4
I. La guerra civile
Esploso ufficialmente nel 1983, in occasione delle rivolte anti-tamil scoppiate lungo le
strade di Colombo, ricordate come il Luglio Nero (Black July), il conflitto venne dichiarato
concluso dopo 26 anni di atrocità e con un bilancio di vittime non ancora pienamente
accertato, ma verosimilmente prossimo a 100.000
6
; un dramma umanitario aggravato ancor
di più dallo spaventoso maremoto che ha devastato l’isola nel dicembre del 2004, in seguito
al terremoto verificatosi nelle acque dell’Oceano Indiano. Alla base di questa drammatica
guerra civile vi fu il definitivo inasprimento dello scontro etnico tra le due principali
comunità dello Sri Lanka, in corso da decenni: i singalesi, la maggioranza demografica del
Paese ed ampiamente rappresentata dai governi locali, ed i tamil, il secondo gruppo etnico
dell’isola, seppur in netta minoranza. Lungo il corso di questi 26 anni di conflitto, fra
altalenanti periodi di tregua e di scontro aperto, lo sforzo militare delle forze armate regolari
del governo srilankese fu indirizzato essenzialmente verso il contrasto e l’annientamento di
un’organizzazione paramilitare chiamata LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam),
comunemente nota con il nome di Tigri Tamil. Tale gruppo armato, autoproclamatosi
portavoce unico della comunità, occupava i territori settentrionali ed orientali dell’isola,
considerati la storica patria del popolo tamil (Tamil Eelam), al fine di ottenerne
l’indipendenza e liberarli dall’invasione singalese, rappresentata dall’intero apparato statale
srilankese.
6
Krista Mahr, Sri Lanka to Start Tally of Civil-War Dead, Time, 28 novembre 2013, in
http://world.time.com/2013/11/28/sri-lanka-to-start-tally-of-civil-war-dead/ (consultato il 16 dicembre 2015).
5
Mappa 3. Il progetto di Tamil Eelam
7
.
Un conflitto combattuto in modo cruento ed efferato da entrambi gli schieramenti,
attraverso gesti al limite del disumano. Per quanto riguarda l’organizzazione paramilitare
delle Tigri, ad esempio, è stato ormai comprovato il diffuso impiego di bambini-soldato
nella conduzione delle operazioni belliche ed il persistente impedimento della libertà di
movimento, opinione ed espressione della popolazione dei territori occupati. Al gruppo,
inoltre, vengono attribuiti numerosi omicidi legati a personalità politiche e militari, tra le
quali il Primo Ministro indiano Rajiv Gandhi ed il Presidente del governo srilankese
Ranasinghe Premadasa; nonché la progettazione di attentati terroristici mirati a seminare
7
South and Central Asian Para-Military Groups, Liberation Tigers of Tamil Eelam, in
http://www.globalsecurity.org/jhtml/jframe.html#http://www.globalsecurity.org/military/world/para/images/
TAMIL_EELAM_SRI_LANKA_600.jpg||| (consultato il 17 dicembre 2015).
6
panico e morte tra i civili di tutto il Paese, attraverso l’impiego di cinture esplosive
forzatamente indossate da individui, specialmente donne e bambini, costretti al suicidio.
Quest’ultimo aspetto, in particolar modo, ha gradualmente generato la convinzione che le
Tigri abbiano in qualche modo ispirato le azioni di altre note organizzazioni terroristiche,
come al-Qaeda, ed ha indotto membri influenti della comunità internazionale, come Stati
Uniti d’America ed Unione Europea, ad inserire l’Ltte nella lista dei gruppi terroristici più
pericolosi del pianeta.
Per quanto riguarda le azioni perpetrate dai governi srilankesi succedutisi durante il
conflitto, invece, esse non appaiono affatto di gravità inferiore: la possibilità che sia stato
compiuto un vero e proprio genocidio nei confronti della popolazione tamil, con particolare
riferimento alle ultimissime fasi della guerra civile, continua ad essere reale, nonostante
l’inesistenza di una decisiva inchiesta che possa fare piena luce sugli avvenimenti. Gli
episodi di bombardamenti indiscriminati dei territori occupati dalle Tigri, di violenze
barbare e gratuite subite dalla popolazione locale da parte delle forze armate regolari, di
sistematica coercizione e repressione degli elementi di opposizione interna e degli organi di
stampa srilankesi, aiutano a comprendere la reale condizione degli abitanti dell’isola in
questi lunghi 26 anni.
Una guerra fratricida che ha devastato la splendida isola dell’Oceano Indiano, stravolgendo
l’esistenza e brutalizzando il diritto alla libertà di un popolo intero, a prescindere dalle
proprie origini etniche. La sua impietosa violenza ha costretto alla miseria una fetta enorme
di popolazione, generando un impressionante esodo verso terre più sicure e stabili. La
caotica ed indisciplinata condotta degli scontri sul campo, inoltre, ha reso quasi impossibile
l’intervento delle organizzazioni internazionali preposte all’assistenza umanitaria delle
vittime del conflitto, contribuendo al drammatico bilancio finale di questa enorme
catastrofe. Uno scenario apocalittico che ha accompagnato l’isola fino al maggio del 2009,
7
quando l’Ltte diede l’annuncio ufficiale della propria resa e prese la decisione di
abbandonare la lotta armata, consegnando la vittoria al governo di Mahinda Rajapaksa
8
.
II. L’alba del conflitto
Come brevemente accennato in precedenza, il principio del conflitto viene
convenzionalmente fissato in occasione degli eventi del Luglio Nero: una drammatica
manifestazione di violenza e rabbia popolare generata dall’uccisione di 13 militari singalesi
stanziati nei pressi della penisola di Jaffna, il quartier generale delle Tigri e storico territorio
di appartenenza della comunità tamil.
Mappa 4. La penisola di Jaffna
9
.
8
Per approfondire l’origine e lo sviluppo della guerra civile vedi S. J. Tambiah, Sri Lanka: Ethnic Fratricide
and the Dismantling of Democracy, I. B. Tauris & Co. Ltd, London, 1986; per un’analisi completa delle
operazioni militari, dell’emergenza umanitaria e della risposta internazionale al conflitto vedi W. Clarence,
Ethnic Warfare in Sri Lanka and the Un Crisis, Pluto Press, London, 2007; per una ricostruzione dell’ultima
fase del conflitto e le ipotesi di genocidio della popolazione tamil vedi G. Weiss, The Cage: The Fight for Sri
Lanka & The Last Days of the Tamil Tigers, The Bodley Head, London, 2011.
8
Tali avvenimenti non furono che l’apice della tensione tra le due comunità, esasperata dalla
svolta militare dello scontro etnico, coincidente proprio con la fondazione dell’Ltte,
avvenuta nel 1976, e la conseguente adesione di questo ed altri gruppi di giovani tamil al
principio della lotta armata, al fine di ottenere l’indipendenza dell’Eelam dallo Sri Lanka.
Un obiettivo condiviso con i maggiori partiti politici dei territori tamil ed in particolar modo
dal Fronte unito di liberazione tamil (Tulf – Tamil United Liberation Front); esso, sempre
nel 1976, annunciò ufficialmente il proprio passaggio all’approccio separatista attraverso
l’adozione di quella che viene ricordata come la Risoluzione di Vaddukoddai. Tuttavia, la
svolta radicale del separatismo tamil non fu che il frutto del fallimento di una visione
decisamente più morbida della questione: fino al 1976, infatti, la proposta principale della
comunità rimase quella di una riforma federalista dello Sri Lanka, in grado di garantire
autonomia amministrativa ai territori settentrionali ed orientali del Paese, senza
comprometterne l’unità nazionale. Un’ipotesi mai realmente considerata dai vari governi
susseguitisi e strenuamente respinta dalla comunità singalese.
Ma quali furono le motivazioni alla base del desiderio di indipendenza della popolazione
tamil dello Sri Lanka? La risposta al quesito deve essere rintracciata nel ventennio
probabilmente più importante dell’intera storia ceylonese, ossia dall’anno dell’indipendenza
dell’isola dalla Gran Bretagna (1948) alla fine degli anni Sessanta. Un periodo in cui
vennero adottate, dai governi a maggioranza singalese, una serie di importanti riforme
considerate penalizzanti ed escludenti dalla comunità tamil e che causarono il definitivo
strappo tra i due gruppi, con l’emersione di numerosi episodi di violenza ed intolleranza
reciproca. All’interno di tali riforme può essere citata, ad esempio, la limitazione
all’ottenimento della cittadinanza e del diritto di voto ad una fetta di popolazione tamil
originaria dell’India; oppure l’adozione della lingua singalese quale idioma ufficiale
dell’isola, senza garantire un equo trattamento o una qualsiasi forma di tutela alla lingua
tamil; l’attuazione di progetti volti a proteggere e preservare la cultura e la religione della
9
Bbc News, Heavy Fighting in Jaffna, 11 luglio 2000, in http://news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/828800.stm
(consultato il 22 dicembre 2015).
9
sola comunità singalese; la ristrutturazione delle modalità di accesso a università ed
impieghi pubblici secondo criteri etnico-linguistici.
Scelte politiche in grado di radicalizzare progressivamente il pensiero delle nuove
generazioni tamil e dei partiti politici della comunità, alimentando il diffuso sentimento di
marginalizzazione. Un sentimento ulteriormente condizionato dalla pressione di alcuni
movimenti, presenti all’interno della comunità singalese, caratterizzati da una particolare
avversione nei confronti della popolazione tamil e da una visione radicalmente nazionalista,
saldamente legata all’orgoglio per la propria cultura, la propria lingua e la propria religione.
Movimenti in grado di ottenere gradualmente una notevole considerazione nel panorama
politico nazionale, tanto da influenzare notevolmente le scelte dei governi durante il
ventennio post-indipendenza
10
.
III. L’impronta britannica
Tuttavia, l’elemento principale in grado di consentire l’adozione di queste controverse
riforme fu il sostanziale predominio della comunità singalese all’interno dell’apparato
statale dell’isola, senza la possibilità di un’efficiente opposizione politica da parte della
comunità tamil. Ciò fu un’inevitabile conseguenza della realtà demografica degli elettori
dell’isola, che non abbandonarono mai il criterio etnico quale base del proprio esercizio di
voto. Tale fenomeno, quindi, non permise alle componenti minoritarie della società
ceylonese di essere adeguatamente rappresentate negli organi decisionali del Paese e diede
vita ad uno sviluppo disomogeneo dell’isola. Presupposti perfettamente legittimati e
garantiti dall’architettura costituzionale del Paese, concepita con caratteristiche palesemente
occidentali e non sagomate su di una realtà profondamente differente rispetto alle
10
Per approfondire le scelte politiche adottate nel ventennio di riferimento vedi A. J. Wilson, Politics in Sri
Lanka 1947-1979, 2nd Edition, The Macmillan Press Ltd, London, 1979; per un’analisi dello sviluppo delle
tensioni interetniche in questo periodo storico vedi K. M. De Silva, Reaping the Whirlwind: Ethnic Conflict,
Ethnic Politics in Sri Lanka, Penguin Books, New Delhi, 1998, od anche A. J. Wilson, The Break-up of Sri
Lanka: The Sinhalese-Tamil Conflict, C. Hurst & Company, London, 1988.
10
democrazie del vecchio continente. Un’impostazione dovuta, essenzialmente, all’impronta
lasciata dall’ultimo Impero coloniale presente sull’isola di Ceylon prima della concessione
dell’autonomia: l’Impero Britannico. Giunta sull’isola nel 1796, la potenza occidentale fu
responsabile delle sorti ceylonesi sino al 1948 e, di conseguenza, rivestì un ruolo cruciale
nel futuro sviluppo amministrativo, economico, politico, sociale ed occupazionale del Paese,
garantendo i presupposti che daranno vita al devastante conflitto etnico del XX secolo.
La gestione britannica, infatti, credo possa essere tranquillamente considerata confusionaria,
incoerente, poco lungimirante e sicuramente eurocentrica. Essa può essere sostanzialmente
divisa in due fasi. Nella prima fase, che ingloba buona parte del XIX secolo, le differenze
culturali, linguistiche e religiose presenti sull’isola vennero fortemente accentuate, tanto da
essere adottate quale criterio di gestione amministrativa. Nella seconda fase, coincidente con
l’inizio del Novecento, l’accento venne posto sulla necessità di sviluppare un’inesistente
omogeneità nazionale, in grado di consentire l’adozione di una struttura democratica di
impostazione europea in vista del processo di trasferimento della responsabilità politica alla
nativa classe dirigente. Una gestione che rese fortemente instabile l’intera società ceylonese,
esacerbandone le tensioni e contribuendo alla sua spaccatura interna. Nel 1948, nel pieno
dello scontro socio-politico tra tamil e singalesi, la Gran Bretagna decise di concedere lo
status di dominion al piccolo possedimento asiatico, dando vita ad uno dei pochissimi casi
di indipendenza estremamente pacifica, concessa senza alcuna lotta armata o spargimento di
sangue. L’Impero si fece semplicemente e quasi improvvisamente da parte, abbandonando
l’isola al proprio destino e non curandosi della intricata realtà che andava lasciandosi alle
spalle. Lo Stato britannico aveva consegnato nelle mani della maggioranza etnica del Paese
un potere troppo grande per poter essere ignorato e la tensione raggiunta dal dibattito
politico interno lasciava facilmente intuire quale sarebbe stato lo sviluppo futuro dello
scontro etnico. Tutti elementi che videro una drammatica concretizzazione nei tragici eventi
che portarono allo scoppio della guerra civile.
IV. L’equilibrio interetnico
Eppure, alla luce di quanto esposto sinora, risulta necessario effettuare una precisazione di
primaria importanza: le relazioni interetniche sull’isola di Ceylon non furono sempre
11
caratterizzate da conflitti e tensioni. Sino agli ultimi sviluppi dalla gestione britannica,
infatti, collaborazione e mutua tolleranza erano caratteristiche consolidate nel tempo. Fatta
eccezione per alcuni casi di intemperanze legate all’appartenenza religiosa, prima del XX
secolo non si ha testimonianza di scontri particolarmente rilevanti tra le popolazioni
dell’isola, caratterizzata da un sostanziale equilibrio sociale. Un fenomeno basato su
presupposti che una democrazia europea come quella britannica stentò a comprendere ed
interpretare: riconoscendo e rispettando reciprocamente le proprie diversità, le comunità
presenti sull’isola non avevano alcuna concezione di superiorità demografica e nessun
desiderio di supremazia sugli altri gruppi, considerati egualmente paritari in importanza e
legittimità. Paradossalmente, fu proprio il rispetto di tali peculiarità a garantire quel
sentimento di unità tanto desiderato dall’Impero britannico. Cercando di appiattire questo
bilanciamento di elementi differenti su un’insostenibile omogeneità ed una falsa simmetria,
l’intera struttura ceylonese ha visto lentamente cedere le proprie basi ed è inevitabilmente
crollata.
Un discorso valido non solo per il rapporto tra singalesi e tamil, ma per l’intera società
ceylonese: la consueta descrizione di uno schema a due fattori, infatti, non rende giustizia ad
altri importanti elementi presenti sull’isola, costretti a subire le conseguenze dello scontro
principale. Inoltre, risulta essere erronea e fuorviante, non solo la concezione omogenea dei
due blocchi contrapposti, ma anche l’origine squisitamente etnica della stratificazione del
contesto ceylonese: per ogni gruppo esistente sull’isola, infatti, vi sono delle differenze
interne che seguono molteplici e differenti matrici, in grado di arricchire notevolmente il
quadro di una società estremamente complessa; e proprio a questa ricca ed eterogena realtà
si riferisce il mosaico finemente tempestato di gemme citato all’inizio di queste pagine ed al
quale si deve il titolo della tesi. Presentare lo Sri Lanka attraverso un semplicistico schema
bipolare, caratterizzato da un costante conflitto dall’origine puramente etnica, potrà
garantire sicuramente una maggiore facilità descrittiva ed una ancor più agevole
comprensione, ma non offre una visione corretta e completa della realtà.