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5
discordanti: anche per questo, le teorie della scelta razionale sono difficilmente
riconducibili ad una sintesi unitaria.
All'interno delle teorie della scelta razionale, l'opera di Jon Elster si è
lentamente affermata come una delle più innovative e stimolanti reinterpretazioni
del ruolo della razionalità nell'agire umano. Elster, nato nel 1940, occupa
attualmente la cattedra di scienze sociali alla Columbia University. Dopo la
laurea, conseguita a Parigi con Raymond Aron, egli è stato professore
all'Università di Vienna e successivamente ha lavorato presso il dipartimento di
scienze politiche dell'Università di Chicago, l'Istituto Superiore di Francia e
l'Università di Oslo. L'importanza di Jon Elster per lo sviluppo delle tematiche
legate al problema della scelta razionale consiste nell'incessante approfondimento
al quale ha sottoposto gli schemi concettuali elaborati dai teorici della scelta
razionale per interpretare il comportamento umano. Egli si è imposto
all'attenzione degli studiosi delle scienze sociali dapprima grazie ad alcuni studi
dedicati all'analisi dei paradossi cui conduce l'applicazione del paradigma
dell'homo oeconomicus ad alcuni aspetti dell'agire umano. Elster è riuscito a
dimostrare che, da un lato, non sempre comportarsi in modo inflessibilmente
razionale conduce al raggiungimento del miglior risultato possibile, e, dall'altro
lato, che non sempre è possibile seguire i “dettami della ragione”. Inoltre, il nostro
autore merita un'attenzione particolare per il suo costante impegno nell'affrontare
l'analisi di quelle situazioni in cui le persone non agiscono come previsto dalle
teorie della scelta razionale. Egli ha quindi rivalutato il ruolo del senso comune
nell'elaborazione di modelli interpretativi rispondenti alle caratteristiche effettive
del comportamento umano, perché, come afferma lo stesso Elster:
«La discrepanza tra teoria e senso comune può essere dovuta ad un'errata
concezione della razionalità […]. Se invece assumiamo che la concezione della
razionalità sia corretta, potremmo pensare che il senso comune induca a deviare
dal comportamento razionale. Ma questa seconda posizione è malferma: in
ultima analisi, il materiale di ogni teoria del comportamento razionale è
costituito dalle nostre intuizioni riguardo a ciò che ha senso fare in casi
particolari. Queste deviazioni da ciò che la teoria suggerisce di fare a giocatori
razionali sono frequenti nelle trattative della vita reale»
1
.
Lo studio delle possibili contraddizioni contenute nel paradigma dell'homo
oeconomicus ha portato Elster ad un sempre maggiore interesse verso il
comportamento dettato da norme sociali, senza tuttavia rinunciare agli strumenti
concettuali delle teorie della scelta razionale. Riconoscendo che non sempre le
persone agiscono in modo strumentalmente razionale, egli ha cercato di integrare
il modello teorico dell'homo oeconomicus con quello opposto dell'homo
sociologicus, spesso ignorato dagli economisti in quanto non interpretabile in
termini di scelta razionale. Elster ritiene che il comportamento normativo non
possa essere ricondotto ad una forma di “agire razionale rispetto allo scopo”, e ha
cercato di elaborare una “teoria delle norme sociali”, capace di rendere conto dei
moventi indipendenti dalla considerazione dell'interesse personale, senza per
1
Jon Elster, The Cement of Society. A Study of Social Order, Cambridge, Cambridge University
Press 1989, trad. it. di Paola Palminiello, Il cemento della società. Uno studio sull'ordine sociale,
Bologna, Il Mulino 1995, pp. 115-117.
Indice.
6
questo rinunciare all’assunto secondo cui gli individui agiscono sempre su uno
sfondo di generale razionalità. Il nostro autore, nonostante estenda la propria
ricerca ad un ambito di indagine estraneo ai teorici della scelta razionale, resta
comunque convinto che, per interpretare il comportamento umano, è necessario
presupporre che la razionalità strumentale sia una caratteristica fondamentale
degli esseri umani. Solo sulla base di questo presupposto diventa comprensibile
anche il comportamento che si discosta dai dettami della razionalità.
L'obiettivo del presente lavoro è quello di mostrare in che modo Elster ha
cercato di integrare una teoria delle norme sociali nel quadro concettuale delle
teorie della scelta razionale. A nostro avviso, come cercheremo di mettere in luce
nelle pagine finali, egli non riesce a raggiungere l'obiettivo prefissato. Tuttavia, la
svolta impressa da Elster alle teorie della scelta razionale conserva un’indubbia
validità, soprattutto per avere mostrato la necessità di non ignorare un aspetto
importante del comportamento umano come le norme sociali, mettendo in
evidenza che il modello dell'homo oeconomicus non esaurisce la complessità
dell’agire umano. L'importanza dell'opera di Elster, importanza riconosciuta da
tutti gli scienziati sociali interessati al problema della scelta razionale, consiste
essenzialmente nell'avere in qualche modo 'costretto' i teorici della scelta
razionale a prendere atto del fatto che l'agire guidato unicamente dalla
considerazione dell'interesse personale non è sufficiente a spiegare gran parte
delle azioni individuali e sociali, e questo grazie ad alcune sue geniali intuizioni
sulla funzione svolta dalle norme all'interno di comportamenti ritenuti finora
guidati unicamente dalla razionalità strumentale.
Dal momento che l'interesse verso le norme sociali è maturato in Elster in
seguito alle sue riflessioni sugli aspetti problematici della razionalità, nello
svolgimento del nostro lavoro abbiamo ritenuto necessario ripercorrere lo
sviluppo intellettuale del nostro autore a partire dalle prime opere pubblicate in
italiano. Nel primo capitolo abbiamo cercato di delineare per sommi capi il
quadro teorico all'interno del quale è possibile collocare la figura di Jon Elster. In
esso vengono quindi chiariti alcuni concetti essenziali per comprendere che cosa
bisogna intendere quando si parla di teorie della scelta razionale; vengono, inoltre,
esposti brevemente alcuni autori che, a nostro avviso, possono essere utili per
inserire l'opera di Elster all'interno di un filone intellettuale al quale il pensatore
norvegese ha fornito numerosi contributi, mostrando come le sue teorie di
partenza siano state elaborate da altri pensatori. Nel secondo capitolo vengono
analizzati alcuni saggi nei quali Elster chiarisce il proprio concetto di razionalità.
Partendo da una definizione accurata della razionalità umana, Elster illustra alcuni
paradossi del comportamento razionale, mostrando come nell'agire umano siano
spesso identificabili forme di razionalità imperfetta, che le teorie della scelta
razionale devono essere in grado di interpretare correttamente. Nel terzo capitolo
viene affrontata la parte a nostro avviso più importante del pensiero del sociologo
norvegese, quella relativa al problema di definire gli elementi fondamentali
dell'ordine sociale. Dopo avere dimostrato che i modelli teorici riconducibili al
presupposto della razionalità non permettono di affrontare adeguatamente tale
problema, l'autore volge la propria attenzione verso il comportamento normativo,
cercando di mostrare che l'interesse personale e le norme sociali operano
Indice.
7
congiuntamente nel mantenere coese le società. In questa parte, abbiamo cercato
di evidenziare l'importanza che tale cambiamento di prospettiva implica per lo
sviluppo futuro delle teorie della scelta razionale, chiarendo, d'altra parte, alcuni
limiti presenti nel lavoro svolto da Elster. Nell'Appendice, infine, vengono
illustrate brevemente alcune “reazioni” alle ultime posizioni di Elster da parte di
altri scienziati sociali che si sono occupati del problema della scelta razionale.
Capitolo primo
Teorie della scelta
razionale.
La nozione di scelta razionale.
Il problema della scelta razionale (Rational Choice) non è di origine
sociologica, essendo stato elaborato all'interno dell'economia politica, più
precisamente nell'ambito della teoria economica neoclassica. In termini molto
generali, secondo gli economisti neoclassici si ha un problema di scelta razionale
in tutte quelle situazioni in cui una persona o un insieme di persone devono
scegliere fra i diversi corsi d'azione possibili quello considerato strumentalmente
efficace per massimizzare il proprio interesse personale. Dato un problema
decisionale, che sia esprimibile in termini economici, è sempre possibile elaborare
i dati a disposizione in modo da identificare la soluzione in assoluto migliore,
espressa in termini di una massimizzazione dell'utilità del soggetto impegnato
nella decisione. Attualmente, la concezione di razionalità maggiormente utilizzata
in economia è proprio quella che può essere formalizzata nella soluzione di un
problema di ottimizzazione in base alla ricerca dell'interesse personale.
Questa visione ipersemplificata della razionalità umana, il cui compito si
esaurisce nel trovare i mezzi migliori per raggiungere un dato scopo, identifica in
termini molto generali il paradigma dell'homo oeconomicus, che trova, come si è
detto, la sua migliore rappresentazione nella teoria neoclassica. Tuttavia, quando
si parla di "teorie della scelta razionale" si intende qualcosa di molto diverso dalle
teorie sviluppate su questo argomento dalle teorie neoclassiche. Queste ultime
postulano un soggetto economico fornito di due qualità fondamentali: l'infallibilità
e l'onniscienza. Se si tiene conto anche del carattere necessario che gli economisti
neoclassici attribuiscono alle leggi economiche, si capisce perché l'economia
neoclassica può essere intesa anche come teoria dell'equilibrio: l'infallibilità e
l'onniscienza permettono infatti all'individuo di determinare la soluzione in
assoluto migliore dal punto di vista economico
1
, mentre il carattere di necessità
1
«La teoria neoclassica dell'azienda riposa su diversi assunti riguardanti le mete, il potere, le
conoscenze. Per analizzare un'azienda in un dato momento, si assume che le sue mete siano date
ed immutabili. L'azienda, inoltre, non controlla il suo ambiente esterno (le altre aziende, i
consumatori) né esperimenta problemi politici interni (come il conflitto). Infine la teoria classica è
Teorie della scelta razionale.
9
delle leggi economiche fa sì che il loro corretto utilizzo (garantito dalle due
qualità individuali dell'onniscienza e dell'infallibilità) permette di risolvere ogni
problema di scelta in direzione di una completa conformità fra l'interesse
personale individuale e l'equilibrio economico generale.
Le attuali teorie della scelta razionale hanno decisamente abbandonato
questi presupposti: gli individui sono molto meno che infallibili e onniscienti, e il
carattere di necessità delle leggi economiche è sostenibile solo su un orizzonte di
forte astrazione. Le persone agiscono come previsto dalle teorie dell'equilibrio
solo a costo di semplificare esageratamente sia i processi psicologici individuali
che vengono implicati in una situazione di scelta, sia i dati stessi sui quali quei
processi psicologici dovrebbero basarsi per arrivare ad una soluzione. I teorici
della scelta razionale ritengono che la massimizzazione di una funzione-obiettivo,
in genere l'utilità o l'interesse personale, possa essere raggiunta solo in situazioni
caratterizzate da estrema semplicità, nelle quali, peraltro, il buon senso sarebbe di
per sé sufficiente a risolvere il problema decisionale. In situazioni caratterizzate
da rischio e incertezza le teorie dell'equilibrio perdono la loro efficacia, perché
esse non prevedono l'impossibilità che un problema di scelta abbia una soluzione
ottimale. Le teorie della scelta razionale, pur nella diversità delle loro proposte,
fanno in genere delle assunzioni sulla natura umana molto meno 'rassicuranti',
perché ammettono la possibilità che la ragione umana compia degli errori di
calcolo e che la realtà sia a volte troppo complicata per le capacità di
comprensione degli uomini e dei loro più sofisticati strumenti, e, soprattutto negli
sviluppi più recenti, ammettono l'intromissione di elementi irrazionali nei
meccanismi di scelta. Il modello semplificato della scelta razionale fornito
dall'economia neoclassica fa delle assunzioni troppo impegnative sulle capacità
umane. Come ha sostenuto Oskar Morgenstern:
«L'individuo che effettua la previsione deve [...] conoscere non soltanto l'influsso
del proprio operato [...], bensì anche quello di tutti gli altri individui, come pure
l'influsso del proprio futuro comportamento su quello degli altri, in particolare di
tutti coloro che per lui sono personalmente rilevanti. L'ambito di questi individui
rilevanti è straordinariamente esteso dovendo venir contemporaneamente
previste anche tutte le forze indirette. […] I livelli inverosimilmente elevati
stabiliti per la capacità intellettuale dei soggetti economici dimostrano al tempo
stesso che - nel caso debbano essere soddisfatti i requisiti della previsione
completa - nei sistemi dell'equilibrio non vengono comprese persone normali, ma
quanto meno semidei esattamente uguali l'uno all'altro»
2
.
I teorici della scelta razionale si accontentano di ottenere un po' meno dalle
reali possibilità umane, ma in compenso (anzi, proprio per questo motivo) sono in
grado di migliorare sia l'analisi che la previsione del comportamento umano di
fronte ai problemi decisionali. Gli uomini non sono né onniscienti né infallibili,
per cui, in situazioni complesse, essi di fatto non massimizzano una certa funzione
fondata sull'assunto che l'azienda abbia piena conoscenza delle sue possibili linee di
comportamento, e piena conoscenza delle conseguenze di ciascuno» (Neil J. Smelser, The
Sociology of Eonomic Life, Henglewood Cliffs, Prentice Hall 1963, trad. it. di Alberto Martinelli e
Pier Laura Barbieri, Sociologia della vita economica, Bologna, Il Mulino 1976, pp. 42-43).
2
Oskar Morgenstern, Spieltheorie und Wirtschaftwissenschaft, Vienna, R. Oldenbourg 1963, trad.
it. di Valeriano Malfatti, Teoria dei giochi, Torino, Boringhieri 1969, p. 57.
Teorie della scelta razionale.
10
di utilità, né, seppur lo volessero, sarebbero capaci di farlo. Un aspetto
fondamentale delle teorie della scelta razionale è quindi la distinzione tra un
comportamento massimizzante e un comportamento che persegue il miglior
risultato possibile alla luce delle conoscenze limitate e dei desideri propri del
soggetto impegnato nella scelta
3
.
Razionalità strumentale, individualismo metodolo-
gico e teoria dei giochi.
Pur essendo vero che la nozione di scelta razionale, concepita come
considerazione formale dell'adeguatezza dei mezzi ai fini, è stata formulata
inizialmente dalla disciplina economica
4
, è altrettanto vero che essa ha avuto una
precisa definizione sociologica nella tipologia weberiana delle forme di agire
sociale:
«Come ogni agire, anche l'agire sociale può essere determinato:
1) in modo razionale rispetto allo scopo - da aspettative dell'atteggiamento di
oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come
'condizioni' o come 'mezzi' per scopi voluti e considerati razionalmente, in
qualità di conseguenza;
2) in modo razionale rispetto al valore - dalla credenza consapevole
nell'incondizionato valore in sé - etico, estetico, religioso, o altrimenti
interpretabile - di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo
dalla sua conseguenza;
3) affettivamente - da affetti e da stati attuali del sentire;
4) tradizionalmente - da un'abitudine acquisita»
5
.
L'agire sociale determinato in modo razionale rispetto allo scopo, è stato
di fondamentale importanza nello sviluppo del capitalismo, perché la sua
affermazione ha prodotto quella che Weber chiama la razionalizzazione o il
disincanto del mondo. Si tratta di una razionalità puramente formale: l'agire
razionale rispetto allo scopo è orientato in vista dei mezzi ritenuti adeguati per
realizzare un certo obiettivo. Questa forma di agire sociale deve essere distinta
radicalmente dall'agire determinato in modo razionale rispetto al valore:
«Agisce in maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo agire in
base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti, misurando
razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle
conseguenze, ed infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco: in
ogni caso egli non agisce quindi, né affettivamente (e in modo particolare non
emotivamente) né tradizionalmente. La decisione tra gli scopi in concorrenza e
in collisione, e tra le relative conseguenze, può da parte sua essere orientata
razionalmente rispetto al valore: allora l'agire risulta razionale rispetto allo scopo
3
Cfr. Silvia Marzetti, Il comportamento razionale del policy maker, in «Economia politica», n. 3,
1998.
4
Cfr. Alberto Izzo, I percorsi della ragione. Il tema della razionalità nella storia del pensiero
sociologico, Roma, La Nuova Italia 1995, pp. 119, 137.
5
Max Weber, Economia e società, vol. 1: Teoria delle categorie sociologiche, Milano, Edizioni di
Comunità 1995, pp. 21-22.
Teorie della scelta razionale.
11
soltanto nei suoi mezzi. [...] Dal punto di vista della razionalità rispetto allo
scopo, però, la razionalità rispetto al valore è sempre irrazionale - e lo è quanto
più eleva a valore assoluto il valore in vista del quale è orientato l'agire; e ciò
perché essa tiene tanto minor conto delle conseguenze dell'agire, quanto più
assume come incondizionato il suo valore in sé (la pura intenzione, la bellezza, il
bene assoluto, l'assoluta conformità al dovere)»
6
.
Il concetto di razionalità strumentale ha svolto un ruolo essenziale nello
sviluppo delle teorie della scelta razionale, perché ha permesso agli economisti di
concentrarsi sul problema di ordine puramente metodologico consistente
nell'identificare le condizioni formali alle quali una procedura decisionale deve
sottostare per poter essere considerata razionale, considerando le situazioni
economiche specifiche solo come esempi di specifici comportamenti razionali. La
definizione di una razionalità sostanziale od oggettiva, in grado cioè di giudicare
della razionalità dei fini perseguiti
7
, resta invece fuori dal campo di indagine dei
teorici della scelta razionale. Tuttavia è possibile riscontrare nei loro scritti una
diffusa tendenza a identificare le due forme di razionalità, perché in essi, benché
solitamente si discuta della razionalità strumentale dei mezzi rispetto ad uno
scopo la cui razionalità è invece presupposta, spesso si parla semplicemente di
razionalità della scelta, lasciando in secondo piano l'importante questione di
verificare la possibilità di un accertamento della razionalità di quegli stessi fini
che una considerazione puramente formale della razionalità assume come dati. È
ovvio che la disciplina economica non è in grado di affrontare questioni di
razionalità sostanziale: non si può dimostrare la razionalità dell'interesse
personale, se non intendendo a sua volta l'interesse personale come strumento per
il raggiungimento di uno scopo ulteriore, ciò che semplicemente rimanderebbe il
problema al giudizio sulla razionalità di quest'ultimo. Questa impossibilità non
implica però la legittimità della confusione tra i due concetti di razionalità. Uno
dei meriti principali di Elster è quello di essersi posto il problema di individuare
dei criteri in grado di stabilire la razionalità di desideri e credenze, stabilendo una
differenza fra una teoria parziale della razionalità e una teoria completa
8
.
Un altro aspetto fondamentale che le teorie della scelta razionale devono a
Max Weber è costituito dall'individualismo metodologico
9
. Per esso si intende una
posizione metodologica secondo cui tutte le proposizioni riguardanti i gruppi di
individui sono riducibili a proposizioni circa il comportamento dei singoli facenti
parte di quei gruppi e alle loro interazioni
10
. Storicamente, l'individualismo
metodologico viene introdotto nella disciplina economica da Carl Menger, il
6
Ivi, p. 23.
7
Si tenga presente che nella definizione weberiana di agire sociale determinato in modo razionale
rispetto al valore la razionalità o meno del valore stesso non rientra nei termini del problema
decisionale.
8
Cfr. Jon Elster, Sour grapes. Studies in the subversion of rationality, Cambridge, Cambridge
University Press 1983, Paris, Maison des Sciences de l'Homme 1983, trad. it. di Fabrizio Elefante,
Uva acerba. Versioni non ortodosse della razionalità, Milano, Feltrinelli 1989, cap. 1.
9
Cfr. Max Weber, op. cit., pp. 12-16.
10
Un chiarimento decisivo sull'individualismo metodologico è stato fornito da Schumpeter,
secondo il quale l'individualismo metodologico non va confuso con l'individualismo etico, ovvero
con quella posizione filosofico-morale per cui ogni valutazione di un sistema economico o sociale
deve fondarsi sulle conseguenze che esso produce per gli individui che ne fanno parte.
Teorie della scelta razionale.
12
fondatore della Scuola austriaca di economia, il quale, rifacendosi a Max Weber,
formulò il principio secondo cui l'economia può trattare scientificamente solo di
agenti individuali, siano essi consumatori o imprese.
L'individualismo metodologico si oppone all'olismo metodologico,
secondo cui i termini collettivi della scienza sociale designano totalità sociali
assolutamente non riducibili alla somma dei loro costituenti individuali. Le
correnti che adottano l'olismo metodologico sostengono che alcune proprietà dei
sistemi complessi non possono essere spiegate in linea di principio sulla base della
conoscenza degli attributi delle loro parti. E sono proprio le proprietà sistemiche,
denominate 'proprietà emergenti', a far sì che alcuni comportamenti di gruppo non
possano in alcun modo essere analizzati mediante una teoria concernente i
comportamenti dei soli individui. Di fronte a questo problema, come vedremo, si
troverà lo stesso Elster quando affronterà l'analisi delle norme sociali.
Uno degli ambiti di indagine più importanti delle teorie della scelta
razionale é costituito dalla teoria dei giochi. Si tratta essenzialmente di un insieme
di modelli logico - matematici che analizzano situazioni in cui le decisioni di
soggetti razionali sono tra loro interdipendenti. La teoria dei giochi può essere
considerata cioè come un'estensione della teoria delle decisioni ai casi in cui
l'interdipendenza dei comportamenti individuali viene esplicitamente presa in
esame
11
.
Una prima formulazione della teoria dei giochi è stata pubblicata nel 1928
dal matematico tedesco Johann von Neumann
12
, ma la prima trattazione
sistematica dell'argomento si ha nel 1944, quando von Neumann e Oskar
Morgenstern pubblicano un'opera, tuttora fondamentale, dal titolo Teoria dei
giochi e comportamento economico
13
. Alcune circostanze, tra le quali la relativa
novità dei concetti e delle dimostrazioni matematiche proposti nell'opera, ne
limitarono però notevolmente la circolazione, soprattutto nell'ambito delle
discipline sociali, alle quali era particolarmente rivolta. Soltanto negli anni
Cinquanta, dopo la pubblicazione di alcuni articoli di J. Nash che fornivano
alcune soluzioni di diversi tipi di gioco, e ulteriormente dopo la pubblicazione
delle opere di R. Luce e H. Raiffa Giochi e decisioni
14
e di Thomas Schelling La
strategia del conflitto
15
, si ebbe una prima diffusione della teoria dei giochi che,
soprattutto negli Stati Uniti, cominciò a ricevere numerose applicazioni
economiche
16
.
Alcune importanti distinzioni, utili per orientarsi negli schemi
interpretativi utilizzati dalla teoria dei giochi, sono riassunti in maniera chiara da
Flavio Delbono:
11
Cfr. Silvio Riolfo Marengo (a cura di), Enciclopedia dell'economia, Milano, Garzanti 1982, alla
voce giochi, teoria dei, curata da Flavio Delbono, pp. 522-524.
12
Cfr. ivi, p. 523.
13
J. von Neumann e O. Morgenstern, Theory of Games and Economic Behavior, Princeton 1944.
14
R. Duncan Luce e Howard Raiffa, Games and Decisions, New York, Wiley 1957.
15
Thomas Schelling, The Strategy of Conflict, Cambridge, Harvard University Press 1960.
16
Silvio Riolfo Marengo, op. cit., pp. 522-524.
Teorie della scelta razionale.
13
«Si dice che un gioco è cooperativo quando gli impegni che i giocatori possono
prendere fra di loro (sotto forma di accordi, minacce, promesse) sono vincolanti;
il gioco è invece detto non cooperativo quando tale possibilità è preclusa ai
giocatori, anche se essi possono comunicare prima che il gioco cominci. Un
gioco è detto a informazione completa allorché tutte le informazioni rilevanti
sono note a tutti i giocatori; a informazione incompleta quando manca questa
condizione. Infine, un gioco è detto a somma costante se la somma dei guadagni
dei diversi giocatori (payoff) è costante in corrispondenza dei vari esiti del gioco
[...] Se invece la somma totale dei guadagni varia nei diversi esiti del gioco,
allora si parla di gioco a somma variabile.
Due sono i modi più diffusi per rappresentare un gioco: la forma normale e
quella estensiva. La forma estensiva è una descrizione completa del cosiddetto
albero del gioco, che deve specificare: la successione delle mosse, le strategie e
gli obiettivi dei giocatori, le informazioni a disposizione dei giocatori in
corrispondenza dei vari nodi nei quali sono chiamati ad agire, i guadagni
conseguibili da ciascuno nei possibili esiti finali del gioco. Il concetto di
strategia è fondamentale: si tratta di un completo piano d'azione che un giocatore
segue nel gioco, e dipende, tra l'altro, dalle informazioni iniziali e da quelle
ottenute durante lo svolgimento stesso del gioco.
La forma normale è invece una rappresentazione semplificata di un gioco, adatta
per visualizzare giochi tra due soggetti se ogni giocatore 'muove' una sola volta e
se il numero di strategie a disposizione di ciascun giocatore è piccolo. La forma
normale di un gioco indica, per ogni coppia di strategie - una per ogni giocatore -
i risultati che ciascuna di esse consegue»
17
.
Uno degli sviluppi recenti più interessanti della teoria dei giochi è nota
come teoria dei supergiochi
18
. Esso è stato sviluppato per verificare la possibilità
di un esito cooperativo del classico dilemma del prigioniero. L'esito di questo
gioco, in cui ciascun giocatore non ha valide ragioni per ritenere che l'altro si
comporterà in modo da raggiungere il risultato per entrambi migliore, è inevitabile
se eseguito una sola volta: entrambi i giocatori agiranno ciascuno in base
all'ipotesi peggiore sul comportamento dell'altro, con la conseguenza che il
risultato sarà per ognuno, e quindi anche nel complesso, il peggiore raggiungibile.
I supergiochi si basano sull'ipotesi che il gioco venga ripetuto più volte. Se si
specifica un appropriato meccanismo di punizione (o di ritorsione) che penalizzi il
giocatore che sceglie il risultato socialmente peggiore, allora si può mostrare che
(sotto opportune ipotesi sul numero delle ripetizioni, sulle informazioni a
disposizione dei giocatori e sulla loro capacità di attendere) l'equilibrio del gioco è
quello socialmente migliore. Uno dei maggiori contributi alla diffusione dei
supergiochi è costituito dall'opera di R. Axelrod Giochi di reciprocità.
L'insorgenza della cooperazione
19
.
Ci sembra opportuno, a conclusione di questa prima parte, esporre
brevemente il pensiero di alcuni autori che hanno, per certi versi, anticipato
17
Ibidem. Flavio Delbono chiarisce, inoltre, che: «la teoria in questione è espressamente orientata
ad esaminare giochi di strategia, cioè quei giochi in cui la sorte non è l'unico elemento
responsabile dei risultati. Dunque, giochi del tipo 'testa o croce' e analoghi sono esclusi dal suo
dominio di indagine» (ibidem).
18
Ibidem.
19
Robert Axelrod, The Evolution of Cooperation, New York, Basic Books 1984, trad. it. Giochi di
reciprocità. L'insorgenza della cooperazione, Milano, Feltrinelli 1985.
Teorie della scelta razionale.
14
l'opera di Elster, fornendo alcune idee che il sociologo norvegese ha poi
sviluppato in modo originale, e che, per altri versi, hanno costituito l'occasione per
alcune modifiche sostanziali che Jon Elster ha apportato alla teoria della scelta
razionale. Ci limitiamo a tre soli autori: Herbert Simon, Raymond Boudon e
Mancur Olson. Questa scelta può risultare, e in effetti è, opinabilissima, ma questi
autori non sono stati scelti a caso. Ciò che qui interessa non è una rassegna dei più
importanti contributi alla teoria della scelta razionale, anche perché l'esposizione
di questo argomento varia di molto da uno studioso all'altro
20
. L'obiettivo
principale è semplicemente quello di fornire un'introduzione al pensiero di Jon
Elster attraverso alcuni pensatori che hanno affrontato problematiche strettamente
legate a quelle affrontate dallo stesso Elster, e la cui conoscenza può essere utile
per comprendere meglio la portata delle soluzioni che a quei problemi è stata
fornita da quest'ultimo.
La razionalità limitata di Herbert A. Simon.
Uno dei primi autori a sviluppare compiutamente la differenza tra un
comportamento ottimizzante e un comportamento che persegue il miglior risultato
possibile in base alle possibilità limitate dell'individuo è stato indubbiamente
Herbert Simon
21
. Così egli chiarisce quali sono i limiti della teoria economica
neoclassica:
«Il modello classico richiede la conoscenza di tutte le alternative di scelta
disponibili; richiede la conoscenza completa delle conseguenze di ogni
alternativa, o la possibilità di calcolarle; richiede certezza sulla valutazione
presente e futura di tali conseguenze da parte del decisore; richiede la capacità di
confrontare fra loro le conseguenze, non importa quanto varie ed eterogenee esse
siano, in termini di qualche misurazione coerente di utilità»
22
.
Simon fa notare tuttavia che, non essendo stato provato che nelle reali
situazioni di scelta questi calcoli vengano (o possano essere) eseguiti, bisogna
esaminare la possibilità che i processi decisionali reali siano abbastanza diversi da
quelli descritti dai concetti classici
23
.
20
Per una presentazione delle teorie della scelta razionale alquanto diversa da quella qui esposta si
possono leggere le pagine ad esse dedicate in Ruth A. Wallace e Alison Wolf, Contemporary
Sociological Theory: Continuing the Classical Tradition, Englewood Cliffs, Prentice Hall 1980,
trad. it. di Daniela Sandri e Giovanni Dognini, La teoria sociologica contemporanea, Bologna, Il
Mulino 1985, pp. 197-260.
21
Come introduzione al pensiero di Simon è molto utile la breve esposizione che si trova in
Alberto Izzo, op. cit., pp. 121-125. Herbert Simon ha ricevuto nel 1978 il premio Nobel per
l'economia proprio grazie alle sue ricerche pionieristiche nel campo dei processi decisionali
all'interno delle organizzazioni economiche.
22
Herbert A. Simon, Rational Decision Making in Business Organization, (Nobel Lecture,
presentata a Stoccolma nel 1978), in «American Economic Review», n. 69 (1979), pp. 493-512,
trad. it. di Barbara Giorgini, La formazione razionale delle decisioni nelle organizzazioni
aziendali, in Herbert A. Simon, Causalità, razionalità, organizzazione, Bologna, Il Mulino 1985,
p. 295.
23
Herbert A. Simon, A Behavioral Model on Rational Choice, in «Quarterly Journal on
Economics», n. 69 (1955), pp. 99-118, trad. it. di Antonella Menichetti, Un modello
comportamentale di scelta razionale, in Herbert A. Simon, Causalità, razionalità, organizzazione,
cit., p. 125.
Teorie della scelta razionale.
15
Il punto di vista secondo cui vi sarebbe la possibilità di scelta tra tutte le
variabili possibili, controllando la situazione nella sua totalità, viene definito in
un'opera successiva
24
modello olimpico (come già aveva fatto Morgenstern) per le
sue assunzioni sulle possibilità della ragione umana. Secondo Simon:
«il modello olimpico postula un semidio, più che un uomo, che effettua scelte
complete all'interno di un universo integrato. La visione olimpica può servire,
forse, come modello della mente di Dio, ma certamente non come modello della
mente dell'uomo comune»
25
.
Dalla constatazione dei limiti della teoria economica neoclassica deriva la
teorizzazione della razionalità limitata (bounded rationality) e del comportamento
non ottimizzante ma soddisfacente (satisficing):
«In molti modelli globali di scelta razionale, si valutano tutte le alternative prima
di fare una scelta. Negli effettivi processi decisionali umani, le alternative
vengono spesso esaminate sequenzialmente. [...]. Quando si esaminano le
alternative sequenzialmente, possiamo considerare la prima alternativa
soddisfacente esaminata come quella effettivamente scelta. [...] quando
l'individuo, nella sua esplorazione delle alternative, trova facile lo scoprire
alternative soddisfacenti, il suo livello di aspirazione cresce; quando trova
difficile scoprire alternative soddisfacenti, il suo livello di aspirazione scende.
[...] Queste variazioni nel livello di aspirazione dovrebbero tendere a garantire la
'quasi - unicità' delle soluzioni soddisfacenti e dovrebbero tendere anche a
garantire l'esistenza di soluzioni soddisfacenti. Perché il fallimento nello scoprire
una soluzione farebbe scendere il livello di aspirazione e farebbe emergere
soluzioni soddisfacenti»
26
.
Le teorie della razionalità limitata assumono che l'individuo abbia
informazioni incomplete riguardo alle alternative possibili (sia sul loro insieme sia
sulle conseguenze di ciascuna di esse), per cui il problema decisionale si allarga
fino a comprendere la decisione di quante risorse impiegare per la ricerca di
informazioni, e assumono, inoltre, una complessità dei vincoli esterni tale da
impedire che l'individuo riesca a calcolare il corso d'azione migliore
in assoluto
27
.
La considerazione dei meccanismi psicologici di apprendimento e di scelta
diventa, con l'opera di Simon, un aspetto fondamentale delle indagini condotte
dalle teorie della scelta razionale. I modelli di comportamento razionale utilizzati
dall'economia neoclassica postulano una complessità molto maggiore dei
meccanismi di scelta e una capacità molto più ampia dell'organismo di ottenere
informazioni ed effettuare calcoli rispetto ai modelli di comportamento adattivo
sviluppati dalla psicologia cognitiva, secondo i quali, afferma Simon:
«comunque adattivo sia il comportamento degli organismi nelle situazioni di
apprendimento e di scelta, questa capacità di adattamento cade molto lontano
24
Herbert A. Simon, Reason in Human Affairs, Stanford, Stanford University Press 1983, trad. it.
di Giovanni P. Del Mistral, La ragione nelle vicende umane, Bologna, Il Mulino 1984, cap. 1: Le
diverse concezioni della razionalità.
25
Ivi, p. 69.
26
Herbert A. Simon, Causalità, razionalità, organizzazione, cit., pp. 133-134.
27
Herbert A. Simon, Theories on Bounded Rationality, in C. B MacGuire e C. Radner (a cura di),
Decision and Organisation, Amsterdam, North-Holland 1972, pp. 161-176, trad. it. di Antonella
Menichetti, Le teorie della razionalità limitata, in Herbert A. Simon, Causalità, razionalità,
organizzazione, cit., passim.
Teorie della scelta razionale.
16
dall'ideale della 'massimizzazione' postulato nella teoria economica.
Evidentemente, gli organismi si adattano abbastanza bene da 'soddisfare'; in
genere, non 'ottimizzano'»
28
.
Un ultimo riferimento a Simon sarà utile per illustrare come all'interno
delle teorie della scelta razionale due autori possano arrivare a conclusioni
diametralmente opposte. Analizzando il rapporto fra razionalità e teleologia,
Simon sostiene che i meccanismi della teoria comportamentale
29
, cioè la ricerca e
la verifica delle soluzioni in grado di produrre un comportamento adattivo,
trovano una diretta corrispondenza nei meccanismi dell'evoluzione darwiniana,
ossia la variazione, che crea nuove forme di vita, e la selezione, che preserva le
forme di vita che si sono ben adattate all'ambiente in cui sono inserite.
«In ambedue le teorie, la ricerca di una vasta gamma di possibili alternative e la
valutazione dei risultati di tale ricerca sono il meccanismo centrale
dell'adattamento. Ambedue le teorie sono miopi: l'ottimizzazione che esse
raggiungono è solo di carattere locale»
30
.
L'argomentazione di Jon Elster è invece di segno opposto: la capacità di
massimizzazione globale e la capacità di comportarsi strategicamente sono tratti
umani specifici che non si trovano nella selezione naturale
31
.
La razionalità soggettiva e gli effetti perversi di Raymond
Boudon.
Raymond Boudon
32
, facendo esplicitamente riferimento a Simon,
interpreta espressamente in senso soggettivistico il concetto di razionalità
dell'agire sociale. Per fare questo, contrappone due forme di spiegazione: il
modello razionale e il modello irrazionale. Quest'ultimo considera la maggior
parte delle azioni sociali come irrazionali, in quanto governate da sentimenti
piuttosto che da ragioni. Il modello razionale, invece, ritiene che per spiegare il
comportamento e le credenze degli individui bisogna tentare di dimostrare che
questi ultimi hanno buone ragioni per agire come agiscono. Il paradigma della
razionalità soggettiva è applicabile a tutti i casi in cui il comportamento di un
soggetto appare governato da ragioni che, benché siano obiettivamente sbagliate,
vengono percepite dal soggetto stesso come buone. Fino a quando si resta legati
ad una nozione ristretta di razionalità, secondo la quale le ragioni sono valide solo
quando sono oggettivamente valide, si è facilmente portati a considerare numerosi
28
Herbert A. Simon, Rational Choice and the Structure of the Environment, in Models on Man,
New York, Wiley 1957, pp. 261-273, trad. it. di Antonella Menichetti, Scelte razionali e struttura
dell'ambiente, in Herbert A. Simon, Causalità, razionalità, organizzazione, cit., p. 144.
29
Si tratta in pratica della teoria della razionalità limitata considerata dal lato dei processi
psicologici che sottostanno alle operazioni di scelta e decisione.
30
Herbert A. Simon, La ragione nelle vicende umane, cit., p. 113.
31
Jon Elster, Ulysses and the Sirens, Cambridge, Cambridge University Press 1979, Paris, Maison
des Sciences de l'Homme 1979, trad. it. di Paolo Garbolino, Ulisse e le Sirene, Bologna, Il Mulino
1983, p. 36.
32
Raymond Boudon, Subjective rationality and the explanation of social behavior, Roma,
L.U.I.S.S. 1991.
Teorie della scelta razionale.
17
comportamenti come irrazionali, cioè come determinati da cause che agiscono
dall'esterno del soggetto. Al contrario, afferma Boudon:
«Una volta che l'importanza di questa nozione di razionalità soggettiva è
pienamente riconosciuta, la strana divisione del lavoro tra gli economisti, che
tendono a vedere l'homo oeconomicus come strettamente razionale, e i sociologi,
che vedono spesso l'homo sociologicus come mosso da forze collocate oltre il
suo controllo, avrà minore forza, almeno questa è la mia opinione, e sarà
rimpiazzata da un tipo ideale più interessante, che io intendo come il tipo ideale
dell'attore motivato, cioè di un attore che in molti casi ha buone ragioni per fare
ciò che fa o pensare ciò che pensa»
33
.
Il metodo razionale, basato sulla razionalità soggettiva, viene
efficacemente utilizzato da Boudon in un'opera del 1977 intitolata Effetti
"perversi" dell'azione sociale
34
. La nozione di effetto perverso è intesa da Boudon
in senso molto largo: in essa rientrano tutti i casi in cui la giustapposizione di
comportamenti individuali porta a risultati che nessuno intendeva realizzare e che
possono essere positivi o negativi per tutti o anche positivi per alcuni e negativi
per altri
35
. Il paradigma degli effetti perversi implica l'immagine di un homo
sociologicus 'intenzionale', cioè mosso dagli obiettivi che vuole raggiungere e
dalle rappresentazioni che si fa dei modi atti a permettergli di perseguire questi
obiettivi
36
.
Nell'analizzare alcune delle diverse strutture di effetti perversi operanti in
vari settori della società Boudon si concentra particolarmente sul mondo
dell'istruzione universitaria, di cui viene implacabilmente descritto il meccanismo
perverso attraverso il quale una scelta individualmente razionale, cioè quella di
prolungare gli studi per avere maggiori possibilità di salire qualche gradino in più
nella scala sociale, ha inevitabilmente effetti negativi per tutti gli studenti e in
particolare per alcuni di loro. Facendo esplicito riferimento al gioco noto come
'dilemma del prigioniero' l'autore dimostra che nelle società industriali ciascuno
ha interesse ad ottenere un livello di istruzione il più possibile elevato, dal
momento che le remunerazioni economiche e sociali tendono a variare
positivamente, in media, con il livello di istruzione. Tuttavia, se ciascuno segue
questa strategia, tende a prodursi una sovrascolarizzazione relativa rispetto alla
domanda di competenze sul mercato del lavoro, e quindi una svalutazione dei
33
Ivi, p. 29 [T.d.A.].
34
Raymond Boudon, Effets pervers et ordre social, Paris, Presses Universitaires de France 1977,
trad. it. di Antonio Chiesi, Effetti "perversi" dell'azione sociale, Milano, Giangiacomo Feltrinelli
1981.
35
I meccanismi perversi socialmente più rilevanti sono tuttavia quelli che portano alla produzione
di effetti indesiderabili, che non erano inclusi negli obiettivi perseguiti dagli attori (cfr. ivi, p. 15).
36
L'autore chiarisce che l'homo sociologicus 'intenzionale' deve essere inteso come: «un attore
intenzionale, dotato di un insieme di preferenze, che cerca di realizzare i suoi obiettivi, più o meno
cosciente del grado di controllo di cui dispone sugli elementi della situazione in cui si trova
(cosciente in altri termini dei vincoli strutturali che limitano le sue possibilità di azione), che
agisce in funzione di informazioni limitate e in una situazione di incertezza. In poche parole
l'homo sociologicus che ho utilizzato può essere descritto come dotato di razionalità limitata. […]
questa posizione implica senza equivoci un rifiuto del sociologismo, cioè della dottrina per cui le
intenzioni e le azioni dell'agente sociale dovrebbero essere sempre considerate come effetti e mai
come cause» (ivi, p. 19).
Teorie della scelta razionale.
18
diplomi, che a sua volta genera come effetto perverso un nuovo aumento della
domanda di istruzione
37
. Attraverso alcuni esempi, Boudon mostra che il
«ragionamento teleologico molto diffuso fra i sociologi»
38
, secondo cui i
comportamenti scolastici degli individui sarebbero determinati dal sistema di
divisione del lavoro, corrispondendo così alle esigenze del mercato del lavoro,
viene continuamente smentito dai fatti, i quali mostrano che:
«la domanda di istruzione è determinata dall'aggregazione di decisioni
individuali indipendenti e di conseguenza non ha alcuna ragione di trovarsi
necessariamente regolata, come un orologio leibniziano, sulla stessa ora
dell'orologio della struttura sociale»
39
.
Un importante fenomeno legato al meccanismo degli effetti perversi è
costituito dalla frustrazione relativa. Riprendendo la definizione datane da
Runciman
40
, e utilizzando alcuni modelli tratti dalla teoria dei giochi, Boudon
dimostra che:
«il manifestarsi del fenomeno della frustrazione relativa, almeno in certe
situazioni, è il prodotto 'naturale' di strutture di interazione (concorrenza) in cui
sono posti gli individui. In altri termini sembra che certe strutture di concorrenza
inducano una proporzione più o meno grande di individui ad impegnarsi in
'concorsi' da cui alcuni di essi devono necessariamente uscire perdenti»
41
.
Utilizzando il materiale empirico contenuto nel famoso The American
Soldier di Stouffer
42
, Boudon mostra l'esistenza di una proporzionalità diretta fra
mobilità sociale e tasso di frustrazione relativa. Una mobilità sociale elevata rende
razionale per i singoli individui aspettarsi un effettiva possibilità di migliorare la
propria condizione, con la conseguenza che tutti coloro che non raggiungono
questo obiettivo si sentiranno frustrati
43
. Quando invece la mobilità sociale è
bassa, nessuno potrà razionalmente essere certo di raggiungere un risultato
positivo, e il tasso di frustrazione sarà quindi molto basso
44
. La scarsa possibilità
di successo determina quindi una cooperazione tacita, che Boudon chiama "quasi -
solidarietà", perché il numero di giocatori che nel complesso deciderà di
impegnarsi nell'investimento sarà approssimativamente uguale al numero di
giocatori che alla fine del gioco risulterà vincente
45
.
37
Ivi, pp. 100-101.
38
Ivi, p. 116.
39
Ivi, p. 116.
40
«A è relativamente frustrato rispetto a X se: 1) non possiede X; 2) vede una o parecchie altre
persone, che eventualmente comprendono lui stesso in passato o in avvenire, come possessori di X
(a prescindere dal fatto che questa percezione corrisponda o meno alla realtà); 3) desidera X; 4)
percepisce come plausibile l'eventualità di disporne. Dire che possiede X può naturalmente voler
dire che è esente o indenne da Y» (ivi, p 128). Cfr. W. G. Runciman, Relative Deprivation and
Social Justice, Berkeley, University of California Press 1966, trad. it. Ineguaglianza e coscienza
sociale. L'idea di giustizia sociale nelle classi lavoratrici, a cura di Picchieri, Torino, Einaudi
1972, pp. 17-18.
41
Raymond Boudon, Effetti "perversi" dell'azione sociale, cit., p. 130.
42
Samuel A. Stouffer, The American Soldier, Princeton 1949.
43
Raymand Boudon, Effetti "perversi" dell'azione sociale, cit., pp. 131-134.
44
Ivi, pp. 134-138.
45
L'autore sostiene inoltre che un importante fattore nel contenere il tasso di frustrazione relativa è
la stratificazione sociale, dal momento che la probabilità che il povero possa impegnarsi in