6
INTRODUZIONE
“Il tradimento non trionfa mai:
qual è il motivo?/
\ perché se trionfa,
nessuno osa chiamarlo tradimento”
Sir John Harington, Epigrammi in Of Treason
(libro IV, 5)
Nel suo racconto desacralizzante ed autenticamente postmoderno, “Tres versiones de
Judas”,
1
lo scrittore argentino Jorge Luis Borges – con un approccio alla Bibbia tipicamente
gnosticheggiante
2
- faceva emergere l’inestricabile aporia che la figura e l’azione di Giuda
sembrano implicare: se l’Iscariota è stato ritenuto dannato per il tradimento del Figlio di
Dio, ed il suo tradimento era uno step necessario nella morte di Gesù Cristo per la salvezza
dell’umanità, allora Giuda è stato punito (ingiustamente) per realizzare un progetto
soteriologico divino.
Il sillogismo dell’Iscariota – uno dei tanti che tale figura enigmatica ha fatto
proliferare - ben potrebbe essere riformulato nel seguente modo:
a. Era necessario che Cristo morisse per la salvezza del mondo;
b. Perché Cristo morisse era necessario che fosse “consegnato” da Giuda;
c. La “consegna” da parte di Giuda era necessaria per la salvezza del mondo.
Necessità che è così declinata da Amos Oz, nell’elogio del tradimento di cui al suo
ultimo “Giuda”:
“In fondo, senza di lui [Giuda Iscariota; n.d.r.] non ci sarebbe stata la crocifissione, e senza
crocifissione il cristianesimo non sarebbe mai esistito”.
Perché in assenza del “traditore”,
1
J.L. BORGES, <<Tres versiones de Judas>>, in “Ficciones (1935-1944)”, Buenos Aires, 1944.
2
Per una critica a questa e ad altre tendenze di J.L. Borges: v. G. SALVADOR, Borges y la Biblia,
Iberoamericana/Vervuert, Madrid, 2011.
7
“…il Nazareno sarebbe finito nel dimenticatoio proprio come altre decine di predicatori e maghi che
pullulavano nelle sperdute campagne della Galilea”.
3
Se il Figlio di Dio doveva sacrificarsi per i peccati del mondo e Giuda è stato il
soggetto che ha reso possibile tale sacrificio, non ha egli compiuto un’azione retta in quanto
conforme alla volontà di Dio, sancita nelle “Scritture”?
4
Di più: se le fonti evangeliche
sembrano tendere verso una negativizzazione sempre più accentuata nel tempo del
personaggio, è ipotizzabile l’esistenza di antichissime tradizioni, andate perdute, in cui il
“traditore” non fosse reputato tale ma fosse qualificato come un discepolo “intimo” di Gesù
ed ubbidiente alla sconvolgente volontà di quest’ultimo?
5
In altri termini, la figura del
traditore per antonomasia è connotata da un alone di necessità e mistero che molto
facilmente rischia di scivolare in basso sul piano inclinato del predestinazionismo. Alone
che non risparmierebbe nessun episodio della Passione del Messia, come suggerisce A.
Tornielli descrivendo la scena iniziale del Getsemani così come rappresentata nell’opera
cinematografica “The Passion of the Christ”, di Mel Gibson (2004):
3
A. OZ, Giuda, Feltrinelli, Milano, 2014, pp. 98, 209. La tesi è attribuita al protagonista del racconto –
Shemuel Asch – il quale si mostra sorpreso nel constatare l’assenza tra le fonti storiche di un “vago tentativo”,
di un “accenno” di difesa per quell’uomo senza del quale cristianesimo e Chiesa sarebbero stati fenomeni
effimeri e passeggeri. La presente tesi mostrerà che, probabilmente, un “vago tentativo” di difesa c’è stato ed è
rintracciabile tra le righe del cosiddetto “Vangelo di Giuda”, per quanto recalcitranti verso gli assalti di
un’interpretazione testuale certa ed univoca. D’altronde per il medesimo personaggio partorito dal talento di
Amos Oz anche la parabola esistenziale di Giuda appare essere la conferma di un principio ritenuto
consolidato: “Chi è pronto al cambiamento… chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un
traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno una paura da morire del cambiamento
e non lo capiscono e hanno disgusto di ogni cambiamento” (Ibidem, p. 269). Così commenta lo stesso autore in
un’intervista con W. GOLDKORN (<<Amos Oz: “Chi tradisce è capace di cambiare il mondo”>>, in
http://www.repubblica.it/cultura/2014/10/20/news/amos_oz_chi_tradisce_capace_di_cambiare_il_mondo-
98545224/, pagina visualizzata il 3.11.2014): “E per quanto riguarda il tradimento: chi porta al mondo una
cosa nuova, tradisce le cose vecchie. Traditore era il profeta Geremia, e per gli ebrei Gesù. E lo sono stati
Lincoln, De Gaulle, Ben Gurion agli occhi della destra, perché il fondatore del nostro Stato ha rinunciato nel
1948 a metà della Terra d'Israele. Traditore è stato Rabin. E l'hanno ammazzato. Anche io sono stato più volte
accusato di essere un traditore. Per me è come una medaglia al merito”.
4
Onde egli dovrebbe esser considerato consequenzialmente come il “primo martire” e il più grande di
tutti, perché colui che, morto suicida, avrebbe altresì sopportato “la maledizione” di quell’umanità da egli co-
redenta (assieme al Cristo: cfr. J. FERNIOT, Saint Judas, Paris, 1987).
5
Così per W. KLASSEN, Giuda, Bompiani, Milano, 1999.
8
“Una luna impassibile domina la scena, quasi a simboleggiare il silenzio del Padre. Il luogo è pervaso
dalla nebbia, che ricorda quanto sia fitto il mistero su ciò che sta per avere inizio: necessario e allo
stesso tempo impenetrabile”.
6
Riferendosi alla narrazione del quarto Vangelo, A. Marchadour riassume
efficacemente una serie di “impressioni” che si formano nel lettore quantomeno ad una
rapida e superficiale occhiata della trama:
“La difficoltà maggiore riguarda lo strano destino di questo discepolo scelto tuttavia da Gesù (6,70) e
che sembra programmato e perfino predestinato per il tradimento. Dal momento in cui il suo nome è
evocato, senza che egli agisca ancora, viene qualificato un traditore (6,70), come se fosse diventato
discepolo solo per rivestire gli abiti di questo ruolo ingrato”.
7
I personaggi necessari in vista del “compimento” di quanto “prestabilito” non si
limitarono al diabolico (o sfortunato?) “consegnante”. Nella storia dell’immaginario
cristiano, anche figure anonime e apparentemente insignificanti sembrano dare il loro
contributo (moralmente ambiguo) all’opera della salvezza. Si pensi agli operai che con
difficoltà tentavano di terminare la croce in legno sulla quale sarebbe stato appeso il Messia,
menzionati nelle “visioni” di Anna Katharina Emmerick: la legna appariva come
recalcitrante (perché inservibile o poco resistente) tanto da dover essere continuamente
sostituita, affinché “le diverse qualità di legno fossero combinate nel modo in cui Iddio
voleva”; nondimeno, gli operai sono “spinti” dagli angeli “a ricominciare sempre di nuovo
finché si compisse quanto era prestabilito”.
8
Un ritornello – quello da noi sottolineato - che,
6
A. TORNIELLI, La Passione. Dai Vangeli al film di Mel Gibson, Società Europea di Edizioni, Milano,
2004, p. 33.
7
A. MARCHADOUR, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa, Ed.
Dehoniane, Bologna, 2007, p. 175.
8
Citata da A. TORNIELLI, op. cit., p. 73, 108. Cfr. ANNA KATHARINA EMMERICK, La Passione del
Signore”, Edizione Italiana a cura di V. NOJA, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004. Così come, sempre nelle
medesime visioni, la Veronica - inizialmente chiamata Serafia – aveva preparato in casa un “vino aromatico”
(forse una bevanda stupefacente ed anestetica) per confortare Gesù lungo il doloroso cammino (ma forse per
mera umana previsione dell’evento, essendo, secondo il racconto della Emmerick, la moglie di Sirach, un
membro del consiglio del tempio).
9
esplicitamente o implicitamente nonché sotto diverse forme espressive e lessicali,
incontreremo nuovamente nel corso della presente trattazione.
Simili dilemmi non furono appannaggio esclusivo del predetto scrittore argentino o
delle dissertazioni di un Bertrand Russell, ma costituirono i presumibili interrogativi - non
meramente accademici ed opportunamente riformulati in base all’humus culturale e
teologico del contesto - delle prime comunità cristiane per le quali l’evento della Passione (e
della successiva resurrezione) di Cristo era centrale e fondante, ivi compresa la comunità
giovannea.
9
Il presente lavoro ha per oggetto l’evoluzione ermeneutica sul tradimento
dell’Iscariota e sul suo significato teologico negli strati tradizionali/redazionali rinvenibili
all’interno del Vangelo di Giovanni
10
, con una propaggine finale che protrae il percorso
evolutivo fino al Vangelo copto di Giuda, in riferimento al quale si potranno delineare
somiglianze, allusioni e difformità rispetto al testo Giovanneo ed alla linea teologica in esso
contenuta, con il quale sembra avere alcuni significativi punti di contatto.
Quantomeno per ragioni di onestà intellettuale, occorre che venga esplicitata la
precomprensione da cui si parte. Si tratta dell’ipotesi di partenza, necessaria in qualunque
prodotto che voglia dirsi “scientifico”, e che andrà severamente vagliata e verificata, onde
saggiare se regga o meno all’urto con la cruda materialità dei testi e delle fonti, nella
consapevolezza che il voler ideologicamente piegare lo “spirito” e la “lettera” di un
documento alla visione precostituita del ricercatore (o, peggio, a meri pregiudizi)
costituirebbe il “peccato originale” di una qualsiasi dissertazione accademica. Ne discende
che alla fine del percorso la suddetta ipotesi potrà dirsi totalmente dimostrata, o
parzialmente verificata ovvero, infine, del tutto confutata (e quindi da rigettare, per passare
al vaglio altre eventuali ipotesi preliminari).
9
Una comunità particolare, in cui certi aspetti giudeo-cristiani dai contorni radicali sembrano avvicinarsi
in qualche modo all’essenismo (M. BROUARD, Eucharistia. Enciclopedia dell’Eucaristia, EDB, Bologna,
2004, p. 99).
10
Tuttavia, prima di esplicitarla, è necessario porre dei confini precisi alla presente
ricerca, evidenziando l’oggetto specifico della stessa ma, soprattutto, quanto esulerà dal suo
campo d’indagine.
Con ogni evidenza – quantomeno per prosaiche ragioni di spazio e di tempo - non si
potrà effettuare una trattazione esaustiva sulla figura del traditore per eccellenza. Non si
tratterà (se non per riferimenti occasionali) del destino, terreno ed escatologico,
dell’apostolo fellone, né si disserterà sulle caratteristiche meramente psicologiche dello
stesso. Non ci si addentrerà – se non per rapidi accenni – in tutte le teorie che hanno
duellato sui presunti moventi che spinsero il “figlio della perdizione” al tragico atto. Il
confronto con i Sinottici – sulla “tenebrosa figura” – non sarà sistematico, ma verrà
implementato solo ove la tematica specifica e la vis argomentativa lo renderanno utile o
necessario (in ogni caso, per un rapido confronto, nell’appendice n. 2 è riportata una tavola
sinottica).
Non sarà esaminata la questione dell’attendibilità storica dei Vangeli canonici (o di
altre fonti antiche) che raccontano scarnamente gli episodi e le vicende del celebre
tradimento, né la questione della natura storica o simbolica del personaggio incarnato in
“Giuda Iscariota” o la sua essenza di costruzione meramente narrativa
11
, così come, più in
generale, la problematica della ricostruzione storico-critica dei personaggi giovannei:
pertanto, si assumeranno le tradizioni e gli apporti redazionali così come ci sono pervenuti
10
Si prescinderà, perché irrilevante ai fini della presente ricerca, dalla questione se l’autore/evangelista
del quarto Vangelo debba essere identificato o meno con la figura dell’Apostolo Giovanni figlio di Zebedeo.
11
A titolo di esempio, per H. MACCOBY, Judas Iscariot and the Myth of Jewish Evil, Free, New York,
1992, non è mai esistito un personaggio storico chiamato “Giuda Iscariota”, dovendo identificarsi la sua figura
con un’invenzione narrativa cristiana in chiave antigiudaica. Recentemente, la tesi della creazione ad opera
della comunità primitiva è stata rispolverata da A.K. PETERSEN, <<The Gospel of Judas: A Scriptural
Amplification or a Canonical Encroachment?>>, in POPKES – WURST (a cura di), “Judasevangelium und
Codex Tchacos, Studien zur religionsgeschichtlichen Verortung einer gnostischen Schriftensammlung”,
WUNT 297, Mohr Siebeck, Tübingen, 2012, p. 253-290. Nel presente lavoro ci si limiterà a presupporre,
senza argomentare oltre, i personaggi del quarto Vangelo come figure di un’opera letteraria e teologica
“elaborata su di un nocciolo storico, che certamente intende restituirci figure della fede aventi riferimento alla
storia” (R. VIGNOLO, Personaggi del Quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Edizioni Glossa,
Milano, 2003, p. 17).
11
(rilevandone l’eventuale stratificazione), come sensibili spie del particolare angolo di
visuale interpretativo di chi né fu l’artefice, senza applicare quei criteri di storicità che
dovrebbero costituire l’oggetto di una tesi altra e diversa. La selezione può avere il sapore
dell’arbitrarietà, ma ogni trattazione finita crea inevitabilmente dei confini stabiliti da un
atto decisionale più o meno arbitrario (per lo più dettato dai propri interessi e competenze).
In ogni caso, un testo antico (come il Vangelo di Giovanni) può essere affrontato con un
approccio storico-critico, metodo con il quale si tenta di astrarre il fatto storico
dall’amalgama delle molteplici fonti, e con un approccio letterario-narratologico, che
consiste nel considerare un documento come un testo letterario,
12
il cui autore/autori
ha/hanno una concezione filosofico-teologica specifica che influenza la storia narrata
attraverso la quale si costruisce un’interpretazione particolare su eventi e personaggi narrati,
un’interpretazione diversa dalle altre “consorelle” contemporanee: approcci entrambi con
eguale diritto di cittadinanza nel mondo dell’ermeneutica storica e che, lungi dall’escludersi
a vicenda, risultano complementari per una completa comprensione di un mondo antico. Il
presente lavoro propenderà verso un approccio eterogeneo. Invero, da un lato, si presenterà
l’apostolo “traditore” secondo la prospettiva metodologica dell’analisi narrativa
13
attingendo
prevalentemente al metodo narratologico delineato da R. Vignolo (meglio rispondente ai
personaggi giovannei, assurti a figure eminenti di fede o di incredulità), secondo cui il
personaggio di un’opere letteraria è un lavoro di “costruzione” dell’autore e del lettore, in
12
Cfr. B.D. EHRMAN, Il Vangelo del traditore. Una nuova lettura del Vangelo di Giuda, Mondadori,
Milano, 2010, pp. 206-207.
13
Metodo che si sviluppa secondo tre linee guida: 1) analisi delle tecniche di composizione utilizzate dal
narratore per caratterizzare il personaggio; 2) valutazione dell’impatto narrativo del personaggio nella trama
del racconto; 3) coinvolgimento del lettore nel processo di comprensione del ruolo del personaggio
(quest’ultimo aspetto sarà trattato in misura minore). Per la prospettiva metodologica si vedano, tra gli altri:
W.S. FORSTER, <<Characterization of Peter in the Gospel of Mark>>, in “Neotestamentica” 21 [1987], pp. 57-
76; R. ALTER, L’arte della narrativa biblica, Queriniana, 1990; A. BERLIN, Poetics and Interpretation of
Biblical Narrative>>, Sheffield, 1983; F.W. BURNETT, <<Characterization and Reader Construction of
Characters in the Gospels>>, in “Semeia” 63 [1993], pp.1-28; J.A. DARR, On Character Building: The Reader
and the Rhetoric of Characterization in Luke-Acts, Louisville (KY), 1992; D.M. RHOADS – K. SYREENI (edd.),
Characterization in the Gospels. Reconceiving Narrative Criticism, Sheffield, 1999; M. VIRONDA, Gesù nel
Vangelo di Marco. Narratologia e cristologia, Bologna, 2003; G. BONIFACIO, Personaggi minori e discepoli
12
concorso tra loro; ciò rimarrebbe vero anche se il personaggio fosse una figura storica,
poiché “Un testo che presentasse vicende e figure storiche con l’intento di un resoconto
storico, lo fa pur sempre ricostruendone un’immagine delineata secondo una rifigurazione
mimetica, elaborata secondo punti di vista ben definiti”.
14
Pertanto ci si propone
d’interrogare il testo del Vangelo di Giovanni sulla figura dell’Iscariota, con prospettiva e
finalità simili (ma non esattamente identiche e con un campo oggettuale più ristretto) a
quelle che hanno caratterizzato l’analisi del Giuda matteano implementata da É. Cuvillier:
“…Il ne s’agit donc pas de dresser le portrait psychologique d'un individu existant ou ayant existé. Le
personnage de Judas est, ici, une construction narrative. Il y a certes un réferent historique en arrière-
plan, mais nous n’avons accès qu’à un personnage de fiction. Cependant, à travers ce qu’il dit de ce
personnage fictif, le narrateur traduit aussi quelque chose de sa compréhension de l’être humain. En ce
sens, notre lecture a aussi une dimension anthropologique”.
15
Da un secondo versante, si porterà avanti un’analisi di critica letteraria (accanto a
quella strettamente esegetica) che tende a distinguere tra il corpo di materiale tradizionale
16
utilizzato (che chiameremo, semplificando, “tradizione pregiovannea”), parti provenienti
dall’ “evangelista” (l’autore del cosiddetto testo base), con eventuali riletture successive ad
opera del medesimo soggetto
17
e gli strati redazionali successivi.
in Marco 4-8. La funzione degli episodi dei personaggi minori nell’interazione con la storia dei protagonisti,
AnBib 173, Roma, 2008; S. BAR-EFRAT, Narrative Art in the Bible, T&T Clark International, 2004.
14
R. VIGNOLO, op. cit., pp. 17-20. Per la definizione del Vangelo di Giovanni come “storia poetica”, v.
M.W.G. STIBBE, John as Storyteller. Narrative Criticism and the Fourth Gospel, Cambridge University Press,
Cambridge, 1992, secondo cui la realtà della vita di Gesù non viene affatto distrutta da una “ridescrizione
creativa della tradizione storica” (cfr. C.H. DODD, About the Gospels, Cambridge University Press,
Cambridge, 1950, p. 40).
15
É. CUVILLIER, <<Le personnage de Judas dans l’Évangile de Matthieu>>, in “Regards croisés sur la
Bible. Études sur le point de vue – Actes du III
e
colloque international du Réseau de recherche en narrativité
biblique (Paris, 8-10 juin 2006)”, Cerf, Paris, 2007, p. 315.
16
Senza voler necessariamente ricostruire in maniera puntuale la presumibile fonte sottostante.
17
Per l’unità del quarto Vangelo, v. S. GRASSO, Il Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e
teologico, Città Nuova, Roma, 2008, pp.850-853, il quale ritiene che le incongruenze evidenziate dalla critica
non necessariamente postulano un “rifacimento a più mani”, ben potendo essere spiegate ricorrendo all’ipotesi
della rielaborazione e “rilettura” del testo base, a seconda delle mutate esigenze della situazione (ad es.,
rilettura post-pasquale, o attualizzazione sulla base del conflitto con il giudaismo). Ne consegue che la nuova
lettura non dovrebbe essere in rapporto di negazione totale col testo precedente, ma in rapporto di
esplicitazione, approfondimento o, aggiungiamo noi, di “attenuazione”. Cfr. S.A. PANIMOLLE, <<Tradizione e
redazione in Gv 1-12>>, in R. FABRIS (ed.), “Problemi e prospettive di scienze bibliche”, Queriniana, Brescia,
1981, pp. 259-285.
13
Con riferimento alla critica letteraria, si seguirà parzialmente la linea metodologica di
fondo sottesa all’analisi di R. E. Brown
18
, il quale utilizza l’ipotesi della tradizione e la
teoria della molteplice redazione (sebbene non necessariamente si perverrà alle sue
conclusioni sugli strati letterari da questi individuati). Un metodo, quello implementato nel
presente lavoro, inevitabilmente eclettico che attinge tanto ad elementi della “storia della
tradizione” (preletteraria e, in misura maggiore, scritta) quanto agli apporti della
Redaktionsgeschichte (tesa a cogliere le peculiarità dei redattori, coloro che hanno raccolto
le fonti e il materiale tradizionale, riorganizzandolo e commentandolo teologicamente).
Sono gli indizi rinvenibili nel testo finale, costituiti da incongruenze, contraddizioni,
cuciture e stacchi, a costituire la giustificazione per una storia evolutiva nella redazione del
testo giovanneo, sostanziata in diverse tappe/stratificazioni (di diversi autori/redattori e/o
riletture successive della stessa mano).
C’è la consapevolezza della molteplice varietà delle ipotesi ricostruttive la storia del
testo, senza che si sia pervenuti ad una linea definitiva e tendenzialmente comune,
19
tuttavia
non si potrà fare a meno di enunciare una possibile soluzione (parziale e necessariamente
provvisoria) che emergerà analizzando i passi riferiti al traditore del Cristo. In ogni caso, le
ipotesi della critica letteraria per spiegare l’origine del brano Gv 13,21-30 (un oggetto della
presente tesi) sono maggiormente convergenti e così riassumibili:
“Risalirebbero ad una fonte o tradizione primitiva, imparentata con quella sinottica, i versetti in cui si
presentano la denuncia del traditore, la reazione dei discepoli e la scena di identificazione di Giuda (Gv.
21-27.30). Alcuni autori tendono ad attribuire al lavoro redazionale, sollecitato e condizionato da
interessi ecclesiali o apologetici, non solo i versetti di Gv 13,28-29, ma anche quelli relativi alla figura
del discepolo amato (Gv 13,23-25; J. Becker, E. Hänchen). In ogni caso la redazione finale avrebbe
fuso in un complesso unitario l’attuale testo giovanneo. A quest’ultima fase viene in genere attribuita la
definitiva composizione dell’introduzione generale sulla base di alcuni elementi presenti a livello
18
R.E. BROWN, Giovanni. Commento al Vangelo Spirituale, Vol. I, Cittadella Editrice, Assisi, 1979, pp.
XXIII ss.
14
tradizionale. Il versetto di apertura da alcuni autori viene considerato come una specie di introduzione
generale al libro della gloria o della passione (R. E. Brown, R. Schnackenburg, Gv 13,1-2a; F.F.
Segovia).”
20
Questa ricostruzione del brano sarà assunta come ipotesi di partenza e vagliata durante
il percorso argomentativo.
Con riferimento al “materiale tradizionale”, occorre precisare che il rapporto
Giovanni-Sinottici non è spiegabile in termini di semplice dipendenza del primo dai secondi
(o dalle loro fonti), ma come “una rielaborazione autonoma del materiale conservato anche
nella tradizione sinottica, ma nella prospettiva cristologica ed ecclesiale del quarto
vangelo”
21
Da un punto di vista sostanziale, la tesi (= ipotesi da sottoporre a verifica) che intendo
dimostrare – anche sulla base di alcune analogie struttural-narrative tra il Vangelo di
Giovanni e il Vangelo gnostico di Giuda – è che sia rintracciabile un processo diacronico
nell’ermeneutica dell’atto di Giuda, che parte da una tradizione pregiovannea, viene
sviluppato dall’autore/redattore giovanneo con una sensibile accentuazione “deterministica”
e si arresta con il Vangelo di Giuda (che ne costituisce, in ipotesi, il climax), in seguito al
prevalere della posizione “ortodossa” sulla gnosi (cfr. Ireneo di Lione). Un progresso
storico-ermeneutico lineare, che muove verso una sempre maggiore necessità dell’atto,
nonché una sempre più vistosa deresponsabilizzazione e passività del suo autore. Per
vagliare codesta ipotesi si procederà analizzando due “annunci espliciti di tradimento”
contenuti in Giovanni (Gv 13,21-30 e 6,70-71) evidenziandone anche – come da programma
– l’evoluzione diacronica “interna” al testo giovanneo, evoluzione che sarà focalizzata su tre
19
Dovuta alla carenza di testimonianze ulteriori, extra-testuali, a supporto di una specifica ricostruzione.
20
R. FABRIS, Giovanni, Borla, Roma, 1992, p. 720; per il quale un progetto redazionale “unitario e
coerente” – come quello sottostante il quarto Vangelo – non esclude l’utilizzo di elementi tradizionali.
21
R. FABRIS, op. cit., p. 723. R. E. BROWN, op. cit., p. XLIX-L, concorda con Dodd nel senso di una
tradizione indipendente, sottostante Gv, simile ma non identica alle tradizioni confluite nei sinottici, parlando,
altresì, di una possibile “influenza secondaria indiretta da parte della tradizione sinottica” (ad es. in Gv 12,3-
4).
15
“variabili” dell’atto proditorio: la sua necessità (in chiave soteriologica), nonché il grado di
passività e di negatività del suo autore. Evoluzione – ancora – che verrà messa in controluce
con l’annuncio del “tradimento” (sui generis) contenuto nell’apocrifo Peuaggelion Nioudas,
confronto che trova la sua legittimazione nei punti di contatto tra i due scritti antichi,
oggetto di argomentazione nel corpo del presente contributo. Lo specifico confronto è stato
scelto anche per la relativa e presumibile vicinanza cronologica tra i due vangeli, sebbene
una comparazione con il Vangelo di Tommaso forse sarebbe stata maggiormente
giustificata
22
dal punto di vista temporale: senonché, ivi il personaggio “Giuda Iscariota”
non è nemmeno menzionato. Nondimeno, il caso in esame potrà costituire un esempio di
come sia stata la gnosi del II secolo d.C. (in particolare quella sethiana) ad utilizzare alcuni
schemi di Giovanni (portandoli alle estreme conseguenze).
22
E. PAGELS, Il Vangelo segreto di Tommaso, Mondadori, Milano, 2005, pp. 30,49, si spinge ad
ipotizzare che l’autore giovanneo abbia composto la sua opera per opporsi al Vangelo di Tommaso e
confutarne gli insegnamenti (poiché si riscontrerebbe un’affinità di linguaggio e di immagini tra i due scritti).