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Introduzione
Quando si parla di donne oggi si associa al genere femminile la definizione moderna di “sesso
forte”, in contrapposizione con la accezione che nel passato vedeva l’ uomo come parte dominante
del rapporto maschio-femmina. I vari movimenti che negli anni si sono susseguiti e hanno portato
alla definizione di nuove dinamiche sociali, lavorative, emotive tanto hanno contribuito alla nuova
versione della donna proiettata verso nuovi orizzonti personali: oggi le donne occupano posti
prestigiosi sotto il profilo economico, sociale, politico e professionale, che fino a qualche decennio
fa neanche sarebbe stato possibile immaginare, basti pensare che in Italia il diritto al voto femminile
è stato sancito solo nel 1946.
Pur ammettendo che ancora tanto resta da fare nell’ ottica della parità effettiva e reale di genere, i
traguardi ottenuti fin qui potrebbero far ritenere che la condizione della donna, almeno in Italia o
comunque nei Paesi più avanzati sul piano culturale, sia tale da creare i giusti presupposti per una
convivenza pacifica e paritetica in tutti i contesti.
E invece non sempre è così.
Ogni settimana le cronache non mancano di informarci che una nuova strage familiare si sia
consumata tra le pareti domestiche: secondo i dati EURES ogni tre giorni una donna viene uccisa in
Italia dal partner o ex, e spesso queste donne sono anche mamme.
Le vittime quindi sono le donne uccise, ma anche i loro figli che assistono impotenti e che
rimarranno orfani di entrambi i genitori perché i padri si uccidono a loro volta o finiscono in
carcere.
I figli e le figlie di tutte le età, quindi, sono vittime due volte e dovranno fare i conti con il futuro e
la società che dovrà assisterli e tutelarli da essa stessa, dai pregiudizi che riguardano il cognome che
portano, lo stesso dell’ assassino, dal rischio che questo tragico episodio segni il loro sviluppo, il
loro comportamento, la loro visione dei rapporti con gli altri e i loro sentimenti. I figli sopravvissuti
alle stragi familiari spesso sono affidati ai parenti prossimi e trasferiti in altri contesti sradicati dalla
loro vita passata oppure (forse peggio) continuano a vivere vicino al luogo della tragedia costretti a
ricordarla ogni giorno andando a scuola o incontrando le stesse persone conosciute.
Questa elaborato nasce dalla necessità di capire come possa essere la vita di questi orfani, come
vengano assistiti dalla nostra società verso un futuro il più sereno possibile, come possiamo tutti
adoperarci affinchè queste tragedie non assumano più i connotati di una guerra vera e propria che si
consuma ogni giorno.
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Da futura psicologa ho cercato di indagare quali possano essere le tipologie di violenza che si
manifestano all’ interno delle relazioni e quali possano essere le dinamiche che scatenano queste
condotte che portano all’ omicidio.
La scelta dell’ insegnamento di “Psicologia Sociale” come ambito nel quale sviluppare la ricerca mi
è sembrato il più indicato per dare la misura delle implicazioni sociali del fenomeno, la cui
diffusione lo colloca senza dubbio tra i più significativi tra le condotte deviate: se è vero che uno
dei compiti della psicologia sia quello di indagare i comportamenti, le motivazioni, le relazioni tra
persone anche al fine di migliorarne la qualità e favorirne sviluppo e benessere e se è altrettanto
vero che la sociologia si ponga come scienza che analizza le leggi che regolano la società, la
psicologia sociale quindi coniuga individuo e contesto, studia le influenze dell’ ambiente e della
cultura e in definitiva “è lo studio scientifico del modo in cui i pensieri, i sentimenti e i
comportamenti delle persone vengono influenzati dalla presenza reale o immaginaria degli altri
(Allport, 1985).
Un uomo che uccide la propria partner non commette semplicemente un reato: un padre di famiglia
che uccide la propria moglie davanti ai figli compie un atto di distruzione di quel nucleo
fondamentale che sta alla base della società stessa. Le ripercussioni di questa azione non si avranno
solo nell’ ambito del contesto familiare, ma se ne percepirà il riverbero sotto molti profili nella
comunità nella quale si consuma il femminicidio. La famiglia, in qualsiasi modo la si concepisca,
resta il nucleo fondante della società, la prima forma di aggregazione delle persone, il luogo in cui
avviene la formazione e la creazione delle prime dinamiche di convivenza funzionale: distruggere
questo modulo primario equivale a minare le basi della società stessa, con le conseguenze negative
che ne derivano.
La mia indagine nel primo capitolo parte dalla storia della definizione del fenomeno, differenziando
i termini tra “femminicidio”, “omicidio in famiglia” e “violenza di genere” come uccisione di una
donna da parte di un uomo a causa proprio del suo essere donna, e “uxoricidio” “intimate partner
violence” cioè violenza delle relazioni intime come omicidio della donna ad opera del proprio
compagno o ex.
L’ analisi delle varie definizioni é determinanti perché risulta essere la proiezione della visione
della donna nel periodo di riferimento: vale a dire che nel 1800 il termine femicide era
semplicemente usato senza riferimenti a violenze motivate dalla differenza di genere e
successivamente solo per differenziarlo da homicide.
Nei giorni nostri, con la Convenzione di Istanbul, l’accezione “violenza nei confronti delle donne”
indica una ben precisa violazione dei diritti umani e una discriminazione basata sul genere,
riconoscendo i danni e le sofferenze che ne sono la conseguenza.
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I dati riportati nella mia ricerca si riferiscono alla diffusione del fenomeno in Italia e solo con esito
mortale, tralasciando quelli che riguardano tutti i casi di violenza definita di genere, non
riconducibile al partner, i maltrattamenti e altre forme di violenza.
Nello stesso capitolo ho differenziato le tipologie di violenza, classificandola dalle forme più sottili,
ma non per questo meno pericolose, come quelle psicologiche ed economiche a quelle più dirette e
letali come violenze fisiche sessuali fino all’ omicidio. Per ultimo ho citato lo stalking, termine di
recente conio, che denomina tutti gli atti che spesso fanno da prodromo alle condotte esaminate in
precedenza.
Per ciò che riguarda la legislazione italiana ho citato gli articoli che prevedono la punibilità per i
reati dai maltrattamenti all’ omicidio, non essendo riconosciuta la fattispecie di reato di “violenza
di genere”, ma vale la pena sottolineare come il maltrattamento in famiglia venga esteso anche tra
ex conviventi, di fatto equiparando l’ aggravante del maltrattamento anche in assenza di
coabitazione.
Nel secondo capitolo ho affrontato la questione della genesi del fenomeno e delle sue conseguenze;
ho analizzato gli aspetti della violenza dal suo esordio subdolo e controllato, fino alla sua
esplosione più rabbiosa.
E’ emerso che gli uomini maltrattanti manifestino delle difficoltà ad accettare la volontà di
autodeterminazione della donna, che fatichino a condividerne l’ autonomia emotiva e che in
definitiva si sentano minacciati profondamente e messi in discussione dalla emancipazione
femminile.
Vi è una classificazione per tipologia e natura delle violenze, in base alle diverse teorie formulate
dagli studiosi e, studiando diversi campioni di aggressori, si è giunti ad una diversificazione per
tipologia e frequenza della violenza.
Sono state sottolineate anche le motivazioni che spingono ai comportamenti violenti e quali sono i
modelli disfunzionali che i soggetti coinvolti tendono a riproporre, oltre alle fasi attraverso le quali
si manifestano le condotte aggressive.
Dal punto di vista sociologico sono stati presi in esame i motivi che possono predisporre al rischio
di essere vittima e aggressore, individuandoli nell’ investimento emotivo che le figure coinvolte
tendono ad attribuire alla relazione e all’ immagine di sé idealizzata che la realtà vissuta nel
concreto disattende.
Nel terzo e ultimo capitolo ho preso in considerazione la figura dei minori testimoni della violenza
assistita intrafamiliare, indagando su come essa influenzi le relazioni con le figure di riferimento e
ne comprometta il rapporto funzionale; i bambini che sperimentano le condotte violente nelle pareti
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domestiche, se non aiutati, maturano false credenze e modelli operativi disfunzionali, che li
renderanno possibili adulti problematici sotto il profilo psicologico, sociale ed emotivo.
Appare di indubbia rilevanza l’ analisi di queste dinamiche al fine di scongiurare danni permanenti
nei piccoli soggetti coinvolti e promuoverne il normale sviluppo anche allontanandoli dall’
ambiente familiare, ripristinando i rapporti di fiducia con il mondo degli adulti attraverso le terapie
più indicate e le figure professionali più idonee, al fine di scongiurare futuri risvolti negativi sul
piano comportamentale, cognitivo, sociale, fisiologico ed emotivo.
In questa parte dell’ elaborato sono stati analizzati due progetti di analisi e prevenzione: il
protocollo speciale SARA PlUs per valutare i fattori di rischio di recidiva e il programma di
sostegno agli orfani denominato WWW.SWITCH-OFF.EU.
La parte finale è dedicata alla figura degli orfani che hanno perso la madre per mano del padre,
considerando i traumi seguenti alla violenza cui hanno assistito e le ripercussioni che essa porterà
nel loro futuro.