppure glieli nega se i favori non sono sufficienti, patteggia tangenti con un industriale oppure dà
fuoco alla sua fabbrica, corrompe i magistrati, li intimidisce oppure li uccide. Si comporta,
insomma, come uno Stato che, secondo le circostanze, sceglie l’alleanza o il compromesso, la
trattativa o la guerra nei confronti di chi interferisce con i propri disegni”.
6
Un altro contributo che vogliamo ricordare e che ci sentiamo di condividere è di Gian Carlo
Caselli, il quale dice: “La mafia – ma crediamo di poter estendere il discorso a tutto il crimine
organizzato – è un’associazione criminale, è sì un problema di ordine pubblico, ma non è soltanto
questo. E’ un fenomeno assai più complesso, caratterizzato da una fittissima trama di relazioni con
la società civile e con svariati segmenti delle istituzioni. Di qui un intreccio di interessi e un reticolo
di alleanze, connivenze e collusioni che sempre hanno fatto della mafia un pericoloso fattore di
possibile inquinamento della politica, dell’economia e della finanza”.
7
Sfiorando appena il secolare confronto che sul tema ha impegnato tanti autori, ci piace ricordare il
dibattito modernissimo che s’instaurò, alla fine dell’Ottocento, tra Pasquale Villari e Pasquale
Turiello. Si discuteva di camorra, ma possiamo anche dire, in generale, di mafie.
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C. Stajano, Corriere della Sera, 19 dicembre 2000
6
G. Zincone, Corriere della Sera, 26 maggio 1992
7
G. Caselli, Corriere della Sera, 18 ottobre 1994