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Adriano Olivetti, pianificare il territorio per riformare la società
PREFAZIONE
Nel brano La Luna del 1989, Edoardo Bennato tratteggia le emozioni di un
giorno davvero speciale, quello della missione Apollo 11 che va a siglare il
tramonto di un’epoca di grandi cambiamenti culturali del mondo occidentale, “i
favolosi anni sessanta”. Alle 20.18 UTC
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del 20 luglio 1969, il lander della
navicella spaziale Apollo
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toccò il polveroso suolo lunare con a bordo gli
astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin, mentre il modulo di comando,
denominato Columbia, rimaneva in orbita con il terzo astronauta Michael Collins.
Sei ore più tardi, alle 2.56 UTC del successivo giorno 21 luglio, Neil Armstrong,
posando il piede sull’ultimo scalino che lo separava dal terreno, pronunciò, con
vibrante emozione, la storica frase: «Tha’s one small step for (a) man, one giant
leap for mankind» ovvero «Un piccolo passo per un uomo ma un grande balzo
per l’umanità». L’evento, che si inseriva nella fredda esibizione muscolare del
mondo politicamente bipolare di quel tempo, ebbe molteplici significati storici,
simbolici ed emozionali. La prima diretta televisiva della storia proveniente dallo
spazio tenne col naso all’insù milioni di persone in grado di avere accesso al
piccolo schermo. In Italia, l’impresa fu febbrilmente seguita da una storica diretta
Rai di Andrea Barbato assistito da Tito Stagno, Jas Gawronsky e Ruggero
Orlando, in collegamento con il centro di controllo di Houston, USA.
Quell’evento rimase poi cristallizzato nella coscienza collettiva e mediatica
attraverso le immagini del paesaggio lunare in cui erano sapientemente ricomposti
in inquadratura il LEM, il vessillo a stelle e strisce conficcato nel suolo e gli
astronauti. Fu una conquista della scienza, della tecnica, del brillante lavoro di
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L’acronimo UTC, mutuato da un compromesso tra l’inglese Coordinated Universal Time e il
francese Temps Universel Coordonné, sta per “Tempo Coordinato Universale”. Conosciuto anche
come “tempo civile”, è il fuso orario di riferimento da cui sono calcolati tutti gli altri fusi orari del
mondo. Esso è, a sua volta, derivato dal cosiddetto “Tempo Medio di Greenwich” (in inglese
Greenwich Mean Time, GMT), con il quale coincide a meno di approssimazioni infinitesimali.
L’acronimo U.T.C. è stato coniato per non dover menzionare una specifica località all’interno di
uno standard internazionale. L’UTC si basa su misurazioni condotte da orologi atomici invece che
su fenomeni celesti come il GMT e da questa differenza metodologica deriva il piccolo scarto.
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Dal punto di vista tecnico, la denominazione in uso è stata: Lunar Excursion Module o più
semplicemente LEM. Gergalmente, invece, era definito Eagle.
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squadra degli uomini della NASA e delle conoscenze missilistiche sottratte dagli
Stati Uniti alla Germania sul finire della Grande Guerra avendone acquisito, a
proprio favore, alcuni scienziati e ingegneri, in primis Wernher von Braun
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, ex
nazista naturalizzato statunitense e capostipite del progetto.
Un fatto poco noto però, o forse dimenticato, serve a giustificare questo
piccolo preambolo, dalle note un po’ nostalgiche, che sembra non avere relazione
diretta con il titolo della presente tesi. L’impresa Apollo 11, infatti, sarebbe stata
molto più difficoltosa, se non impossibile in così pochi anni dall’annuncio del
presidente John Fitzgerald Kennedy del 1961
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, qualora privata della tecnologia
Olivetti che ha permesso la miniaturizzazione dei calcolatori. In questo sta il
collegamento con il titolo della tesi. Già, perché nel 1966 la Olivetti aveva fornito
alla NASA una decina dei primi personal computer, i primi al mondo nel loro
genere, quale supporto indispensabile per l’epica conquista del nostro satellite
naturale. Con i calcolatori elettronici Olivetti fu infatti possibile fare i calcoli per
gli allunaggi e la nuova tecnologia poté essere riutilizzata per nuove
componentistiche della missione. L’Azienda italiana, fabbrica fino ad allora
famosa in tutto il mondo soprattutto per le macchine da scrivere, si era resa autrice
di un’invenzione che avrebbe rivoluzionato il mondo intero nel campo
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Wernher von Braun, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, lavorò in Germania allo
sviluppo dei razzi, campo in cui ottenne successi senza precedenti. Fu l’ideatore del disegno e
della realizzazione dei razzi “V-2” che colpirono Londra nel corso della Grande Guerra. Cessate le
ostilità, assieme ad altri scienziati del suo gruppo, si consegnò alle forze statunitensi che, in
ragione del suo elevato talento scientifico, lo impiegarono da subito nel settore missilistico. Von
Braun collaborò prima con l’esercito statunitense, per essere poi inserito nei progetti della NASA
(National Aeronautics and Space Administration). Negli anni in cui collaborò con l’agenzia
governativa, fu direttore del nuovo Marshall Space Flight Center, nonché progettista del veicolo
di lancio “Saturn V”, il super-propulsore che portò la missione Apollo sulla luna nel 1969, il vero
coronamento di tutta la sua opera scientifica. La stessa NASA lo definì il più grande scienziato
della tecnica missilistica ed aerospaziale della storia fino a quel momento.
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Il 25 maggio 1961 J.F. Kennedy annunciò, in uno storico messaggio al Congresso Americano,
che gli Stati Uniti avrebbero conquistato il suolo lunare entro il decennio, portandovi un uomo e
facendolo tornare indietro sano e salvo. In gioco c’era la competizione Usa-Urss per lo spazio che
aveva forti sottintesi militari, seppure venisse declinata, per l’opinione pubblica, come una sfida
essenzialmente scientifica, in un serrato confronto fra le capacità tecnologiche delle due
superpotenze e dei diversi sistemi economici che esse rappresentavano. I trascorsi della contesa
avevano visto gli USA subire dall’Unione Sovietica, uno dopo l’altro, gli smacchi dello Sputnik (il
primo satellite artificiale mandato in orbita, 4 Ottobre 1957), della cagnetta Laika (il primo essere
vivente lanciato intorno alla Terra, 3 Novembre 1957) e del cosmonauta Jurij Gagarin (il primo
uomo nello spazio, 12 Aprile 1961).
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dell’automazione delle informazioni, prendendo in assoluto contropiede un
colosso come la IBM.
Tornando ancora a ritroso, nell’ottobre del 1965, solo quattro anni prima
dell’epico allunaggio, era stata presentata al BEMA show di New York, una fiera
mondiale della scienza e della tecnica, un prototipo di quello che oggi definiamo
personal computer o PC: la Programma 101. Il mondo intero ignorava ancora
cosa fosse un personal computer, semplicemente perché non esisteva e
mancavano ancora dieci anni all’avvento dei microprocessori. Fu il risultato di
una profezia visionaria iniziata pochissimi anni prima, intorno al 1962, con un
incarico affidato da Roberto Olivetti, figlio di Adriano Olivetti, all’Ing. Pier
Giorgio Perotto e al suo team, ma già frutto di grandi investimenti e ricerche di
settore intraprese a partire da metà degli anni Cinquanta. Si trattava di una sfida
davvero pionieristica, perché richiedeva di creare qualcosa di assolutamente
nuovo, di inventare una tecnologia inedita, smontando le rigide regole
dell’informatica di quel periodo. I primi computer costruiti a livello industriale, di
cui la IBM era leader indiscusso, erano infatti complicati e costosissimi
elaboratori che occupavano intere stanze climatizzate. Erano macchine accessibili
solo ad un élite di tecnici altamente qualificati che, soli, potevano accedere
all’automazione e al processo delle informazioni racchiuse in enormi tabulatori,
nastri e chilometri di collegamenti elettrici. Quei titanici impianti consumavano
però molta energia e producevano molto calore. In Italia, invece, il piccolo team
di ingegneri e tecnici specializzati guidati dall’Ing. Perotto, ebbe l’intuizione
creativa che avrebbe rivoluzionato tutto. L’innovazione fu duplice: 1) nella
miniaturizzazione hardware di diversi metri cubi di vecchie memorie per
computer tradizionali, attraverso un filo di acciaio armonico in grado di trattenere
in circolo impulsi elettrici e, quindi, informazioni: la cosiddetta “linea
magnetostrittiva” 2) nell’aggiunta di un altro fattore chiave: l’inserimento, volta
per volta, del programma specifico da utilizzare, scritto su una semplice cartolina
magnetica da caricare nella Programma 101.
Tutto ciò consentì di ridurre enormi e pesantissimi calcolatori quasi alla
grandezza di una macchina per scrivere di pochissime decine di chili, facendo così
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entrare il computer nelle case e negli uffici, rendendolo insomma personal ed
elegante. Come se non fosse bastato, la rivoluzione interessò anche il prezzo di
acquisto che passò dai circa 100.000 $, richiesti per un computer tradizionale, ai
circa 3.500 $
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di quel nuovo prodotto, in un rapporto quindi di circa trenta a uno.
Si aprì così un mercato fino a quel momento sconosciuto. Quando la Programma
101 fu esposta a New York, gli stessi organizzatori della grande fiera non ne
capirono immediatamente la portata e ve la inserirono come elemento
complementare rispetto alla Olivetti Logos 27, che sarebbe andata, di li a poco, a
chiudere l’era delle calcolatrici elettromeccaniche. Fu la gente comune a decretare
il successo del prototipo, quasi un “furor di popolo”, non il management
industriale e commerciale. Una folla di curiosi, infatti, si radunò attorno a quella
strana, piccola ed elegante macchina che faceva il lavoro di enormi computer
tradizionali. Anche i più esperti rimasero smarriti girandoci attorno, non capendo
a cosa fosse collegata e dove fossero stati nascosti i cavi di quell’apparente
terminale. La Programma 101 fu la vera novità di quella fiera, il catalizzatore
mediatico di quello show della scienza e della tecnica, un prodotto che avrebbe
rivoluzionato la società seguente, tanto che oggi è esposta in musei di tutto il
mondo, da Tokyo a New York. Era nata una macchina assolutamente nuova,
progettata e realizzata, sin dal suo prototipo, perché fosse a misura d’uomo,
attenta all’ergonomia e con un design attraente.
La Programma 101 o Perottina, dal nome del suo ideatore, nacque quasi
in clandestinità dopo che, nel 1964, il gruppo di salvataggio (c.d. “sindacato di
controllo”), capeggiato dal banchiere Enrico Cuccia di Mediobanca e dal
Presidente della FIAT, Vittorio Valletta, aveva posto alla Olivetti l’aut-aut di
cedere il ramo d’azienda della Divisione Elettronica Olivetti alla società
americana General Elettric, come poi fu fatto. Per Roberto Olivetti e l’Ing.
Perotto, che credevano fortemente nel progetto, non sarebbe stato possibile
svendere in toto ai concorrenti stranieri dieci anni di investimenti e il lavoro
6
Per dare un ordine di grandezza concreto di quella somma, la si può considerare equivalente, più
o meno, al costo di quattro Fiat 500 dello stesso periodo, una cifra in ogni caso ragguardevole per
l’utente medio ma destinata a un inesorabile calo con le economie di scala che la produzione di
massa ne fece seguire.
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intellettuale di centinaia di ingegneri e tecnici impiegati in ricerca e sviluppo dal
1954 al 1964; né tantomeno si poteva svendere il risultato di una visione
futuristica, di cui Adriano Olivetti non aveva potuto vedere i risultati per la morte
prematura. Il progetto della Perottina fu dunque portato avanti in gran segreto nei
confronti della concorrenza straniera e condotto con riserbo anche in àmbito
aziendale, qualificandolo come “calcolatrice” anziché “calcolatore”, salvandone in
tal modo la cessione in mano americana. Avvenne così che quella visione
d’avanguardia, nata con l’Ing. Adriano Olivetti e perseguita tenacemente dal figlio
Roberto, nascosta all’avidità della concorrenza straniera e alla miopia di
prospettive di certo management italiano
7
, divenne realtà. Un successo così
inaspettato fu, naturalmente, anche commerciale oltre che dell’ingegno, e i
margini di profitto enormi per le vendite e le royalties derivanti dai brevetti,
soprattutto dalla Hewlett Packard.
Ritornando alle motivazioni introduttive, nel 1965 Adriano Olivetti era già
morto da cinque anni, ma quel risultato così straordinario fu sicuramente il frutto
dell’onda lunga del suo genio visionario e organizzativo, che anelava
incessantemente a creare progresso in senso scientifico, tecnico ed economico,
perché poi si riversasse in campo sociale, culturale e istituzionale in una riforma a
più ampio spettro. La Programma 101 rappresentò senz’altro un culmine di
scienza applicata, originatosi e nutritosi nel terreno molto fertile predisposto da
Adriano Olivetti attraverso la sua particolarissima cultura aziendale e un nuovo
approccio alle relazioni industriali. La matrice di quella visione si era poi espansa
nella società eporediese
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e nella governance del territorio in un progetto molto più
ampio. L’impresa e la concezione di impresa che Adriano lasciò alla propria
morte fu, infatti, «un’entità generatrice di cultura, con la persona umana posta al
centro degli interessi del sistema […], un’impresa non staccata, isolata e aliena
7
Il ragionier Valletta, a nome della FIAT, dichiarò in modo molto miope: «La società di Ivrea è
strutturalmente solida… sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi
inserita nel settore elettronico per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana
può affrontare».
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Ivrea fu fondata dai romani e venne denominata Eporedia. Si pensa che tale nome derivi da epo
(cavallo) e reda (carro), poiché i suoi abitanti erano abili domatori di cavalli. Le successive
alterazioni e contrazioni del nome hanno portato all’attuale nome di Ivrea.
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rispetto al mondo esterno, ma profondamente integrata e inserita nel territorio e
nell’ambiente. I suoi interessi verso l’urbanistica, l’architettura, le arti,
unitamente a una visione molto aperta delle tecnologie, lo avevano portato ad
anticipare gli eventi e a generare quel clima di creatività diffusa, che caratterizzò
la Olivetti degli anni Cinquanta»
9
. La vicenda tecnologica e quella umana
avevano dimostrato «nei fatti che progettare a misura d’uomo è ciò che permette
all’umanità di giungere a mete prima ritenute inarrivabili. La Programma 101 è
quindi il racconto di un successo italiano, la storia di un gruppo di uomini che
inseguirono il futuro e, in qualche modo, un’idea di libertà»
10
. Chi aveva lavorato
a quel progetto, come a tanti altri di successo, aveva senz’altro sposato la causa e
la leadership di Adriano che potrebbe essere definita di tipo trasformazionale
11
.
L’apice raggiunto era però anche il frutto degli investimenti in risorse umane tra
le più qualificate, le generazioni dei cosiddetti “centodieci e lode”, che avevano
transitato la Olivetti delle tecnologie puramente meccaniche di Camillo alla
meccanica di precisione, poi alla elettromeccanica e, in conclusione,
all’elettronica della Perottina”.
Adriano Olivetti è stato un industriale assolutamente unico nel panorama
italiano, già distintosi negli anni ‘30 e ‘40, ma soprattutto nel dopo guerra, quando
da ricostruire c’era sicuramente il territorio in senso fisico e, non di meno, il
territorio vivente, quello fatto di comunità concrete; e, inoltre, le istituzioni
politiche, le attività economiche, la coscienza collettiva e, in un certo senso, anche
i sistemi di credenze. Ciò che distingueva fondamentalmente Adriano Olivetti dal
resto degli industriali italiani, quanto a lungimiranza e talento, non era tanto
l’orientamento politico di origine socialista, già di per sé singolare per un capitano
9
Perotto P. G. (2015), P101 – Quando l’Italia inventò il personal computer, Comunità Editrice,
Roma/Ivrea p. 85.
10
Ibidem in copertina introduttiva.
11
La leadership “trasformazionale” è quella che si basa sugli effetti del leader sui valori,
sull’autostima, sulla fiducia dei propri follower e sull’impatto motivazionale ad avere una
performance al di là del proprio dovere. Si contrappone a quella “transazionale” in cui i
collaboratori sono agenti di negoziazione che trattano per massimizzare la propria posizione
relativa. La motivazione del collaboratore ad accondiscendere risiede nel proprio interesse, in
quanto il leader può erogare forme di ricompensa sia di tipo economico che psicologico. Le
definizioni sono tratte da Tosi L.H. e Pilati M. (2008), Comportamento Organizzativo, EGEA spa,
Milano, pp. 282-283.
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d’azienda del suo calibro, quanto il suo modo di ripensare il mondo e i suoi
cambiamenti in senso olistico, come si avrà modo di cogliere nei successivi
capitoli.
Adriano, che durante la Grande Guerra si era rifugiato in Svizzera per
sfuggire alle persecuzioni razziali
12
, a fine ostilità tornò in Patria, già con un
progetto di ingegneria costituzionale in animo, dettagliatamente descritto ne
L’Ordine Politico delle Comunità, la sua prima grande opera. In essa verranno
ricomposte tutte le variabili della vita associata, così da non vedere soluzioni di
continuità tra la progettualità privata e pubblica. In tale prospettiva, scrisse: «La
Comunità non considererà una fabbrica un puro organismo economico, ma un
organismo sociale che condiziona la vita di chi contribuisce alla sua efficienza e
al suo sviluppo»
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. Nella visione, che chiameremo olivettiana per semplificarne la
complessità e l’eterogeneità, la società è chiamata all’armonizzazione organica
delle sue componenti sociali, politiche, economiche, culturali e valoriali.
L’urbanistica, come scienza, si fa allora strumento fondamentale per progettare il
territorio e, con esso, la società che lo vive. Commenta Giuseppe Berta che:
«All’urbanistica spettava di ricomporre momenti della vita economica e sociale in
un disegno unitario, ricercando una connessione organica tra privato e pubblico,
tra residenza e luogo di lavoro, tra centri produzione e centri di consumo, tra le
sedi di istruzione e di formazione professionale e gli spazi demandati alla
fruizione del tempo libero».
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Adriano ha, in questo senso, l’intuizione di ritenere
l’urbanistica la disciplina principe da cui far dipendere tutte le altre e, soprattutto,
l’economia. L’urbanistica è così concepita come la sola in grado di creare le
condizioni per un nuovo ordine sociale, passando per una complessa e completa
indagine sul territorio e le persone che lo vivono, attraverso l’adozione di un
metodo scientifico guidato nei suoi fini dai valori spirituali di Verità, Giustizia,
Bellezza e Amore. L’urbanistica, concepita da Adriano come «estetica applicata
12
Adriano Olivetti aveva origini religiose ebraiche da parte paterna e valdesi da parte materna,
come si vedrà, con maggior dettaglio, nel primo capitolo.
13
Olivetti A. (1970), (a cura di Renzo Zorzi), L’Ordine politico delle Comunità – Le garanzie di
libertà in uno stato socialista, Edizioni di Comunità, Milano, p. 28.
14
Berta G. (2015), Le idee al potere, Comunità Editrice, Roma/Ivrea, p. 204.