Fusione dei Comuni: al confine tra opportunità e necessità.
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Introduzione
Il Trentino si caratterizza, unitamente ad alcuni altri territori, come Provincia Autonoma
nell’ambito del panorama nazionale. L’autonomia, sia in termini di concetto e contenuti nonché di
peculiarità, da molto tempo è interessata da dibattiti – in un recente passato diventati a volte veri e
propri “attacchi” – che si dividono in due fronti sostanzialmente divergenti.
Il primo, che evidenzia l’aspetto positivo, ovvero il fatto che l’autonomia costituisce
un’opportunità nell’agire che porta ad assumersi responsabilità gestionali finalizzate al
raggiungimento dei migliori risultati.
Il secondo, definito tendenzialmente come negativo, vede l’autonomia come un
“privilegio” che nasce da un eccesso di risorse messo a disposizione dallo Stato e che generano,
quasi automaticamente, una migliore condizione di vita generale in danno delle altre Regioni e/o
Province.
Prescindendo dalle due linee di pensiero citate, con il presente studio avente ad oggetto la
situazione attuale e prospettica dei Comuni Trentini, si vuole evidenziare come uno degli aspetti
conseguenti alla situazione di “autonomia” sia stato non una semplice “autonomia” ma, per certi
versi, un potenziale “eccesso di autonomia”.
Tale aspetto, ovvero l’eccessiva consistenza di soggetti comunali in un territorio con una
presenza demografica decisamente bassa, rappresenta appunto una possibile esasperazione
dell’Autonomia. Assistiamo quindi ad una situazione nella quale piccoli paesini di qualche
centinaio di abitanti hanno difeso e difendono a tutti i costi la loro indipendenza.
E questo visto dall’esterno risulta difficilmente comprensibile.
Recentemente però, si è iniziato a domandarsi se tale tipo di situazione sia effettivamente
sostenibile nel medio – lungo periodo. Per qualche anno ci si è illusi che la situazione di difficoltà
economica fosse di breve periodo e superabile. Ora, invece, si è preso coscienza che così non è e
che sarà improbabile ritornare alla stessa situazione di benessere generale esistente un decennio fa.
E’ emersa quindi la necessità di valutare se la consistenza, la frammentazione e la scarsa
propensione alla collaborazione dei vari Comuni possa essere una condizione ulteriormente
sopportabile ovvero se non sia indispensabile una rivisitazione complessiva del contesto attuale.
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In realtà, si è assistito anche a un tentativo di frapposizione di un ente intermedio tra la
Provincia e i Comuni, le Comunità di Valle, in sostituzione dei vecchi Comprensori, con lo scopo
di riorganizzare le strutture territoriali previa attribuzione di specifiche competenze operative
sostenute tendenzialmente da adeguate risorse finanziarie.
Alla luce delle risultanze di questi ultimi cinque anni appare alquanto temerario affermare
che le Comunità di Valle abbiano superato l’esame e rispettato le aspettative soprattutto se la
valutazione viene contestualizzata, ovvero ricondotta alle premesse che hanno supportato il
progetto originario dato che la lettura postuma dei risultati genera esiti opinabili.
Quando si da avvio a un nuovo progetto, qualunque sia la sua natura e obiettivo, bisogna
confrontare le previsioni, i risultati previsti con il consuntivo e i risultati raggiunti. Nel mentre, le
valutazioni in corso di esecuzione riguardano necessariamente periodi temporali limitati.
Di fronte ai risultati registrati, la discussione sulle Comunità di Valle si può considerare
appena iniziata e gli esiti delle valutazioni che saranno effettuate sono tutti da stabilire.
Rappresenteranno effettivamente uno strumento intermedio indipendente ed efficace oppure
daranno vita ad un ulteriore appesantimento dell’apparato amministrativo ? Inoltre: non era
preferibile procedere a una graduale riforma dei Comprensori anziché istituire nuove soggetti
creando peraltro importanti aspettative conseguenti alle motivazioni addotte per giustificarne la
costituzione ?
Tutte queste premesse però ci portano al centro dell’argomento oggetto del presente lavoro
di analisi: la fusione dei Comuni rappresenta un’opportunità o una necessità ?
Rinviamo ovviamente la risposta alle conclusioni ma non si può non osservare in via
preliminare come la situazione complessiva, economica e sociale, consenta margini di operatività
estremamente limitati che potranno dare luogo a risultati positivi solo in presenza di
amministratori pubblici con elevate capacità gestionali che però siano posti in condizione di poter
lavorare senza affogare nella burocrazia imperante.
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Il tutto senza essere condizionati dalle attuali evoluzioni che hanno visto gli organi politici
confrontarsi sull’argomento e ancor più, la stampa specializzata, dare spazio a tutta una serie di
ipotesi operative che non possono che costituire analisi parziali.
Di certo assume alto valore probabilistico il fatto che l’avvio di alcune iniziali ipotesi di
fusione tra Comuni possano costituire l’inizio di una tendenza destinata ad aumentare in termini di
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Arturo Bianco, La gestione associata tra i piccoli Comuni. Dopo la «spending review». Maggioli Editore,
2012.
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numero fino ad essere, probabilmente, assorbita di una potenziale disposizione legislativa che ne
disponga l’obbligatorietà accompagnata da misure agevolative di settore.
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CAPITOLO 1
La situazione attuale dei comuni e le motivazioni che spingono al
cambiamento
1.1 Situazione generale ed economica dei comuni Trentini
Nel corso del 2009 è stato presentato uno studio
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che evidenziava come i Comuni trentini
godevano di una situazione economica decisamente più florida rispetto ai Municipi del resto
d’Italia, al punto che potevano permettersi di spendere, pro capite, oltre il 60% in più rispetto al
dato nazionale per quanto riguarda la spesa corrente (1.267 euro in Trentino contro 792 euro della
media nazionale).
Non andava male nemmeno sul versante degli investimenti visto che il dato pro capite
riferito ai Comuni trentini (880 euro) era pari a quasi due volte e mezzo il corrispondente dato dei
Comuni Italiani.
Appare di tutta evidenza come questi due indicatori di base diano un quadro complessivo
decisamente distinto e distante da quello di tutti gli altri Comuni italiani. Bisogna però
approfondire il concetto. Per i lettori o cittadini che non hanno particolari competenze in materia di
contabilità pubblica i dati possono sembrare addirittura esagerati e dipingere una realtà trentina
particolarmente ricca, ai confini del lusso, e una restante realtà italiana in sofferenza.
Invece, non risulta irrilevante osservare come “l’autonomia” degli enti locali accompagni
“risorse” in stretta connessione a maggiori “competenze”.
Il che, in termini estremamente pratici, vuol dire che le maggiori disponibilità finanziarie
sono collegate a maggiori oneri di gestione ordinaria.
Basti pensare, a puro titolo indicativo e non esaustivo, alla scuola, alla sanità e ai trasporti
pubblici che non accedono ai fondi nazionali ma che devono sostenersi esclusivamente con risorse
proprie.
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Rapporto 2008 sulla finanza locale trentina realizzato dall’Osservatorio economico-finanzario del Servizio
Enti Locali della Provincia Autonoma di Trento e che aggiorna l’ultimo rapporto pubblicato nel 2005.
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Progressivamente la situazione si è evoluta di pari passo con l’andamento complessivo
dell’economia che ha interessato il nostro paese, l’Europa e il mondo in generale.
Nel tentativo di semplificare i concetti si può evidenziare come a partire dagli anni ’80 si
siano registrati i seguenti elementi economici di fatto:
a) una globalizzazione progressiva degli scambi e quindi delle relazioni economiche tra i
vari paesi;
b) una crescita delle diseguaglianze sia interne ai paesi che tra i paesi;
c) una riduzione della quota di reddito distribuita al fattore lavoro e un parallelo aumento
della quota assegnata ai profitti e alle rendite con conseguente pesante
“finanziarizzazione” dell’economia con lo spostamento del potere economico dai
governi alle lobby finanziarie.
Ne consegue che la crisi finanziaria scoppiata alla fine del 2008 è la stretta conseguenza di
questi processi evolutivi: “la crisi si è verificata quando l’eccesso di credito è divenuto
insostenibile, determinando il rischio di fallimento dei soggetti prestatori (banche) e quindi la
contrazione di liquidità e in successione di consumi, investimenti, attività economica e
occupazione
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”.
Cosa succede nei momenti di crisi economica particolarmente pesante e soprattutto di
lungo periodo ? Succede che se il sistema economico, quale quello italiano, non è sorretto da una
strutturazione “fondamentale” corretta non è in grado di assorbire le perdite conseguenti alla crisi.
Il tessuto economico italiano è stato, da sempre, caratterizzato dall’eccessiva dipendenza
dal settore “pubblico”, dall’assenza di grandi imprese – spesse volte eccessivamente agevolate – e
dalla contemporanea presenza di aziende di piccolissime dimensione che avevano una
caratteristica comune ovvero la sottocapitalizzazione. Quest’ultimo elemento determina l’assenza
di risorse di liquidità nei momenti di crisi e l’incapacità di fronteggiare quegli investimenti
necessari a riposizionare l’azienda in termini di maggiore competitività sul mercato.
Ma, per quanto di nostro interesse, ritorniamo al concetto di “eccessiva dipendenza dal
pubblico”. Nei momenti di crisi, se il versante delle aziende soffre per le debolezze alle quali
abbiamo accennato, necessariamente ci si rivolge al pubblico per ottenere forme di sostentamento
dirette o indirette. Che poi siano contributi diretti o provvidenze indirette quali la cassa
integrazione, i sussidi o altro, poco cambia.
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Intervento Prof. Carlo Borzaga, Università di Trento, Corso residenziale per il Clero 2010, Verona
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Sono gli Enti Pubblici che devono trovare le risorse in un contesto di equilibrio economico
finanziario complessivo. Tale situazione di equilibrio non è certo rappresentata dall’Italia che è un
paese che registra notoriamente un indebitamento elevato al punto tale che nel 2011 risultava tra i
primi dieci paesi al mondo con il debito più elevato.
Parallelamente la tassazione viaggia di pari passo indebolendo la capacità delle aziende di
stare sul mercato e dei lavoratori dipendenti di avere la cd. “capacità di spesa”. Il fatto poi, che la
stessa riesca a mantenere invariato il proprio potere di acquisto, appare come un qualcosa di
impossibile unitamente ad un incremento rilevante del tasso di disoccupazione soprattutto
giovanile.
In questo quadro complessivo, nel tentativo di riequilibrare la posizione, si è giunti a
chiedere agli Enti Pubblici uno sforzo importante attraverso la “compartecipazione” alla spesa
dello Stato che, a seconda dei soggetti che affrontano l’aspetto in questione si può declinare come
riduzione della spesa pubblica ovvero “spending review”. In realtà visto che è stato speso in
eccesso in passato ora si chiede di recuperare in fretta quanto perso in decenni.
Ne è derivato che anche la Provincia Autonoma di Trento, che è stata legittimamente e
correttamente chiamata a partecipare, ha dovuto iniziare a fare i conti con una consistente
riduzione delle risorse finanziarie derivanti dai trasferimenti che è stata attenuata solo dal fatto che
il pagamento, sempre da parte dello Stato, di crediti pregressi ha rinviato al 2017 la piena
applicazione dell’esborso finanziario.
Tale situazione si è necessariamente riversata a cascata sui Comuni che hanno dovuto
contabilizzare minori stanziamenti, portandoli a rideterminare le loro previsioni sui bilanci
pluriennali in primis, ma soprattutto in una chiave prospettica di medio – lungo periodo che li ha
portati in taluni casi, destinati ad aumentare, ad unire le forze per superare la situazione di crisi
nella quale si sono venuti a trovare ovvero verranno inevitabilmente a trovarsi. In sostanza, il dado
è tratto: con le previsioni dettate dal D. L. 95/2012, cd. spending review, il processo di
realizzazione delle gestioni associate è avviato in modo irreversibile.
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In tal senso, La spending review negli enti locali, Maggioli Editore, 2012