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1. Introduzione
1.1 Motivi che hanno spinto a scegliere l’argomento
Nel luglio 2014 mi sono imbattuta per caso in un bando per un tirocinio da svolgere in
India in collaborazione con un’associazione di nome GreenFarmMovement e la cosa ha
catturato fin da subito la mia attenzione. In accordo con la mia collega e amica Nadia
Cioni, dopo alcuni colloqui con il presidente dell’associazione, ho deciso di
intraprendere un percorso di collaborazione con GFM, con il preciso proposito di
articolare la tesi di laurea magistrale sulla base di un progetto che rispondesse a obiettivi
e propositi di sostenibilità. Si trattava nello specifico del lancio di una linea di
abbigliamento sostenibile.
Mi sono sempre considerata una consumatrice “verde”, sono attenta ai consumi
energetici, acquisto prevalentemente cibi biologici e prodotti di pulizia per la casa privi
di contenitori; ciononostante amo la moda, amo lo shopping e non ero finora mai stata
consapevole del fatto che l'industria della moda potesse di fatto essere considerata alla
stregua dell’industria pesante. Il tessile contribuisce a inquinare il pianeta in maniera
consistente e non è molto differente da un'acciaieria, per quanto riguarda l’impatto
ambientale.
Quando ho scoperto che la moda sostenibile cerca di ribaltare questa filiera puntando a
materie prime certificate e garantite, a fibre naturali biologiche e provenienti dalla
catena del riciclo, ho capito che c’era un mondo da scoprire e volevo senza dubbio farne
parte.
1.2 Obiettivi del lavoro
Come ho accennato sopra, la seguente tesi è stata scritta durante la partecipazione ad un
progetto svolto in collaborazione con GreenFarmMovement Italy.
La GreenFarmMovement è un’organizzazione internazionale indipendente, laica e no-
profit, che si occupa di progetti di cooperazione, ricerca, turismo ed e-commerce,
secondo principi etici. Nasce in India grazie ad alcuni professori universitari,
ricercatori, giovani imprenditori ed esperti del mondo della cooperazione. Realizza
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progetti che includono investimenti privati di partner locali ed esteri animati dalla
volontà di attenuare le disuguaglianze sociali. Tutti i progetti prevedono delle attività
commerciali eco-sostenibili ed etiche che si ispirano ai principi dell’economia di
comunione e offrono servizi a turisti, volontari, studenti e ricercatori. La sede italiana,
costituitasi nel 2011 a Trento, vede l’associazione di giovani volontari animati da spirito
di solidarietà, i quali condividono propositi di responsabilizzazione economica, sociale
e civica delle persone per fini sociali.
La collaborazione, che ha interessato me e la mia collega Nadia Cioni, è iniziata nel
settembre 2014 nel merito del progetto Fashion For Cooperation: un progetto già
precedentemente avviato dall’associazione insieme al centro moda di Trento, con
l’obiettivo di identificare dei modelli di abiti da far realizzare ad alcune aziende indiane
congiuntamente con una comunità di donne svantaggiate dell’area di Bangalore
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.
Alla base del progetto si individuano tre obiettivi:
- cooperazione tra il contesto italiano e quello indiano;
- sviluppo locale, innescando meccanismi di auto sostenibilità grazie al lavoro
fornito alle donne bisognose di lavoro;
- business: portando sul mercato un modello sostenibile ed eticamente corretto di
imprenditorialità e produzione.
Nonostante negli ultimi decenni la città di Bangalore abbia visto una crescita smisurata
del settore dell'Information Technology (IT) e le aziende li collocate impieghino da sole
il 30% dell’insieme nazionale dei lavoratori del settore, lo scenario sociale e di sviluppo
non è del tutto roseo per la maggior parte della popolazione indiana dell’area. Oltre ai
forti scompensi ambientali dovuti all’inquinamento industriale, le popolazioni locali
sono impiegate in condizioni di lavoro estremamente dure all’interno delle cave. Tutto
ciò rende ancora più difficile la vita delle fasce più svantaggiate, tra cui figurano in
primis le donne.
Vi è un’enorme disponibilità di manodopera non adeguatamente utilizzata ed è infatti
necessario sottolineare la disponibilità e volontà di molte donne dell’area di apportare
un contributo economico alla vita quotidiana della famiglia. Pertanto, le donne dei
1
Bangalore è una suddivisione dell'India, classificata come municipal corporation, di 8.425.970 abitanti,
capoluogo del distretto Urbano di Bangalore, del distretto Rurale di Bangalore e della divisione di
Bangalore, nello stato federato del Karnataka di cui è la capitale e la città più grande.
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villaggi si dimostrano volenterose a seguire dei corsi di formazione professionali.
Inoltre, nel momento in cui le donne, che rappresentano il principale soggetto
beneficiario del progetto, terminano di lavorare nelle miniere, sono affette da problemi
di salute causati dal duro lavoro precedentemente svolto e non hanno la possibilità di
svolgere altre attività, rimanendo pertanto senza sostegno economico e sociale.
L’obiettivo del progetto vuole essere quello di riuscire a dare lavoro a queste donne
svantaggiate: occuparsi quindi di commercio equo e solidale, cercando un punto
d’incontro tra la produzione locale e quella industriale e contemporaneamente riuscire a
seguire una produzione eco-sostenibile.
Abbiamo collaborato con il Centro Moda di Trento – con il team di studenti che lo
compone –con il fermo desiderio di produrre carta modelli di abiti rivolti, sì, al mercato
italiano, ma realizzati con stoffe provenienti dall’India. I ragazzi avrebbero dovuto
produrre sia dei carta modelli sia dei prototipi di abito che, successivamente, sarebbero
stati utilizzati come modelli dalle aziende indiane per riprodurre uno stock di
produzione vendibile sul mercato italiano. La scelta della tipologia e della quantità di
modelli che si intendevano presentare sarebbe stata ideata in collaborazione tra reparto
marketing – io stessa e Nadia Cioni – e la consulente moda da noi scelta.
Sulla base delle nostre indicazioni – in base alle ricerche effettuate e al prezioso
contributo della consulente – sarebbe stata effettuata una puntuale ricerca dell’idea,
seguita dalla stesura dei bozzetti e dei figurini e, in seguito, la scelta delle stoffe. L’idea
del committente sarebbe stata quella di vendere i capi sul portale e-commerce
dell’associazione, denominato “Ethical Think”, e di chiamare la linea sostenibile allo
stesso modo.
L’obiettivo che ci siamo prefissate io e la mia collaboratrice, era infine quello di
confermare, attraverso una ricerca qualitativa e in seguito quantitativa, l’esistenza di una
domanda, alla quale seguisse il lancio di una linea di abbigliamento femminile per la
collezione Primavera/Estate: una linea “alla moda” ma sostenibile nei prezzi e nei
materiali, in seguito alle richieste pervenuteci dalla committenza.
Sono state svolte riunioni settimanali via Skype con i membri dell’Associazione – la cui
sede è a Bologna – per aggiornamenti puntuali sugli sviluppi dei nostri lavori e sulle
riunioni che venivano effettuate con la nostra opinion leader. Per motivazioni di
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tempistiche e di budget il progetto è stato chiuso nell’aprile 2015.
1.3 Approccio metodologico
Considerati gli obiettivi espressi nel paragrafo precedente, abbiamo effettuato un’attenta
ricerca bibliografica per cercare di comprendere quali fossero le caratteristiche della
moda equo-solidale e di quella eco-sostenibile; quali fossero i limiti da essa riscontrati e
le eventuali opportunità da poter cogliere per poter effettuare una ricerca empirica.
In seguito alla realizzazione di un’intervista ad un opinion leader del settore della moda,
alla determinazione del target di interesse e all’individuazione dei competitors da
analizzare, abbiamo effettuato due focus group antecedenti alla realizzazione di una
ricerca quantitativa che verrà svolta dalla mia collaboratrice.
Dopo un primo focus group di prova, ne sono seguiti altri due nelle città di Bologna e
Milano, che hanno visto il coinvolgimento di persone rispondenti al target da un punto
di vista socio-demografico ma non comportamentale. L’aspetto inerente alle abitudini di
vita e ai comportamenti è stato analizzato in sede di focus cercando di comprendere la
conoscenza e l’interesse delle partecipanti riguardo alla moda etica e sostenibile.
Si è trattato di uno snow-ball sampling
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, al quale le persone hanno quindi partecipato
volontariamente dopo un passaparola partito da due fonti diverse. La discriminante per
la partecipazione è stata quella di non lavorare nel mondo della moda, in quanto ai fini
del progetto, non abbiamo giudicato interessante la conoscenza e l’interesse di chi è
esperto del settore. All’apertura dell’incontro, il moderatore – rappresentato dalla mia
persona – ha specificato l’esigenza di effettuare una registrazione a fini tesistici ed il
trattamento anonimo dei dati; inoltre, la necessità di dialogo ed interazione tra le
partecipanti con l’intervento del moderatore esclusivamente quando necessario e ai fini
del buon svolgimento del lavoro.
Le domande sono state poste nella maniera più neutrale possibile e le discussioni sono
state lasciate libere di fluire ma riportate sul tema centrale esclusivamente in casi di
divagazione eccessiva su argomenti non pertinenti. Gli argomenti di discussione
3
sono
2
Vedi paragrafo 5.2
3
Vedi paragrafo 5.5
9
stati trattati non necessariamente in ordine e talvolta le domande non sono state poste
perché le risposte sono emerse naturalmente nel corso della discussione.
La fase di analisi del focus è avvenuta secondo l'approccio narrativo-etnografico basato
sulla ricostruzione del dibattito, in seguito alle registrazioni effettuate e identificando gli
argomenti chiave per ogni incontro ed in seguito ricercando dei risultati conclusivi.
1.4 Breve riassunto dei contenuti
Ha avuto inizio nel settembre 2015 il progetto che ha visto la collaborazione tra la
sottoscritta, Nadia Cioni e l'associazione GreenFarmMovement, e che si è purtroppo
concluso prematuramente nell'aprile 2015. Nel merito del lavoro, sono state effettuate
due ricerche, una qualitativa e una quantitativa, con l’obiettivo di comprendere la
possibilità di lanciare sul mercato italiano una linea di abbigliamento femminile, alla
moda, per la collezione primavera estate, e appartenente ad una fascia di prezzo medio.
Siamo a conoscenza dell'esistenza di marchi di moda sostenibile, ma siamo anche
consapevoli che, pur essendo presenti sul mercato nazionale, essi non possono sottrarsi
ad un alto prezzo di mercato, poiché utilizzano artigianato italiano, la cui manodopera è
notoriamente una delle più costose al mondo. La nostra finalità è quella di portare la
moda sostenibile alla portata di tutti.
Il progetto si è svolto in collaborazione con il centro moda della città di Trento, il cui
compito era quello di produrre dei carta modelli di abiti e dei prototipi che,
successivamente, sarebbero stati utilizzati da alcune aziende indiane per riprodurre
uno stock di produzione vendibile sul mercato italiano. In seguito ad un’attenta analisi
e a ripetuti lavori svolti in collaborazione con una consulente di moda, i designers che
sono stati selezionati e i modelli disegnati non sono stati considerati adeguati e, di
conseguenza, la nostra proposta è stata quella di selezionare ulteriori disegnatori per
continuare il progetto.
Il progetto prevedeva la produzione dei modelli da parte di aziende indiane rispettanti i
canoni di sostenibilità ambientale e del commercio equo e solidale e,
contemporaneamente, la possibilità di dare lavoro a una parte della popolazione
estremamente svantaggiata, quella di sesso femminile.
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Per comprendere le caratteristiche della moda sostenibile, sia per quanto riguarda
l'aspetto ambientale che per quello più inerente al trattamento del lavoratore, e per
comprendere gli ostacoli da essa incontrati per lo sviluppo all'interno del mercato
italiano abbiamo effettuato un'attenta ricerca bibliografica. I maggiori ostacoli incontrati
sono stati senza alcun dubbio le barriere di prezzo, il ruolo che il consumatore oggi
svolge nel mercato, ruolo sempre più attivo e più critico – nonostante si riscontri ancora
il cosiddetto “gap atteggiamento-comportamento" – l’estetica poco apprezzabile degli
abiti, il green washing che viene applicato da alcune imprese e l’enorme carenza di
informazioni.
Questi ostacoli sono stati riscontrati e confermati dai risultati emersi tramite i focus
groups, dai quali è soprattutto emerso un dato di disinformazione riguardante il
potenziale consumatore che potrebbe avvicinarsi alla moda sostenibile.
Dall'analisi bibliografica è emersa l'importanza delle certificazioni (sostenibilità
ambientale e aspetto solidale), necessarie a conquistare la fiducia del consumatore che,
nel corso degli anni, si è andata sfumando in tutto il settore della moda. Tuttavia nel
corso dell'incontro svolto a Milano è emersa una certa diffidenza anche nei confronti
delle certificazioni.
Considerato che l'obiettivo è quello di produrre abiti che siano “alla moda”, ci siamo
affidati al parere esperto di una consulente di moda: la abbiamo intervistata per sondare
i diversi aspetti riguardanti il settore e, quindi, per quanto riguarda la scelta della
collezione da produrre, ci siamo affidati alle sue dirette competenze.
Per determinare il target a cui riferirsi io e la mia collaboratrice abbiamo effettuato una
ricerca sul web riguardo al consumatore di moda e al consumatore di moda etica,
cercando di incrociare i dati ottenuti. Attraverso lo studio di dati ISTAT e di ricerche
preliminari, tramite l’analisi dei più seguiti blogs di moda – determinati da classifiche
ufficiali – e infine per mezzo di un'intervista effettuata alla nostra opinion leader,
abbiamo determinato il target, suddiviso in due segmenti, che dovrà poi essere
verificato e confermato in sede di ricerca empirica.
Per poter effettuare l'analisi della concorrenza esistente abbiamo prima effettuato una
ricerca on-line sull'abbigliamento di moda sostenibile, abbiamo poi preso in
considerazione i partecipanti di alcune fiere di moda etica, quindi abbiamo analizzato i
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punteggi ottenuti dalle aziende del settore dell'abbigliamento – determinati da alcuni siti
ufficiali – ottenendo infine una lista di potenziali competitors. Per effettuare una
scrematura abbiamo deciso di eliminare l'artigianato italiano per i motivi menzionati
sopra. Attraverso quanto appreso dall'analisi bibliografica abbiamo attribuito dei
punteggi, tra 0 e 1, ad ogni brand e per ogni caratteristica riguardante il settore
dell’equo-solidale e dell’eco-sostenibile, considerato che il nostro obiettivo è proprio
quello di realizzare una produzione che rispetti al massimo i parametri di entrambi.
Incrociando i dati ottenuti sono emersi tre concorrenti diretti che sono stati ampiamente
studiati.
Per poter comprendere la conoscenza e l’interesse dei consumatori riguardo a questo
argomento sono stati effettuati due focus groups, nelle città di Milano e Bologna – e un
incontro di prova nella città di Pisa – i cui risultati non potranno fornire una conclusione
definitiva al progetto, ma serviranno certamente come spunto imprescindibile alla la
mia collega, che porterà a termine la ricerca quantitativa da aggiungere a quella
qualitativa fatta finora.
I risultati che emergono dagli incontri, come detto, confermano quanto già appreso in
sede di ricerca bibliografica. Le partecipanti da un lato associano alla moda sostenibile
una donna priva di gusto, dall’altro pensano che i prodotti abbiano un costo
eccessivamente alto e che siano difficili da reperire; infine – nota non meno rilevante –
ritengono ci sia scarsa informazione riguardo all’argomento e nutrono grande sfiducia
nei confronti delle imprese produttrici.
In conclusione è stata effettuata una proposta considerando le 4 P del marketing
mix (Prodotto, Prezzo, Promozione e Punto vendita) sulla base di quanto appreso
durante lo svolgimento del progetto ed effettuando alcune ipotesi dovute all’interruzione
del rapporto con l’associazione.