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INTRODUZIONE
Fin dal principio dell’esistenza umana abbiamo guardato gli animali con sentimenti contra-
stanti, che spaziavano dalla paura all’ammirazione. Il fascino che la bestialità esercita su di
noi è un fatto incontestato ed è questo aspetto che ha dato inizio alla ricerca della compren-
sione della figura che meglio incarna l’aspetto brutale umano: il lupo mannaro.
L’obiettivo di questa tesi è arrivare a dire che il lupo mannaro altro non è che l’uomo stes-
so, nella sua condizione più naturale del sé. L’Io razionale è depositario della cultura, delle
tradizioni e del pensiero cosciente, ma al suo interno, in attesa, dimora una bestia fatta di
istinti e passioni, desideri basilari e sapere primitivo.
Come punto di partenza si è indagato sull’origine del mito, riscontrato non solo nell’antico
mito di Licaone, ma molto più indietro, quando la scrittura non era ancora stata concepita e
l’uomo girovagava per il mondo con nient’altro che la sua pelle a coprirlo.
Nelle società tradizionali, ovvero quelle basate sulla caccia e la raccolta, vi era già una
consapevolezza religiosa, attestata dai riti funerari ritrovati dagli archeologi e dalle pitture
rupestri che erano parte di riti propiziatori alla caccia. In queste società il travestimento ri-
tuale con pelli di animale, solitamente di predatori quali il lupo, l’orso o la civetta, serviva
da aiuto al sacerdote officiante, lo sciamano, a richiamare gli spiriti per ottenere il loro fa-
vore. Da dette pratiche ho fatto risalire l’origine della licantropia, in quanto si forma, in
questo tempo, attestato verso il Paleolitico, il pensiero teriomorfo, ovvero la credenza che
alcune persone avessero il potere di trasformarsi in animali, seppur non fisicamente, ma a
livello di anima quando lo sciamano compiva i viaggi nell’aldilà per entrare in contatto con
gli spiriti. Nelle religioni antropomorfe gli dei erano in grado di assumere le sembianze di
animali; l’esempio più lampante è rappresentato dal dio greco Zeus, capace di assumere
fattezze di vari animali e di trasformare i mortali in essi.
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Propria della tradizione greca è l’episodio a cui tutti gli scrittori di licantropia fanno riferi-
mento: il mito di Licaone. Per punire la condotta indegna del re di Arcadia, Zeus lo tra-
sformò in lupo, rivelando in realtà la vera natura dell’uomo. Questo mito affonda le sue o-
rigini in antichi riti legati alla fertilità in cui, si suppone, avvenissero anche dei sacrifici
umani.
Nella Roma antica il lupo aveva una grande considerazione simbolica, in quanto “madre”
dei fondatori della città e animale sacro al dio della guerra, Marte. Infatti, come augurio di
vittoria in battaglia i sottoufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, chiamati
vexillifer, indossavano una pelle di lupo che ne copriva l’elmo e, in parte, la corazza.
I lupi mannari romani venivano definiti versipellis in quanto si pensava che avessero il pe-
lo sottopelle che usciva quando si trasformavano. Un racconto di un versipellis è stato
scritto da Petronio, in cui compare il legame tra il licantropo e la luna piena.
Nelle culture germaniche antiche, indossare la pelliccia dell’animale feroce favoriva il con-
tatto con lo spirito animale e la sua “possessione” a scopi guerrieri.
I guerrieri-belva del nord, consacrati ad Odino Wodan (Odino Feroce), erano i Berserkir
(maglia d’orso) e gli Ulfhedanar (casacca di lupo).
La tradizione vuole che questi guerrieri, una volta indossata la pelle dell’animale ne assor-
bissero lo spirito e ne acquisissero la forza e la ferocia, diventando temibili sia per i nemici
che per gli amici.
Vi sono alcune saghe vichinghe in cui compaiono i licantropi, cui modo per trasformarsi è
proprio indossare la pelliccia di un lupo.
Nell’antichità sentirsi lupi, vestirsi da lupi e comportarsi come lupi, doveva significare
molto probabilmente essere a tutti gli effetti lupi.
Il lupo mannaro dell’età antica, o comunque delle società pre cristiane era sì, distruttivo,
ma cosciente di sé. Ovvero, il male che il mannaro compiva, era con cognizione di causa,
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era l’uomo malvagio a rendere la bestia tale e veniva percepito in maniera differente in ba-
se alle culture in cui era presente.
Dopo l’avvento del Cristianesimo si cerca di estirpare la credenza nelle trasformazioni a-
nimali, cosa che finirà nel fallimento, perché avrebbe significato estirpare ogni pratica pro-
piziatoria di fertilità in una società prettamente dedita alla pastorizia ed all’agricoltura.
Nonostante la conversione alla nuova religione, la gente rurale mantiene vive le tradizioni
consolidatesi nei secoli e le riadatta sotto nuovi stendardi religiosi. Fioriscono i racconti
medievali sulla licantropia, dove i protagonisti capaci di mutare forma fanno parte della
nobiltà; re, signori feudali e nobili cavalieri sono in grado di assumere le sembianze di lu-
po. In ogni racconto analizzato, la causa della sventura di questi personaggi sono le mogli
infedeli (o le fate, dotate di poteri magici) a negare la forma umana o ad indurre alla follia.
Va tenuto presente che la capacità di trasformarsi è già propria dei protagonisti ed essi
mantengono il raziocinio umano nonostante le fattezze bestiali.
L’aspetto della donna che trasforma, tramite le arti magiche era presente nella figura della
maga Circe, che trasformava gli uomini in vari animali, a seconda del carattere e
dell’anima umana.
Nel medioevo la maga diventa strega, che maledice e trasforma gli uomini in fiere, li indu-
ce alla pazzia o non permette la ripresa della forma umana.
Oltre ai racconti ed ai romanzi, il licantropo sopravvive nell’immaginario folcloristico che
raccoglie l’eredità antica e l’arricchisce di nuovi elementi. Diviene creatura demoniaca, il
cui potere di mutaforma venisse da un patto col diavolo. Lo si poteva riconoscere in quanto
privo di coda; infatti il diavolo non avendo il potere creativo dell’onnipotente non poteva
che creare un essere imperfetto. Rappresentato come un enorme lupo, deforme e di colore
nero, feroce, con la predilezione per la carne umana, in quanto portatore del Male. Esistono
delle raffigurazioni che lo antropomorfizzano, facendolo stare in posizione eretta e conce-
dendogli una certa capacità prensile negli arti superiori.
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Fu, inoltre, stilato un identi-kit del mannaro in forma umana, per potersene guardare e ri-
manere al sicuro: la folta peluria, un po’ ovunque, il mono ciglio e i peli sulle mani è sem-
pre stato un “must”.
Segno di riconoscimento altrettanto valido, ma meno diffuso vuole che il mannaro abbia le
dita indice e medio di egual misura.
Temperamento suscettibile, tendente all’ira e preferenza alla solitudine completano il qua-
dro.
Durante la caccia alle streghe, si processarono anche i licantropi. Verso il Cinquecento, in-
fatti, la Chiesa aveva cambiato la propria posizione riguardo queste creature; se prima ve-
nivano visti come mera superstizione, rimanenza dei culti pagani, alle soglie dell’era mo-
derna la loro esistenza era dato di fatto e contestarlo era segno di eresia.
I riferimenti, quindi, alla licantropia non si trovano più nelle storie, ma nei resoconti dei
processi, nei trattati redatti da pensatori e filosofi, nella saggistica.
Non mancavano, comunque, come non sono mai mancate, le posizioni degli scettici. Filo-
sofi, pensatori ed intellettuali che fin dall’antichità hanno guardato alla licantropia con de-
risoria accondiscendenza, intuendo la presenza di una possibile malattia psicologica, oltre
che fisica.
Dopo l’isteria di massa che ha contraddistinto il periodo delle cacce e dei processi per ere-
sia, piuttosto che per stregoneria e licantropia, qualcosa cambia nella mente dell’umanità,
che sia l’illuminismo, il romanticismo, le scoperte tecnologiche, le rivoluzioni o tutte quan-
te insieme. Il licantropo, la bestia, il male demoniaco che è proprio umano si rivaluta. Vie-
ne relegato nella fantasia, etichettato leggenda ed inizia una folta opera letteraria ed, in se-
guito, cinematografica che vede come protagonista, niente meno che Noi!
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Capitolo 1
La nascita del mito
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1.1 Sciamanesimo
In principio c’era l’Uomo.
Fin dalla sua comparsa sulla Terra, l’essere umano ha dovuto affrontare varie problemati-
che legate alla propria sopravvivenza. Che vivessero in grotte o capanne di frasche, le co-
munità basavano il proprio sostentamento sulla raccolta di vegetali, ma soprattutto sulla
caccia. Sia gli animali di piccola che quelli di grossa taglia, per essere adeguatamente cac-
ciati, necessitavano di conoscenze e competenze che venivano trasmesse oralmente dagli
anziani ai membri più giovani.
Tutte le società tradizionali sono caratterizzate da una filosofia, o religione, sciamanica.
Fin dalla preistoria si è guardato al mondo ed alle difficoltà legate alla sopravvivenza con
un timore, ed una conseguente venerazione religiosa.
Una delle testimonianze più importanti della vita religiosa dell’uomo preistorico ce la for-
nisce la grotta di Lascaux, in Dordogna, dove è stato rinvenuto un graffito raffigurante un
uomo con indosso una maschera d’uccello che giace sul suolo. Questa pittura rappresenta
una seduta sciamanica, in quanto la maschera d’uccello sovente era utilizzata per favorire il
viaggio nell’aldilà.
Oggetti di venerazione erano, ovviamente, gli Spiriti, a cui si tributavano doni e sacrifici
propiziatori. Si pensa che tutte le pitture rupestri avessero una funzione cultuale.
Un complesso di grotte, di nome Laas Gaal in Somalia contengono alcune delle pitture ru-
pestri conosciute più antiche del Corno d'Africa e formano il più importante sito africano
di pittura rupestre del periodo neolitico. È stato stimato che i disegni di Laas Gaal risalgano
all'incirca al periodo compreso tra IX-VIII millennio a.C. e III millennio a.C.. Raffigurano
animali, soprattutto mucche, in abiti cerimoniali
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Vi è anche un’area montuosa del Sahara, chiamata Tadrart Acacus nella parte meridionale
della Libia, inserita nel patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1985 per le sue pitture ru-
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Scoperte nel novembre del 2002 da una squadra di ricercatori francesi
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pestri ed incisioni datate dal 12.000 a.C. al 100 d.C.. Le pitture e le incisioni rappresentano
animali come giraffe, elefanti, struzzi e cammelli, ma anche di uomini e cavalli. Gli uomini
sono riprodotti in varie situazioni di vita quotidiana come nell'atto di danzare e di suonare.
Alla base dello sciamanismo vi è un concetto duale della realtà: mondo materiale e mondo
spirituale (o aldilà). Essi sono collegati, tanto che quello che accade in un mondo ha river-
bero e conseguenze nell’altro.
Ogni essere vivente è dotato di uno spirito (anima), pertanto ogni animale veniva guardato
con rispetto.
Basando la propria sopravvivenza sulla caccia era fondamentale avere un buon rapporto
con i Grandi Spiriti Animali. Essi vegliavano sulle loro “greggi”, badavano che le anime
degli animali morti o abbattuti si reincarnassero e inviavano agli uomini gli animali che
avevano destinato loro come prede.
Perciò gli uomini porgevano doni e sacrifici atti ad ingraziarsi gli spiriti, per il buon esito
della caccia e anche per assicurarsi la fertilità di mandrie e persone.
Quando venivano infrante le leggi della caccia, ad esempio si uccideva una femmina gra-
vida, cosa proibita, queste risuonavano nell’aldilà, provocando la risposta, spesso violenta,
degli spiriti offesi.
Potevano, infatti decidere di far allontanare le mandrie, inviare tempeste o provocare pesti-
lenze. Il pensiero comune era che, se accadeva qualcosa di negativo al gruppo, era per una
colpa commessa dallo stesso, che aveva infastidito gli spiriti. Poteva essere un tabù inse-
gnato loro dagli antenati (in tal caso, gli spiriti offesi erano gli stessi antenati) o essere gli
spiriti animali. In ogni caso bisognava entrare in contatto con loro e pacificarli.
Non era semplice penetrare la sfera del terreno per giungere nell’aldilà, di fatti erano ve-
ramente poche le persone che, dotati di particolare sensibilità e propensione naturale ai mi-
steri dello spirito, potevano farlo. Queste persone venivano chiamate sciamani.