6
che la Costituzione non traccia un disegno completo e organico,
definito in tutti i particolari dell’organizzazione dei pubblici poteri,
dei loro reciproci rapporti e delle loro relazione con la società.
Piuttosto, la Costituzione ci offre un “materiale” che deve
essere utilizzato dall’interprete e dai soggetti politici per costruire il
“sistema costituzionale” che potrà essere sottoposto a processi di
rielaborazione e redifinizione, attraverso nuove combinazioni dello
stesso dettato costituzionale.
L’esperienza italiana attesta vistosamente sia l’impossibilità di
tracciare ripartizioni nette di competenza tra Stato, Regioni ed Enti
Locali, sia i tanti costi e le ambiguità di un sistema che ha finito per
affidare al giudice costituzionale il compito di definire, di volta in
volta i confini delle rispettive competenze. Per altro ormai sappiamo
che un sistema istituzionale basato sulla sussidiarietà è proprio
l’opposto di un sistema edificato su una ripartizione di competenze
rigida, predefinita e stabile. La sussidiarietà implica che la soluzione
di certi problemi sia spostata, a seconda dei momenti e delle
circostanze ora verso livelli territoriali più bassi, ora verso l’alto.
La nuova architettura complessiva del sistema amministrativo
cerca di realizzare il decentramento e di portare le Amministrazioni il
più possibile vicino ai cittadini. Il rovesciamento della clausola
tradizionale di distribuzione delle funzioni amministrative tra il
potere centrale e il sistema delle istituzioni locali, operato dalla
Legge 15 marzo 1997, n. 59, identifica tassativamente il quadro delle
competenze statali a fronte di una devoluzione “generale” e
“residuale” in favore delle Autonomie, con l’assunzione della
sussidiarietà a principio ordinatore dei conferimenti delle funzioni.
Ciò rappresenta una ipotesi di trasformazione teoricamente
amplissima – anche se «gradualizzata» (art. 3, comma 1, lett. b)) –
degli schemi organizzativi del potere pubblico, nella quale i
riferimenti costituzionali, che restano non modificati, vengono ad
7
essere dilatati nell’ambito di operatività ovvero rielaborati nella loro
sostanza.
Il ruolo della Corte Costituzionale è stato ed è essenziale per
indicare la corretta interpretazione della Carta soprattutto per effetto
delle incessanti riforme amministrative, e per mediare, tra Regioni e
Enti Locali che, in particolare nelle prime fasi, devono essere posti
nelle condizioni di reggere l’impatto delle nuove funzioni.
Si è registrata, infatti, una mutata interpretazione
costituzionale in particolare degli artt. 118 e 128; messi sotto una
nuova luce da una piena valorizzazione del principio autonomistico
che emerge dall’art. 5 Cost., oggi visto come una formulazione ante
litteram del principio comunitario di sussidiarietà.
Prima delle riforme del ’90 vi era la tendenza alla svalutazione
del dettato costituzionale in tema di Autonomie Locali da parte della
giurisprudenza della Corte Costituzionale che effettuava
un’applicazione assai limitata dell’art. 128.
Le pronunce successive agli anni ’90, in particolare alla Legge
8 giugno 1990, n. 142, rivelano un atteggiamento assolutamente
innovativo, costituito dalla individuazione nell’art. 128 del «diretto
fondamento» del «potere (riconosciuto ai Comuni) di auto-
determinarsi in ordine all’assetto e all’utilizzazione del proprio
territorio» (Corte Cost. 8 aprile 1997, n. 83).
La Corte Costituzionale ora indica che già nell’art. 128 Cost.
si radica il potere di autodeterminazione del Comune quanto
all’assetto e all’utilizzazione del proprio territorio, e da’ così una
lettura dell’articolo che ne valorizza l’immediata natura precettiva,
come disposizione che, anziché riempirsi di contenuto in virtù di
successivi interventi legislativi, è in grado di porre un limite alle
leggi statali e regionali.
* * *
8
I problemi che la Corte Costituzionale deve affrontare e i temi
sui quali l’interpretazione costituzionale in materia di autonomia è
chiamata ad esprimersi, a seguito delle riforme amministrative
succedutesi nell’ultimo decennio, riguardano:
┢ Il rapporto tra Regioni ed Enti Locali (in relazione anche alla L.
59/97) e ad una corretta interpretazione dell’art. 118. La Corte
afferma e promuove un modello cooperativo e non conflittuale di
rapporti tra gli Enti. In particolare ciò emerge dalla pronuncia n.
408/98 che dà una corretta lettura della Legge 59/97.
┢ I limiti che discendono, per lo stesso Legislatore statale e
regionale, dal principio costituzionale di autonomia dei Comuni e
delle Province (in particolare in riferimento alla L. 142/90).
* * *
In sostanza, la Costituzione offre un materiale che rende
possibile all’interprete una rilettura, forse anche più genuina, della
Carta stessa alla luce del principio di sussidiarietà e delle emergenti
esigenze di autonomia e decentramento. Le riforme amministrative
degli anni ’90, coerenti con una nuova interpretazione costituzionale
- certo non “manipolativa” del dettato - rappresentano piuttosto, una
coerente espressione e un corollario dei due articoli che formano il
Titolo riservato dalla Carta alla Pubblica Amministrazione.
Da un lato, l’art. 97 Cost. infatti, ribadisce i principi di buon
andamento e imparzialità; dall’altro l’art. 98 Cost., enunciando che i
pubblici impiegati sono al servizio della Nazione, afferma un legame
tra collettività e Amministrazioni Pubbliche; e non è forse questo
conforme al principio di sussidiarietà?
A questo punto sembra coerente chiedersi l’utilità effettiva e
l’opportunità di un intervento sugli enunciati costituzionali,
considerando che potrebbe risultare sufficiente, dopo
l’interpretazione, una applicazione corretta e forte delle norme già
enucleabili dalla Costituzione.
9
Dunque, non dovrebbe essere necessario promuovere una
drastica riformulazione della seconda parte della Carta. E’, tuttavia,
auspicabile una revisione integrativa e solo parzialmente
modificativa, allo scopo di fissare nel dettato costituzionale, con
inequivoca chiarezza, i principi (quali ad es. quelli di legalità e
sussidiarietà) e le definizioni che rappresentano le linee guida
desunte e consolidate dalla Corte Costituzionale nelle pronunce
successive alle riforme amministrative degli anni ’90.
10
- Capitolo I -
TRASFORMAZIONI NELL’AMMINISTRAZIONE
§ 1 – Attuazione del disegno costituzionale del decentramento
amministrativo e trasformazione del complesso ambiente
giuridico pubblico.
Fin dall’approvazione della Costituzione, la questione della
riforma della Pubblica Amministrazione è stata sentita come una
delle grandi questioni italiane, in qualche modo anticipata, ma non
risolta, dal nuovo dettato costituzionale.
All’atto dell’unificazione, lo Stato Italiano aveva adottato
l’architettura del modello francese, fondata sul ruolo predominante
dello Stato. Alcune delle principali istituzioni del nostro ordinamento
amministrativo - Consiglio di Stato e Prefetto- hanno persino
denominazioni di origine transalpina; come di origine francese sono
anche il dualismo giurisdizionale e l’accertamento amministrativo.
La Costituzione repubblicana sembra tendere radicalmente
verso tale sistema: la previsione, nell’ambito dei principi
fondamentali, dell’art. 5 -che riconosce e promuove le Autonomie
Locali- nonché l’adeguamento dei principi e dei metodi della
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento,
sembravano preludere al più ampio decentramento amministrativo
1
.
1
ARMENANTE F. sostiene che «sul piano storico-giuridico l’analisi diacronica del
decentramento amministrativo risulta connessa all’evolversi dei principi di autonomia e
pluralismo socio-istituzionale rispetto ai quali esso rivela la sua natura di formula
organizzatoria, concettualmente derivata e rideterminata in relazione alle contingenze
storiche», in Note minime sull’evoluzione del concetto di decentramento amministrativo,
Nuova Rassegna 1999 n. 17.
11
Pur tuttavia, il “lievito” dei principi non è riuscito a far
crescere una “pasta rimasta amorfa”, come evidenzia
suggestivamente Balboni
2
.
A fasi ritornanti, la riforma della Amministrazione è stata
iscritta nell’agenda politica come una questione strategica per il
futuro del Paese. Allo stesso modo, fin dalla prima Legislatura della
Repubblica, si è posto con grande forza il tema della riforma dello
Stato attraverso la piena attuazione delle Regioni e del sistema delle
Autonomie Locali.
Le due grandi questioni hanno “corso in parallelo” per tutta la
nostra esperienza repubblicana, talvolta essendo considerata
preminente la prima (come negli anni cinquanta e nei primi anni
novanta), talvolta la seconda (come negli anni settanta).
Il cammino verso le Autonomie tracciato dal Costituente,
articolato nei meccanismi istituzionali del Titolo V -scadenzato nel
tempo con le disposizioni transitorie VIII e IX- non ha trovato
realizzazione, almeno fino agli anni ’70
3
.
L’Italia della ricostruzione e del «miracolo» economico era
uno Stato sostanzialmente accentrato
4
, al di là delle sue grandi
tradizioni municipali e delle modeste esperienze delle Regioni a
statuto speciale.
Il Legislatore ordinario, infatti, pur deputato, ai sensi delle
citate disposizioni transitorie, ad operare il riordinamento e la
2
BALBONI E. in Decentramento amministrativo, («Dig. Disc.pubbl.», 1989, IV)
definisce in questo modo efficace il fatto che le Autonomie costituzionali seppur previste,
non hanno trovato una promozione e coerente attuazione.
3
In proposito va anche menzionato l’art. 118 che prevede una duplicità di funzioni: quelle
trasferite, riconducibili, in base al principio del parallelismo, alle materie di cui all’art.
117; quelle delegate, integrative delle prime e necessarie per il loro organico esercizio.
Secondo GRECO G. (in Il potere di sostituzione dello Stato alle Regioni, Il Foro Amm.
1989, 866), il principio del parallelismo risponde all’esigenza di devolvere, in toto, alla
Regione gli interessi pubblici facenti capo a dette materie, sia sul piano normativo (cioè,
mediante la previsione generale ed astratta della fattispecie e della loro disciplina), sia
nelle forme e nei modi dell’Amministrazione (cioè assicurando il diretto soddisfacimento
degli interessi coinvolti).
4
Questa è l’opinione sostenuta con particolare chiarezza da FALCON G. in Il decreto n.
112 e il percorso istituzionale italiano, Le Regioni, 1998, 453 e segg.
12
distribuzione delle competenze agli Enti territoriali, ha preferito la
strategia del «congelamento» delle funzioni, elevando a regola il
regime transitorio della VIII disposizione e favorendo, quindi, una
distribuzione delle competenze per funzioni separate.
Agli inizi degli anni ’70, con l’avvento delle Regioni, che
hanno rappresentato una risposta istituzionale alle rinnovate esigenze
di governo del Paese, si è assistito ai primi tentativi di decentramento
delle funzioni.
In tale ottica va menzionato l’articolo 17 della Legge 16
maggio 1970, n. 281 (cosiddetta Legge finanziaria regionale) che
delega il Governo ad emanare decreti aventi valore di legge ordinaria
per trasferire funzioni alle Regioni per settori organici di materie: da
un lato, riservando allo Stato il potere di indirizzo e coordinamento;
dall’altro, disponendo il mantenimento per Province e Comuni delle
funzioni di interesse esclusivamente locale. In forza della suddetta
delegazione furono emanati i decreti presidenziali 14 gennaio 1972,
nn. 1-11, considerati, però, dalla prevalente dottrina, disorganici e
riduttivi dell’Autonomia regionale, censurati anche di
incostituzionalità.
Al fine di completare il trasferimento delle funzioni, sempre
per settori organici, si rese, pertanto, necessaria una nuova delega
(Legge 22 luglio 1975, n. 382) per la cui attuazione furono emanati i
Decreti 24 luglio 1977, nn. 616-618.
Il quid novi di tale trasferimento venne positivizzato dall’art.
1, comma 3, della legge delega del ‘75, in base al quale
l’identificazione delle materie si sarebbe dovuta realizzare per settori
organici, superando, quindi, gli schemi di ripartizione delle
competenze secondo i singoli dicasteri e gli organi periferici dello
Stato. Inoltre, l’effettiva devoluzione delle competenze sarebbe
dovuta avvenire solo a seguito di un censimento di quanto già
trasferito e di quanto trasferibile, attraverso la metodologia
13
dell’analisi delle attribuzioni, al fine di comporre i settori organici
sulla base dei criteri di affinità, strumentalità e complementarietà
delle funzioni.
In sintesi, allo schema della delega, tipico dell’assetto
costituzionale delle funzioni e definibile in una prospettiva statica,
subentrò quello dei settori organici che incise sulla stessa definizione
delle materie specificando ed ampliando, così, le categorie di cui
all’art. 117 Cost..
Allo stesso tempo, come per il modello sovraordinato dei
rapporti Stato-Regioni, anche per il livello sott’ordinato Regioni-Enti
Locali, si stabilì che il passaggio delle funzioni avvenisse secondo
parametri di distribuzione informati al criterio di organicità.
Tuttavia, tale assetto delle competenze tardò a trovare
attuazione e ben presto si evidenziò che l’attività amministrativa dai
contenuti organici non si traduceva, ex se, in efficienza e produttività,
a causa di un regime ordinamentale uniforme ed indistinto, ignaro,
cioè, delle peculiarità locali ed istituzionali
5
.
5
BERTI G., in Amministrazione Comunale e Provinciale, Cedam, Padova, 1994,
sostiene:« Negli anni ’70 si poteva ancora nutrire l’illusione in uno svolgimento per linee
quasi logico-geometriche del sistema delle autonomie, come frutto in pari tempo di un
proposito fermo di attuazione costituzionale e del corrispondente adeguamento delle
strutture statali: una sorta di evoluzione degli istituti verso una modernizzazione
complessiva, che doveva essere una rivoluzione temperata dalla persistente attenzione alla
tradizione amministrativa del nostro stato. Pareva allora possibile tentare un disegno di
coerenti trasformazioni nel campo giuridico pubblico, nel quale quell’evoluzione avrebbe
trovato le sue giuste immagini, a loro volta coordinate in modo che la marcia verso il
nuovo non fosse sovrapposizione oppure contrasto e infine e infine disordine tra istituti e
strutture di diversa matrice.
A distanza di un ventennio ed oltre, quelle previsioni appaiono invece smentite o
perlomeno scadute quanto alla loro possibile realizzazione: allo stesso tempo, il sistema
dello stato unitario e degli istituti del diritto pubblico si va sempre più deteriorando e le
istituzioni locali sembrano ammorbate da questo deterioramento che ha tolto ad esse ogni
vitalità o ha messo a nudo una logica diversa (e opposta a quella che pareva vincente),
vale a dire una specie di necessità storica di compimento della parabola dello stato
accentrato e il coinvolgimento nella linea di caduta degli stessi istituti dell’autonomia.
La stessa esperienza regionale è divenuta paradossalmente un fattore di accelerazione
degli esiti del quadro patologico dello stato, avendo le regioni dato origine ad una serie di
fratture fra l’organizzazione statale e le autonomie comunali,s senza creare nulla di nuovo
che non fosse la realizzazione, tuttavia parziale, della loro pretesa di sostituire lo stato
nell’esercizio della antica supremazia».
14
All’esigenza di un’Amministrazione diversificata sembrò
rispondere la Legge di riforma delle Autonomie Locali (rectius:
Legge 8 giugno 1990 n. 142) la quale, oltre a ridefinire i rapporti tra
Regioni ed Enti Locali (positivizzando, all’art. 3
6
, il criterio-guida
dell’«attraverso») ha inserito ulteriori parametri di specificazione,
quali “popolazione” e “territorio”
7
, per un virtuale adeguamento
dell’Ente al tipo e qualità di interesse da gestire.
D’altro canto, si è consolidato il metodo di attribuzione diretta
delle funzioni agli Enti Locali; si è statuito, ex professo, che Comuni
e Province sono titolari di funzioni proprie e, al contempo, si sono
previsti ulteriori trasferimenti dallo Stato e dalle Regioni, funzionali
al completamento delle attribuzioni già definite.
Ma prima ancora che il decentramento delineato dal
Legislatore del 1990 trovasse attuazione, si è assistito ad una nuova
spinta verso l’autonomia attraverso la delega conferita con la Legge
15 marzo 1997, n. 59 ed attuata con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112
8
.
Molteplici sono le novità che caratterizzano, il nuovo
intervento normativo. Muta, in primo luogo, il rapporto con il dettato
costituzionale
9
.
.
6
L’articolo 3 comma 1, L. 142/90 infatti, recita: « Ai sensi dell’art.117, primo e secondo
comma, e dell’art.118, primo comma, della Costituzione, ferme restando le funzioni che
attengono ad esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori, le Regioni organizzano
l’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i Comuni e le
Provincie».
7
La cui sedes materiae è rinvenibile negli artt. 9 e 14 relativi, rispettivamente alle
funzioni comunali e provinciali.
8
Invero, le deleghe contenute nella Legge n. 59/1997 hanno comportato l’emanazione di
ulteriori decreti legislativi, per lo più incidenti su singole discipline di settore (D.Lgs n.
114/1998, in materia di commercio; D.Lgs. n. 396/1997, relativo alla contrattazione
collettiva e integrativa), in cui l’assetto delle competenze risulta trattato solo in modo
parentetico.
9
BERTI G., in Amministrazione Comunale e Provinciale, Cedam, Padova, 1994. «Il
riconoscimento della funzione attiva delle comunità territoriali rimette in discussione i
criteri accolti nell’unificazione amministrativa dello Stato, i principi intorno ai quali si è
intessuto il sistema anzidetto, del quale si danno per ormai noti i presupposti di ordine
politico ed ideologico». Berti infatti, riconosce che «non era impensabile che
un’adeguazione dello Stato ai principi costituzionali dell’autonomia e del decentramento
nonché della democraticità trasportata anche nell’organizzazione amministrativa avrebbe
ispirato e favorito non solo la rinascita dei comuni, ma anche e soprattutto una generale
trasformazione degli istituti pubblici».
15
Il Legislatore degli anni ’70, in un’ottica minimalista,
perseguiva la mera attuazione degli artt. 117 e 118, mediante la
delega alle Regioni delle funzioni ivi comprese; la Legge n. 59/1997,
invece, propone una riorganizzazione dello Stato rielaborando il
principio autonomistico di cui all’art. 5 Cost. a guisa di una
formulazione ante litteram del principio di sussidiarietà.
Anche sul piano terminologico si assiste ad una significativa
innovazione; in luogo dei termini quali “trasferimento”, “delega” o
“attribuzione” di funzioni, tipici della pregressa normativa di settore,
si parla di «conferimento», che sottende ad una assegnazione delle
funzioni pubbliche al livello territoriale più adatto a recepire e
soddisfare le istanze dello Stato-comunità
10
.
I principi che guidano la riforma amministrativa, oltre a quelli
di buon andamento e imparzialità espressi nella Costituzione, sono
anche quelli di sussidiarietà e completezza delle funzioni sanciti e
formulati nell’art. 4 della Legge Delega 59/97
11
.
Con il principio di sussidiarietà si vuole avvicinare lo Stato ai
cittadini; le funzioni infatti, devono essere svolte dall’ente più vicino
individuato a seconda del livello degli interessi coinvolti.
10
«Ulteriore corollario del diverso atteggiamento è l’estensione della devoluzione alle
autonomie funzionali ed ai privati, attraverso forme di liberalizzazione, semplificazione e
trasformazione di funzioni pubbliche in attività private di interesse pubblico», così
ARMENANTE F. in Nuova Rassegna n. 17/99.
11
L’articolo 4 comma terzo della Legge Delega 59/97 prevede infatti:« I conferimenti di
funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell’osservanza dei seguenti principi
fondamentali: a) il principio di sussidiarietà, con l’attribuzione della generalità dei
compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle comunità montane,
secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative,con l’esclusione
delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le
responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti
di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, all’autorità
territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati; b) il principio di
completezza, con l’attribuzione alla Regione dei compiti e delle funzioni amministrative
non assegnati ai sensi della lettera a), e delle funzioni di programmazione;c) il principio
di efficienza e di economicità (…); d) il principio di cooperazione (…); e) i principi di
responsabilità e unicità dell’amministrazione (…); f) il principio di omogeneità (…); g) il
principio di adeguatezza (…); h) il principio di differenziazione (…); i) il principio della
copertura finanziaria (…); l) il principio di autonomia organizzativa (…).».
16
Con il principio di completezza, invece, si intende attribuire
alle Regioni una sorta di competenza residuale delle funzioni non
assegnate agli Enti Locali minori, oltre che la indefettibile e
propedeutica funzione di programmazione.
Le riforme degli anni ’90 e in particolare le Leggi Bassanini,
dunque, si sono inserite in un processo riformatore
dell’Amministrazione italiana che è in corso da molti anni. Il
processo di trasferimento di competenza e funzioni dallo Stato al
sistema delle Autonomie Locali, collegato al tema della
delegificazione, della semplificazione amministrativa, della
privatizzazione del pubblico impiego, della modificazione del
sistema fiscale e tributario italiano, ha costituito la riforma portante e
assolutamente strategica dell’Amministrazione.
La riforma della Amministrazione è collegata con una ripresa,
del processo di trasferimento di competenze e funzioni dallo Stato al
sistema delle Autonomie Locali.
La Legge 142 del 1990 quindi, ha innovato profondamente la
materia delle Autonomie Locali iniziando un processo di
trasformazione di questi livelli di governo che ha avuto, con la Legge
n. 81 del 1993 e con la Legge n. 127 del 1997, un’ulteriore
accelerazione.
Ma l’aspetto di maggiore importanza del processo di riforma è
dato dalla Legge n. 59/97. Con essa, per la prima volta dopo
centotrenta anni, il Parlamento italiano ha rovesciato il principio
fondamentale sul quale si regge il nostro sistema amministrativo.
Siamo passati cioè, con largo consenso, da un sistema
amministrativo poggiante essenzialmente sull’Amministrazione
Statale a un sistema che, all’opposto, poggia essenzialmente sulle
Regioni e sulle Autonomie Locali.
Questa scelta, che è chiara, netta ed esplicita nell’art. 1 della
Legge n. 59 del 1997, costituisce non solo un’attuazione della
17
Costituzione, ma, meglio, la massima trasformazione dello Stato
Italiano compatibile oggi con la Costituzione in vigore.
E’ stato detto, ed è sicuramente una posizione ineccepibile,
che è stato attuato il massimo di federalismo possibile a Costituzione
invariata
12
. Ciò è possibile perché la Costituzione non traccia un
disegno completo e organico dell’Amministrazione ma permette una
elasticità e offre un “materiale” utilizzabile e interpretabile dai
soggetti politici.
Nella Legge n. 59/97 il processo di trasformazione dello Stato
verso il modello di un federalismo amministrativo possibile e
compatibile con la nostra Costituzione è strettamente collegato alla
riforma dell’Amministrazione centrale e periferica dello Stato.
Nel passato, ci sono state fasi nelle quali si è immaginato
possibile riformare l’Amministrazione centrale e periferica dello
Stato senza prestare particolare attenzione al rapporto con le Regioni
e le Autonomie Locali e fasi nelle quali, al contrario, si è creduto
realizzabile un profondo trasferimento di funzioni dallo Stato alle
Regioni e al sistema delle Autonomie senza porsi, in modo diretto, la
questione della contestuale e conseguente riforma
dell’Amministrazione dello Stato.
Non sono mancate infine fasi nelle quali si è puntata
l’attenzione soprattutto sulla riforma dell’azione amministrativa,
sulla delegificazione, sulla semplificazione, sulla ricerca di nuove
modalità di raccordo e di rapporto tra amministrazione e cittadini,
piuttosto che sulla riforma degli apparati o sulla ridistribuzione di
funzioni e competenze fra centro e soggetti periferici del sistema.
12
PITRUZZELLA G., Intervento, in I disegni di legge del governo in materia di
decentramento e di semplificazione amministrativa. Tavola rotonda presieduta da Livio
Paladin, Le Reg., 1996, afferma che «Il disegno di legge ha sfruttato nella misura
massima consentita le possibilità offerte dal testo costituzionale delineando uno schema
istituzionale che sembra ispirarsi al cosiddetto federalismo di esecuzione. Infatti, sono
conferite alle Regioni e agli Enti Locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi
alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché
tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori».
18
Ora, per la prima volta, tutte queste diverse linee e prospettive,
- proprie di processi riformatori che negli anni si sono susseguiti
mirando tutti a un medesimo obiettivo di innovazione, ma tutti
operando secondo un’ottica che di volta in volta si è rilevata
inevitabilmente parziale -, sono prese in considerazione e fra loro
armonizzate da una legge che le riconduce a razionalità e coerente
compatibilità
13
.
Nuovo conferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni e alle
Autonomie Locali, riforma dell’Amministrazione centrale e
periferica dello Stato, riforma delle strutture di governo a partire
dalla Presidenza del Consiglio e dai Ministri, ripresa del processo di
semplificazione dei procedimenti: tutti questi sono profili diversi di
un medesimo, compatto disegno riformatore.
Per la prima volta, riforma dell’Amministrazione statale e nuovo
conferimento di funzioni a Regioni e Autonomie Locali sono fra loro,
strettamente e immediatamente, connesse.
E’ infatti evidente, che trasferire competenze dal centro alla
periferia, senza contestualmente riformare profondamente il centro, è
un’operazione destinata al sicuro fallimento oltre che a una profonda
incoerenza.
13
PAJNO A., Intervento, in I disegni di legge del governo in materia di decentramento e
di semplificazione amministrativa. Tavola rotonda presieduta da Livio Paladin, Le Reg.,
1996, sostiene :«La questione del federalismo viene considerata come strettamente
collegata alla questione amministrativa. Anche nel dibattito politico tale questione è
entrata per questa via, in certo modo impropria, della crisi dei servizi pubblici e in
generale della qualità dell’amministrazione: dietro il bisogno di federalismo c’è anche una
protesta nei confronti della qualità della vita amministrativa del Paese. Si tratta di una
richiesta assai diffusa, oggi stesso fatta propria dai sindacati nell’ambito del patto per
l’occupazione. Dunque, se si riuscisse a dare delle risposte all’esigenza di migliorare
l’amministrazione, sia mediante la riorganizzazione dell’amministrazione in senso stretto,
sia mediante la riorganizzazione dell’amministrazione in senso stretto, sia mediante il
decentramento, con ciò stesso si entrerebbe in aspetti determinanti anche della questione
del federalismo. Ancora, dietro questo disegno di legge - futura Legge Delega 59/97 - c’è
un tentativo di riflessione sul rapporto tra la questione dei modelli amministrativi e la
questione delle autonomie: da una parte il tentativo di fare una riforma
dell’amministrazione attraverso il principio del pluralismo autonomistico (nel cui quadro
deve anche essere reimpostata la questione regionale), dall’altra il tentativo di affrontare
la questione della riforma amministrativa dal punto di vista dell’organizzazione
burocratica e sovente dell’organizzazione centrale dei Ministeri.».
19
Ma anche immaginare di riformare soltanto
l’Amministrazione statale, - sia pure nell’ottica di assicurare una
maggiore efficienza alla sua azione e, quindi, un migliore
soddisfacimento dei bisogni dei cittadini e del Paese-, senza porsi,
contemporaneamente, la questione della riforma del rapporto tra
Amministrazione centrale e sistema delle Regioni e delle Autonomie
Locali, è altrettanto privo di significato e di prospettiva.
Operando su entrambi i versanti e sviluppando anche il
consenso e il coinvolgimento dei diversi soggetti istituzionali e delle
diverse comunità, si è potuto raggiungere, finalmente, una
trasformazione del complesso ambiente giuridico pubblico di
notevole impatto. Ciò è stato prodromico di mutamenti talmente
radicali da sconvolgere l’ordinario assetto amministrativo e da
rinnovare l’interpretazione della Corte chiamata a pronunciarsi sulla
legittimità costituzionale delle innovazioni introdotte in maniera così
incalzante e repentina.